COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA DOMENICA DI SETTUAGESIMA
Colletta
O Signore, ti supplichiamo di ascoltare con favore le preghiere del tuo popolo; affinché noi che siamo giustamente puniti per le nostre offese, possiamo essere misericordiosamente liberati dalla tua bontà, a gloria del tuo Nome: per Gesù Cristo nostro Signore, che vive e regna con te e con lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.
Letture
1 Cor 9,24-27; Mt 20,1-15
Le brevi metafore sportive utilizzate da Paolo nella sua lettera ai credenti di Corinto sono rivolte a lettori che conoscono i ginnasti greci e i giochi istmici, che si tenevano in primavera nei pressi della città, ogni due anni.
Come rappresentato da Paolo, vivere e annunciare il vangelo di Cristo non è una facile passeggiata ma "una corsa", nella quale si può risultare vincitori solo mediante l'abnegazione e lo sforzo continuo, la fatica e il sudore. Se imiteremo Gesù non rischieremo di restare a mezza via.
Paolo presenta il controllo di sé come necessario "per la vittoria"; il suo scopo è di conquistare alla salvezza i destinatari del suo apostolato. Poco prima, infatti, aveva richiamato la scelta di svolgere il suo ministero senza nulla chiedere in cambio (1 Cor 9,12-14) e il suo essersi fatto "servo di tutti" (1 Cor 9,19). Anche il controllo dei suoi impulsi serve a non consentire che essi lo distolgano dall'attività pastorale.
È necessario notare che Paolo non adoperava né flagellazioni, né "macerazioni"; per ridurre il proprio corpo a docile strumento dello spirito, gli bastavano la sobrietà, il lavoro manuale con cui si manteneva da vivere e le fatiche e privazioni della sua vita missionaria. A tal proposito l'Apostolo afferma nella sua lettera ai Colossesi: "Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché, come se viveste nel mondo, vi lasciate imporre dei precetti quali: «Non toccare, non assaggiare, non maneggiare» (tutte cose destinate a scomparire con l'uso), secondo i comandamenti e le dottrine degli uomini? Quelle cose hanno, è vero, una reputazione di sapienza per quel tanto che è in esse di culto volontario, di umiltà e di austerità nel trattare il corpo, ma non hanno alcun valore; servono solo a soddisfare la carne (Col 2,20-23).
La fatica laboriosa del credente è richiamata nella parabola degli operai mandati nella vigna. La paga di coloro che se ne stavano nella piazza senza far nulla non viene stabilita in anticipo, diversamente dai primi chiamati, ai quali è stato promesso un denaro. Gli operai della parabola che iniziano a lavorare in ritardo si mostrano, dunque, volenterosi, perché accettano l'impiego senza negoziare il proprio compenso.
Quando il padrone della vigna retribuisce i suoi operai comincia dagli ultimi, così che i primi hanno modo di sapere quanto è stato loro dato. Gli operai della prima ora rappresentano l'Israele che si appella alla propria obbedienza alla legge come diritto di ricevere una paga superiore agli "operai dell'ultima ora", cioè ai pagani, ai quali ora è stata estesa la salvezza.
Tutti ricevono un uguale compenso perché tutti vengono salvati per grazia, e non per le opere della legge. Il padrone della vigna non è ingiusto, ma generoso.
Gesù ci esorta a non restare con le mani in mano, ma a partecipare attivamente alla nuova creazione, e a rallegrarci con lui ogni volta che si aggiungono braccia volenterose nella sua vigna; perché "ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione" (Lc 15, 7).
- Rev. Dr. Luca Vona