Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

mercoledì 31 luglio 2024

Ignazio di Loyola, soldato di Cristo

La chiesa cattolica d'occidente e la chiesa anglicana celebrano oggi la memoria di Ignazio di Loyola.
Nel 1556 muore a Roma Ignazio di Loyola, presbitero e fondatore della Compagnia di Gesù (Gesuiti).
Nato nel 1491 da una nobile famiglia basca, Iñigo Lopez de Loyola ricevette un'educazione cavalleresca e adatta a una vita di corte. Ferito a una gamba a trent'anni nell'assedio della città di Pamplona e costretto a una lunga convalescenza, egli rimase conquistato dalla lettura della Vita di Gesù Cristo del certosino Ludolfo di Sassonia e della Leggenda aurea di Jacopo da Varagine. Decise allora di iniziare un lungo cammino per discernere la volontà di Dio sulla sua vita.
Frutto di queste sue prime esperienze e dell'anno di solitudine e preghiera passato a Manresa sarà il libro degli Esercizi spirituali, grazie al quale Ignazio renderà accessibile ad altri l'itinerario di discernimento che per primo aveva percorso.
Illuminato da una profonda vita interiore, egli volle intraprendere un cammino di spoliazione e di povertà per amore di Cristo, itinerario che iniziò assieme a una piccola comunità di fratelli destinata all'annuncio del vangelo e al servizio del bene spirituale degli uomini.
Uomo sempre teso ad armonizzare il divino e l'umano, l'invocazione dello Spirito nella preghiera e la concreta fatica della carità, Ignazio diede vita nel 1540, assieme ai primi compagni, alla Compagnia di Gesù: «poveri preti pellegrini», disposti ad andare in tutto il mondo a diffondere la chiamata alla santità che Dio rivolge a ogni uomo. La sua forma di vita religiosa si è rivelata nei secoli tra le più feconde e lungimiranti della chiesa d'occidente.

Tracce di lettura

Con l'espressione «esercizi spirituali» si intende ogni modo di esaminare la coscienza, meditare, contemplare, pregare vocalmente e mentalmente, e altre operazioni spirituali. Come infatti il passeggiare, il camminare e il correre sono esercizi corporali, così si chiamano «esercizi spirituali» tutti i modi di preparare e disporre l'anima a liberarsi di tutti gli affetti disordinati e, una volta eliminati, a cercare e trovare la volontà divina nell'organizzazione della propria vita per la salvezza dell'anima.
(Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, Prima annotazione).

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Arricchire davanti a Dio

Lettura

Matteo 13,44-46

44 Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
45 Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; 46 trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.

Commento

Queste due parabole riportate da Matteo hanno il medesimo significato. Entrambe rappresentano la salvezza come qualcosa di nascosto alla maggior parte degli uomini, ma di tale valore che vale la pena abbandonare tutto per possederla.

La parabola del tesoro nascosto si inscrive nella tradizione sapienziale ebraica, come attestata dal libro dei Proverbi: "Se la ricercherai come l'argento e per essa scaverai come per i tesori, allora comprenderai il timore del Signore e troverai la scienza di Dio" (Pr 2,4-5)

Nella parabola della perla preziosa il verbo greco zetèo - cercare - è un termine-chiave. Infatti, solo coloro che cercano il regno di Dio lo troveranno.

Gli ebrei che rifiutano Gesù non hanno cercato con sincerità. Il che non esclude l'applicazione esortativa del significato di queste parabole agli stessi cristiani.

Le Scritture sono il terreno in cui il tesoro della salvezza è nascosto. Non si trova in un giardino chiuso, ma in un campo aperto, così che chiunque possa scoprirlo. Occorre però investigarle in profondità e non fermarsi alla superficie per trovare il tesoro che è Cristo, la perla di grande valore; colui che ci fa arricchire davanti a Dio.

Preghiera

Lasciati trovare da noi Signore, perché siamo poveri finché non abbiamo conosciuto te, che sei il bene di quanti accumulano tesori in cielo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 30 luglio 2024

William Penn. Quacchero e fondatore della Pennsylvania

Il 30 luglio del 1718 muore William Penn, una delle massime figure del quaccherismo inglese.
William era nato nel 1644 a Wanstead, nel Sussex, in ambiente marcatamente puritano. Dopo aver conosciuto la «Società degli amici» (i quaccheri) attraverso la predicazione di Thomas Loe, egli subì diverse peripezie per il desiderio che manifestava di aggregarsi al loro movimento, testimone di una Parola capace di contestare in modo radicale, sebbene con mezzi pacifici, la vita sociale della nascente società industriale nonché delle istituzioni ecclesiastiche dell'epoca.
Divenuto quacchero con convinzione, grazie alla sua cultura Penn seppe dare un impulso profondo a quel ricentramento sul kerygma evangelico di cui il quaccherismo aveva avuto bisogno sin dai suoi inizi.
Uomo di grande pace interiore perché reso mite dalle umiliazioni sopportate nella fede, difensore estremo della libertà di coscienza e dell'uguaglianza fra gli uomini, William Penn coronò almeno in parte il suo sogno di una società più libera e solidale acquistando, popolando e organizzando in America del Nord quello che sarà chiamato lo stato della Pennsylvania, che significativamente avrà come capitale Filadelfia. Egli lo volle sprovvisto di esercito e aperto al dialogo con le tribù indiane presenti nei suoi confini.
William Penn morì all'età di settantaquattro anni.

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

William Penn - Wikiquote
William Penn (1644-1718)

Fermati 1 minuto. I giusti splenderanno come il sole

Lettura

Matteo 13,36-43

36 Poi Gesù lasciò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si accostarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». 37 Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo. 38 Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno, 39 e il nemico che l'ha seminata è il diavolo. La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli. 40 Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. 41 Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità 42 e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. 43 Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, intenda!

Commento

L'allontanamento di Gesù dalle folle segna il ritirarsi dal popolo incredulo e la ricerca di una comunione più intima con i suoi discepoli, che qui rappresentano non soltanto i Dodici ma coloro che egli aveva inviato ad annunciare il Vangelo. Questi hanno realmente "fame e sete di giustizia" (Mt 5,6) perché chiedono a Gesù di "sciogliere" il significato della parabola narrata per immagini. 

Solo in un rapporto personale con Cristo la sua parola può dispiegarsi alla nostra intelligenza. L'ascolto delle Scritture proclamate in chiesa o anche lette in privato può dare i suoi frutti se siamo capaci di chiedere a Gesù nella preghiera di offrircene il senso più profondo. 

Gesù non si sottrae alla richiesta dei suoi discepoli e spiega che la zizzania rappresenta i figli del maligno ed è opera del diavolo, colui che l'ha seminata. La zizzania è una pianta quasi del tutto identica al grano nel suo aspetto, ma non è buona per produrre la farina e preparare il pane. 

Scegliendo questa immagine per la sua parabola Gesù vuole indicare che il diavolo viene a infestare il campo dove è stato seminato il buon seme, non con delle erbacce riconoscibili per la loro natura estranea, ma simulando l'aspetto di ciò che è buono. Le nostre azioni devono tenere conto dell'orizzonte ultimo che dà senso a tutto il quadro d'insieme. 

La storia della Chiesa, ma anche la nostra storia personale, sono poriettate verso questo punto di fuga, la prospettiva del giudizio universale e personale. Da quell'orizzonte sorgerà il sole di giustizia (Mal 3,20; Lc 1,78), con il quale e nel quale splenderanno i giusti, nel regno del Padre loro.

Preghiera

Signore, vieni e vista il tuo campo con i tuoi angeli, prenditi cura di noi, affinché il male non possa sopraffarci e custodendo la vera fede, possiamo risplendere con te nel regno del Padre. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

La reazione degli evangelici francesi ed europei alla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici

A Parigi, gli evangelici si dicono rattristati da una derisione gratuita che non rappresenta la tolleranza e la diversità dei Giochi olimpici. Altri in Europa indicano i Vangeli come promemoria del fatto che il disprezzo per il cristianesimo dura da 2000 anni.

L'apertura dei Giochi Olimpici di Parigi ha raggiunto il suo obiettivo: creare un evento spettacolare con una cerimonia innovativa che ha utilizzato il centro della capitale francese come sfondo. 

Il fiume Senna ha visto gli atleti sfilare su barche, mentre luci, performance ed elementi mobili lungo le rive rappresentavano i valori francesi, tra cui liberté, égalité, fraternité. L'evento, bagnato dalla pioggia, si è concluso vicino alla Torre Eiffel con alcuni dei migliori atleti della storia che hanno portato la torcia olimpica alla sua destinazione finale.

Ma è stata una scena musicale dello spettacolo a diventare il fulcro dei commenti. Su una tavola allungata che ricordava il dipinto dell'Ultima Cena di Leonardo Da Vinci, una famosa DJ del movimento LGTBQI+, indossando una corona d'argento e formando un cuore con le mani, era circondata da una dozzina di drag queen e una ragazza minorenne. Accanto a loro, una modella transgender e il noto cantante Philippe Katerine, quasi nudo, evocavano il dio greco Dioniso.

L'episodio è stato applaudito da alcuni per aver mostrato la "diversità e inclusività" di una Francia moderna, mentre altri si sono scusati a nome dei francesi per una parodia inappropriata del cristianesimo. Gli organizzatori hanno affermato che non era loro intenzione offendere nessuno.

Reazioni dei cristiani in Francia

Erwan Cloarec, presidente del Consiglio Nazionale degli Evangelici di Francia (CNEF), ha dichiarato: "Una cerimonia di apertura creativa e gioiosa. Tuttavia, sono rimasto scioccato da alcuni dei 'tableaux'". Ha aggiunto: "Se l'obiettivo era la fraternità e l'inclusione, perché prendere di mira e deridere la fede di alcuni?"

Il leader della Federazione Protestante di Francia (FPF), Christian Krieger, ha riflettuto sulla controversia sui social media. Ha detto: "Tutte le immagini sono polisemiche e possono essere lette in modi diversi. C'è un divario tra l'intenzione dell'autore e il modo in cui viene recepita". Ha sottolineato che la libertà di espressione è un diritto fondamentale, ma che disprezzare e ferire gli altri non dovrebbe mai essere l'essenza della libertà di parola.

Anche i leader cattolici francesi hanno espresso delusione. La Conferenza Episcopale ha affermato: "La cerimonia ha offerto al mondo intero momenti meravigliosi di bellezza e gioia, ma ha incluso scene di scherno e derisione del cristianesimo, che deploriamo profondamente".

Reazioni degli evangelici nel resto d'Europa

La cerimonia di apertura ha suscitato reazioni anche da parte dei cristiani in altri paesi europei. Gavin Calver, direttore dell'Alleanza Evangelica del Regno Unito (EAUK), ha dichiarato: "Spero che i Giochi Olimpici di Parigi 2024 siano un grande successo. Tuttavia, è stato davvero sconcertante vedere il cristianesimo così apertamente deriso nella cerimonia di apertura con la rappresentazione incredibilmente grossolana dell'Ultima Cena. Assolutamente insensibile, inutile e offensivo".

Il segretario generale dell'Alleanza Evangelica Spagnola, X. Manuel Suárez, ha espresso la sua disapprovazione scrivendo in un articolo: "La festività e la creatività hanno un obiettivo: il godimento pulito e la dignificazione delle persone. Ridere delle profonde convinzioni delle persone, deridere i loro sentimenti più alti, umiliare la loro dignità è tutto tranne che creatività, festività e libertà: è mancanza di rispetto, mediocrità e stupidità".

Glen Scrivener, evangelista e apologeta australiano, ha condiviso un'immagine che recitava: "Sovvertire il sacro, 2000 anni troppo tardi". Ha aggiunto: "Il senso più profondo in cui 'Dio non può essere deriso' è letterale. Non puoi andare più in profondità di Dio crocifisso. Tutto da allora è stato ridicolmente blando e terribilmente datato".

Attila Nyári, un fondatore di chiese ungherese, ha espresso un'opinione simile su Facebook: "Sono molto sorpreso quando i cristiani dicono che questo supera un limite e che non possiamo rimanere in silenzio. Non lo so. In particolare, Gesù si è lasciato inchiodare a una croce ed è rimasto in silenzio. Il cristianesimo prevale quando non è difeso".

Miikkaa Narinen, analista culturale cristiano in Finlandia, ha sottolineato che in Europa è molto più facile deridere il cristianesimo che l'Islam o il movimento LGBTQI stesso. Ha detto: "Apparentemente, ci sono ancora artisti che pensano che cercare di prendere in giro il cristianesimo sia contro-culturale e originale. Benvenuti ai tempi moderni, o anche al 1968, da quando la storia non ha fatto un solo passo avanti".

Giustificazioni e scuse degli organizzatori

Gli organizzatori dei Giochi Olimpici hanno risposto alle lamentele con una dichiarazione a favore della "diversità", sostenendo che "non c'era chiaramente alcuna intenzione di mancare di rispetto a nessun gruppo religioso". Un portavoce ha aggiunto che la maggior parte degli spettatori ha apprezzato la cerimonia e che "se ci sono persone che sono state offese, siamo davvero dispiaciuti".

Il direttore artistico della cerimonia, Thomas Jolly, ha detto che la sua ispirazione per la scena controversa non era Gesù Cristo e i suoi discepoli, ma "Dioniso perché è il dio della festa (...), del vino e padre di Sequana, la dea legata al fiume (...) L'idea era piuttosto quella di avere una grande festa pagana legata agli dei dell'Olimpo". In un'altra intervista, ha detto: "Il mio desiderio non era essere sovversivo, né deridere o creare shock".

- Fonte: Evangelical Focus, 30 luglio 2024



lunedì 29 luglio 2024

Marta, Maria e Lazzaro. Amici del Signore

Nel calendario monastico occidentale si ricordano oggi Marta, Maria e Lazzaro, «amici e ospiti del Signore».
«Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro» (Gv 11,5): accanto agli uomini e alle donne che lo avevano seguito nella sua predicazione, gli evangelisti ricordano questi amici del Signore che lo accolsero nella loro casa e furono particolarmente associati al mistero della sua morte e resurrezione.
Marta accoglie Gesù e si mette a servire colui che era venuto nel mondo per servire e dare l'esempio di un amore «fino alla fine».
Maria di Betania è presentata dai vangeli come preoccupata solo di accogliere la presenza del Signore e di custodirne la Parola; secondo Giovanni è lei a cospargere di olio profumato il Cristo e ad asciugargli i piedi con i propri capelli, anticipando profeticamente l'unzione del corpo di Gesù per la sepoltura.
Lazzaro è l'amico che Gesù tanto amava e che richiama in vita proprio mentre si accinge a deporre la propria vita, offrendo così in quest'ultimo segno una profezia della resurrezione.
Marta, Maria e Lazzaro diedero il conforto dell'amicizia e un luogo di riposo al Figlio dell'uomo che non aveva una pietra su cui posare il capo. I monaci, da sempre attenti a riconoscere e servire il Cristo presente nell'ospite, festeggiano in loro gli ascoltatori della Parola che hanno saputo vivere l'intimità e la comunione con il Signore, fino a scorgere in quel Gesù che bussava alla loro porta il Messia che li avrebbe accolti nella dimora del Padre.

Tracce di lettura

Forse ai padri è sfuggito qualcosa: l'umanità così semplice di Gesù. Ripensiamo al vangelo di Marta e di Maria: «Ora, Gesù amava Marta, e sua sorella, e Lazzaro». Gli piaceva andarsi a riposare presso i suoi amici.
Scoprire l'amicizia di Cristo per noi significa anche scoprirci fratelli. Ma che Cristo abbia avuto amici speciali, che abbia manifestato delle predilezioni, non significa che ami meno qualcun altro. E' per ognuno di noi, in segreto, che ha una predilezione. Da ciò deriva, mi sembra, un principio fondamentale della vita spirituale: non bisogna fare paragoni. Ogni uomo è fuori misura. Chi può misurare l'uomo se non l'amore, che per l'appunto non misura mai? L'uomo non è suscettibile di confronti. Cristo non fa paragoni, ama ciascuno senza misura. Ricordiamolo bene, quando ci accostiamo agli uomini.
(Athenagoras, Dialoghi con Olivier Clément)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Icona dipinta a mano in stile bizantino, cm 32x40
Marta, Maria e Lazzaro insieme a Gesù, icona di Bose

Fermati 1 minuto. Gesù consacra il tempo della sosta

Lettura

Luca 10,38-42

38 Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. 39 Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; 40 Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41 Ma Gesù le rispose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, 42 ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta».

Commento

Lungo il cammino Gesù decide di fare una sosta a casa di Marta e Maria, sorelle del suo amico Lazzaro. Le due donne mostrano atteggiamenti contrapposti, ma entrambi importanti nella Chiesa: Marta, con il suo servizio attivo mostra la diakonìa, il prendersi cura del Signore, presente in ogni persona bisognosa; Maria è l'esemplare della discepola dedita all'ascolto di Dio. Degna di nota è la posizione assunta da quest'ultima, seduta davanti a Gesù, tipica del discepolo e a quei tempi del tutto inusuale per una donna. 

Il Signore non rimprovera a Marta il suo servizio, ma il suo essere "tutta presa"; letteralmente "assorbita" (gr. periestàto) per il grande servizio. Gesù consacra il tempo della sosta, dedicato al suo ascolto. Se non esita di compiere miracoli e guarigioni in giorno di sabato, al tempo stesso porta la sacralità del riposo sabbatico nel quotidiano. Non c'è attività così importante che possa distoglierci da una pausa per ascoltare la sua parola. 

Gesù rimprovera a Marta di preoccuparsi e agitarsi per troppe cose. Innanzitutto, qualsiasi opera di servizio deve essere da noi svolta con una azione quieta: con le mani dobbiamo servire, ma con le orecchie dobbiamo ascoltare la voce del Cristo.

Quando Gesù vuole essere accolto nelle nostre vite non ci chiede di "strafare". L'apostolato, il servizio di Cristo nel nostro prossimo, non può schiacciare e annullare lo spazio indispensabile riservato alla contemplazione, e alla lode di Dio, vero nutrimento e ristoro dell'anima.

Cammino e sosta, scandiscono la vita di Gesù, come una melodia in cui le pause sono importanti quanto le note. Egli ci esorta alla semplificazione della nostra vita esteriore ed interiore; ci libera dagli affanni chiamandoci alla semplicità e alla gioia del discepolato, che è sapiente equilibrio tra il fare e l'ascoltare, il servizio e l'adorazione: faremo così una cosa senza trascurare l'altra, compiendo "la giustizia e l'amore di Dio" (Lc 11,42).

Preghiera

Signore, noi ti adoriamo, in ascolto, seduti ai tuoi piedi. La tua parola alimenti in noi l'amore contemplativo e l'ardore per la vita apostolica; senza che mai perdiamo l'attenzione verso la tua presenza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 28 luglio 2024

Dio si affretta per venirci incontro

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA NONA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

Concedici, Signore, ti supplichiamo, di pensare e compiere sempre ciò che è giusto; affinché noi, che non possiamo fare nulla di buono senza di te, possiamo essere capaci, per la tua grazia, di vivere secondo la tua volontà; per Gesù Cristo, nostro signore. Amen.

Letture

1 Cor 10,1-13; Lc 15,11-32

Nel pensiero comune, Dio deve essere buono con i buoni e deve castigare gli empi. Questo pensiero è ben ravvisabile nella letteratura veterotestamentaria, dove compare, però, nel tempo, l’immagine di un Dio che è certamente giusto, ma anche misericordioso, “lento all’ira e grande nell’amore” (Sal 102,8), che non desidera la morte del peccatore, “ma che si converta e viva” (Ez 33,11).

L’atto compiuto dal figlio protagonista di questa parabola è molto grave: nella società giudaica del tempo, chiedere al padre l’eredità in anticipo significava determinare una rottura irreversibile con lui, considerandolo come morto. Un figlio del genere non avrebbe più potuto sperare nell’aiuto del padre in caso di necessità. Se la richiesta anticipata dell’eredità rendeva il padre come morto per il figlio, al contempo il figlio diveniva come morto per il padre. Gesù, attraverso questo racconto, ci vuole mostrare che il padre che è nei cieli agisce in maniera del tutto differente.

Il figlio che ha chiesto la sua parte di eredità si avvia verso un paese lontano e qui spende tutto quello che ha, riducendosi a pascolare i porci – lui che in casa del padre viveva da signore – e arrivando a desiderare di nutrirsi di  carrube quando in quel paese sopraggiunge una grave carestia.

Sono proprio i morsi della fame a precedere ciò che il Vangelo definisce un “rientrare in sé” del giovane, una conversione che è in un primo momento un atto di introspezione, suscitato dalla frustrazione di un desiderio elementare: “Quanti lavoratori di mio padre hanno pane in abbondanza… io invece muoio di fame!” (Lc 15,17). Non è il senso di colpa a suscitare i primi moti della conversione, ma la fame.

A questo punto il giovane medita di tornare a casa del padre e si prepara un bel discorso di pentimento. Il Vangelo insiste sul verbo “levarsi, sollevarsi”: “mi leverò e andrò da mio padre, e gli dirò…”; “Egli dunque si levò…”. La fame e il desiderio di “sollevarci”, suscitati dallo Spirito stesso di Dio, sono il motore della nostra conversione.

Nel prosieguo della parabola vediamo che il discorso di pentimento che il figlio si è preparato risulta del tutto superfluo. Infatti, “mentre era ancora lontano” suo padre “lo vide e ne ebbe compassione, corse, gli si getto al collo e lo baciò” (Lc 15,20). Laddove ci aspetteremmo di trovare un padre severo che attende il figlio alla porta, per respingerlo o quanto meno per redarguirlo e chiedergli di umiliarsi per ottenere il perdono, Gesù ci offre l’immagine di un Dio che ci corre incontro, ci anticipa, si affretta, e ci si getta al collo baciandoci, mentre siamo ancora sporchi di letame. 

Quando il giovane dice “non sono più degno di essere chiamato tuo figlio” (Lc 15,21), proprio in quel momento il padre, davanti a tutti i servi, vuole dimostrare di averlo ristabilito in ogni sua dignità. Chiede che venga rivestito dell’abito più bello, che gli vengano messi i sandali ai piedi e infine che gli si infili l’anello al dito, simbolo del potere riacquistato. E a scanso di equivoci lo dichiara ad alta voce, davanti a tutti i servi: “…questo mio figlio era morto ed è tornato in vita” (Lc 15,24).

Ma c’è una forza dentro di noi, e fuori di noi, che non comprende la misericordia di Dio, la sua compassione; e dunque si adira, giudica e condanna; ci induce inoltre a pensare che la salvezza sia un qualcosa che può essere comprato, meritato, guadagnato. La salvezza può essere desiderata nel momento in cui apriamo gli occhi e prendiamo consapevolezza di quanto penosa sia l’esistenza condotta lontano da Dio, del fatto che siamo nati non per mangiare carrube, ma per sedere alla mensa del Padre. 

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 27 luglio 2024

Assidui e concordi nella preghiera. Commento al Salterio - Salmo 29

Lettura

Salmi 29

1 Salmo. Canto per la festa della dedicazione del tempio.
Di Davide.

2 Ti esalterò, Signore, perché mi hai liberato
e su di me non hai lasciato esultare i nemici.
3 Signore Dio mio,
a te ho gridato e mi hai guarito.
4 Signore, mi hai fatto risalire dagli inferi,
mi hai dato vita perché non scendessi nella tomba.
5 Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
rendete grazie al suo santo nome,
6 perché la sua collera dura un istante,
la sua bontà per tutta la vita.
Alla sera sopraggiunge il pianto
e al mattino, ecco la gioia.
7 Nella mia prosperità ho detto:
«Nulla mi farà vacillare!».
8 Nella tua bontà, o Signore,
mi hai posto su un monte sicuro;
ma quando hai nascosto il tuo volto,
io sono stato turbato.
9 A te grido, Signore,
chiedo aiuto al mio Dio.
10 Quale vantaggio dalla mia morte,
dalla mia discesa nella tomba?
Ti potrà forse lodare la polvere
e proclamare la tua fedeltà?
11 Ascolta, Signore, abbi misericordia,
Signore, vieni in mio aiuto.
12 Hai mutato il mio lamento in danza,
la mia veste di sacco in abito di gioia,
13 perché io possa cantare senza posa.
Signore, mio Dio, ti loderò per sempre.

Commento

Nel Salmo 29 l'autore descrive come, pur avendo sperimentato la disperazione, Dio abbia trasformato il suo lamento in danza e la sua sofferenza in gioia. Questa trasformazione radicale sottolinea la potenza redentrice di Dio e la sua capacità di cambiare le sorti di chi confida in Lui.

Dopo aver espresso il sapore acre della morte il salmo si svolge in cinque strofe ritmate da una serie di contrasti. Anche se la preghiera oscilla tra gli estremi della vita e della morte, della stabilità e del vacillare, del pianto e della gioia, l'accento finale è posto sulla salvezza che fa dimenticare il lutto e l'amarezza.

Sentendo la morte ormai vicina ("mi hai fatto risalire dagli inferi"; v. 4) il salmista si vede precipitare nell'oltretomba, ma è salvato dal Signore, che lo mantiene in vita.

Il versetto 5 invita a rendere grazie al nome del Signore, letteralmente a celebrare "il suo santo memoriale", denotando con ciò il ricordo e l'invocazione della divina presenza.

La visione ottimistica della temporaneità delle sofferenze presenti (v. 6) e della durata senza fine della gloria futura sarà messa bene in risalto da Paolo nella sua lettera ai Romani (Rm 8,18).

La prosperità (v. 7) che provoca nel salmista l'illusione che nulla potrà farlo vacillare è l'agiatezza, la solidità economica, che porta spesso ad allontanarsi da Dio (cfr. Dt 8,10-18; Os 13,6; Prov 30,9).

Con un ragionamento di tipo utilitaristico (v. 10) l'orante ricorda al Signore che nessun morto può cantare le sue lodi e che, quindi, per riceverle, deve tenerlo in vita. In realtà come attesta il primo versetto del componimento, da tradurre letteralmente con "Ti voglio esaltare", la preghiera è un umile desiderio di guarigione per essere restituito al servizio di lode a Dio.

La tradizione cristiana ha visto in questo salmo la profezia della risurrezione e, dunque, la preghiera della Chiesa, riscattata in Cristo dalla morte.

Il Salmo 29 ci ricorda l'importanza di rivolgersi a Dio nei momenti di difficoltà, confidando nella sua capacità di salvarci e trasformare le nostre vite. È un invito a lodare e ringraziare Dio non solo per le sue benedizioni passate, ma anche per la speranza e la gioia che può portare nel nostro futuro.

- Rev. Dr. Luca Vona


venerdì 26 luglio 2024

Fermati 1 minuto. Colui che ode la parola e la comprende

Lettura

Matteo 13,18-23

18 «Voi dunque ascoltate che cosa significhi la parabola del seminatore! 19 Tutte le volte che uno ode la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e porta via quello che è stato seminato nel cuore di lui: questi è colui che ha ricevuto il seme lungo la strada. 20 Quello che ha ricevuto il seme in luoghi rocciosi, è colui che ode la parola e subito la riceve con gioia, 21 però non ha radice in sé ed è di corta durata; e quando giunge la tribolazione o persecuzione a motivo della parola, è subito sviato. 22 Quello che ha ricevuto il seme tra le spine è colui che ode la parola; poi gli impegni mondani e l'inganno delle ricchezze soffocano la parola che rimane infruttuosa. 23 Ma quello che ha ricevuto il seme in terra buona è colui che ode la parola e la comprende; egli porta del frutto e, così, l'uno rende il cento, l'altro il sessanta e l'altro il trenta».

Commento

La Parola di Dio - la "parola del Regno", definizione che ricorre solo in questo passo di tutta la Bibbia - va certamente ascoltata, ma va soprattutto compresa. Questo l'essenziale messaggio della parabola del seminatore, qui spiegata da Gesù stesso. 

L'importanza dell'ascolto attraversa tutte le Scritture, dal comandamento rivolto da Dio al suo popolo: «Shemà Israel», «Ascolta Israele» (Dt 6, 4) al libro dell'Apocalisse: «Beato colui che leggerà e quelli che ascolteranno le parole di questa profezia e metteranno in pratica ciò che in essa è scritto!» (Ap 1,3). Il salmo più lungo di tutti, il 119, è un'esaltazione della Parola di Dio ad ogni versetto, per un totale di 175 versetti: "Come può un giovane rendere pura la sua via? Custodendola con la tua parola" (Sal 119,9). L'apostolo Giacomo ci esorta "Siate facitori della parola!" (Gc 1,22), rimarcando che l'ascolto sincero e fruttuoso traduce la Parola da semplice suono o lettera scritta in azioni concrete, come perpetuando il mistero dell'Incarnazione del Verbo. 

Tra il "dirsi" della parola, il suo essere accolta, e il "fare" cui allude Giacomo, vi è la capacità di custodirla. Se un giovane custodirà la sua vita mediante la Parola, la Parola sarà custodita là dove si irradia la vita stessa dell'uomo, nel cuore, considerato nel pensiero biblioco la sede dei sentimenti e delle decisioni vitali.

I quattro terreni descritti nella parabola rappresentano non soltanto quattro tipologie di uomini, quattro tipologie di ascoltatori differenti, ma il paesaggio della nostra anima, dalla sua periferia, coinvolta con le cose del mondo o attanagliata dalle preoccupazioni, al suo centro più profondo, che è quella terra morbida e fertile in cui dobbiamo seminare il Verbo.

Probabilmente abbiamo letto e riletto tanti passaggi delle Scritture o tutta la Bibbia "da copertina a copertina"; forse seguiamo un piano di lettura sistematica o un lezionario. Ma quante volte ciò che abbiamo letto e ascoltato ha portato frutto? Facciamo bene a leggere e ascoltare, con attenzione e con l'intelligenza che scruta il senso delle Scritture confrontandole tra sé e avvalendoci di buoni mezzi per interpretarle con intelligenza. Ma non dimentichiamo di ascoltare anche con il cuore. Di rassodare il terreno buono, custodire il seme e attendere che la Parola germogli, come contadini pazienti, consapevoli che è l'uomo che pianta ma è Dio che fa crescere (1 Cor 3,7).

Preghiera

Signore, la nostra anima, afflitta da distrazioni e tribolazioni è spesso come terra arida, senz'acqua.
Manda il tuo Spirito a irrigarla e renderla terra fertile per accogliere il buon seme della tua Parola; affinché il tuo Regno possa germogliare nei nostri cuori e spandersi ai quattro angoli del mondo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 25 luglio 2024

Fermati 1 minuto. Il Figlio dell'uomo è venuto per servire

Lettura

Matteo 20,20-28

20 Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. 21 Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di' che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». 22 Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». 23 Ed egli soggiunse: «Il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio».
24 Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono con i due fratelli; 25 ma Gesù, chiamatili a sé, disse: «I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. 26 Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, 27 e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; 28 appunto come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti».

Commento

Nel Vangelo di Marco assistiamo alla richiesta fatta a Gesù da parte di Giacomo e Giovanni di poter sedere l'uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra nel regno dei cieli, mentre nel Vangelo di Matteo la stessa richiesta è avanzata dalla madre, forse per il timore di risultare poco umili nei confronti degli altri apostoli. In ogni caso gli altri dieci esprimono il loro sdegno, mostrando con ciò di porsi più o meno sullo stesso piano; la risposta di Gesù, infatti, suona come una ammonizione verso tutti loro.

Chi di noi non vorrebbe la garanzia di un posto privilegiato accanto a Gesù? Forse saremmo anche disposti ad accettare le tribolazioni di questa vita, a "bere il calice" del Signore, come Giacomo e Giovanni professano di essere disposti a fare. Allora la beatitudine eterna ci appare come un "premio" che ci spetta di diritto, magari a scapito di altri, che riteniamo meno "meritevoli". 

In tal modo sfugge il senso profondo della salvezza: il suo essere un dono gratuito da parte del Padre, in virtù del riscatto operato dal Figlio. Se noi partiamo da questo presupposto, allora l'atteggiamento che ne consegue non può che essere di profonda umiltà: innanzitutto verso Dio, che ci ha sciolti dalle catene di questo mondo, affrancandoci dal peccato e dalla morte.

Le catene di questo mondo sono l'asservimento a una logica di prevaricazione l'uno sull'altro, un continuo sentirsi in competizione che ci angustia, ci affanna, ci rende schiavi delle nostre ambizioni disordinate. 

Ma l'atteggiamento di umiltà che scaturisce dal sentirsi salvati per grazia deve caratterizzare anche le relazioni con il nostro prossimo. Che cosa meritiamo più di lui davanti a colui che ci ha riscattato a prezzo del suo sangue? 

La risposta di Gesù alla richiesta di un posto privilegiato nel regno a venire crea così un singolare paradosso: tra la schiavitù alle logiche del mondo e lo spirito di servizio, il farci "servi" - per utilizzare le parole stesse di Gesù - dei nostri fratelli e delle nostre sorelle. 

Nella Chiesa non c'è spazio per la volontà di dominio; ogni autorità va esercitata sul modello di Gesù, come servizio agli altri e non per interesse personale. Il vangelo ci chiama a conformarci al Figlio prediletto, nel quale il Padre si è compiaciuto (Mt 3,17), il Figlio che è venuto nel mondo per servire e non per essere servito (Mt 20,28).

Preghiera

Aiutaci a comprendere, Signore, che regnare con te è porci al servizio della tua Parola, che proclama la libertà dai lacci della morte e del peccato; affinché possiamo condividere sulla terra e celebrare in cielo la gioia della tua salvezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 24 luglio 2024

Fermati 1 minuto. Il cento per uno

Lettura

Matteo 13,1-9

1 Quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare. 2 Si cominciò a raccogliere attorno a lui tanta folla che dovette salire su una barca e là porsi a sedere, mentre tutta la folla rimaneva sulla spiaggia.
3 Egli parlò loro di molte cose in parabole.
E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4 E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. 5 Un'altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c'era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. 6 Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. 7 Un'altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. 8 Un'altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. 9 Chi ha orecchi intenda».

Commento

Con la parabola del seminatore Gesù esemplifica il modo in cui la parola di Dio viene respinta, trova ostacoli, ma anche viene accolta e porta frutto, diffondendosi ovunque. Mentre il monte è il luogo privilegiato da Gesù per la preghiera e la formazione dei discepoli, la costa del mare di Galilea, ovvero il lago di Genesaret, è il luogo in cui i Vangeli presentano il Signore intento ad ammaestrare le folle.

Il verbo greco usato per indicare il riunirsi delle persone intorno a lui è synago, con un richiamo alla sinagoga; forse perché gli ascoltatori sono ebrei, o perché quella che Gesù forma con la sua predicazione è la nuova sinagoga dei credenti nel vangelo. 

Gesù predica su una barca, quasi a significare che il suo messaggio è rivolto a Israele, ma questi guarda verso il mare, da dove il vangelo prenderà il largo verso le terre dei gentili. Con questo discorso iniziano le sette parabole (il seminatore, la zizzania, il granello di senape, il lievito, il tesoro nascosto, le perle preziose, la rete gettata in mare) che servono a esemplificare il modo in cui il regno di Dio si fa strada o incontra resistenze sul camino degli uomini.

L'uso di parabole - comune nel giudaismo del tempo - serve a Gesù per coinvolgere e provocare chi ascolta, facendogli applicare ciò che dice alla realtà della propria vita spirituale. Attraverso esempi e paragoni così vicini all'esperienza quotidiana di ciascuno, Gesù scuote e invita a cambiare mentalità e comportamenti, perché la parola di Dio penetri nell'anima e diventi lievito di vita. 

L'ascolto che porta frutto è incontro spirituale con la persona di Gesù. Ma la parola necessita di un cuore umile, di un humus, un terreno morbido, dove il seme possa trovare riparo e nutrimento. Il rendimento di una semina era solitamente di otto a uno, dieci a uno in casi eccezionali; la crescita fino al cento per uno che Gesù descrive è incredibilmente grande. Brani della letteratura sia ebraica sia cristiana riferiscono di raccolti eccezionalmente abbondanti nell'era messianica.

Sebbene questa parabola sia riportata in tutti e tre i vangeli sinottici, solo Luca e Matteo spiegano che il seme è la parola di Dio. Una parola che non è solo aria che risuona, ma che è Gesù stesso, Verbo generato dal padre e incarnato nel seno di Maria, parola fattasi "seme", che incontra la durezza di chi lo disprezza tra quelli della sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua (Mc 6,4); che incontra i rovi di chi flagellerà il suo corpo e gli coronerà il capo di spine; che dovrà morire ed essere sepolto per generare frutti di vita eterna. Un frutto così grande da sfamare tutti coloro che hanno fame non di pane, ma d'ascoltare la parola del Signore (Am 8,11). 

Il seminatore sparge a piene mani il suo seme in tutte le direzioni, attendendo un raccolto abbondante. Nonostante i fallimenti dovuti all'opposizione e all'indifferenza, l'annuncio del regno di Dio avrà un'efficacia duratura ed estesa.

Preghiera

Crea in noi, Signore, un cuore umile e pronto a ricevere la tua parola; irriga i solchi, spiana le zolle, effondi la pioggia del tuo Spirito; affinché possano abbondare i frutti della tua grazia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 23 luglio 2024

Brigida di Svezia. Sposa, pellegrina, fondatrice

Il 23 luglio 1373 muore a Roma Brigida di Svezia, ricordata in questo giorno da cattolici, anglicani, luterrani e veterocattolici.
Appartenente all'alta aristocrazia svedese, sposa e madre di otto figli, Brigida era una donna colta, dal temperamento forte, profondamente religiosa e ricca di carità. Essa amava le Scritture, che considerava il suo tesoro più prezioso e la medicina più idonea per la cura delle anime; si soffermava spesso sul mistero della passione del Signore e, con il marito, si dedicava alla cura dei malati e all'aiuto dei bisognosi.
Dopo un pellegrinaggio a Santiago di Compostela, i due coniugi decisero di abbracciare la vita religiosa, e qualche anno più tardi Brigida, spinta a ciò anche dalla propria esperienza mistica, pensò alla creazione di un nuovo ordine ispirato a un grande radicalismo evangelico, sull'esempio di quello di Fontevraud fondato da Roberto d'Arbrissel nel 1100.
Visitò molti luoghi italiani, come Milano, Pavia, Assisi, Bari, Ortona, Benevento, Arielli, Pozzuoli, Napoli, Salerno, Amalfi e il santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano. L'ultimo pellegrinaggio la portò in Terra Santa tra il 1371 e il 1372, permettendole di recarsi negli stessi luoghi in cui predicò Gesù.
L'Ordine del Santo Salvatore che ebbe origine da Brigida fu un ordine misto, prevalentemente femminile, che riservava un culto particolare alla passione del Signore e alla compassione di Maria. Brigida trascorse l'ultima parte della sua vita a Roma, dove morì nel 1373.
Nel 1999 papa Giovanni Paolo II l'ha proclamata compatrona d'Europa.

Tracce di lettura

Signore Gesù Cristo, fonte di dolcezza inestinguibile, che mosso da intimo affetto di amore dicesti in croce: «Ho sete», cioè: «Desidero sommamente la salvezza del genere umano», accendi in noi, ti preghiamo, il desiderio di operare in modo pienamente conforme alla tua volontà, spegnendo del tutto la sete delle concupiscenze del peccato e il fervore dei piaceri mondani.
O Gesù, Figlio di Dio, nato da Maria vergine, crocifisso per la salvezza degli uomini, regnante ora in cielo, abbi pietà di noi. (Brigida di Svezia, Orazione 7)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Antonio delle Grotte di Kiev e Teodosio, fondatori del monachesimo russo

I cristiani di tradizione bizantino-slava ricordano oggi Antonio delle Grotte di Kiev.
Nato a Lubeč nel 983, nella regione di Černigov a nord di Kiev, Antonio fu attratto dal monachesimo e si recò secondo la tradizione al monte Athos. Qui, presso il monastero di Esphigmenou, fu iniziato alla vita monastica e ricevette la benedizione dell'igumeno per andare a proseguire il proprio cammino di monaco nella terra d'origine.
Verso la metà dell'XI secolo Antonio tornò dunque a Kiev e si stabilì in una grotta, sulle colline vicino alla città. Seguendo l'esempio dei padri del deserto, egli intraprese una vita rude, imperniata sulla preghiera e la penitenza, attirando a sé molti discepoli. Costoro scavarono altre celle e una grande cripta, principio di quello che sarà il celebre monastero delle Grotte.
Ma Antonio, sedotto dalla vita eremitica, lasciò la nascente comunità alle cure del proprio discepolo Teodosio per ritirarsi in «una grotta lontana», dove visse nel totale silenzio e nella preghiera fino alla morte, avvenuta nel 1073. La vita monastica esisteva già prima di Antonio in Russia, ma per lo più come importazione straniera sostenuta dai potenti. Solo con la fondazione del monastero delle Grotte essa divenne popolare, e per questo Antonio è ricordato come padre del monachesimo russo.
Teodosio è ricordato come padre spirituale dolce e misericordioso; egli organizzò la vita del monastero secondo la regola di Teodoro Studita, ed è considerato per questo il fondatore della vita cenobitica in Russia.

Tracce di lettura

Il venerabile Antonio, abituato a vivere solo e non essendo in grado di sopportare alcun genere di confusione o di rumore, confinò se stesso in una cella delle Grotte, dopo aver nominato al proprio posto Varlaam, perché avesse cura dei fratelli.
Dopo che Varlaam fu traferito su ordine del principe per divenire superiore del monastero di San Demetrio, i fratelli delle Grotte si riunirono e informarono il venerabile Antonio che avevano scelto di comune accordo il nostro beato padre Teodosio come superiore, poiché aveva mostrato di saper vivere secondo la tradizione monastica ed era un profondo conoscitore dei comandi del Signore. Teodosio, pur avendo ricevuto il ruolo di superiore, non mutò la propria umiltà, ricordando che il Signore dice: «Chiunque vorrà essere grande tra voi, sia il più piccolo e il servo di tutti». Dunque egli umiliò se stesso, facendosi il più piccolo e il servo di tutti. Per questo il monastero fiorì e crebbe grazie alle preghiere di quel giusto, poiché sta scritto: «Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano».
(dalla Vita di Teodosio)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose


Antonio delle Grotte di Kiev (983-1073)  e Teodosio (+1074) suo discepolo

Fermati 1 minuto. La lunga attesa di Anna

Lettura

Luca 2,36-40

36 C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, 37 era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. 38 Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. 39 Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. 40 Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.

Commento

Il Vangelo di Luca si apre con un coro di profezie sul bambino Gesù, prima di accennare alla sua vita nascosta a Nazaret e farlo ricomparire dodicenne a discutere con i dottori nel Tempio. L'ultima di queste profezie vede protagonista Anna, un'anziana vedova che conduce una vita ascetica senza allontarsi mai dal Tempio. La sua età avanzata non le impedisce di servire Dio e il servizio che gli rende è fatto di digiuno e di preghiera. 

Esaltando la devozione di Anna, l'Evangelista testimonia che la fede non può rinchiudersi in una dimensione puramente "orizzontale", relegando nell'ambito dell'inutilità coloro che non possono esercitare un ministero attivo per l'età avanzata o per altre limitazioni. 

La preghiera di Anna, il suo digiuno, protratti per così tanti anni dalla sua vedovanza, sono un segno profetico della superiorità di Dio in relazione con qualsiasi altra cosa; testimoniano la perseveranza nell'attesa e nell'invocazione del Messia, una implorazione che si trasforma in lode e annuncio nel momento in cui si realizza il sospirato incontro: "lodava Dio e parlava del bambino a tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme" (v. 38). 

Come Giovanni il Battista, Anna si fa interprete delle profezie dell'Antico Testamento, fa da "ponte" tra esse e la nuova alleanza in Cristo; ricordandoci con le sue veglie e i suoi digiuni, l'unico necessario, "la parte migliore" (Lc 18,41-42) che si rivela agli umili, ai "poveri di spirito", perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3).

Preghiera

Risveglia in noi, Signore, il desiderio di trascendere le cose di questo mondo, per annunciare, con le nostre vite e con la nostra parola, l'avvento del tuo regno. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 22 luglio 2024

Maria Maddalena, colei che ha conosciuto il molto peccare e il molto amare

La chiesa cattolica d'Occidente, ortodossi, anglicani, luterani e veterocattolici celebrano oggi la memoria di Maria Maddalena.
Originaria della città di Magdala, sul lago di Tiberiade, Maria Maddalena fu liberata per la parola di Gesù dai sette demoni che la possedevano e seguì ovunque il Signore, servendolo fedelmente fino alla passione. Essa fu perciò testimone della sua morte e sepoltura.
Passato il sabato, Maria si recò con le altre donne al sepolcro portando aromi, e per questo è ricordata come mirrofora. A lei, per prima, apparve il Signore risorto, chiamandola per nome mentre piangeva nel giardino. Allora la Maddalena corse a portare l'annuncio ai discepoli, «apostola degli apostoli» come la chiama la tradizione.
In occidente, a partire da Gregorio Magno, Maria Maddalena è stata identificata con la peccatrice perdonata di cui parla il Vangelo di Luca, perdonata perché aveva molto amato. È divenuta perciò colei che ha conosciuto il molto peccare e il molto amare, colei che piange sui propri peccati e piange per la morte del Maestro, rimanendo fedele nell'amore per lui.
Esempio per chi si pente e per chi rivolge il suo amore al Signore, Maria Maddalena è stata una figura di riferimento importante in ogni movimento di riforma della chiesa, in particolare per i movimenti di riforma monastica d'occidente fioriti nell'XI secolo.

Tracce di lettura

Signore,
tu le accendesti nel cuore
il fuoco di un immenso amore per Cristo,
che le aveva ridonato la libertà dello spirito,
e le infondesti il coraggio di seguirlo
fedelmente fino al Calvario.
E anche dopo la morte di croce
essa cercò il suo Maestro con tanta passione,
che giunse a incontrare il Signore risorto
e ad annunziare per prima agli apostoli
la gioia pasquale.
(dalla Liturgia romana)

- Dal martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Tempera all’uovo su tavola telata e gessata (particolare) - stile italico

Fermati 1 minuto. "Non trattenermi... ma va' dai miei fratelli"

Lettura

Giovanni 20,1-18

1 Il primo giorno della settimana, la mattina presto, mentre era ancora buio, Maria Maddalena andò al sepolcro e vide la pietra tolta dal sepolcro. 2 Allora corse verso Simon Pietro e l'altro discepolo che Gesù amava e disse loro: «Hanno tolto il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'abbiano messo».
3 Pietro e l'altro discepolo uscirono dunque e si avviarono al sepolcro. 4 I due correvano assieme, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse primo al sepolcro; 5 e, chinatosi, vide le fasce per terra, ma non entrò. 6 Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro, e vide le fasce per terra, 7 e il sudario che era stato sul capo di Gesù, non per terra con le fasce, ma piegato in un luogo a parte. 8 Allora entrò anche l'altro discepolo che era giunto per primo al sepolcro, e vide, e credette. 9 Perché non avevano ancora capito la Scrittura, secondo la quale egli doveva risuscitare dai morti. 10 I discepoli dunque se ne tornarono a casa.
11 Maria, invece, se ne stava fuori vicino al sepolcro a piangere. Mentre piangeva, si chinò a guardare dentro il sepolcro, 12 ed ecco, vide due angeli, vestiti di bianco, seduti uno a capo e l'altro ai piedi, lì dov'era stato il corpo di Gesù. 13 Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?» Ella rispose loro: «Perché hanno tolto il mio Signore e non so dove l'abbiano deposto». 14 Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. 15 Gesù le disse: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» Ella, pensando che fosse l'ortolano, gli disse: «Signore, se tu l'hai portato via, dimmi dove l'hai deposto, e io lo prenderò». 16 Gesù le disse: «Maria!» Ella, voltatasi, gli disse in ebraico: «Rabbunì!» che vuol dire: «Maestro!» 17 Gesù le disse: «Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli, e di' loro: "Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro"». 18 Maria Maddalena andò ad annunciare ai discepoli che aveva visto il Signore, e che egli le aveva detto queste cose.

Commento

Sono passate poche ore dal tragico epilogo della vita terrena di Gesù, "è ancora buio", i suoi discepoli e i suoi amici sono ancora sconvolti per quanto accaduto. Maria Maddalena, dalla quale Gesù aveva scacciato sette demòni, si reca di buon mattino dove hanno sepolto il suo Maestro. È ancora in quella fase del lutto in cui non si riesce ad accettare la separazione fisica da chi se n'è andato. Ma trova qualcosa di inaspettato: la pietra è stata rotolata via dal sepolcro. 

La prima reazione è di panico: Maria si reca dai discepoli e li avvisa dell'accaduto. Tutti corrono verso il sepolcro e, mentre i discepoli entrano per constatare che sono rimaste solo le fasce che avvolgevano il Signore, per poi tornarsene a casa lei resta lì, proprio come era rimasta sotto la croce. Piange perché le è stato tolto anche il conforto del corpo del Signore. Ma la sua umiltà, la sua fede, il suo coraggio, la fanno chinare per guardare dentro il sepolcro, per "guardare in faccia" la desolazione creata dalla morte.

La Maddalena trova prima il conforto della visione di due figure angeliche e poi, "si voltò indietro", quasi a ripercorrere con la mente e con il cuore tutto ciò che il suo Maestro aveva detto e fatto durante la sua predicazione; ed è allora che vede Gesù. Ma lo riconosce solo quando viene chiamata per nome. L'incontro con il Risorto è infatti una esperienza personale e unica per ognuno di noi. Senza questa esperienza personale il Gesù della Scrittura resta lettera morta e non ci è possibile riconoscerlo. 

La "chiamata" per nome di Gesù a Maria Maddalena corrisponde anche all'assegnazione di una missione particolare: essere la prima a predicare la sua risurrezione, ai discepoli stessi, ancora increduli. "Non trattenermi", afferma Gesù; perché non possiamo tenere per noi l'esperienza di questo incontro, ma dobbiamo condividerla come annunciatori di colui che ha vinto la morte.

Preghiera

L'amore di Cristo ci spinge, o Padre, facci annunciatori del Risorto, per contemplarlo accanto a te nell'eterna gloria. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 21 luglio 2024

Lasciarsi condurre dallo Spirito di Dio

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA OTTAVA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

O Dio, la cui perenne provvidenza ha ordinato tutte le cose, in cielo e sulla terra; ti supplichiamo umilmente di liberarci da ogni cosa nociva e di donarci tutto ciò che è per noi profittevole; per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

Letture

Rm 8,12-17; Mt 7,15-21

Commento

Chi sono i falsi profeti di cui parla Gesù, dicendoci che vengono in veste di agnelli ma si rivelano lupi? Per giudicarli, Gesù ci esorta a valutare i frutti che producono. Ma come facciamo a distinguere i frutti buoni dai cattivi? Una indicazione è data da Paolo, nella sua lettera ai Romani, che offre un contrasto tra la carne e lo Spirito. Non abbiamo un debito con la carne, che conduce alla morte, ma con lo Spirito (Rm 8,12-13). 

Con la parola "carne" (gr. sarx) l’apostolo indica quanto nell’uomo è soggetto alla caducità, la nostra fragilità, i nostri limiti. La carne è quel qualcosa della nostra natura umana che se non è redento dallo Spirito ci trascina verso la morte eterna. Lo Spirito, invece, conduce alla vita e alla santificazione, se ci lasciamo guidare da lui: “tutti quelli che sono condotti dallo Spirito di Dio, sono Figli di Dio” (Rm 8,14).

La carne riduce in schiavitù, perché rende soggetti alle opere morte (Eb 9,14). Vivere secondo la carne significa vivere per ciò che è vano, instabile, impermanente; per tale ragione, significa vivere nella paura: paura costante della perdita, perdita di ciò che possediamo o desideriamo e perdita della nostra stessa esistenza. Vivere secondo lo Spirito significa vivere per il Regno di Dio, fondati nell’Eterno e nella fonte stessa della vita.

Lo Spirito di Dio testimonia al nostro spirito che sebbene tutto ciò che abbiamo e tutto ciò che siamo è minacciato dall'annichilimento, noi siamo eredi della vita, eredi nientemeno che di Dio stesso, in Cristo, destinati alla glorificazione con lui. 

L’esperienza della sofferenza, della perdita e della morte continuano a far parte dell'esistenza terrena, ma il Verbo incarnato ha voluto condividerle fino in fondo con noi, per portare la presenza di Dio anche nei luoghi più desolati dell’esistenza umana. La morte, già sconfitta dal trionfo pasquale di Cristo, non avrà più spazio nel Regno di Dio, la cui presenza in mezzo a noi è già testimoniata dai buoni frutti dei credenti.

Se la nostra vita è radicata nelle Scritture saremo come un albero buono (Sal 1,3), che non può dare frutti cattivi, né può restare senza frutti. Pertanto, non basta la certezza, magari la presunzione, di essere giustificati per fede, predestinati alla salvezza. Dio ci chiama alla santità, alla carità perfetta (1 Cor 12,31; 13,1-13) e la sua grazia agisce nei credenti per portarla a compimento. 

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 19 luglio 2024

Elia, il profeta che scoprì la tenerezza di Dio

I cristiani di tutte le chiese il 20 di luglio ricordano il profeta Elia, che essi ritennero fin dall'inizio il rappresentante più emblematico della tradizione profetica ebraica, come lasciano intendere gli evangeli nell'episodio della Trasfigurazione.
Il profeta in Israele era un uomo che parlava a nome di Dio, per richiamare tutti alla fedeltà al Dio dell'alleanza. Elia svolse pienamente la propria missione mostrando con tutta la sua vita il pathos stesso di Dio, la sollecitudine del Padre verso i propri figli, soprattutto verso i più piccoli e indifesi.
Vissuto nel IX secolo a.C., in un tempo di grande crisi, Elia dapprima si sdegnò di fronte all'idolatria di molti in Israele; ma in seguito fu chiamato da Dio al distacco e alla solitudine, per imparare che solo servendo la Parola attesa nel silenzio è possibile diventare «uomini di Dio».
Mandato in territorio pagano, Elia conobbe il bisogno di essere alimentato, oltre che da Dio, dai poveri, nella persona della vedova di Sarepta. Ritornò in patria, e la sua parola contro l'idolatria e le ingiustizie dei potenti lo condusse al celebre scontro con i profeti di Baal sul monte Carmelo. Ma la persecuzione che egli subì a seguito della sua momentanea vittoria sugli idolatri lo aiutò a comprendere, grazie alla voce silenziosa attraverso cui Dio gli parlò sull'Oreb, che il Dio che è fuoco divorante è anche pace, silenzio, tenerezza.
Rinnovato da questa ulteriore esperienza, Elia portò a termine la sua missione nel regno del Nord e fu rapito in cielo, secondo il racconto biblico, a significare che lo spirito di Elia continuerà sempre a essere presente nella storia di Israele.
Il suo ritorno è rimasto legato, nella tradizione ebraica e cristiana, alla venuta del Messia.

Tracce di lettura

[Elia] entrò in una caverna per passarvi la notte, quand'ecco il Signore gli disse: «Che fai qui, Elia?». 10 Egli rispose: «Sono pieno di zelo per il Signore degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita». 11 Gli fu detto: «Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore». Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. 12 Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. 13 Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna. Ed ecco, sentì una voce che gli diceva: «Che fai qui, Elia?». 14 Egli rispose: «Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita». (1 Re 19,9-14)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

giovedì 18 luglio 2024

Macrina e la nascita del monachesimo in Cappadocia

Le chiese d'oriente e d'occidente ricordano oggi Macrina, monaca della Cappadocia.
Sorella maggiore di Basilio di Cesarea, di Gregorio di Nissa e Pietro di Sebaste, Macrina decise a dodici anni di non contrarre matrimonio, onde potersi dedicare a una vita di lavoro umile e di preghiera, tesa all'unificazione del cuore. Il fratello Gregorio, suo biografo, non a torto la presenta come l'ispiratrice della vita monastica alla quale attirò in seguito la madre e le domestiche, e quindi anche il fratello Basilio.
La ricerca di Macrina e delle sue compagne condusse alla creazione di un monastero doppio, dove risiedevano a breve distanza uomini e donne, il cui unico intento era quello di vivere il Vangelo nel celibato e nella vita comune, svolgendo lavori poveri e praticando in modo intenso verso tutti l'ospitalità e la condivisione.
Macrina morì all'età di 53 anni, dopo aver guidato per tutta la vita come una madre la sua comunità; prima di morire ringraziò Dio per aver aperto agli uomini la via della resurrezione, e lo pregò di accogliere la sua vita come un'offerta, «come incenso davanti al suo volto» (Sal 142,2).

Tracce di lettura

Signore, tu hai dissolto per noi la paura della morte, tu dai in deposito alla terra la terra che noi siamo, quella che tu stesso hai plasmato con le tue mani, e fai rivivere ciò che hai donato all'uomo, trasformando mediante l'immortalità e la bellezza quello che in noi è mortale e deforme.
Sei tu che ci hai strappati alla maledizione e al peccato, facendoti per noi l'una e l'altro.
Dio eterno, verso cui mi sono protesa fin dal seno di mia madre, te che la mia anima ha amato con tutte le sue forze, poni al mio fianco un angelo luminoso che mi conduca per mano dove si trova l'acqua del riposo, nel seno dei santi patriarchi!
Tu che hai spezzato la fiamma della spada di fuoco e hai restituito al paradiso l'uomo crocifisso con te e che si era affidato alla tua misericordia, ricordati anche di me nel tuo regno.
(Preghiera di Macrina in Gregorio di Nissa, Vita di santa Macrina 24)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Macrina (327-380)

Fermati 1 minuto. Più grande del tempio

Lettura

Matteo 12,1-8

1 In quel tempo Gesù passò tra le messi in giorno di sabato, e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere spighe e le mangiavano. 2 Ciò vedendo, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare in giorno di sabato». 3 Ed egli rispose: «Non avete letto quello che fece Davide quando ebbe fame insieme ai suoi compagni? 4 Come entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell'offerta, che non era lecito mangiare né a lui né ai suoi compagni, ma solo ai sacerdoti? 5 O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio infrangono il sabato e tuttavia sono senza colpa? 6 Ora io vi dico che qui c'è qualcosa più grande del tempio. 7 Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa. 8 Perché il Figlio dell'uomo è signore del sabato».

Commento

Gesù aveva promesso un giogo dolce e un carico leggero per chi lo avrebbe seguito; l'esatto contrario dell'atteggiamento dei farisei riportato da questo brano evangelico. I discepoli cercano di soddisfare il naturale bisogno della fame raccogliendo le spighe cadute per terra durante il raccolto, azione consentita secondo il libro del Deuteronomio (Dt 23,25); il libro del Levitico, anzi, comandava: "Quando mieterai la messe non raccoglierai ciò che resta del tuo raccolto; lo lascerai per il povero e il forestiero" (Lv 23,22; 19,9). 

In questo precetto veterotestamentario è espressa la misericordia di Dio, che è alla base della legge e ne determina il senso. Di fronte ai dottori delle Scritture, che le impiegano in maniera parziale e tendenziosa, Gesù risponde con le Scritture stesse, citando un episodio tratto dal primo libro di Samuele (1 Sam, 21,1-6) in cui Davide in fuga da Saul si rifugia con i suoi compagni nel tempio e viene sfamato dal sommo sacerdote Achimelec con i pani della presenza, dodici pani offerti al Signore ogni sabato, che solo i sacerdoti potevano mangiare (Es 25,30; Lv 24,5-9). 

Gesù poi cita i leviti, che anche in giorno di sabato, svolgevano il proprio lavoro nel tempio, sostituendo i pani della presenza e raddoppiando i sacrifici (Lv 24,8; Num 28,9-10). I farisei mostrano di voler applicare agli altri un rigore di giudizio che non mostrano nei confronti della casta regale e sacerdotale.  

Se i sacerdoti possono violare la legge, per il servizio del sabato, anche Gesù, che è più grande del tempio (v. 6) può violare il sabato. Gesù rammenta anche l'invito delle Scritture all'esercizio della compassione (Os 6,6), dandogli precedenza sul sacrificio (v. 7). Più grandi del tempio sono, infatti, anche quei poveri prediletti dal Signore, verso i quali egli vuole sia indirizzata la misericordia del suo popolo.

Proclamandosi "signore del sabato" Gesù afferma la sua divinità, in quanto Figlio di Dio incarnato, superiore alla presenza di Dio nell'edificio cultuale. Egli ci chiama a partecipare del suo sacerdozio eterno (Eb 1,4) per dispensare la misericordia infinita di Dio, come sacrificio perfetto e a lui gradito.

Preghiera

Signore, che offri un rifugio agli uccelli del cielo presso la tua casa; donaci di essere saziati dalla tua grazia e di vivere al riparo della tua misericordia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 17 luglio 2024

Fermati 1 minuto. Una gioiosa partecipazione all'opera divina

Lettura

Matteo 11,28-30

28 Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. 29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».

Commento

Dopo aver proclamato la beatitudine degli umili, ai quali vengono rivelati il Cristo e il suo Regno, Gesù esorta gli affaticati e gli oppressi ad andare a lui. Costoro, paradossalmente, troveranno ristoro ponendo su di sé il giogo del Signore. Ma come è possibile essere liberati dall'oppressione sottomettendosi e vincolandosi?

Questa, purtroppo, è l'impressione che al giorno d'oggi molti hanno della fede: semplicemente una religione, ovvero un insieme di norme da rispettare, spesso con fatica. Il rischio di un cristianesimo legalista è di replicare l'oppressione generata dal modo di spiegare la legge degli scribi e dei farisei, dei quali Gesù afferma: «Legano pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito» (Mt 23,4). 

Gesù invita all'obbedienza alla sua parola, che dà ristoro perché dona la salvezza, mediante la giustificazione e la santificazione. La vita del credente è più che una religione: è un'esperienza di comunione con Dio. E poiché  Dio è il creatore di tutto e colui che governa tutto, essere "sottomessi a lui" significa regnare con lui, in lui. 

La vera religione è lontana tanto dall'arbitrio individualistico quanto dalla sterile precettistica; è un'esperienza di liberazione e di gioiosa partecipazione all'opera divina.

Gesù ci libera da tutto ciò che ci appesantisce lungo la via della salvezza; anche da quei pesi inutili che spesso noi stessi ci siamo caricati sulle spalle. Come ai suoi apostoli egli ci dice: «Venite... riposatevi un po'» (Mc 6,31).

Preghiera

Guidaci, Signore, verso la libertà dei figli di Dio; affinché attraverso la mitezza e l'umiltà possiamo regnare con te e trovare ristoro. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 11 luglio 2024

Benedetto da Norcia. Padre del monachesimo occidentale

Oggi ricorre nel calendario monastico la festa di Benedetto, padre del monachesimo d'occidente.
«Vi fu un uomo di vita venerabile, Benedetto per grazia e per nome»: così inizia il secondo libro dei Dialoghi, in cui Gregorio Magno narra la vita del più famoso monaco latino, nato a Norcia intorno al 480. Inviato a Roma per compiere gli studi, Benedetto abbandonò la città, «sapientemente ignorante e saggiamente incolto, desideroso di piacere a Dio solo». Conobbe le diverse forme di vita monastica del suo tempo: il semianacoretismo ad Affile, l'eremitismo in una grotta vicino a Subiaco, infine il cenobitismo indisciplinato e decadente di quell'epoca. Dopo un tentativo fallito di riformare un monastero già esistente, Benedetto tornò nella solitudine, raggiunto ben presto da molti, che desideravano mettersi sotto la sua paternità spirituale. Egli organizzò per i suoi discepoli delle piccole comunità, assegnando loro degli abati e istruendoli nella conoscenza delle Scritture, nella vita fraterna e nella preghiera.
Nel 529 Benedetto si trasferì con alcuni monaci a Montecassino, per dar vita a un nuovo tipo di monastero. Per questo cenobio, unico e con un solo abate, egli scrisse la sua Regola, che testimonia il suo grande discernimento e la sua misura, e che sarebbe diventata il riferimento essenziale per tutto il monachesimo d'occidente. Benedetto organizzò le giornate della comunità contemperando tempi di preghiera e di lavoro, da lui ritenuti ugualmente imprescindibili per la vita del monaco.
Secondo un'antica tradizione, il padre dei monaci latini morì il 21 marzo del 547.

Tracce di lettura

Dice il Signore: «Chi è l'uomo che vuole la vita e che desidera vedere giorni felici?». Ecco, il Signore nel suo grande affetto ci mostra la via della vita: percorriamo sotto la guida dell'Evangelo le sue vie, per giungere a vedere colui che ci ha chiamati al suo regno.
È perciò necessario che istituiamo una scuola del servizio divino, all'interno della quale speriamo di non stabilire nulla di aspro o di gravoso; ma se anche, in ragione di un necessario equilibrio, ne risultasse qualcosa di un poco appena più ristretto, in vista della correzione dei vizi e del mantenimento della carità, non tornare indietro, atterrito per lo spavento, dalla via della salvezza. Man mano infatti che si avanza nella vita di conversione e di fede, si corre sulla via dei comandamenti con il cuore dilatato nell'inesprimibile dolcezza dell'amore.
(Benedetto, Prologo della Regola).

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Benedetto (ca 480-547)