Estratto dell'intervista a Brunetto Salvarani, di Pierluigi Mele, RaiNews, 13 maggio 2022
Professor Salvarani, domenica sarà un giorno davvero importante per la Chiesa Cattolica: è il giorno della canonizzazione di Fratel Charles de Foucauld. In estrema sintesi chi era De Foucauld?
Charles-Eugène de Foucauld nasce a Strasburgo, in Alsazia, il 15 settembre 1858, da un’antica famiglia nobiliare il cui storico motto è “Mai ritirarsi!”; morirà in circostanze drammatiche, nel deserto algerino in cui si era spinto (e non ritirato) per seguire quella che aveva finalmente intuito essere la sua definitiva vocazione, il 1° dicembre 1916. Ebbe una vita piuttosto breve, dunque, appena cinquantotto anni: eppure, le definizioni che gli si potrebbero attribuire sono tante, e variegate. Ufficiale di cavalleria ben disposto all’azione, brillante esploratore in terra africana, stimato geografo ed etnologo, meticoloso linguista, e naturalmente uomo dello Spirito, presbitero, monaco e poi eremita in Dar al-Islam. A dispetto di ciò e di un’esistenza quanto mai poliedrica, in realtà, di tutti gli obiettivi che si era dato, egli non ne raggiunse nemmeno uno: avrebbe voluto fondare un ordine religioso, o almeno un istituto di fratelli, ma nonostante ripetuti tentativi e sperimentazioni non ci riuscì. Rifiutò d’altra parte, inoltre, di diventare ciò che di volta in volta gli veniva richiesto dalla famiglia e dalle occasioni che gli si pararono davanti, dapprima studente modello e poi soldato di carriera, scegliendo di rimanere costantemente ai margini, per consegnarsi alla fine al silenzio, all’ascolto e alla preghiera. Pur abitando nel deserto profondo fianco a fianco con i Tuareg, tradizionalmente musulmani sunniti, non determinò in loro alcuna conversione al Vangelo, fino a trovare la morte, assassinato per futili ragioni, quando ancora era nel pieno della sua maturità intellettuale e spirituale. Per di più, infine, non lo si può dire un teologo in senso stretto, né un pensatore originale: quando morì, non aveva pubblicato nessuno dei suoi scritti spirituali né i suoi lavori di linguistica. Del resto, fu lui stesso a sceglierlo, sostenendo che le opere di misericordia da realizzarsi da parte dei futuri Piccoli Fratelli di Gesù si dovevano limitare a quelle che Gesù compieva a Nazaret: accogliere gli ospiti e dare loro l’elemosina. La sua è una biografia sicuramente inquieta, quella di un uomo ansioso che non ha mai smesso di cercare: il sale della vita, se stesso, Dio, e alla fine soprattutto, e sopra ogni altra cosa, Gesù.
La sua vita avventurosa si è sviluppata fino a diventare "piccolo fratello universale". Perché "Piccolo fratello universale"? Un "carisma", per usare una terminologia paolina, molto particolare… ed impegnativo…
Sin dall’inizio del soggiorno di de Foucauld in Algeria a Béni Abbès, nel 1901, emerge chiaramente la sua aspirazione a produrre germi di fraternità universale. Rivelativa, fra le altre, è una lettera per la cugina Marie, del 7 gennaio 1902: “Mi avete chiesto una descrizione della cappella… La cappella, dedicata al Sacro Cuore di Gesù, si chiama cappella della fraternità del Sacro Cuore di Gesù; la mia piccola dimora si chiama fraternità del Sacro Cuore di Gesù. Voglio abituare tutti gli abitanti, cristiani, musulmani, ebrei e idolatri, a considerarmi come loro fratello, il fratello universale… A poco a poco cominciano a chiamare la casa la fraternità, e ciò mi fa piacere…”. Una fraternità, per l’appunto, assai movimentata, stando alle sue confidenze all’abate di Notre-Dame des Neiges: “Tutti i giorni ospiti, a cena, a dormire, a colazione; non c’è mai stato vuoto; ce ne sono stati undici, una notte, senza contare una vecchia inferma che ormai si è stabilita qui: ho dalle sessanta alle cento visite al giorno: questa fraternità è un alveare”. Due anni dopo, nel luglio 1904, ancora a Marie, scriverà: “Gli indigeni ci accolgono bene. Quando sapranno distinguere i soldati dai preti e vedere in noi dei servi di Dio, ministri di pace e di carità, fratelli universali? Non lo so. Se io faccio il mio dovere, Gesù effonderà grazie abbondanti, ed essi comprenderanno”. Unico prete in un raggio di quattrocento chilometri di deserto sahariano, egli parla ormai esplicitamente della fraternità come della sua casa, un luogo aperto a chiunque nel quale tutti, cristiani, musulmani, ebrei, ma anche quelli chiamati idolatri, si possano sentire accolti e mai giudicati. Un concetto di fraternità che risulta ancor più significativo se contestualizzato nella strategia missionaria elaborata dal papa dell’epoca, Leone XIII, basata sulla tesi che l’attività dei missionari cattolici deve nel contempo risultare evangelizzatrice e civilizzatrice, religiosa ma anche politico-sociale. E che troverà il suo compimento ideale quando Charles si porterà nell’Hoggar, nell’Algeria meridionale (duemila chilometri a sud di Algeri), a condividere la vita con i Tuareg a Tamanrasset. Che sarà la sua ultima dimora.
De Foucauĺd viene richiamato spesso nel dialogo tra cristiani e musulmani. Al riguardo, per un attimo approfondiamo il suo rapporto con Luis Massignon. Massignon, il grande islamista francese, che segnerà in modo decisivo il cambiamento di approccio della Chiesa Cattolica nei confronti dell'Islam. Perché è così importante questo rapporto tra Massignon e Foucauld?
Nel dialogo cristiano-islamico è sempre possibile custodire una spiritualità dell’ospitalità. L’aveva colto a fondo uno dei primi pionieri di tale dialogo, appunto Louis Massignon, il cui slogan potrebbe essere: “per capire l’altro devi diventare suo ospite”. In realtà, l’intera avventura umana e spirituale di Massignon porta iscritto il paradigma dell’ospitalità: egli sperimenta, infatti, l’ospitalità sacra riservatagli dagli amici musulmani (per i quali l’ospitalità è diyafa, dovere sacro), ed è questo che gli permette di interpretare in maniera chiara la lezione di Abramo e dei suoi tre ospiti nel racconto della Genesi (18, 1-16). Alla scuola della mitologia biblica e della vita accolta, Massignon apprenderà che l’ospitalità non è solo un semplice gesto di ambito etico, ma rappresenta, molto di più, la possibilità di capire la vita dell’altro quando ci si lascia ospitare al suo interno. Siamo a conoscenza di un suo rapporto fraterno con de Foucauld. Massignon incontra frère Charles una prima volta nel 1909, restando poi in contatto epistolare con lui, prima per ragioni di studio e poi con l’intenzione di divenirne discepolo, fino alla sua morte. Di conseguenza, egli farà di tutto per mantenere viva l’Unione voluta dal suo fratello maggiore: pubblicherà il Direttorio e avvierà l’Associazione Charles de Foucauld, per la quale ottiene l’autorizzazione dal cardinale Léon-Adolphe Amette, arcivescovo di Parigi dal 1908 al 1920. Il suo ruolo nel custodire e trasmettere la memoria di quello che chiamava anche il suo amico del deserto è dunque cruciale. L’ultima lettera inviata da frère Charles a Massignon è datata 1° dicembre 1916: quella stessa sera egli sarà ucciso, nel corso di un assalto al suo fortino, da una banda isolata di Tuareg alleati ai Senussiti libici. Era un venerdì, il primo venerdì del mese, e la sua intenzione di preghiera per quel dicembre era la conversione dei musulmani. E’una lettera commovente e densa di emozioni…
Quello di Fratel Carlo, lì nel deserto algerino, a Tamanrasset, fu un apostolato della bontà. Ed è quello che sta attualizzando, tra mille conflitti, Papa Francesco. Si può dire, allora, che il papato di Bergoglio è nel segno di Charles de Foucauld: nel senso che la vera essenza del papato è quello di essere un "fratello universale"?
Certo, è così! Lo si può cogliere bene, al di là dei tanti gesti, viaggi e discorsi di papa Bergoglio, utilizzando con una preziosa bussola, la sua enciclica Fratelli tutti, cuore pulsante di un progetto che – mettendo a fuoco il complesso reticolo dei rapporti fra cristiani e musulmani – è in grado di fungere da cartina di tornasole di una Chiesa autenticamente, e coraggiosamente, in uscita. In entrambi i casi, per de Foucauld e Bergoglio, il solo metro di paragone, il Modello Unico (come lo chiamava il primo), è, e non può essere altrimenti, Gesù di Nazaret. Da qui, lo stretto rapporto che papa Francesco ha scelto di instaurare con l’eremita francese, eleggendolo a punto di riferimento ideale e stella polare del suo progetto di relazioni fraterne con il mondo musulmano. Un progetto, ovviamente, del tutto antitetico al ventilato scontro di civiltà che ha furoreggiato nella cultura occidentale all’indomani dei tragici attentati dell’11 settembre 2001. In tale ottica, Bergoglio sta tessendo una sistematica contro-narrazione rispetto alla ricorrente narrativa della paura. È a questo livello che si comprende il significato storico del suo impegno contro i muri e ogni forma di guerra di religione, nell’intento di svuotare dall’interno la macchina narrativa dei millenarismi settari che ombreggia una presunta apocalisse incombente e lo scontro finale. Facendoci comprendere che, come aveva ben inteso de Foucauld, in definitiva e nonostante le sirene contrarie, ospiti della terra nostra casa comune, siamo fratelli (e sorelle) tutti.
Ultima domanda: ai non credenti, o agli indifferenti, cosa ha dire una figura come di Charles de Foucauld?
Beh, un dato di fatto è che il nome di de Foucauld è divenuto, nel corso dei decenni, una bussola sicura – direi anzi imprescindibile – per orientarsi in molteplici ambiti: in particolare, per chi accetti di lasciarsi affascinare da una spiritualità del deserto accessibile sia ai credenti sia ai (cosiddetti) non credenti. “Nella sua immagine – scrive Franca Giansoldati - forse possono riconoscersi tutti i falliti della storia”. Ma già il suo primo biografo, René Bazin, aveva colto tale aspetto, presentandolo così: “E’ stato il monaco senza monastero, il maestro senza discepoli, il penitente che sosteneva, nella solitudine, la speranza di un’età che non doveva vedere…”. E soprattutto ha ragione il padre Bernard Ardura, suo postulatore nella causa di santificazione: se tanti amano frère Charles è “perché lo sentono vicino… Quelli che l’hanno scoperto lo sentono molto vicino perché incarna in qualche modo l’ideale della fede cristiana”. E “coloro che non sono particolarmente credenti vedono in quest’uomo certamente una grandissima umanità”. Frère Charles, infatti, fu un uomo che non sopportò le mezze misure, le mediazioni, gli equilibrismi, e tanto meno i compromessi, transitando spesso da un estremo all’altro, dagli abissi della dissipazione alla gloria mondana fino alla perfezione evangelica. Ecco perché, imbattendosi in lui e nella sua storia da moderno padre del deserto, è impossibile rimanere indifferenti: o ci si innamora ingegnandosi a conoscere tutto di lui, o ci si rifiuta di farsi coinvolgere, di fronte a quello che potrebbe anche apparirci un idealista un po’ folle, incapace di fare i conti con la dura realtà. Tutto e subito, come quando Charles, il cristianesimo, lo ri-scopre (letteralmente, nel senso che riesce a togliere il velo che ne faceva la depositaria religione di famiglia, alla quale era costretto ad adeguarsi). Tanto da ammettere, nel 1886, già ventottenne: “Appena ho creduto che Dio esiste ho capito che non avrei potuto fare altro che vivere solo per lui”.
Brunetto Salvarani |
Brunetto Salvarani è teologo, saggista e critico letterario. Docente di Teologia della Missione e del Dialogo presso la Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna, è stato conduttore, con Gabriella Caramore, della trasmissione Uomini e profeti, in onda su Rai Radio 3. Tra le sue pubblicazioni più recenti: «Mille volte e in diversi modi». Manuale di dialogo interreligioso (2016); La Bibbia di De André (2015); Il dialogo è finito? Ripensare la Chiesa nel tempo del pluralismo e del cristianesimo globale (2012). Ha curato Francesco d’Assisi. «Guardate l’umiltà di Dio». Tutti gli scritti di Francesco d’Assisi e L’imitazione di Cristo per la collana «I Grandi Libri dello Spirito», diretta da Vito Mancuso.