Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

mercoledì 10 dicembre 2025

Le sei perfezioni nel buddhismo. Introduzione alle pāramitā

Le pāramitā, sei insegnamenti fondamentali, sono descritte nella vastità della cultura classica del buddhismo come percorsi di profonda trasformazione interiore. Queste pratiche rappresentano le sei grandi vie per il raggiungimento di quella che viene definita la "riva opposta" (pāramitā deriva infatti dal sanscrito pāram, "oltre", e itā, "andato"). La riva opposta simboleggia lo stato di satori o illuminazione, ovvero la condizione più elevata del nostro stato di coscienza, libera dalle catene dell'illusione e della sofferenza. In questo senso, le pāramitā sono viste come il motore che muove la pratica spirituale e conduce l'essere umano verso tale realizzazione, fungendo da ponte tra la condizione ordinaria di esistenza e il risveglio completo.

La struttura delle pāramitā

Le sei pāramitā vengono elencate e distillate in un sistema coerente che riassume i comportamenti, le azioni, i pensieri, l'energia, la meditazione (concentrazione) e la saggezza che scaturisce e promuove tutto questo. Ciascuna di esse rappresenta non solo una virtù da coltivare, ma una vera e propria perfezione (pāramitā significa letteralmente "perfezione" o "trascendenza") da incarnare nella propria esistenza.

1. Dana (generosità)

Rappresenta la generosità, la disponibilità, il dare amore e protezione senza aspettativa di ritorno. Dana è la perfezione del dare con il cuore, un atto che trascende la semplice elemosina materiale per abbracciare il dono del tempo, dell'ascolto, della presenza e persino del dharma (l'insegnamento spirituale). La generosità autentica nasce quando il donatore, il ricevente e il dono stesso si dissolvono in un unico atto privo di ego, dove non c'è più chi dà e chi riceve, ma solo il fluire naturale della compassione.

2. Śīla (virtù/moralità)

È la virtù o la moralità che governa le nostre azioni. Śīla è la perfezione dell'etica, che si manifesta in una vita vissuta in accordo con la nostra vera natura non egoica. Non si tratta di seguire rigidamente precetti esterni, ma di permettere che la nostra condotta spontanea rifletta la purezza innata della mente risvegliata. Quando l'ego si dissolve, l'azione giusta emerge naturalmente, senza sforzo né calcolo.

3. Kṣānti (pazienza)

Include la pazienza, la tolleranza, l'accettazione, la sopportazione e l'imperturbabilità di fronte alle avversità. La capacità di dimorare pienamente nel momento presente e l'accettazione profonda di ciò che accade sono considerati il substrato fondamentale, insieme agli altri, per accedere alle nostre qualità migliori. Questa pāramitā è talvolta definita anche la perfezione della presenza radiosa, poiché nella pazienza autentica risplende una forza interiore incrollabile. Kṣānti non è passività rassegnata, ma attiva accoglienza della realtà così com'è, senza resistenza mentale.

4. Vīrya (energia)

È l'energia instancabile, la diligenza gioiosa, il vigore e lo sforzo perseverante nella pratica. Vīrya rappresenta l'entusiasmo che non conosce scoraggiamento, la determinazione che ci sostiene nei momenti di difficoltà. È quella forza vitale che ci permette di continuare a praticare anche quando i frutti della pratica non sono immediatamente visibili, mantenendo viva la fiamma del risveglio.

5. Dhyāna (concentrazione)

È la concentrazione profonda, la contemplazione e lo zen. Dhyāna riassume gli stati meditativi della nostra mente e non può essere tradotta semplicemente come meditazione (zazen), poiché indica l'intera gamma di assorbimenti contemplativi che vanno dalla concentrazione focalizzata alla presenza aperta e non duale. È in dhyāna che la mente si stabilizza, si purifica e diventa capace di penetrare la vera natura della realtà.

6. Prajñā (saggezza)

È la saggezza trascendente, che non è soltanto la somma delle cinque pāramitā precedenti, ma è essa stessa una pratica fondamentale per il loro sviluppo e realizzazione. Prajñā è la visione penetrante della vacuità (śūnyatā), la comprensione diretta dell'interdipendenza di tutti i fenomeni e della natura illusoria dell'ego. Senza prajñā, le altre perfezioni rimangono incomplete; con prajñā, ogni azione diventa espressione della natura di Buddha.

Le pāramitā sono profondamente interconnesse: ognuna aiuta a produrre lo stato mentale successivo, e a sua volta sostiene e rafforza lo stato mentale che l'ha prodotta. Formano così un cerchio virtuoso di crescita spirituale, dove ogni perfezione si alimenta reciprocamente con le altre.

Cambiamento, impermanenza e natura umana

Il punto nodale di tutta la vita e della pratica spirituale è il cambiamento e la difficoltà che incontriamo nell'accoglierlo pienamente. Il paradosso della nostra esistenza è che viviamo nell'impermanenza continua (anitya), eppure resistiamo ostinatamente a riconoscerla. La legge universale dell'impermanenza fa sì che non vi sia una sola cellula del corpo che non stia continuamente lavorando e modificandosi, non un singolo pensiero che permanga identico, non un'emozione che non fluisca e si trasformi. L'unica cosa che resta apparentemente immobile è il pensiero cristallizzato della nostra mente riguardo a chi e cosa siamo, quella narrazione dell'io che costruiamo e difendiamo con ogni mezzo.

Il desiderio di non attuare cambiamenti, specialmente negli stati di coscienza, va contro la natura stessa dell'esistenza. L'impermanenza è una delle tre caratteristiche fondamentali dell'esistenza (trilakṣaṇa) su cui il Buddha ha maggiormente insistito nei suoi insegnamenti ed è un concetto essenziale per comprendere la realtà. Non è una minaccia o una malattia da cui proteggersi con l'attaccamento, ma è l'unica via per l'evoluzione e la crescita dell'essere umano. Il cambiamento è, in realtà, la nostra natura più profonda e autentica. Praticare una via spirituale significa mettersi consapevolmente di fronte al proprio cambiamento, accoglierlo, danzare con esso anziché resistergli.

Le pāramitā, in questo contesto, possono servire come strumenti di comunicazione e trasformazione più profondi di mille parole, offrendo una bussola pratica per un cambiamento di rotta nell'essere umano e nella società. Incarnare le perfezioni significa allinearsi al flusso naturale dell'impermanenza, trasformando la resistenza in apertura e la paura in fiducia.

Pratica esterna e pratica interna

Le sei pāramitā possono essere suddivise in due gruppi principali, anche se tutte concorrono armoniosamente alla pratica completa e nessuna può essere veramente separata dalle altre.

Le prime tre perfezioni: la dimensione relazionale

Le prime tre perfezioni—generosità (dana), etica (śīla) e pazienza (kṣānti)—sono di aiuto al nostro cambiamento soprattutto nell'interrelazione con gli altri. Esse riguardano maggiormente la relazione con l'ego e con il mondo esterno, con il tessuto sociale in cui siamo immersi. Il loro scopo è superare i confini rigidi del nostro io e del nostro ego per aprirsi alla dimensione dell'interconnessione e della compassione universale. La messa in pratica di queste pāramitā può essere simultaneamente pratica verso gli altri e realizzazione del proprio sé autentico, poiché nell'atto di dare, di agire eticamente e di essere pazienti, dissolviamo progressivamente le barriere illusorie tra sé e altro.

Queste tre perfezioni ci insegnano che la liberazione personale non può essere separata dal benessere degli altri, che il nostro risveglio si manifesta necessariamente nella qualità delle nostre relazioni e azioni nel mondo.

Le seconde tre perfezioni: la dimensione interiore

Il secondo gruppo di perfezioni—energia (vīrya), concentrazione (dhyāna) e saggezza (prajñā)—riguarda più specificatamente la pratica interiore e il nostro stato di coscienza. Ad esempio, vīrya è definita la perfezione dell'entusiasmo gioioso al cambiamento. Questo non significa essere gioiosi della sofferenza in quanto tale, ma essere entusiasti del cambiamento stesso, cioè della possibilità di trasformare la sofferenza attraverso la pratica. Si tratta di uno sforzo gioioso e vigoroso che ci permette di trovare la strada per uscire dalla sofferenza (duḥkha), mantenendo viva la motivazione anche nei momenti più bui.

Dhyāna ci offre lo spazio interiore di quiete e chiarezza in cui possiamo osservare la mente senza identificarci con i suoi contenuti, mentre prajñā illumina la vera natura di ciò che osserviamo, rivelando la vacuità dell'ego e l'interdipendenza di tutti i fenomeni.

Per realizzare queste qualità, è cruciale unire l'ascolto della mente concettuale a quello del cuore (shin in giapponese), inteso come la mente consapevole e realizzata, la mente-cuore indivisa. L'ascolto che viene dal cuore permette agli stati illuminati e illuminanti della mente di manifestarsi liberamente, non più impediti dalla mente oscurata dall'ego e dalle sue proiezioni distorte. Quando mente e cuore si unificano nella pratica, le pāramitā cessano di essere concetti astratti e diventano la nostra esperienza vissuta.

Realizzare la propria natura migliore

La pratica spirituale ha l'obiettivo fondamentale di rendere l'invisibile visibile, di rimuovere i veli che oscurano la nostra vera natura e permettere alla nostra essenza migliore di riapparire e splendere. Adottare i cambiamenti che portano verso le pāramitā non è andare contro qualcosa di estraneo o imposto dall'esterno, ma al contrario, riprendere la via naturale del cambiamento verso la nostra reale essenza, quella natura di Buddha (buddhata) che è sempre stata presente, solo temporaneamente velata dall'ignoranza e dall'illusione.

Quando si è seduti nella pratica formale dello zazen, l'assorbimento totale nella postura, nel respiro e nella presenza fa sì che non si stia più praticando qualcosa di separato da noi, ma si sia completamente quello che si pratica. Il praticante e la pratica si unificano in un'esperienza non duale. In modo analogo, la saggezza (prajñā) trascina corpo e mente risvegliati alla loro migliore natura di esseri umani, e questo stato risvegliato produce a sua volta saggezza in un ciclo virtuoso e autoalimentante.

Vivere le pāramitā è una pratica per vivere al meglio la nostra vita in relazione con gli altri, aiutandoli e alleviando la loro sofferenza, anziché isolarsi in uno stato di benessere privato e solitario. Il bodhisattva, l'essere illuminato che ritarda la propria liberazione finale per aiutare tutti gli esseri senzienti, incarna perfettamente questo ideale. Il cambiamento nobile e lodevole, che è parte integrante della nostra natura più profonda, porta inevitabilmente a una nobiltà di vita e di coscienza, a una dignità che nasce dall'allineamento con ciò che siamo veramente.

Le pāramitā offrono quindi una dinamica naturale di trasformazione, capace di riflettere su sé stessa in modo autoriflessivo e di interpretare e trasformare la società, manifestando la propria natura di Buddha—che non è un'entità lontana e irraggiungibile, un ideale astratto riservato a pochi eletti, ma è la nostra naturale essenza, la nostra eredità spirituale comune. Questa natura risvegliata è sempre stata qui, semplicemente in attesa che rimuovessimo le nuvole che ne oscuravano la luminosità.

Nel praticare le sei perfezioni, non stiamo costruendo qualcosa di nuovo o acquisendo qualità che ci mancano, ma stiamo semplicemente ricordando e risvegliando ciò che abbiamo sempre posseduto. Le pāramitā sono il sentiero di ritorno a casa, alla nostra vera natura, e ogni passo su questo sentiero è già, in sé, un atto di risveglio.

- Rev. Dr. Luca Vona