COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA VENTUNESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ
Colletta
Concedi, ti supplichiamo Dio misericordioso, ai tuoi fedeli, pace e perdono, affinché possano essere purificati da ogni peccato e servirti con mente serena. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Letture
Ef 6,10-20; Gv 4,46-54
Commento
"Fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza" (Ef 6,10), afferma l'apostolo Paolo. Se cerchiamo di farci forti in noi stessi, o nel nostro prossimo, cadiamo. Se cerchiamo la forza nel Signore, restiamo saldi e non abbiamo nulla da temere, perché l'Onnipotente si prende cura di noi.
La nostra lotta non è soltanto contro la nostra umanità decaduta e vulnerabile, non è soltanto una battaglia contro le insidie che provengono da dentro e fuori di noi. "Il nostro combattimento non è contro carne e sangue" (Ef 6,12). Paolo parla di una battaglia contro forze spirituali, "contro le insidie del diavolo" (Ef 6,11) e "contro i dominatori del mondo di tenebre di questa età, contro gli spiriti malvagi nei luoghi celesti" (Ef 6,12).
Queste parole sottolineano il carattere spirituale della nostra battaglia, ma anche la compresenza, nello stesso campo, nella stessa Chiesa, delle forze del bene e del male: fino alla fine dei tempi, il grano e la zizzania cresceranno insieme (Mt 13,30), gli angeli ci assisteranno nella lotta come assistettero Cristo nel deserto e nell'orto degli ulivi, ma gli uccelli rapaci, i demoni, cercheranno di rubare il buon seme - la parola di Dio - che è stato seminato in noi (Mt 13,1-23; Mc 4,1-20; Lc 8,4-15).
Per vincere contro le potenze malvagie dobbiamo rivestire "L'intera armatura di Dio" (Ef 6,13). Quali sono dunque queste difese per una lotta che non è semplicemente contro l'uomo carnale, come troppo ha insistito un certo moralismo, riducendo l'etica cristiana a un'etica della purezza sessuale? Queste armi, l'Apostolo, le elenca una ad una: verità e giustizia (Ef 6,14), pace (Ef 6,15); ma, soprattutto, lo scudo della fede, "con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno" (Ef, 6,16).
Perché la tentazione, quando colpisce nel segno di una coscienza disarmata, non solo la ferisce procurando una grave emorragia, ma scatena un incendio che divampa, cercando di contagiare e consumare tutto intorno. Paolo invita anche a rivestire il nostro capo con "l'elmo della salvezza" e a impugnare "la spada dello Spirito che è la parola di Dio" (Ef 6,17). La meditazione della parola di Dio protegge la nostra mente dai pensieri di sconforto, ricordandoci che Dio ci ha salvato e che egli è fedele alle sue promesse.
L'Apostolo ci esorta a perseverare "pregando in ogni tempo con ogni sorta di preghiera e di supplica" (Ef 6,18) - vegliando a questo scopo. Parole simili a quelle di Gesù nel Getsemani: "vegliate e pregate per non cadere in tentazione" (Mt 26,41); e a quelle di Pietro nella sua Prima lettera: "Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli stando fermi nella fede" (1Pt 5,8-9).
Siamo esortati anche a intercedere per i nostri fratelli e le nostre sorelle nella fede: "pregando... per tutti i santi" (Ef 6,18), cioè per tutti coloro che sono stati santificati dallo Spirito di Dio. La lotta, l'ascesi, è lotta individuale, a tu per tu contro il maligno; ma il cristiano non è un'entità a se stante; siamo tutti membra gli uni degli altri e membra di un corpo unico che è il Corpo mistico di Cristo. La caduta di uno può condurre alla caduta di un altro e forse di molti; la vittoria di uno può tenere molti altri lontani dal pericolo di cadere.
Nella guarigione del figlio di un funzionario regio, narrata da Giovanni nel suo Vangelo assistiamo a un miracolo di Gesù in favore di un uomo di alto rango, la cui fede lo porta, però, a sottomettersi alla regalità del Messia. Potrebbe trattarsi di un ufficiale civile o militare, giudeo o romano. Gesù lo riprende, dicendo che la fede non dovrebbe dipendere dai miracoli: "Se non vedete segni e prodigi, voi non credete" (Gv 4,48). Ma Gesù lo esaudisce, dimostrando che la sua parola è in grado di strappare al potere della morte.
Il funzionario regio riconosce l'intervento di Dio facendo memoria degli eventi e scandagliandoli alla luce della fede e della ragione. I miracoli non sono necessari alla fede, ma se proprio vogliamo chiederli dobbiamo essere in grado di riconoscerli per mostrare a Dio la nostra gratitudine: "Allora il padre riconobbe che era proprio in quell'ora in cui Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive»; e credette lui con tutta la sua casa” (Gv 4,53). Il vangelo ci esorta a vivere con consapevolezza, con gli occhi ben aperti di fronte a quanto Dio compie nelle nostre vite.
- Rev. Dr. Luca Vona