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Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto
Ministro della Christian Universalist Association
Ministro della Christian Universalist Association
domenica 6 ottobre 2024
Dizionario della Musica Anglicana. Benjamin Cooke
Bruno e la pace che il mondo non conosce
I cattolici d'occidente celebrano oggi la memoria di Bruno, fondatore dell'Ordine certosino.
Nel 1101 muore nel romitorio di Serra, in Calabria, Bruno, fondatore della Certosa. Nato a Colonia intorno al 1030, egli aveva dapprima compiuto gli studi nella celebre scuola cattedrale di Reims, fino a diventarne in giovanissima età scholasticus, cioè maestro di teologia.
Dopo aver posto mano alla stesura di un commento sui Salmi e averne intrapreso un altro sulle epistole paoline, Bruno visse anni difficili al servizio del vescovo Manasse, notoriamente simoniaco. Maturato un certo disgusto per la mondanità della chiesa di quel tempo, Bruno rifiutò, alla deposizione di Manasse, l'elezione ad arcivescovo di Reims, e iniziò a pensare a una forma di vita conforme al suo desiderio di ricerca del Signore nella solitudine e nel silenzio.
Dopo un tempo trascorso vicino a Molesme, decise infine di ritirarsi nei pressi di Grenoble, sul massiccio della Chartreuse, da cui prenderà il nome l'Ordine certosino, dando così inizio a una forma di vita fortemente eremitica.Chiamato da papa Urbano II, suo antico discepolo, Bruno dovette lasciare i propri compagni per recarsi a Roma al suo servizio. Ma di fronte ai dissidi tra il pontefice e l'impero, egli prese la decisione di ritirarsi definitivamente in Calabria, dando vita all'eremo di Serra.
Animo vigilante, uomo di desideri e di amore ardente per il Signore, egli poté così dedicarsi all'ascolto della parola di Dio e all'attesa del suo Regno nella preghiera. È la preghiera, secondo Bruno, che porta l'uomo a consolidare la propria umanità nella lotta che silenziosamente ha luogo nel cuore, giorno dopo giorno.
Tracce di lettura
Quanta utilità e gioia divina, poi, la solitudine e il silenzio dell'eremo apportino a coloro che li amano, lo sanno solo coloro che ne hanno fatto l'esperienza. Qui, infatti, agli uomini forti è consentito ritornare in se stessi e abitare con se stessi quanto a loro piace, coltivare assiduamente i germogli delle virtù e cibarsi con beatitudine dei frutti del paradiso. Qui si acquista quell'occhio dal cui sereno sguardo d'amore è colpito lo Sposo e attraverso il quale, se senza macchia e puro, si vede Dio. Qui si celebra una tranquillità solerte e si gusta il riposo mediante un quieto agire. Qui Dio dispensa ai suoi atleti, per la fatica della lotta, la ricompensa desiderata, cioè quella pace che il mondo non conosce, e la gioia nello Spirito santo. (Bruno, Lettera a Rodolfo il Verde 6)
- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose
Coraggio, alzati
COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA DICIANNOVESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ
Colletta
O Dio, poiché senza di te non siamo capaci di compiacerti; concedi, misericordioso, ai nostri cuori, di essere guidati dal tuo Santo Spirito. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.
Letture
Ef 4,17-32; Mt 9,1-8
La vita nella fede è una esperienza di rinascita e di guarigione radicale. L'aspetto di rinascita, predicato da Gesù nel dialogo notturno con Nicodemo è approfondito da Paolo nella sua lettera agli Efesini, nell'ottica di una esortazione che va oltre il senso semplicemente morale del discorso, facendosi descrizione di ciò che Dio opera nel credente.
Il passo del Vangelo di Matteo, che in maniera più sintetica dei paralleli di Marco e di Luca descrive la guarigione del paralitico, offre una lettura dell'esperienza cui conduce l'incontro con Cristo, il quale ha autorità di rimettere i peccati sulla terra, sanando radicalmente la nostra natura umana.
La sottolineatura della capacità di Gesù di rimettere i peccati in terra indica la chiara proclamazione della sua natura divina. Fino ad allora, infatti, i credenti israeliti avevano confidato in una remissione dei peccati in cielo, da parte di Dio, che solo poteva operarla efficacemente.
Mentre i profeti, i discepoli e gli apostoli operarono i miracoli nel nome e per l'autorità di Dio, Gesù non ha bisogno di chiedere a Dio il potere di farli; egli compie i miracoli nel suo proprio nome.
Il racconto ci fa intendere che molti dei presenti non mancano di individuare la potenza divina in questo miracolo, ma gli sfugge il fatto che Cristo stesso l'ha operato nel proprio nome: "Io ti dico" riferiscono i passi paralleli di Marco e Luca. È in questo "Io", in questa formula indicativa, che si esprime la novità radicale del messaggio evangelico. Gesù non è semplicemente un profeta, un riformatore religioso, un guaritore. Egli è il Dio con noi, l'Emmanuele annunciato dai profeti dell'Antico Testamento.
Gesù comanda al paralitico non solo di alzarsi in piedi ma anche di tornare a casa sua portando via il suo lettino. Il segno della malattia che lo ha costretto per lungo tempo all'immobilità, rimane come testimonianza della radicale svolta che l'incontro di Cristo ha determinato nella sua vita. Gesù rimette i nostri peccati ma non cancella in noi il ricordo di essi, affinché possiamo avere sempre davanti ai nostri occhi il prevalere della sua grazia sul peccato.
Esaminando il racconto di questo miracolo non bisogna sorvolare sul ruolo importante degli amici, che intercedono per il paralitico (nel passo parallelo di Marco e Luca fino ad arrampicarsi sul tetto della casa in cui sta predicando Gesù, per aprire un varco e calare l'amico al centro della stanza). La carità fraterna ha un ruolo importante nel muovere a compassione Gesù.
Paolo esorta "nel nome del Signore" (Ef 4,17), ovvero con autorità, con l'autorità che deriva da Cristo stesso e dal suo vangelo, a non camminare nella vanità della propria mente; letteralmente "nella vacuità ed estranei alla vita di Dio". La vita "pagana" è vita che si aggrappa a ciò che è vuoto, impermanente e che offusca la ragione. L'estraneità alla vita di Dio non è semplicemente il non condurre una vita da "persone per bene", ma il privarsi di un'esistenza vissuta in pienezza.
La vita di Dio è la vita - come dice Teodoro di Beza - qua Deus vivit in suis (che Dio vive in se stesso); la vita spirituale accende nei credenti la vita stessa di Dio. La vita di Dio, insomma non è semplicemente la vita onesta e virtuosa, ma è la vita che viene dall'alto, la rinascita per opera dello Spirito Santo, che porta con sé il germe della pace, della gioia, dell'eternità.
Paolo ci esorta a essere rinnovati "per rivestire l'uomo nuovo, creato secondo Dio". Questa identità nuova, questo rinnovamento non solo della personalità ma dell'intera natura umana, non è opera dell'uomo: è una creazione, un'opera di Dio (Ef 4,24).
Gesù viene in nostro soccorso, e ci consente di levarci dal nostro giaciglio, di lasciarci guarire, rinnovare, creare a immagine di Dio.
- Rev. Dr. Luca Vona
venerdì 4 ottobre 2024
Francesco d'Assisi e la fedeltà al vangelo "sine glossa"
Fermati 1 minuto. Una colpevole indifferenza
Lettura
Luca 10,13-16
13 Guai a te, Corazin, guai a te, Betsàida! Perché se in Tiro e Sidone fossero stati compiuti i miracoli compiuti tra voi, già da tempo si sarebbero convertiti vestendo il sacco e coprendosi di cenere. 14 Perciò nel giudizio Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi. 15 E tu, Cafarnao, sarai innalzata fino al cielo? Fino agli inferi sarai precipitata! 16 Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato».
Commento
Il monito di Gesù si rivolge in questo passo evangelico a tre città della Galilea; un invito a pentirsi, accompagnato da un severo giudizio per coloro che, dopo avere ascoltato la sua predicazione non l'hanno accolta. Non si tratta di una ostilità aperta al suo messaggio, in effetti non riportata da nessuno dei Vangeli, ma di quella indifferenza che è più colpevole dell'ignoranza.
Aver avuto il privilegio di ascoltare il mesaggio di salvezza e non averlo accolto apre le porte degli inferi (cfr. At 2,27.31), luogo contrapporto al "cielo" nello stesso versetto (v. 15). Gesù ci insegna che l'intensità della punizione finale, sarà proporzionata ai privilegi religiosi, ed ai mezzi di grazia goduti dagli uomini, e da loro volontariamente rigettati.
Se Corazin, Betsàida e Cafarnao rappresentano il luogo in cui il Signore aveva iniziato la sua predicazione e compiuto i suoi miracoli, Tiro e Sidone erano due città fenice sul mare e costituivano un importante snodo commerciale in cui si riversava l'opulenza asiatica. Queste erano dunque considerate città dissolute.
Gesù esprime un solenne avvertimento a tutti quelli che ascoltano le sue parole. Coloro che in ogni tempo godono dell'istruzione religiosa odono predicare il vangelo, e vivono in un ambiente atto a condurli a Cristo, senza però abbracciarlo, rassomigliano a quelle città. Così l'invio dei settandadue discepoli si conclude con questo avvertimento, la costatazione di uno stato di peccato più che una maledizione, e la solenne affermazione che chi respingerà la predicazione dei discepoli respingerà Cristo stesso e il Padre dal quale egli proviene.
Il vangelo ci chiama a scegliere con responsabilità e saggezza dove collocarci nella geografia dello spirito, a non disprezzare con l'indifferenza e le preoccupazioni del mondo, l'opportunità ricevuta di essere annoverati tra i figli adottivi di Dio.
Preghiera
Signore, che ci hai ammonito ricordando che l'indifferenza verso la tua parola di vita è peggio dell'ignoranza; concedici di accogliere il vangelo della salvezza, per partecipare con te alla gloria celeste. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona
giovedì 3 ottobre 2024
Bonaventura da Bagnoregio (1221-1274), teologo biblico medievale
Pseudo-Dionigi l'Areopagita e la tenebra luminosa del silenzio
Fermati 1 minuto. Inviati a predicare con un bagaglio leggero
Lettura
Luca 10,1-12
1 Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2 Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. 3 Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4 non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. 5 In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. 6 Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7 Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa. 8 Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, 9 curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio. 10 Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: 11 Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino. 12 Io vi dico che in quel giorno Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città.
Commento
La sequela di Gesù è strettamente legata alla missione evangelizzatrice. Essere scelti da lui significa essere scelti per preparare il terreno alla sua stessa azione salvifica. Egli "designò" i settanta, verbo che indica una formula solenne con cui Gesù, in veste messianica e regale conferisce il mandato ai discepoli.
In alcuni manoscritti i discepoli sono settanta, in altri, pure autorevoli, sono settantadue. Il numero settanta può essere un richiamo ai settanta uomini radunati da Mosè, sui quali scese lo Spirito di Dio (Num 11,24-25); settanta erano anche i membri del sinedrio. Il numero settantadue è invece il numero delle nazioni dell'umanità secondo il libro della Genesi (Gen 10, nella versione greca dei LXX).
I discepoli sono inviati a due a due; così l'uno può essere di conforto all'altro e forse anche per maggior sicurezza lungo il viaggio. L'annuncio portato da una coppia di discepoli richiama anche il dovere deuteronomico di stabilire il giudizio sulla base di due o tre testimoni (Dt 19,15; richiamato in Mt 18,16; 2 Cor 13,1; Eb 10,28). L'immagine dell'agnello contrapposto al lupo è indice di una predicazione fatta con mitezza, che esporrà i discepoli alla malvagità degli empi.
L'urgenza della predicazione è testimoniata dalla necessità di pregare affinché altri "operai" possano essere mandati nella "messe". Inoltre i discepoli dovranno viaggiare senza bagaglio - niente borsa, né un secondo paio di sandali - e non fermarsi lungo la strada, neppure per salutare (il saluto comportava nel mondo semitico l'intrattenersi nella conversazione con la persona salutata).
I discepoli sono chiamati a non girovagare di casa in casa e la richiesta di "stabilità" è superiore alle stesse prescrizioni della legge sui cibi puri e impuri: potranno mangiare qualsiasi cosa gli sarà messa davanti. Compito dei discepoli è anche quello di prendersi cura dei malati e di predicare la prossimità del regno di Dio.
Gesù chiede di invocare la pace in qualunque casa i discepoli entreranno: chi accoglierà loro accoglierà egli stesso (Lc 10,16). Chi non li accoglie si espone a un giudizio peggiore a quello di Sodoma - che era il simbolo della città inospitale per quanto descritto nel libro della Genesi (Gen 19,4-5). Se vi sarà "un figlio della pace" la pace resterà su di lui, altrimenti tornerà sui discepoli.
Nella misura in cui la Chiesa si allontana dal modello di discepolato richiesto da Gesù la messe diventa sterile, la predicazione inefficace, i discepoli vegono più facilmente rifiutati, perché agli occhi del mondo risultano incoerenti con quanto predicato.
Per questo il discepolato, che il vangelo impronta alla sobrietà e al totale affidamento alla provvidenza, deve mettersi al riparo da quella forza "addomesticatrice" che costituisce un pericolo sempre in agguato. Una continua opera di vigilanza e di riforma è necessaria affinché i discepoli operino in conformità al dettato evangelico.
Preghiera
Donaci Signore il tuo Spirito, affinché possiamo annunciare con semplicità e schiettezza la parola del vangelo, nell'attesa della tua manifestazione a tutte le genti. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona
mercoledì 2 ottobre 2024
Fermati 1 minuto. L'aratore che si volge indietro
Lettura
Luca 9,57-62
57 Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». 58 Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». 59 A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre». 60 Gesù replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va' e annunzia il regno di Dio». 61 Un altro disse: «Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa». 62 Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».
Commento
In questo brano, che ha un parallelo in Matteo (Mt 8,18-22), l'evangelista Luca ci riferisce tre modi diversi di porsi verso la sequela di Gesù.
Il primo protagonista che entra in scena è un "volontario", che avvicina il Signore mentre questi è per la strada. Matteo ci riferisce che si trattava di uno scriba, dunque di una persona abituata a vivere nell'agiatezza. Nell'offerta precipitosa di sé egli sembra non rendersi conto dei costi del discepolato che, lungi dall'offrire una posizione sociale elevata e sicurezze economiche, espone all'incertezza e a grandi sacrifici.
Tutta l'attività di Cristo sarà quasi sempre fraintesa dai dottori della legge, i quali si attendevano un Messia che avrebbe instaurato un regno terreno forte e prospero. Per questo egli si scontrerà spesso con l'incomprensione predicando il vangelo e ancora più nell'evento della sua passione. Dal Figlio di Dio, dal Figlio dell'uomo, per utilizzare una espressione messianica (cfr. Dn 7,13-14) che Cristo spesso applica a sé, ci si aspettava una manifestazione di potenza e gloria.
Il secondo aspirante discepolo è un giovane, chiamato direttamente da Gesù («Seguimi»; v. 59). Costui è desideroso di accogliere l'invito ma desidera prima occuparsi del padre, rimandando il discepolato dopo la morte di questi. Le parole del giovane sono infatti un semitismo che non indica certamente la celebrazione del funerale del padre - se fose morto quel giorno il giovane non si sarebbe trovato neanche lì dove stava, essendo obbligatorio per la legge ebraica a celebrare i funerali il giorno stesso della morte - ma significava l'occuparsi del padre anziano fino alla sua morte. Il giovane dunque, aspettava la morte del padre, e probabilmente anche di riceverne l'eredità. Chiaramente un simile approccio al discepolato non può che trovare la riprovazione del Signore.
Il terzo "candidato" si offre a Gesù ma chiede di potersi prima congedare dai suoi parenti. Gesù capisce che il cuore di quest'uomo è ancora diviso tra il mondo e le esigenze del regno di Dio: l'aratore che non guarda avanti mentre ara non può che tracciare solchi storti.
Le parole di questa pagina evangelica non riguardano soltanto chi si consacra a un ministero particolare nella chiesa, ma ogni battezzato, che in quanto tale è rivestito del ministero sacerdotale, regale e profetico di Cristo. Questi non può trovarci esitanti. Accogliere il vangelo significa scoprire in esso la gioia nella semplicità e novità di vita, in cui l'apostolo si rimette completamente nelle mani del Padre celeste.
Preghiera
Rimuovi, Signore, dalle nostre vite e dai nostri cuori, quanto si frappone alla tua grazia e rendici predicatori del regno, non per spirito mercenario ma per amore del tuo Nome. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona