Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

mercoledì 3 luglio 2024

Fermati 1 minuto. Beati loro!

Lettura

Giovanni 20,24-29

24 Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25 Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò».
26 Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 27 Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». 28 Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29 Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!».

Commento

Tommaso vuole "toccare con mano" per credere alla risurrezione di Gesù. La sua incredulità viene sanata proprio dalle piaghe di Cristo; quelle piaghe dalle quali, come afferma Pietro "siamo stati guariti" (1Pt 2,25). 

Il Signore entra a porte chiuse là dove gli apostoli si sono riuniti - manifestandosi nel segreto di quella stanza nella quale aveva invitato a compiere la preghiera intima al Padre («quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto»; Mt 6,6) - forse anche impauriti dalle possibili persecuzioni da parte dei capi della sinagoga. Gesù viene a portare la pace, in queste ore di tribolazione per gli apostoli.

«Beati loro!» affermiamo spesso; ma riguardo a chi? Quante volte lo diciamo a sproposito, per chi ha ereditato una bella casa, ha avuto una raccomandazione per un posto di lavoro o ha tratto simili vantaggi dalle cose di questo mondo? 

Gesù, che aveva proclamato otto beatitudini sul Monte, riguardo i miti, i poveri, gli afflitti, (Mt 5,1-11) qui ne proclama una nuova: «beati quelli che pur non avendo visto crederanno!». Beati perché, come aveva affermato il Signore nella sua predicazione: «chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre» (Gv 14,12). Compiere le opere di Gesù significa acquisire la capacità di amare donandosi senza riserve, come attestano i segni della sua passione, che egli ha voluto impressi per sempre sul suo corpo risorto.

Preghiera

Concedici, Signore, di contemplare il tuo mistero di salvezza, per vivere in pienezza la nostra vita, secondo lo spirito delle beatitudini che hai proclamato. Amen.

- Rev Dr. Luca Vona

Tommaso apostolo. Toccare con mano il Risorto

Di Tommaso, detto Didimo, parla soprattutto il Vangelo di Giovanni, nel quale egli appare spesso in connessione con i grandi misteri della glorificazione di Cristo.
Uomo capace di grande slancio nella sua adesione al Signore, come quando nell'ora della morte di Lazzaro esorta gli altri discepoli ad andare tutti insieme a morire con Gesù, Tommaso è rappresentato altresì come tipo dell'incredulità del credente, il cui cammino verso la pienezza della fede può compiersi soltanto ascoltando e aderendo assiduamente alla testimonianza della comunità.
La sua domanda: «Signore, non sappiamo dove vai, e come possiamo conoscere la via?» dà occasione a Gesù di formulare una delle più alte rivelazioni cristologiche del Nuovo Testamento: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6); ma nonostante la grandezza della rivelazione ricevuta, dopo la resurrezione Tommaso non crede alla testimonianza degli altri discepoli, ed esige di vedere ciò che i suoi orecchi hanno udito. Solo mediante un nuovo intervento del Signore, che accondiscende alla sua debolezza e gli mostra il permanere dei segni della passione nel proprio corpo risorto, Tommaso giungerà alla confessione di fede: «Mio Signore e mio Dio» (Gv 20,28). A tale confessione, Gesù risponde proclamando la vera beatitudine dei credenti, che è quella di coloro che «pur non avendo visto, crederanno» (Gv 20,29).
Secondo Eusebio di Cesarea, Tommaso evangelizzò la Persia, mentre un'antichissima tradizione lo vuole apostolo delle coste occidentali dell'India; i cristiani del Malabar lo considerano per questo motivo il fondatore della loro chiesa. Sempre secondo la tradizione, morì martire in India, per mano di un re locale.

Tracce di lettura

O paradossale prodigio,
la paglia ha toccato il fuoco ed è stata salvata,
Tommaso ha messo la mano nel fianco ardente di Gesù Cristo
e non è stato consumato dal contatto:
esso ha mutato l'incredulità della sua anima in una fede piena;
con fervore è sorto un grido dal profondo del suo cuore:
Mio Signore e mio Dio,
o Risorto dai morti, gloria a te!
(Liturgia bizantina, Quarto ichos dei Grandi vespri per la domenica di Tommaso).

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Tempera all’uovo su tavola telata e gessata cm 32x40 (particolare) - stile italico
Tommaso tocca il costato di Gesù, icona di Bose

lunedì 1 luglio 2024

Fermati 1 minuto. Siamo veramente liberi?

Lettura

Matteo 8,18-22

18 Vedendo Gesù una gran folla intorno a sé, ordinò di passare all'altra riva. 19 Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: «Maestro, io ti seguirò dovunque tu andrai». 20 Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo».
21 E un altro dei discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andar prima a seppellire mio padre». 22 Ma Gesù gli rispose: «Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti».

Commento

Gesù sta per passare all'altra riva del lago di Gennesaret e dalla folla emergono due personaggi che vogliono seguirlo nel suo ministero itinerante. Egli coglie l'occasione per delineare la qualità del vero discepolo: il distacco da una vita "comoda" e dai beni materiali.

Uno scriba riconosce in Gesù un maestro (v. 19) più grande dei suoi compagni, dottori della legge. Di fronte al suo desiderio di seguirlo, Gesù gli presenta le sofferenze e il rigore cui va incontro chi diventa suo discepolo.

Il termine "Figlio dell'uomo" (v. 20) è il titolo che più frequentemente Gesù utilizza per se stesso. Compare 83 volte nei Vangeli e ha un chiaro riferimento all'umanità e umiltà di Cristo. Nel libro di Daniele (Dn 7,13-14) è un titolo che si riferisce al Messia, del quale sono profetizzati il potere universale e l'eternità del suo regno.

La radicalità espressa dall'esortazione di Gesù a lasciare i morti seppellire i loro morti sta nel fatto che chi vuole seguirlo deve lasciar passare in secondo piano tutto il resto, anche il dovere della sepoltura - molto importante nel mondo ebraico ed ellenistico -, persino quando si tratti della sepoltura del padre. Il termine greco nekros non si riferisce solo ai defunti veri e propri ma anche a coloro che rifiutano di seguire Gesù sulla strada verso la vita eterna.

L'espressione "permettimi di andar prima a seppellire mio padre" (v. 21), infatti, non indica necessariamente che il padre del discepolo fosse morto, ma era comunemente utilizzata per indicare il desiderio di attendere di ricevere la propria eredità. In tal senso, attesta l'anteporre i beni terreni alle esigenze del regno dei cieli.

Gesù è esigente con i suoi discepoli, ma egli è la verità che ci fa liberi (Gv 8,32), e la libertà non ha prezzo. Siamo pronti a passare con lui all'altra riva?

Preghiera

Donaci, Signore, la libertà dei figli di Dio; affinché non anteponendo nulla al tuo amore, possiamo ordinare la nostra vita alle esigenze del vangelo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Mosè l'Etiope. La conversione che matura nel deserto

Nel martirologio romano e nei sinassari bizantini si fa oggi memoria di Mosè l'Etiope, monaco nel deserto di Scete.
Nato in Etiopia verso il 332, ci informa Palladio, Mosè era un uomo di colore, alto, molto robusto, che arrivò alla vita monastica dopo svariate peripezie personali.
Di indole violenta, si macchiò di diversi crimini prima di giungere, forse per sfuggire alla giustizia umana, nel deserto di Scete, ma seppe operare una radicale conversione alla carità evangelica attraverso la vita anacoretica, vissuta con sempre maggiore convinzione sotto la guida dei padri del deserto, soprattutto di Macario il Grande e di Isidoro il Presbitero, e resa ancor più dura dalla sua condizione di straniero dalla pelle nera.
Rendendosi conto di aver ricevuto grande misericordia dal Signore, Mosè divenne per tutti i monaci di Wādī al-Naṭrūn un mirabile esempio di umiltà e di mitezza, come testimoniano i Detti dei padri che narrano di lui. Per Cassiano egli è «il più grande fra tutti i santi», e con lui, secondo Poemen, «a Scete si raggiunse il culmine della santità».
Mosè morì all'età di settantacinque anni, dopo essere stato ordinato presbitero su richiesta dei suoi fratelli. Secondo il sinassario alessandrino, che lo ricorda il 24 di ba'ūnah, corrispondente al nostro 1 luglio, Mosè subì il martirio per mano dei barbari, assieme a sette discepoli, verosimilmente nell'anno 407.
È considerato il primo monaco originario dell'Etiopia.

Tracce di lettura

Un giorno peccò un fratello a Scete; i padri, radunatisi, mandarono a chiamare abba Mosè. Ma, poiché egli non voleva venire, il presbitero gli mandò a dire: «Vieni, la gente ti aspetta!». Egli allora si mosse e venne, portando sulle spalle una cesta forata piena di sabbia. Gli andarono incontro alcuni fratelli e gli chiesero: «Padre, cosa è mai questo?». Disse loro l'anziano: «Sono i miei peccati che scorrono via dietro di me senza che io li veda. E oggi sono venuto qui, per giudicare i peccati degli altri». A queste parole non dissero nulla al fratello che aveva peccato, e gli perdonarono.
(Mosè 2, Detti dei padri del deserto)

Un fratello si recò a Scete dal padre Mosè per chiedergli una parola. L'anziano gli disse: «Va', rimani nella tua cella, e la tua cella ti insegnerà ogni cosa»:
(Mosè 6, Ibid.)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose