Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

giovedì 31 ottobre 2024

Fermati 1 minuto. La maternità di Dio

Lettura

Luca 13,31-35

31 In quello stesso momento vennero alcuni farisei a dirgli: «Parti, e vattene di qui, perché Erode vuol farti morire». 32 Ed egli disse loro: «Andate a dire a quella volpe: "Ecco, io scaccio i demòni, compio guarigioni oggi e domani, e il terzo giorno avrò terminato". 33 Ma bisogna che io cammini oggi, domani e dopodomani, perché non può essere che un profeta muoia fuori di Gerusalemme.
34 Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto! 35 Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta. Io vi dico che non mi vedrete più, fino al giorno in cui direte: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore!"»

Commento

L'avvertimento dei farisei a Gesù può essere interpretato come una effettiva volontà di metterlo in guardia dal pericolo di essere ucciso e, in questo caso, sarebbe l'unica nota positiva su di loro nel Vangelo di Luca; ma molti esegeti vedono nelle loro parole la volontà di allontanare Gesù dalla Galilea per mandarlo in Giudea, dove, realmente, avrebbe corso il pericolo di essere messo a morte dal sinedrio.

Quel che appare evidente è la risposta ferma di Gesù, che resta fedele nel portare a compimento la volontà di Dio, manifestando l'instaurazione del Regno attraverso esorcismi e guarigioni. Con la sua autorità profetica e messianica Gesù definisce Erode una volpe, animale che nell'Antico Testamento è associato alla devastazione della vigna del Signore, ma nella letteratura rabbinica, stante la sua limitata pericolosità, era utilizzata anche per simboleggiare una persona di scarso valore. 

Gesù si ostina a proseguire nel suo cammino, rifiutando di far disegnare il suo itinerario dalla paura. Egli è mosso da amore per Geruslamme, che dopo aver rifiutato tanti profeti si appresta a metterlo a  morte. Qui utilizza una immagine di grande originalità e bellezza nella letteratura biblica: quella di una chioccia che raccoglie i suoi pulcini sotto le ali. 

L'immagine dell'amore materno è ricorrente nella spiritualità cristiana. Sì, Dio è madre; e il suo amore, come quello di una madre, è sollecito, incondizionato. Spetta a noi farci trovare dalla sua grazia.

Preghiera

Infondi nei nostri cuori, Signore, il coraggio di desiderare quanto ci hai comandato e la grazia di portarlo a compimento. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 30 ottobre 2024

Giovanni Colobos. L'umiltà di Dio alla radice dell'umiltà umana

 La Chiesa copta fa oggi memoria di Giovanni, monaco di Scete, detto Colobos, il « piccolo», a motivo della sua bassa statura. Di lui fu detto, in un breve apoftegma che ne sintetizza mirabilmente la figura spirituale: «Ma chi è questo abba Giovanni, che con la sua umiltà fa pendere dal suo dito mignolo tutta Scete?». Giovanni nacque attorno al 339 a Bahnasā, in Egitto, e si recò a Scete quando non aveva ancora diciott'anni. Alla scuola dei padri del deserto egli apprese anzitutto l'obbedienza, unica via salvifica per un cristiano. Fu proprio grazie all'obbedienza e alla sottomissione per amore di Dio e dei fratelli a ogni sorta di umiliazione che Giovanni divenne uno dei più grandi maestri di umiltà dell'antichità cristiana. Egli aveva infatti capito che alla radice dell'umiltà umana vi è l'umiltà di Dio, la forza del suo amore, che è irresistibile proprio perché lascia liberi e rende veramente liberi coloro ai quali si rivolge. All'età di 70 anni, Giovanni fu avvertito in sogno da Antonio, da Macario e dal suo padre spirituale Amoe che stava per morire. Mandato il suo discepolo a fare commissioni, egli si preparò da solo al faccia a faccia definitvo con quel Dio che aveva tanto colmato la sua vita. Di lui ci è pervenuta una lunga serie di Detti che sono un piccolo compendio di vita spirituale per il cristiano di ogni tempo.


Tracce di lettura

Raccontavano del padre Giovanni Colobos che, ritiratosi a Scete presso un anziano della Tebaide, visse nel deserto. Il suo abba, preso un legno secco, lo piantò e gli disse di innaffiarlo ogni giorno con un secchio d'acqua, finché non desse frutto. L'acqua era tanto lontana che doveva partire alla sera per essere di ritorno al mattino. Dopo tre anni il legno cominciò a vivere e a dare frutti. L'anziano li colse e li portò ai fratelli radunati insieme, dicendo: «Prendete, mangiate il frutto dell'obbedienza». Uno dei padri disse di lui: «Ma chi è questo abba Giovanni, che con la sua umiltà fa pendere dal suo dito mignolo tutta Scete?»
(Giovanni Colobos, Detti dei padri del deserto 1 e 36)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Giovanni Colobos (ca 339-409)

Fermati 1 minuto. La conoscenza e la coerenza

Lettura

Luca 13,22-30

22 Passava per città e villaggi, insegnando, mentre camminava verso Gerusalemme. 23 Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Rispose: 24 «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno. 25 Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: Signore, aprici. Ma egli vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete. 26 Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze. 27 Ma egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori d'iniquità! 28 Là ci sarà pianto e stridore di denti quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e voi cacciati fuori. 29 Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30 Ed ecco, ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi».

Commento

La domanda dei discepoli circa la salvezza evidenzia il contrasto, nel giudaismo dell'epoca, tra i farisei, che sostenevano che la maggior parte degli ebrei si sarebbero salvati, e i circoli apocalittici, in cui prevaleva l'opinione che pochi si sarebbero salvati. Forse è suscitata anche dal fatto che le grandi moltitudini che seguivano Gesù si sono ridotte, verso il termine del suo ministero terreno, a pochi fedeli.

D'altra parte, il messaggio di Gesù scoraggia i tiepidi («chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi non può essere mio discepolo»; Lc 14,33) ed egli stesso afferma che angusta è la via e stretta la porta che conduce alla vita, e sono pochi coloro che la trovano (Mt 7,14).

Le parole di Gesù richiamano l'orizzonte escatologico, quando gli uomini saranno giudicati non per il semplice fatto di "conoscerlo", ma per la loro coerenza e fedeltà nel compiere la volontà del Padre. L'ingresso nel regno di Dio di uomini provenienti dai quattro punti cardinali indica l'invito dei pagani al banchetto celeste; un pensiero contrario alla mentalità rabbinica del tempo, ma perfettamente conforme alla letteratura profetica dell'Antico Testamento (Sal 107,3; Is 66,18-19; Mal 1,11).

L'immagine della bontà di Dio, il quale non vuole che alcuno perisca, ma che tutti abbiano il tempo di pentirsi (2 Pt 3,9) non è offuscata dalle parole severe di Gesù, che costituiscono un invito alla conversione. L'uomo è chiamato a fare un uso responsabile della propria libertà, in relazione al suo destino eterno.

Preghiera

Guidaci, Signore, lungo la via del ritorno a te, e ristoraci con il tuo Spirito nel nostro faticoso incedere; affinché possiamo trovare ristoro nel banchetto che hai preparato per i redenti. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 29 ottobre 2024

James Hannington, protomartire anglicano in Uganda

Il 29 ottobre la Chiesa anglicana ricorda James Hannington, primo vescovo anglicano dell'Africa equatoriale martire in Uganda.

Tra le nuove nazioni dell'Africa, l'Uganda è prevalentemente cristiana. Il lavoro missionario iniziò nel 1870 con il favore del re Mutesa, che morì nel 1884. Tuttavia, suo figlio e successore, il re Mwanga, si oppose a tutte le presenze straniere, comprese le missioni cristiane.

James Hannington, nato nel 1847, fu inviato dall'Inghilterra nel 1884 dalla Chiesa anglicana come vescovo missionario dell'Africa equatoriale orientale. Mentre viaggiava verso l'Uganda, fu catturato dagli emissari del re Mwanga. Lui e i suoi compagni furono trattati con brutalità, una settimana dopo, il 29 ottobre 1885, molti di loro furono messi a morte. Le ultime parole di Hannington furono: "Vai a dire al tuo padrone che ho acquistato la strada per l'Uganda con il mio sangue".

Il primo martire nativo fu il cattolico romano Joseph Mkasa Balikuddembe, che fu decapitato dopo aver rimproverato il re per la sua dissolutezza e per l'omicidio del vescovo Hannington. Il 3 giugno 1886 un gruppo di 32 uomini e ragazzi, 22 cattolici romani e 10 anglicani, furono bruciati sul rogo. La maggior parte erano giovani paggi della casa di Mwanga, dal loro capo, Charles Lwanga, al tredicenne Kizito, che morì "ridendo e chiacchierando". Questi e molti altri cristiani ugandesi hanno sofferto per la loro fede allora e negli anni successivi.

Nel 1977 l'arcivescovo anglicano Janani Luwum ​​e molti altri cristiani subirono la morte per la loro fede sotto il tiranno Idi Amin.

Grazie in gran parte alla loro comune eredità di sofferenza per il loro Maestro, i cristiani di varie comunioni in Uganda sono sempre stati in ottimi rapporti tra loro.

James Hannington (1847-1885)

Fermati 1 minuto. Vedere l'invisibile

Lettura

Luca 13,18-21

In quel tempo, diceva Gesù: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami». E disse ancora: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».

Commento

L'idea del regno di Dio che si estende come un maestoso albero, all'ombra del quale si radunano tutte le nazioni richiama alcuni passaggi messianici dell'Antico Testamento (Ez 17,23; 31,6). Le parole di Gesù sono un invito alla pazienza e alla speranza, al superamento dell'ossessione contabilizzatrice nel considerare la crescita della Chiesa e i nostri progressi spirituali. Gesù ci esorta a puntare sulla qualità, su quel lievito capace di far fermentare tutta la pasta.

Le parabole del granello di senapa e del lievito mettono in luce il sorprendente contrasto tra i piccoli inizi del Regno e la sua meravigliosa espansione. Le due immagini rappresentano l'azione di Dio, che si compie silenziosamente e nel segreto. L'opera della grazia nelle nostre anime e nel mondo non avviene in modo improvviso e "fragoroso", ma può essere scorta da orecchie capaci di ascoltare e occhi capaci di vedere ciò che opera nel segreto; necessita di un cuore capace dell'attesa, come il contadino che semina e come la donna che prepara il pane. 

Dai piccoli segni possiamo intuire un esito che sarà sorprendente, rappresentato in queste due parabole dalla maestosità del cespuglio di senape in cui si rifugiano gli uccelli e dalla quantità di farina - circa sessanta chilogrammi! - che poco lievito fa panificare. Il Regno di Dio potrà così accogliere uomini di ogni popolo e nazione e saziare tutti coloro che hanno fame e sete di giustizia.

Preghiera

Signore, accresci la nostra fede affinché i nostri occhi possano aprirsi all'opera che la tua grazia compie incessantemente nei nostri cuori. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 28 ottobre 2024

Simone e Giuda. «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi?»

Il 28 di ottobre la Chiesa d'Occidente (Anglicani, Cattolici, Luterani, Veterocattolici) e i cristiani siro-orientali celebrano la festa liturgica degli Apostoli Simone e Giuda.

Simone e Giuda appaiono agli ultimi posti nelle liste degli apostoli e per questo assomigliano agli operai chiamati all'ultima ora, che hanno tuttavia portato a termine la loro missione di testimoni del vangelo fino al martirio. Ma, come spesso capita nella storia della salvezza testimoniata dalle Scritture, è proprio agli ultimi e ai più marginali fra gli uomini che Dio sceglie di rivelarsi. 

San Simone

Simone, da Luca soprannominato Zelota (Lc 6, 15; At 1, 13), forse perché aveva militato nel gruppo antiromano degli Zeloti, che utilizzava anche la violenza come pratica politica, da Matteo e Marco è chiamato Cananeo (Mt 10, 4; Mc 3, 18).

San Giuda "Taddeo"

Giuda è detto Taddeo (Mt 10, 3; Mc 3, 18) o Giuda di Giacomo (Lc 16, 16; At 1, 13). Nell’ultima cena rivolse a Gesù la domanda: «Signore come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?». Gesù gli rispose che l’autentica manifestazione di Dio è riservata a chi lo ama e osserva la sua parola: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Una lettera del Nuovo Testamento porta il suo nome.

La loro festa il 28 ottobre è ricordata dal calendario geronimiano (sec. VI). In questo stesso giorno si celebra a Roma fin dal sec. IX.

Tracce di lettura

«Simone, l'uomo che è la pietra, Matteo il pubblicano, Simone lo zelota, zelante nel cercare il diritto e la legge contro l'oppressione pagana, Giovanni, che Gesù aveva caro e che si appoggiò al suo petto, e gli altri, dei quali abbiamo solo il nome, e infine Giuda Iscariota, che lo tradì: nessuna ragione al mondo avrebbe potuto collegare questi uomini alla stessa opera al di fuori della chiamata di Gesù. Qui fu superata ogni precedente divisione e fu fondata la nuova, salda comunità in Gesù».

- D. Bonhoeffer, Sequela

Fermati 1 minuto. Li chiamò apostoli

Lettura

Lc 6,12-19

12 In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione. 13 Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli: 14 Simone, che chiamò anche Pietro, Andrea suo fratello, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, 15 Matteo, Tommaso, Giacomo d'Alfeo, Simone soprannominato Zelota, 16 Giuda di Giacomo e Giuda Iscariota, che fu il traditore. 17 Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, 18 che erano venuti per ascoltarlo ed esser guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti immondi, venivano guariti. 19 Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti.

Commento

Gesù scelse come apostoli chi volle, ma non scelse arbitrariamente, né superficialmente. Scelse dopo aver a lungo pregato, tutta la notte. L'evangelista Luca presenta spesso Gesù in preghiera prima dei momenti importanti della sua vita. 

La Chiesa nasce dopo quella notte di preghiera di Gesù e mediante la nostra preghiera può crescere e prosperare. I Dodici ricevono una missione nella missione; non uno status di privilegiati, ma una speciale chiamata a servire con maggiore sollecitudine. Questo sarà il senso di un'altra chiamata da parte di Gesù, poco prima della sua passione: "Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti»" (Mc 10,42-43).

Gesù sceglie i suoi chiamandoli per nome. L'evangelista non aggiunge alcuna loro descrizione; ma il chiamare per nome è certamente testimonianza del fatto che egli si rivolse alla persona nelle sue qualità distintive, i suoi pregi e le sue debolezze, così come nelle differenze, spesso enormi, che incorrevano tra i chiamati. 

Diversi, ma tutti tenuti insieme, ad eccezione di Giuda "il traditore", dall'amore di Cristo. Il chiamare per nome, fin dalla Genesi - quando Dio invita Adamo a dare un nome a ogni creatura - indica l'autorità su di essi e un'intima relazione spirituale. Gesù li chiamò "apostoli", ovvero "inviati", perché erano destinati non a creare delle scuole rabbiniche o filosofiche ma a predicare il vangelo a tutte le nazioni. 

Dopo essere salito al monte per attirare a sé gli apostoli Gesù discende subito "in un luogo pianeggiante" (v. 17) e in questo abbassamento si fa loro maestro, non temendo di toccare e di farsi toccare dalle moltitudini bisognose di salvezza e di guarigione.

Eppure questo loro compito non inizierà prima di avere accompagnato Gesù nella sua missione terrena ed essere stati confermati dal Risorto. Allora diventeranno capaci di portare l'annuncio della grazia fino agli estremi confini della terra.

Preghiera

Signore Gesù Cristo, tu ci chiami per nome per salvarci e farci annunciatori della salvezza. Concedici di ricercare sempre la volontà del Padre nella preghiera fervente e prolungata. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 27 ottobre 2024

Il perdono come frutto di giustizia

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA VENTIDUESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

Signore, ti supplichiamo di mantenere la tua casa, la Chiesa, nella tua bontà; affinché mediante la tua protezione possa essere libera da ogni avversità e servirti con devozione in ogni buona opera, per la gloria del tuo Nome. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Fil 1,3-11; Mt 18,21-35

Commento

Vi è un profondo legame tra i "frutti di giustizia" (Fil 1,11) con cui si chiude l'odierna pericope paolina dalla lettera ai Filippesi e la natura del perdono cristiano.

La giustizia, ovvero la nostra giustificazione e santificazione, ma anche la nostra capacità di agire con rettitudine, matura da un cuore che ha saputo aprirsi al dono della misericordia di Dio, che ci condona ogni colpa. I frutti di giustizia, infatti, "si hanno per mezzo di Gesù Cristo, alla gloria e lode di Dio" (Fil 1,11), dipendono, cioè non dai nostri sforzi, ma dalla misura in cui aderiamo a Cristo, nella comunione che si realizza attraverso la fede. E a loro volta, questi frutti, hanno il fine di manifestare la gloria di Dio, cioè la sua bontà, e di suscitare nell'uomo quella lode che scaturisce dalla gratitudine.

Ciò non viene compreso dal protagonista della parabola del creditore spietato. L'occasione di questo racconto è suscitata da una domanda posta da Pietro a Gesù. Pietro aveva compreso che il Signore era molto esigente in materia di perdono e, infatti, gli chiede se si debba perdonare sette volte, andando ben oltre le tre volte menzionate dal Talmud, il grande testo di esegesi delle Scritture ebraiche. Gesù si mostra ancora più esigente del previsto, affermando che occorre perdonare il nostro nemico fino a settanta volte sette (quattrocentonovanta volte); ovvero un numero di volte pressoché illimitato.

L'immagine del re che vuole fare i conti è di tipo escatologico, richiama cioè il giudizio alla fine dei tempi e quello individuale alla fine della vita. È un rendiconto cui nessuno può sottrarsi.

Il debito del servitore - forse un ministro di stato - è enorme: diecimila talenti. Di fronte a una insolvenza di questa grandezza poteva essere venduto lui con tutti i suoi beni e tutta la sua famiglia. L'enormità del debito da saldare rende temeraria la promessa del servitore di restituire tutto il dovuto (Mt 18,26). Ma oltre ogni aspettativa, il suo padrone gli offre un condono completo.

Nella scena immediatamente successiva, il debitore incontra uno dei suoi creditori, ma ha già rimosso il ricordo dell'azione di misericordia di cui è stato destinatario, non è riuscito a coglierne il senso profondo. Si mostra privo di compassione con il suo creditore, facendolo gettare in prigione. Che il creditore spietato non avesse mai sentito né pentimento profondo né gratitudine vera è anche posto in evidenza dalla somma esigua del debito che gli deve il suo creditore: appena cento denari.

È evidente che la sola paura della punizione non può suscitare vera conversione. Il debitore perdonato non perdona perché passato il momento in cui l'anima sua è scossa dal terrore del giudizio, sospeso il castigo, il suo timore svanisce rapidamente. Probabilmente egli avrebbe tremato se avesse potuto udire le preghiere dei conservi che giungevano alle orecchie del suo padrone, a favore del perseguitato. Ma a quel punto è troppo tardi: "il suo signore lo chiamò a sé". 

Il creditore incapace di rimettere i debiti viene dunque consegnato agli aguzzini, letteralmente "tormentatori". Sia nell'antica Roma che nell'Oriente antico era prassi comune torturare i debitori affinché rivelassero dove avevano nascosto i propri beni o per muovere a pietà parenti e amici, affinché questi pagassero al posto loro. 

La parabola del debitore spietato insegna che il condono dei nostri grandi debiti da parte di Dio deve suscitare il perdono dei piccoli debiti che gli uomini hanno nei nostri confronti. Quando ci poniamo sotto la potenza dell'amore di Cristo che ci perdona, siamo spinti a perdonarci gli uni gli altri.

Preghiamo anche noi, come Paolo, "perché il nostro amore abbondi sempre più in conoscenza e discernimento" (Fil 1,9), soprattutto nella conoscenza della misericordia di Dio, e affinché possiamo "essere puri e senza macchia per il giorno di Cristo" (Fil 1,10). Puri di quella purezza e di quella santità che egli stesso ci comunica.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 25 ottobre 2024

Il teologo luterano Philipp Nicolai (1556-1608) e la difesa della presenza reale di Cristo nella Santa Cena

«Non solo i Greci, ma anche i Russi, i Georgiani, gli Armeni, i Giudei [l'autore si riferisce probabilmente ai cristiani di origine giudaica, ndt], gli etiopi [copti, ndt] credono che Cristo sia realmente presente, con il suo Corpo e il suo Sangue [nelle specie eucaristica, ndt]» .

- Philipp Nicolai, Historia deß Reichs Christi, Das ist: Gründtliche Beschreibung der wundersammen Erweiterung seltzamen Glücks und gewisser bestimpter Zeit der Kirchen Christi im Neuwen Testament, Frankfurt a. M., Spies 1598 [versione digitalizzata]

Philipp Nikolai fu pastore, teologo e poeta, nato il 10 agosto 1556 a Mengeringhausen nel Waldeck, morto il 26 ottobre 1608 ad Amburgo.
Fino da giovane si esercitò nella poesia e nella musica, pubblicando anche un poemetto a sfondo teologico, Certamen cervorum cum columbis, che gli procurò una certa notorietà; studiò quindi a Erfurt e a Wittenberg, e nel 1575 pubblicò un suo Commentar. de rebus antiquis German. gentium, poco scientifico, ma pieno di sentimento nazionale. Fu poi predicatore a Herdecke, a Colonia, nel Waldeck, a Unna e finalmente ad Amburgo. Rigido luterano nei tempi in cui si diffondeva in Germania il calvinismo, combatté questo specialmente nella dottrina dell'Eucaristia, sostenendo la presenza reale. Un riflesso dei fortunosi tempi in cui egli visse (guerra spagnola, peste nella Vestfalia, lotte religiose) si può vedere nei suoi Commentariorum de regno Christi... libri II (Francoforte 1597), dove egli prevede la fine del mondo per il 1670. Altre sue opere sono: Fundamentorum calvinianae... sectae detectio (Tubinga 1586); Freudenspiegel des ewigen Lebens (Francoforte 1599); Theoria vitae aeternae (1606). Delle sue poesie religiose divennero popolarissime le due: Wie schön leuchtet der Morgenstern, e Wachet auf, ruft uns die Stimme. Le sue opere furono pubblicate dall'amico Dedeken, in 2 volumi le latine, e in 4 le tedesche (Amburgo 1611-17).

La sua memoria ricorre il 25 ottobre in alcune chiese luterane, in altre il 26 ottobre.

Philipp Nicolai (1556-1608)

Fermati 1 minuto. Che tempo fa?

Lettura

Lc 12,54-59

In quel tempo, Gesù diceva alle folle: «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: “Farà caldo”, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto? Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all’esattore dei debiti e costui ti getti in prigione. Io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo».

Commento

Abbiamo la capacità di giudicare, di valutare gli eventi. Gesù lo afferma rivolgendosi alle folle, non a una élite religiosa. Egli parla a uomini comuni: pescatori, agricoltori, commercianti. Si rivolge a noi. 

Siamo capaci di dare un'nterpretazione agli eventi terreni, senza il bisogno di un aiuto esterno. Allo stesso modo dovremmo interpretare le cose spirituali, perché la nostra anima è capace di farlo. Il mondo ci spinge a farci assorbire completamente dai suoi affari e i pochi momenti di riposo diventano spesso occasione per un ozio improduttivo, che ci impedisce di vedere l'azione di Dio nella storia umana e nella nostra personale storia. 

Le parole di Gesù spronano ogni discepolo ad applicarsi allo studio delle Scritture, alla preghiera, a un apostolato capace di cogliere profeticamente i segni dei tempi. Siamo chiamati a leggere in prima persona la nostra vita alla luce del vangelo; a camminare con Cristo - che in questo passo delle Scritture è in viaggio verso Gerusalemme, dove si compirà il suo destino terreno - finché siamo in tempo. 

Finché siamo in vita, infatti, siamo per strada, e questo è il tempo della conversione e della riconciliazione. Come afferma l'apostolo Paolo: "Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!" (2 Cor 6,2). Gesù, che si fa presente con la sua misericordia nella vita di ogni uomo, ci esorta a riconoscere il tempo della nostra visitazione (Lc 19,44), riconciliandoci con Dio e con gli uomini.

Preghiera

Signore, giudice e mediatore, noi ci affidiamo a te, che hai steso le braccia sulla croce per la nostra riconciliazione. Concedici di camminare sempre alla luce della tua parola. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 24 ottobre 2024

Il monastero di Optina e il suo primo starec, Leonida

Le chiese luterane ricordano oggi Leonida di Optina (+ 1841), monaco e padre spirituale in Russia, primo starec del Monastero di Optina.

Il monastero di Òptina o Òptina pustýn' è un monastero maschile sito vicino a Kozel'sk (Oblast' di Kaluga, Russia) e fu nel XIX secolo uno dei più importanti luoghi di culto della Chiesa ortodossa russa.

Non è chiaro quando il nucleo centrale del monastero sia stato fondato. La sua denominazione deriva probabilmente da un termine slavo traducibile con "vivono insieme" è questo può essere spiegato con il fatto che fino al 1504 le monache erano state ammesse a vivere all'interno del chiostro.

Il monastero comprende numerose chiese, la principale della quali è la Cattedrale di Vvedenskij, che venne costruita fra il 1750 ed il 1771 e contiene varie cupole "a cipolla". Fra le altre vi sono la chiesa dedicata all'icona della Madonna di Vladimir, quella dedicata all'icona della Madonna di Kazan' e la chiesa dedicata a Sant'Ilarione di Gaza.

La gran parte degli edifici presenti ad oggi a Optina furono costruiti tra il XVIII e il XIX secolo, quando il monastero si affermò come centro della vita monastica russa. Nel 2007 venne eretta la chiesa dedicata alla Trasfigurazione di Gesù.

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Il Monastero di Optina, nel Governatorato di Kaluga, a circa 250 Km da Mosca

Nel 1821 a 400 metri dal monastero si stabilirono degli staresti che presto attirarono il culto dei devoti verso Kozel'sk. Tale culto fu inizialmente osteggiato in modo deciso dal Santo Sinodo che, fin dal 1721, aveva imposto nel suo "Regolamento spirituale" il ferreo divieto di creare skit, visti, nell'ottica delle alte gerarchie ecclesiastiche, come polo di attrazione e di coltura di sette ereticali o scismatiche. Tale orientamento mutò gradualmente ma già nel 1822 il divieto fu abolito permettendo a folle di fedeli, molti dei quali soggiornavano nell'insediamento esterno sorto all'uopo appena fuori le mura, di visitare, chiedere consiglio e grazia agli anziani starec, rappresentanti di quel misticismo medievale tornato prepotentemente in voga nella Russia del XIX secolo. Tra gli altri, il monastero fu visitato da Vasilij Žukovskij, Nikolaj Gogol', Ivan Turgenev, Vasilij Rozanov e Lev Tolstoj.

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Leonida di Optina (1768-1841)

La biblioteca del monastero contiene un considerevole numero di libri, in parte di grande pregio, alcuni dei quali qui portati dai fratelli Ivan e Pëtr Kireevskij, slavofili, seppelliti alla loro morte dentro le mura di Optina. Il filosofo Konstantin Leont'ev visse per quattro anni all'interno del monastero e qui prese i voti. Si racconta inoltre che lo stareta locale Ambrogio fosse stato preso da Fëdor Dostoevskij quale prototipo per il personaggio di Padre Zosima nel su romanzo I fratelli Karamazov così come, nella medesima opera, la figura di padre Ferapont pare sia stata ispirata da padre Vassian, un vecchio monaco di Optina autore di numerosi opuscoli che apertamente contestavano lo staret Leonid, al secolo Lev Danilovič Nagolkin.

Dopo la rivoluzione russa tutti i monaci furono deportati dal monastero, che svolse da allora le funzioni di gulag. L'ultimo egumeno di Optina fu fucilato a Tula nel 1938. Alcuni anni più tardi alcune strutture vennero demolite, mentre la cattedrale fu trasformata in un museo di opere letterarie.

All'inizio della Perestrojka, Optina pustyn' fu una delle prime abbazie a tornare sotto il controllo della Chiesa ortodossa russa (1987). Tra la fine degli anni ottanta e l'inizio dei novanta, molti tra i suoi monaci più famosi furono glorificati a santi.

Dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale il monastero fu trasformato in campo di prigionia destinato agli ufficiali dell'Esercito polacco catturati dall'armata rossa nel 1939 durante la guerra difensiva polacca. Nella tarda primavera del 1940 circa 5000 prigionieri furono portati dal Nvkd in una foresta nei pressi di Katyn' dove furono uccisi in quello che oggi è conosciuto come il ‘'Massacro di Katyn''’. I circa duecento prigionieri rimasti furono trasferiti prima nel campo di Pavliščev Bor e poi in quello di Grjazovec.


LA PREGHIERA DEL MATTINO DEI MONACI DI OPTINA

Signore, concedimi di andare incontro con animo sereno a tutto ciò che mi apporterà l’odierna giornata. Concedimi di affidarmi completamente alla Tua Santa Volontà. In ogni ora di questa giornata istruiscimi e sostienimi in tutto.

Qualsiasi notizia abbia a ricevere nel corso di questa giornata, insegnami ad accoglierla con animo sereno e con la ferma convinzione che tutto accade secondo la Tua Santa Volontà!

In tutte le mie azioni e parole guida i miei pensieri ed i miei sentimenti! In tutti i casi imprevisti fa che non dimentichi che tutto è mandato da Te!

Insegnami ad agire rettamente e ragionevolmente con ogni membro della mia famiglia né amareggiando nè turbando nessuno!

Signore, dammi la forza di sopportare la fatica dell’odierna giornata e tutti gli avvenimenti nel corso di essa! Guida la mia volontà ed insegnami a pregare, a sperare, a credere, ad amare, a sopportare ed a perdonare! Amìn.

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Fermati 1 minuto. Come fuoco sulla terra

Lettura

Luca 12,49-53

49 Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! 50 C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto! 51 Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. 52 D'ora innanzi in una casa di cinque persone 53 si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Commento

Gesù, come uomo, è pienamente consapevole delle sofferenze che lo attendono nella sua passione, ma la sua volontà umana è intimamente unita a quella della sua natura divina e a quella del Padre, così l'attesa del "battesimo" che dovrà ricevere diviene angoscia finché non sia compiuto. 

Il baptismós, propriamente l'“immersione” nei dolori della passione, sarà segno di scandalo per molti (Rm 9,33) e gli stessi discepoli, in un primo momento, non coglieranno il significato profondo di quell'evento. In esso Gesù si rivela segno di contraddizione «per la rovina e la resurrezione di molti» (Lc 2,34). 

L'atteggiamento di accoglienza o di rifiuto verso il mistero pasquale determina il nostro essere o non essere partecipi della morte e resurrezione del Cristo. A stabilire l'appartenenza al suo "popolo" non è più una discendenza o comunanza di sangue, ma la fede nel suo sangue redentore. 

Adempimento del giudizio di Dio verso l'umanità, la croce, sulla quale sono stati inchiodati i nostri peccati, è il luogo di riconciliazione di tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra (Col 1,20).

Le parole di Gesù, che vorrebbe già vedere il mondo bruciare della sua carità (v. 49) costituiscono un esempio per ogni discepolo, un invito ad aspirare ai carismi più grandi (1 Cor 12,31), a desiderare quella perfezione che si compie nell'adempimento della volontà di Dio, del suo progetto sulla nostra vita.

Preghiera

Signore Gesù Cristo, noi riconosciamo in te il Figlio di Dio, che si è fatto pietra di scandalo nella morte di croce. Concedici di essere edificati su di te come tempio del Dio vivente. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 23 ottobre 2024

Ambrogio di Optina. Un abisso di carità

Le chiese ortodosse ricordano oggi Ambrogio, forse il più grande degli starcy di Optina.

Uomo di vivo ingegno, Aleksandr Michajlovič Grenkov (nome di battesimo del futuro starec) era stato costretto fin dalla giovinezza a ridurre notevolmente le attività a cui pure si sentiva portato, a causa dell'estrema instabilità della sua salute. Indirizzato dal proprio padre spirituale alla vita monastica nell'eremo di Optina, Ambrogio fece conoscenza degli altri due grandi starcy di quel monastero: Leonida (1763-1841) e Macario (1788-1860), dei quali divenne discepolo. 

Inizialmente fu monaco addetto alla cucina e, in seguito, Lettore di sacre scritture. Pochi anni più tardi fu consacrato ierodiacono con il nome di Ambrosius, in onore di Sant'Ambrogio, vescovo di Milano. Successivamente alla sua consacrazione si ammalò gravemente, tanto che, anche una volta guarito, rimase infermo e impossibilitato per la debolezza che lo perseguitava a celebrare la liturgia. Da allora si dedicò alla preghiera interiore e alla traduzione dei testi patristici. Quando il reverendo Macario morì nel settembre del 1860 Ambrogio diventò monaco superiore del monastero.

Attraverso la sofferenza assunta nella preghiera, Ambrogio imparò a conoscere se stesso e a scoprire nel profondo del suo cuore i segreti della natura umana e il cammino verso la riconciliazione con Dio. Convinto che la potenza di Dio si rivela soprattutto nella debolezza, egli divenne un padre spirituale di grande dolcezza, e impiegò il proprio discernimento non per giudicare gli altri, ma per con-soffrire con loro. Amava ripetere, parafrasando l'apostolo Paolo: «È la bontà di Dio che ci spinge alla conversione».

Divenuto padre spirituale del monastero alla morte di Macario, Ambrogio si adoperò per promuovere l'impegno di tutti i cristiani a sostegno degli ultimi e degli emarginati del suo tempo. La sua figura ispirò ampiamente la letteratura russa, da Dostoevskij a Tolstoj, e di lui fu detto: «Da Ambrogio un insondabile abisso di carità si effonde su ogni uomo». Morì la sera del 10 ottobre 1891, e sulla sua lapide i discepoli posero a suggello della sua vita: «Mi sono fatto debole con i deboli per guadagnare i deboli. Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ogni uomo».

Tracce di lettura

Tu preghi sempre il Signore perché ti dia l'umiltà. Ma come si può ottenere l'umiltà conducendo una vita così comoda? Se nessuno ti toccasse e tu restassi tranquilla, come potresti riconoscere la tua cattiveria? Come potresti vedere i tuoi vizi? Ti affliggi perché, secondo te, tutti cercano di umiliarti. Se cercano di abbassarti, significa che vogliono renderti umile: e sei tu stessa che chiedi a Dio l'umiltà. Perché allora affliggerti per le persone? Ti lamenti per l'ingiustizia della gente che ti circonda, per il loro atteggiamento verso di te. Ma se aspiri a regnare con Gesù Cristo, allora guarda a lui, come si è comportato con i nemici che lo circondavano: Giuda, Anna, Caifa, gli scribi e i farisei che volevano la sua morte. Egli non si lamentò dei nemici che agivano ingiustamente verso di lui, ma in tutte le terribili sofferenze inflittegli vedeva solamente la volontà del Padre, che aveva deciso di seguire e che seguì fino all'ultimo respiro. Egli vedeva che questi agivano ciecamente, per ignoranza, e perciò non li odiava ma pregava: «Signore, perdonali perché non sanno quello che fanno».
(Ambrogio di Optina, Lettere)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

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Ambrogio di Optina (1812-1891)

Fermati 1 minuto. L'amministratore fedele e saggio

Lettura

Luca 12,39-48

39 Sappiate bene questo: se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40 Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate». 41 Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». 42 Il Signore rispose: «Qual è dunque l'amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà a capo della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo? 43 Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro. 44 In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 45 Ma se quel servo dicesse in cuor suo: Il padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, 46 il padrone di quel servo arriverà nel giorno in cui meno se l'aspetta e in un'ora che non sa, e lo punirà con rigore assegnandogli il posto fra gli infedeli. 47 Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; 48 quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più.

Meditazione

Tenersi pronti, ma in maniera operosa. Questo il senso dell'ammonizione di Gesù. A chi sono rivolte le sue parole? A noi, suoi servi, che abbiamo ricevuto ogni bene da lui, ma non per trattenerlo, quanto per amministrarlo e condividerlo con gli altri servi. 

L'attesa diventa allora un tendere all'altro da sé, un tempo di sollecitudine verso il nostro prossimo. Il servo fedele sarà beato e verrà chiamato a regnare con Cristo.

Il "ritardo del padrone" (v. 45) indica il mutare delle aspettative dei primi cristiani riguardo la venuta imminente di Gesù. Luca si serve della copia di termini greci pais paidiske, servi e serve, non trascurando l'elemento femminile presente nella comunità cristiana. Luca diffida i suoi lettori dall'interpretare in maniera erronea questo ritardo, che rappresenta il tempo della paziente misericordia del Signore.

La ricompensa del Signore per il servo fedele è un lavoro maggiore, una maggiore responsabilità (v. 44). Infatti, chi è il più grande tra i discepoli si farà servitore (Mc 10,43): è in questa capacità di donarsi che si trova la vera beatitudine, perché "vi è più gioia nel dare che nel ricevere" (At 20,35).

Il servo che attende irresponsabilmente il ritardo del padrone sarà sorpreso come da un ladro nella notte e verrà spogliato di ogni bene: «Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha» (Mt 25,29). Ciascuno dovrà rendere conto a Dio in proporzione ai doni ricevuti (v. 48).

Gesù invita ogni discepolo a esercitare una speranza operosa, nel riconoscimento delle potenzialità che ogni vita, visitata dalla grazia, racchiude in sé. Ciascuno è chiamato a interrogare la propria coscienza, per ricercare nella quotidianità la volontà di Dio, Signore del tempo, e per offrire una risposta generosa verso di lui e verso l'umanità.

Preghiera

Noi invochiamo il tuo ritorno Signore, ti attendiamo come la sentinella attende l'aurora. Il tuo spirito ci renda operosi nella tua vigna, nella consapevoleza che sei esigente con gli amministratori dei tuoi beni.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 22 ottobre 2024

Dichiarazione cristiana congiunta su "Diversità di Genere e Sessualità"


Un progetto ecumenico cristiano norvegese

Basata sulla nostra fede nella Bibbia come Parola di Dio,
sul riconoscimento delle realtà biologiche e
nel rispetto dei diritti umani dei bambini,
affermiamo i seguenti principi:

Sulla base della BIBBIA

Dio è il Creatore e Sostenitore dell'universo. Ha creato gli esseri umani maschio e femmina.
Tutti sono creati a immagine di Dio, profondamente amati da Lui, con pari dignità umana e preziosi allo stesso modo.
Il matrimonio è un'istituzione divina inscritta nella legge naturale, che unisce un uomo e una donna. Fondato da Dio e confermato da Cristo e dagli Apostoli, il matrimonio è stato riconosciuto dalla Chiesa cristiana nel corso dei secoli (cfr. Genesi 1:26-28 e Matteo 19:4-6).
Il matrimonio tra un uomo e una donna è il quadro biblico per le relazioni sessuali. Altre forme di relazioni sessuali rappresentano una "diversità" in contrasto con la teologia della creazione e l'insegnamento etico di Gesù, anche quando queste relazioni sono caratterizzate da fedeltà duratura.
La dottrina e l'esempio di Gesù ci insegnano che ogni essere umano è il nostro prossimo. Anche in caso di profondo disaccordo su questioni di fede, etica o codici morali, invitiamo tutti a incontrarsi con rispetto e cordialità.

Sulla base della BIOLOGIA

Esistono solo due sessi biologici: femminile e maschile, determinati al momento del concepimento.
Il sesso di un individuo è definito principalmente dalla dimensione e funzione delle cellule riproduttive: le donne producono ovuli grandi, gli uomini spermatozoi piccoli.
Oltre all'importanza delle cellule riproduttive, i cromosomi femminili o maschili (XX o XY) sono presenti in quasi tutte le cellule del corpo. L'affermazione che esistano solo due sessi biologici non è invalidata da anomalie cromosomiche o da casi rarissimi di bambini nati con genitali non chiaramente definiti.
L'idea che il genere sia una categoria soggettiva e che l'identità sessuale e di genere possa essere scelta liberamente indipendentemente dal sesso biologico è un'ideologia priva di fondamento scientifico.
Insegnare ai bambini che possono essere "nati nel corpo sbagliato" o che il genere è "fluido" è estremamente problematico, poiché può portare a confusione, insicurezza e scelte di vita dannose.
La relazione tra madre, padre e figlio è biologicamente unica. Ordinata da Dio, essa è il fondamento della famiglia e della società.

Nel rispetto del BAMBINO

I bambini sono un dono di Dio. Non è un diritto dell'adulto avere un figlio.
Gli esseri umani nascono dall'ovulo di una donna e dallo spermatozoo di un uomo. Né la madre né il padre sono superflui nella vita di un bambino.
Ogni bambino ha il diritto umano, per quanto possibile, di conoscere e essere accudito dai propri genitori (Convenzione ONU sui Diritti del Fanciullo, art. 7.1).
Privare intenzionalmente un bambino del diritto di conoscere il proprio padre o madre biologici viola la volontà di Dio e i diritti dei bambini.
Indipendentemente da come sono stati concepiti, tutti i bambini sono ugualmente preziosi e amati da Dio.
I diritti dei bambini devono avere la precedenza sulle esigenze e desideri degli adulti, sia nella società laica che nella chiesa.

Valori fondamentali

Consideriamo la Bibbia la nostra autorità suprema in materia di fede, dottrina e vita. Ci impegniamo a rispettare le verità e i valori espressi in questa dichiarazione.
Desideriamo incontrare tutti con rispetto e gentilezza, ma non comprometteremo le verità bibliche, anche se in conflitto con pressioni politiche o tendenze sociali.
Rifiutiamo tutte le forme di bullismo, manipolazione, coercizione, violenza e odio.
Crediamo che gran parte dell'ideologia moderna sul genere non abbia basi scientifiche.
Sosteniamo una società democratica e pluralista, dove la libertà di espressione e di coscienza, così come la libertà religiosa, siano valori essenziali.
Crediamo che le autorità pubbliche superino il loro mandato cercando di imporre teorie di genere alla popolazione, violando la libertà religiosa e i diritti dei genitori.

Fermati 1 minuto. Un'attesa laboriosa

Lettura

Luca 12,35-38

35 Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; 36 siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa. 37 Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38 E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell'alba, li troverà così, beati loro!

Commento

Parlando della fine dei tempi e del ritorno di Gesù, Luca sottolinea per i suoi lettori l'importanza di seguire fedelmente le sue istruzioni nel periodo che precede la parusìa (il ritorno glorioso di Cristo).

Essendo le vesti degli ebrei molto ampie, quando si mettevano in viaggio, lavoravano o andavano in guerra usavano portare cinture per muoversi più liberamente. La cintura ai fianchi (v. 35) diventa così simbolo dell'operosità del discepolo di Gesù. 

La veste stretta ai fianchi era anche l'abbigliamento prescritto per la cena pasquale, in previsione dell'esodo nel deserto, verso il quale il popolo di Dio stava per partire (Es 12,11). Non a caso Gesù pronuncia queste parole nell'imminenza della sua passione, dopo aver indurito il suo volto per cammianare verso Gerusalemme (Lc 9,51). Siamo chiamati anche noi ad attraversare il deserto delle prove che attendono ogni credente in questa vita, ad essere associati all'evento pasquale rappresentato dalla passione di Cristo, perchè «certa è questa parola: Se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo» (2 Tim 2,11-12).

Le vesti cinte ai fianchi ci consentono di procedere speditamente, senza sostare nelle nostre fragili sicurezze, e ci impediscono di inciampare nel peccato. Mediante la fede possiamo così superare gli intralci delle nostre barriere mentali.

Le lampade accese rappresentano l'essere in vigile attesa, mediante la fede e la custodia del cuore. Attendere svegli, nelle notti della prova, costa fatica, occorre pazienza, per evitare l'intorpidimento.

Gesù bussa alla nostra porta ogni giorno («Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me»; Ap 3,20) e ogni giorno va da noi accolto con gratitudine, stupore e un'esistenza laboriosa. Il tempo dell'attesa diventa così tempo fecondo e gravido di speranza.

Le parole di Gesù evidenziano la nostra responsabilità personale nell'accoglierlo o nel rifiutarlo. Non è lui ad aprire la porta ma il servo stesso sceglie se aprirgli o rifiutarlo, quand'egli arriva e bussa. Siamo chiamati ad aprire «subito» (v. 36) al Signore quando viene a visitarci, nel corso della nostra vita o al momento della nostra morte.

Gesù annuncia una beatitudine per coloro che lo troveranno svegli al suo ritorno (v. 37). Il padrone che si cinge le vesti è immagine di Dio che si fa servo dell'uomo (cfr. Lc 22,27; Gv 13,1-20; Fil 2,6-8; Ap 19,9). Gesù afferma che «il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti» (Mt 20,28). Ma quando tornerà troverà la fede sulla terra? (Lc 18,8).

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 21 ottobre 2024

Fermati 1 minuto. Solo l'amore resta

Lettura

Luca 12,13-21

13 Uno della folla gli disse: «Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità». 14 Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15 E disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni». 16 Disse poi una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. 17 Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? 18 E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19 Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. 20 Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? 21 Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio».

Commento

Essendo considerato un "maestro" Gesù è chiamato a dirimere non solo questioni religiose, ma anche civili. Egli rifiuta questo ruolo, non perché non abbia il potere di giudicare ma perché rifiuta di essere arbitro di dispute meramente terrene. 

Gesù va alla radice del problema condannado la cupidigia e presentando una parabola. Il protagonista di quest'ultima è un uomo il cui lavoro è stato benedetto da Dio con un abbondante raccolto. Il suo desiderio è un po' quello che abbiamo tutti: godersi il prorpio benessere con una vita gioiosa e tranquilla. Ciò che gli viene rimproverato non è il modo in cui si è arricchito, del tutto onesto, ma la totale assenza di Dio e dei bisogni del prossimo dalla sua prospettiva esistenziale. 

Ogni interesse dell'uomo della parabola è rivolto a sé e ai suoi beni; ha accumulato ricchezze in terra ma non è arricchito davanti a Dio. La povertà della sua vita interiore, incapace di innalzare uno sguardo di gratitudine al cielo e di gioire nella condivisione della sua ricchezza materiale, sarà palesata dal sopraggiungere improvviso della morte, che lo separerà definitivamente da quanto ha accumulato nel granaio. 

Gesù condanna ogni forma di cupidigia «perché anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni» (v. 15). L'uomo descritto da Gesù fa dipendere la propria sicurezza e felicità dalle ricchezze terrene, ne diventa schiavo, incapace di arricchirle di senso nella condivisione. Ma la carità necessita di un "altro" come destinatario del proprio amore, mentre l'uomo arricchito è chiuso in un monologo con se stesso. Di lui possiamo dire con il salmista: "come ombra è l'uomo che passa; solo un soffio che si agita, accumula ricchezze e non sa chi le raccolga" (Sal 39,7). 

I nostri beni, di qualsiasi natura, possono diventare una barriera verso Dio e verso il prossimo, ma liberati dalla nostra cupidigia possono essere messi al servizio di ciò che è forte come la morte (Ct 8,6): l'amore.

Preghiera

Il tuo Spirito, Signore, riempia i nostri cuori di gratitudine per i beni che ci elargisci e ci renda generosi nel condividerli con il nostro prossimo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 20 ottobre 2024

Il nostro combattimento non è contro carne e sangue

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA VENTUNESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

Concedi, ti supplichiamo Dio misericordioso, ai tuoi fedeli, pace e perdono, affinché possano essere purificati da ogni peccato e servirti con mente serena. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Ef 6,10-20; Gv 4,46-54

Commento

"Fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza" (Ef 6,10), afferma l'apostolo Paolo. Se cerchiamo di farci forti in noi stessi, o nel nostro prossimo, cadiamo. Se cerchiamo la forza nel Signore, restiamo saldi e non abbiamo nulla da temere, perché l'Onnipotente si prende cura di noi.

La nostra lotta non è soltanto contro la nostra umanità decaduta e vulnerabile, non è soltanto una battaglia contro le insidie che provengono da dentro e fuori di noi. "Il nostro combattimento non è contro carne e sangue" (Ef 6,12). Paolo parla di una battaglia contro forze spirituali, "contro le insidie del diavolo" (Ef 6,11) e "contro i dominatori del mondo di tenebre di questa età, contro gli spiriti malvagi nei luoghi celesti" (Ef 6,12). 

Queste parole sottolineano il carattere spirituale della nostra battaglia, ma anche la compresenza, nello stesso campo, nella stessa Chiesa, delle forze del bene e del male: fino alla fine dei tempi, il grano e la zizzania cresceranno insieme (Mt 13,30), gli angeli ci assisteranno nella lotta come assistettero Cristo nel deserto e nell'orto degli ulivi, ma gli uccelli rapaci, i demoni, cercheranno di rubare il buon seme - la parola di Dio - che è stato seminato in noi (Mt 13,1-23; Mc 4,1-20; Lc 8,4-15).

Per vincere contro le potenze malvagie dobbiamo rivestire "L'intera armatura di Dio" (Ef 6,13). Quali sono dunque queste difese per una lotta che non è semplicemente contro l'uomo carnale, come troppo ha insistito un certo moralismo, riducendo l'etica cristiana a un'etica della purezza sessuale? Queste armi, l'Apostolo, le elenca una ad una: verità e giustizia (Ef 6,14), pace (Ef 6,15); ma, soprattutto, lo scudo della fede, "con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno" (Ef, 6,16). 

Perché la tentazione, quando colpisce nel segno di una coscienza disarmata, non solo la ferisce procurando una grave emorragia, ma scatena un incendio che divampa, cercando di contagiare e consumare tutto intorno. Paolo invita anche a rivestire il nostro capo con "l'elmo della salvezza" e a impugnare "la spada dello Spirito che è la parola di Dio" (Ef 6,17). La meditazione della parola di Dio protegge la nostra mente dai pensieri di sconforto, ricordandoci che Dio ci ha salvato e che egli è fedele alle sue promesse.

L'Apostolo ci esorta a perseverare "pregando in ogni tempo con ogni sorta di preghiera e di supplica" (Ef 6,18) - vegliando a questo scopo. Parole simili a quelle di Gesù nel Getsemani: "vegliate e pregate per non cadere in tentazione" (Mt 26,41); e a quelle di Pietro nella sua Prima lettera: "Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli stando fermi nella fede" (1Pt 5,8-9). 

Siamo esortati anche a intercedere per i nostri fratelli e le nostre sorelle nella fede: "pregando... per tutti i santi" (Ef 6,18), cioè per tutti coloro che sono stati santificati dallo Spirito di Dio. La lotta, l'ascesi, è lotta individuale, a tu per tu contro il maligno; ma il cristiano non è un'entità a se stante; siamo tutti membra gli uni degli altri e membra di un corpo unico che è il Corpo mistico di Cristo. La caduta di uno può condurre alla caduta di un altro e forse di molti; la vittoria di uno può tenere molti altri lontani dal pericolo di cadere.

Nella guarigione del figlio di un funzionario regio, narrata da Giovanni nel suo Vangelo assistiamo a un miracolo di Gesù in favore di un uomo di alto rango, la cui fede lo porta, però, a sottomettersi alla regalità del Messia. Potrebbe trattarsi di un ufficiale civile o militare, giudeo o romano. Gesù lo riprende, dicendo che la fede non dovrebbe dipendere dai miracoli: "Se non vedete segni e prodigi, voi non credete" (Gv 4,48). Ma Gesù lo esaudisce, dimostrando che la sua parola è in grado di strappare al potere della morte.

Il funzionario regio riconosce l'intervento di Dio facendo memoria degli eventi e scandagliandoli alla luce della fede e della ragione. I miracoli non sono necessari alla fede, ma se proprio vogliamo chiederli dobbiamo essere in grado di riconoscerli per mostrare a Dio la nostra gratitudine: "Allora il padre riconobbe che era proprio in quell'ora in cui Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive»; e credette lui con tutta la sua casa” (Gv 4,53). Il vangelo ci esorta a vivere con consapevolezza, con gli occhi ben aperti di fronte a quanto Dio compie nelle nostre vite.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 18 ottobre 2024

Luca, evangelista della misericordia

La maggior parte delle chiese cristiane ricordano oggi Luca, autore del terzo vangelo e degli Atti degli Apostoli. Luca era probabilmente siro di Antiochia, di origine pagana e medico. L'apostolo Paolo nelle sue lettere parla di lui come di un compagno assai caro, che resta al suo fianco durante le due prigionie romane; tutto lascia pensare che sia stato suo compagno durante il secondo e il terzo viaggio missionario. 
L'origine pagana non fece dimenticare a Luca che la salvezza ha origine in Gerusalemme e che è la città santa il luogo dove si deve realizzare questa salvezza: là è iniziato il vangelo, là terminerà la vicenda storica di Gesù e di là prenderà le mosse la missione universale degli apostoli, dalla Giudea alla Samaria fino ai confini della terra. Da vero scriba della misericordia di Cristo, Luca sottolinea a più riprese l'amore di Gesù per i peccatori e la grandezza del suo perdono. In Gesù trovano visibilità le «viscere di misericordia» di Dio verso i poveri e gli umili, mentre ai ricchi e ai superbi è riservato un duro monito. A tutti comunque è rivolto l'invito alla conversione, che comporta una scelta radicale di povertà e di abbandono in Dio. Per Luca è lo Spirito santo il protagonista di questo ritorno al Padre, e l'invocazione dello Spirito è la preghiera per eccellenza che non dobbiamo stancarci mai di rivolgere a Dio, sull'esempio di Gesù. Tradizioni diverse e spesso non conciliabili circondano gli ultimi anni della vita di Luca: anche se riceverà il titolo di martire, è più probabile che sia morto in età avanzata di morte naturale, in Beozia, dopo aver evangelizzato l'Acaia.

Tracce di lettura

L'opus proprium della comunità cristiana è il suo compito di annunciare al mondo il vangelo; essa è comunità missionaria. Attraverso testimoni sempre numerosi e sempre nuovi, agli uomini deve essere recato l'annuncio che Dio si è curato del mondo e l'ha soccorso, che perciò il mondo non è abbandonato a se stesso, ma è amato, salvato, custodito, governato da Dio, è condotto verso la sua salvezza, e dunque tutto ciò che in esso accade - l'intera vita umana, con tutta la sua problematicità e le sue triboazioni, il peccato, la colpa e la miseria, anzi la vita intera del creato - va rapidamente incontro alla rivelazione di ciò che Dio ha già compiuto in suo favore. La comunità deve proclamare al mondo la libera grazia di Dio e lo deve fare annunciando che questa è la speranza che le è data. Essa deve dire che Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, è il salvatore del mondo che è venuto e ritornerà. Questo è l'annuncio del regno di Dio. Questo è il vangelo.
(K. Barth, Dogmatica ecclesiale III,4,579-580)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Luca, evangelista

Fermati 1 minuto. Una Chiesa missionaria e con un bagaglio leggero

Lettura

Luca 10,1-9

1 Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2 Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. 3 Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4 non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. 5 In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. 6 Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7 Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa. 8 Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, 9 curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio.

Commento

L'invito di Gesù a pregare affinché Dio mandi operai nella sua messe (v. 2) sta a indicare che Dio solo è qualificato a conferire questo mandato, proprio come nella sua veste regale e messianica Gesù lo conferisce ai settantadue inviati. In alcuni manoscritti il numero dei discepoli è di settanta, forse a indicare i settanta anziani nominati da Mosè. 

L'immagine degli agnelli in mezzo ai lupi si riferisce all'ostilità e ai pericoli che i discepoli troveranno durante la loro missione. Viaggiando in coppia potranno sostenersi l'un l'altro. Data l'urgenza del compito e l'impegno richiesto ai missionari, l'invito è di evitare di perdersi dietro i beni materiali e le formalità dei saluti "lungo la strada" (v. 4). Nella cultura del tempo il saluto di una persona prevedeva un elaborato cerimoniale, con molte formalità, come la condivisione di un pasto o una lunga sosta. Il discepolo deve evitare l'attaccamento alle cose e agli intrattenimenti terreni, dando sempre la priorità all'attività di missionaria. 

Le parole di Gesù sono pervase di un senso escatologico, attestando la scarsità del tempo a disposizione. Coloro che portano l'annuncio di salvezza viaggiano con passo spedito. I discepoli dovranno entrare nelle case (v. 5) e non  predicare nelle sinagoghe. Il messaggio che portano non è rinchiuso negli steccati della religiosità formalizzata e sedentaria del giudaismo farisaico. La Chiesa di Cristo, come attestano anche gli Atti degli apostoli (cfr. At 20,42; 5,20) muove i suoi primi passi come assemblea profetica e domestica. Il vangelo entra nella vita quotidiana e familiare di coloro che lo ricevono, i "figli della pace" (v. 6). 

Il comando ai discepoli di mangiare quello che sarà loro messo davanti indica che è abrogata ogni distinzione tra cibi puri e impuri. Condividere il pasto è nel mondo antico un'espressione di intima amicizia. Cibandosi di quel che gli sarà offerto il vero discepolo "si fa tutto a tutti" proprio come testimonierà successivamente l'apostolo Paolo: "mi sono fatto greco con i greci, giudeo con i giudei, mi sono adattato a tutte le situazioni, per salvare ad ogni costo qualcuno" (1 Cor 9,19-22). 

Senza il timore di scontrarsi con le forze contrarie del mondo, il messaggio evangelico è capace di adattarsi, "mettendosi a tavola" con l'uomo di ogni luogo e di ogni tempo.

Preghiera

Ti preghiamo Signore, di suscitare nella tua Chiesa operai volenterosi, per portare la benedizione del tuo messaggio di salvezza ad ogni uomo. Amen.

- Rev Dr. Luca Vona

giovedì 17 ottobre 2024

Paolo di Tamma. Deporre la vita per amore

Il 17 del mese di bābah, la Chiesa copta ricorda il monaco Paolo di Tamma, «sette volte suicida per amore di Dio».
Originario di Tamma, nella provincia di Asyūṭ, Paolo trascorse buona parte della sua vita facendo l'eremita sulla montagna di al-Ašmūnayn, assieme a un discepolo di nome Ezechiele che fu poi il suo biografo. Le Vite ci raccontano dei numerosi viaggi durante i quali Paolo ebbe modo di conoscere i più noti monaci della regione.
Ciò che tuttavia colpisce nei racconti tradizionali sul monaco di Tamma è che il suo desiderio di essere con il Signore era tale che Paolo si tolse la vita per sei volte per amore di Cristo, e ogni volta questi gliela ridonò. Al termine di queste ripetute «follie», egli avrebbe voluto, secondo il suo biografo, seguire le orme di Cristo morto per i peccatori, ma il Signore gli disse che le dimostrazioni d'amore che aveva fornito erano più che sufficienti.
Le versioni moderne del Sinassario copto hanno eliminato questi racconti, forse perché inspiegabili, o addirittura scandalosi. Tuttavia dietro a questa vicenda altamente inusuale, si cela la convinzione che tra Dio e l'uomo la vera comunione può giungere soltanto attraverso un continuo e reciproco deporre e ridonare la vita l'uno per amore dell'altro.
Paolo morì il 7 di bābah di un anno imprecisato del IV sec., ed è sepolto nel monastero di Anba Bishoi, accanto a Bishoi di Scete, al quale era legato da un'amicizia che li rese inseparabili nella vita come nella morte.

Tracce di lettura

Ai tuoi pensieri non dare riposo finché il riposo non nasca per te senza il riposo. Lasciali morti, vivendo nelle cose di Dio. Infinito è Dio. Non vi è misura a un saggio che sta nella sua cella. La misura di un sapiente che sta nella sua cella è il Signore.
(Paolo di Tamma, Epistola 3, 44 e 47)

Stando nella tua cella, figlio mio, non essere come gli ipocriti. Non affaticarti a pregare, e sarai udito. Stando nel dolore, attendi la quiete.
(Paolo di Tamma, Opera senza titolo 102-104)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Cristo, parola attuale

Lettura

Luca 11,47-54

47 Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. 48 Così voi date testimonianza e approvazione alle opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite loro i sepolcri. 49 Per questo la sapienza di Dio ha detto: Manderò a loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno; 50 perché sia chiesto conto a questa generazione del sangue di tutti i profeti, versato fin dall'inizio del mondo, 51 dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, che fu ucciso tra l'altare e il santuario. Sì, vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione. 52 Guai a voi, dottori della legge, che avete tolto la chiave della scienza. Voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare l'avete impedito». 53 Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo ostilmente e a farlo parlare su molti argomenti, 54 tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca.

Commento

L'incapacità di accogliere la parola profetica, rende responsabili "in solido" i farisei con i loro padri che perseguitarono e uccisero gli inviati di Dio. Anziché aprirsi all'appello alla conversione i farisei si chiudono nella celebrazione "monumentale" del passato: costruendo tombe ai profeti, attestano una religiosità esteriore, che non sa riconoscere il farsi attuale del loro messaggio nella predicazione e nella vita di Cristo.

Anche nella storia del cristianesimo, in alcuni momenti, l'"autorità ecclesiastica", non solo ha trascurato lo spirito profetico del vangelo, ma ha impedito al popolo di comprendere le Scritture e di coltivare attraverso di esse una relazione diretta con Dio. 

Cristo è la Sapienza stessa, che mette le proprie parole sulla bocca dei profeti di ogni tempo e che è venuta nel mondo per illuminare ogni uomo. Quella "lucerna che illumina con il suo bagliore" (Lc 11,36) di cui parla Gesù proprio subito prima di questa invettiva contro i farisei e i dottori della legge. 

Considerare attuale la parola dei profeti e la voce del Cristo-Sapienza, significa innanzitutto considerarle rivolte a noi. È facile, infatti, sentirsi "giusti" lodando Dio e i suoi messaggeri con le parole, ma è più difficile lasciarsi trasformare da Dio e dalla sua Parola. Quest'ultimo è il fine della vera religione, il superamento (non il rinnegamento) della religione stessa - intesa come insieme di norme e di riti - nell'incontro con Dio che ci interpella personalmente e ci chiama ad essere simili a lui. 

Tale incontro si realizza anche nel riconoscimento dei poveri, dei sofferenti, degli ultimi, essi stessi segno profetico di Dio, immagine del volto di Cristo, il quale afferma: «ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25,40).

Preghiera

Signore, la tua grazia ci conceda non solo di celebrarti ma anche di accoglierti come luce capace di trasformare le nostre vite e di risplendere nel mondo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 16 ottobre 2024

Baldovino di Ford. La Trinità, sorgente di comunione

Nel 1190 muore a Tiro, in Libano, Baldovino di Ford, monaco cistercense e arcivescovo di Canterbury. Baldovino nacque attorno al 1120 nel Devonshire, in Inghilterra. Dopo gli studi compiuti forse a Exeter, egli iniziò una brillante carriera ecclesiastica al servizio di Eugenio III, papa di origine cistercense. Ritornato in Inghilterra, nel 1169 Baldovino lasciò tutto per farsi monaco nell'abbazia cistercense di Ford, di cui molto presto divenne abate. Nonostante sia rimasto pochi anni in monastero, egli intuì che la vita monastica è da intendere essenzialmente come ricerca della comunione. Nei suoi notevoli trattati sulla vita cenobitica, l'abate di Ford fu il primo a sostenere che ogni comunione, e quella cenobitica in particolare, discende dalla comunione che regna fra le tre persone della Trinità. Eletto vescovo di Worcester nel 1181, Baldovino divenne pochi anni dopo arcivescovo di Canterbury e, nella sua veste di primate d'Inghilterra, fu costretto a entrare, suo malgrado, nel vortice della grande politica. Sotto il regno di Enrico II, che si era reso responsabile della morte di Thomas Becket, Baldovino difese attraverso la predicazione e gli scritti la memoria del suo predecessore a Canterbury. Trovò poi la morte partecipando su ordine del nuovo re, Riccardo Cuor di Leone, alla terza crociata.

Tracce di lettura

Non basta all'amante l'amore della comunione se non c'è una comunione dell'amore: se desidera che tutti i suoi beni siano comuni, molto più vuole che lo sia l'amore stesso. Non può l'amore non esser benevolo, odia esser solitario. Nella sua debordante prodigalità cerca di far nascere dall'amore della comunione una comunione dell'amore. Come potrebbe l'amore esser benevolenza se cercasse di trattenere i suoi beni solo per sé e non volesse farne oggetto di comunione." Dove sarebbe la consolazione dell'amante se lui solo non fosse amato e lui solo amasse?
Vi sono in definitiva tre comunioni: la comunione di natura, quella di grazia e quella di gloria. La comunione di grazia comincia a riparare la comunione di natura escludendo da essa la comunione di colpa; la comunione di gloria riparerà fin nel profondo la comunione di natura escludendo da essa completamente la comunione di collera, quando Dio tergerà ogni lacrima dagli occhi dei santi. Allora tutti i santi avranno come un cuore solo e un'anima sola; ogni cosa sarà fra loro comune, quando Dio sarà tutto in tutti.
(Baldovino di Ford, Trattato sulla vita cenobitica 2, 8 e 12)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose