Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

sabato 31 maggio 2025

Eccellere nella carità

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA DOMENICA DOPO L'ASCENSIONE

Colletta

O Dio, re della gloria, che hai esaltato il tuo unico figlio Gesù Cristo con grande trionfo nel regno dei cieli; ti supplichiamo di non lasciarci senza conforto, ma di mandare il tuo Santo Spirito a consolarci e ad esaltarci nello stesso posto in cui ci ha preceduti il nostro Salvatore Gesù Cristo, che vive e regna con te e con lo Spirito Santo, unico Dio, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Letture

1 Pt 4,7-11; Gv 15,26-27;16,1-4

Commento

Nell'attesa del suo ritorno, come Signore del tempo che porta a compimento tutte le cose Gesù non ci lascia soli ma ci promette il Consolatore. 

I credenti ne hanno bisogno, perché lo Spirito di verità, sarà con loro mentre imperverseranno la violenza e la menzogna: "chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio" (Gv 16,2). 

Questa è "la loro ora", in cui le forze ostili al vangelo, che hanno messo a morte colui che ha vinto la morte, crederanno di poter ancora cambiare la storia, che invece è ormai stata orientata verso la liberazione finale nel Cristo veniente. 

Tutto l'odio che si era riversato contro Gesù durante la sua vita ora si scatena contro i credenti, ma il Consolatore proclamerà la giustizia di Cristo e assicurerà la condanna della potenza demoniaca che ora domina il mondo.

In questa travagliata attesa i cristiani sono chiamati a distinguersi - come esorta Pietro nella sua prima lettera - per moderazione e sobrietà. La loro vita è proiettata verso Dio e verso le necessità del prossimo, nella dedizione alla preghiera (1 Pt 4,7), all'ospitalità (1 Pt 4,9) e al servizio degli altri, secondo la grazia ricevuta dallo Spirito. 

Due sono i grandi ministeri che distinguono gli apostoli: "chi parla... con parole di Dio", dedicandosi alla predicazione e "chi esercita un ufficio", ovvero chi esercita la diakonìa, che si esplica nel servizio ai poveri.

Gesù ci chiama a rendergli testimonianza (Gv 15,26-27) in una laboriosa attesa; possiamo farlo nei tempi, nei luoghi, nei modi che appartengono al nostro specifico stato di vita nel mondo, che è poi il carisma che ci è stato assegnato. Tutti siamo chiamati, in modo diverso, a eccellere nella carità (1 Pt 4,8).

- Rev. Dr. Luca Vona

Non trascurare il significato dell'Ascensione di Gesù

Il giorno dell'Ascensione sembra essere la Cenerentola del calendario ecclesiastico. Il Natale cattura la nostra attenzione celebrando l'incarnazione del Figlio di Dio. Il Venerdì Santo ricorda il sacrificio del Salvatore. La Pasqua ci spinge ad esultare nel suo trionfo sulla morte. La Pentecoste commemora l'effusione dello Spirito Santo.

Ma notiamo il giorno dell'Ascensione, che passa in punta di piedi ogni giovedì? Ci fermiamo meravigliati innanzi all'ascesa di Gesù tra le nuvole alla destra di Dio, l'evento che forma il ponte indispensabile tra Pasqua e Pentecoste?

I fondamenti dell'Antico Testamento

Il racconto di Luca in Atti 1-2 riflette tre scritture antiche che illuminano l'ascensione di Gesù:

Elia ascende ed Eliseo riceve lo Spirito - Come Elia "fu rapito in un turbine verso il cielo", così Gesù "fu elevato". Come Eliseo ricevette lo spirito che aveva potenziato Elia, così gli apostoli avrebbero presto ricevuto lo Spirito Santo.

Il Figlio dell'uomo sulle nuvole - La "nuvola" che nascose Gesù dalla vista degli apostoli allude alla visione di Daniele del "figlio dell'uomo" che viene "con le nuvole del cielo" all'Antico dei giorni per ricevere un regno indistruttibile. Davanti al Sinedrio, Gesù collegò Daniele 7 con il Salmo 110: "Vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della potenza e venire con le nuvole del cielo".

Assiso alla destra di Dio - Il Salmo 110,1 era ben presente nella mente di Gesù mentre si avvicinava la croce e la risurrezione. Pietro citò questo salmo alla Pentecoste, annunciando che i segni dell'effusione dello Spirito erano prova dell'ascesa di Gesù al cielo: "Pertanto, essendo stato innalzato alla destra di Dio e avendo ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, ha sparso quello che voi vedete e udite".

Il significato profondo

L'uso del Salmo 110 da parte di Pietro chiarì che l'intronizzazione regale di Cristo alla destra di Dio era il prerequisito indispensabile per conferire lo Spirito Santo al suo popolo.

Nessuna ascensione, nessuna Pentecoste. Nessuna Pentecoste, nessuna distribuzione dei doni dello Spirito. Nessuna distribuzione dei doni, nessuna testimonianza evangelica mondiale. Tutto dipende dal Cristo asceso e regnante.

Le citazioni dell'Antico Testamento nel racconto dell'ascensione illuminano il messaggio meraviglioso: Gesù è entrato in cielo in gloriosa rivendicazione come Rivelatore del Padre, il Figlio dell'uomo che regna supremamente, e il Messia che dona lo Spirito. Il Cristo vivente, asceso e regnante è attivo oggi nella tua vita e nella sua chiesa attraverso la sua Parola vivente e il suo Spirito onnipresente e onnipotente.

- Fonte: Dennis E. Johnson, The Gospel Coalition, 29 maggio 2025

venerdì 30 maggio 2025

Dalla critica radicale alla mistica: l'itineriario spirituale di Gottfried Arnold

La Chiesa luterana fa oggi memoria di Gottfried Arnold, teologo in Sassonia.

Gottfried Arnold (1666-1714) fu un teologo e storico della Chiesa tedesco, figura chiave nel Pietismo e nella storiografia religiosa. Il suo pensiero si caratterizzò per una critica radicale alle istituzioni ecclesiastiche e una profonda simpatia per i movimenti ereticali e mistici, considerati da lui come i veri custodi della spiritualità autentica.

Critica alla Chiesa istituzionale

Arnold rifiutò l’ortodossia luterana dominante, sostenendo che la vera fede cristiana fosse stata corrotta dopo l’epoca apostolica, specialmente con l’alleanza tra Chiesa e potere politico sotto Costantino. La sua opera Die erste Liebe (Il primo amore, 1696) idealizzava la comunità cristiana delle origini come modello di purezza e povertà, contrapponendola alla corruzione delle Chiese istituzionali.

Rivalutazione dell’eresia

La sua opera più celebre, Unparteyische Kirchen- und Ketzer-Historie (Storia imparziale della Chiesa e degli eretici, 1699-1700), rivoluzionò la storiografia ecclesiastica. Arnold rifiutò le fonti ortodosse, basandosi invece sugli scritti degli stessi eretici, e arrivò a dichiarare: "Coloro che creano eretici sono i veri eretici, mentre i perseguitati sono i veri credenti". Questo approccio influenzò successivamente pensatori come Goethe e Tolstoj, che ne lodarono l’imparzialità.

Misticismo e spiritualità interiore

Influenzato da Jakob Böhme e dalla teosofia cristiana, Arnold sviluppò un misticismo centrato sull’esperienza soggettiva della fede. La sua opera Geheimniss der göttlichen Sophia (Il mistero della divina Sofia, 1700) introdusse un elemento femminile nella divinità, riflettendo l’influenza della tradizione sapienziale e mistica.

Evoluzione verso una posizione più moderata

Dopo una fase di radicalismo, Arnold si avvicinò a una forma di Pietismo più conciliante, accettando incarichi pastorali nella Chiesa luterana (1704-1714). Tuttavia, mantenne una visione critica verso il dogmatismo, dedicandosi a scritti devozionali che enfatizzavano un cristianesimo interiore e pratico.

Influenza e eredità

Le sue opere ebbero un impatto duraturo sul Pietismo, sull’Illuminismo religioso e su gruppi come i Mennoniti, che apprezzarono la sua difesa delle minoranze spirituali. Inoltre, i suoi inni sacri, alcuni musicati da Bach, rimasero nel repertorio protestante. La sua storiografia "imparziale" aprì la strada a una valutazione più equilibrata dei movimenti religiosi marginali, lasciando un’impronta significativa nella teologia e nella storiografia moderna.

Fermati 1 minuto. L'ora che genera la vita

Lettura

Giovanni 16,20-23

20 In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia.
21 La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo. 22 Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e 23 nessuno vi potrà togliere la vostra gioia. In quel giorno non mi domanderete più nulla.
In verità, in verità vi dico: Se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà.

Commento

La sofferenza dei santi è gioia per i peccatori, ma l'esperienza dolorosa dei discepoli non è uno stato definitivo, perché Cristo risorto si renderà presente e allora sboccerà la gioia. Per descrivere questo ribaltamento del dolore in felicità, Gesù ricorre all'immagine della madre che partorisce, applicata nell'Antico Testamento all'èra messianica (Is 66,7-9). Alla prova che ora attanaglia i discepoli - "la sua ora" (v. 21) della partoriente fa da parallelo all'ora della passione (Gv 2,4; 13,1) - subentrerà una gioia incorruttibile, legata alla nuova presenza di Gesù dopo la sua glorificazione.

Anziché la parola greca odin, che indica specificamente le doglie del parto, l'evangelista riporta il termine lype, che si riferisce non solo al dolore fisico, ma a quella particolare trepidazione che dà sofferenza intima. La gioia della donna non è motivata solo dall'aver dato alla luce un bambino (gr. paidion), ma un essere umano (gr. anthropos): come Eva gioì esclamando "'Ho acquistato un uomo dal Signore'" (Gn 4,1) i credenti gioiranno per aver acquistato Cristo risorto, culmine della nuova creazione. La loro gioia non potrà essere tolta perché supportata dalle evidenze della risurrezione e suscitata dallo Spirito.

Dopo la risurrezione Gesù apparirà in diverse occasioni ai suoi discepoli (Gv 20,19-29; 21,1-23; 1 Cor 15,1-8). Per quaranta giorni si mostrerà ad essi vivo (At 1,3) e successivamente alla sua ascesa al cielo, resterà presente nella Chiesa con il suo Spirito, fino al suo ritorno, come aveva promesso: "'Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre... Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi'" (Gv 14,16.18). I discepoli potranno indirizzare le loro richieste direttamente al Padre, per mezzo dello Spirito, nel nome di Gesù (v. 23).

Gli Atti riportano che nella chiesa primitiva "i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo" (At 13,52) e "Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore" (At 2,46).

Se le gioie che ci dà il mondo possono esserci tolte da numerose avversità, niente e nessuno potrà separarci dalla gioia che viene dall'amore di Cristo (Rm 8,35-39), tesoro ben custodito in cielo (Mt 6,19-20).

Preghiera

Signore Dio, fonte della gioia, sostienici nelle sofferenze del momento presente, affinché possa manifestarsi in noi la tua gloria. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Le divisioni liturgiche nella Generazione Z: tra tradizione e modernità

La Generazione Z, pur essendo tra le meno frequentanti la chiesa in America, sta silenziosamente guidando il culto cristiano in due direzioni apparentemente opposte. Da un lato, sempre più giovani si avvicinano a forme tradizionali e liturgiche come l'Ortodossia Orientale. Dall'altro, la musica cristiana contemporanea (CCM) sta vivendo una crescita esplosiva, diventando il quarto genere musicale in più rapida crescita negli Stati Uniti nel 2024.

La Sorprendente Divisione di Genere

Questa apparente contraddizione nasconde un pattern rivelatore: la principale linea di divisione non è teologica, denominazionale o politica, ma di genere. I giovani uomini gravitano principalmente verso il culto tradizionale, mentre le donne della Gen Z sono attratte dalla CCM. Questa non è una categorizzazione rigida - esistono molte eccezioni - ma il trend è sufficientemente chiaro da prefigurare importanti conseguenze future.

Per i giovani uomini, il culto tradizionale rappresenta stabilità in un mondo di costante reinvenzione. Cercano una fede che "pianti i piedi, incroci le braccia e dica: questo è ciò in cui crediamo, non è cambiato e non cambierà". L'Ortodossia offre loro strutture immutabili e certezze non negoziabili come contrappunto a una cultura caratterizzata dal cambiamento perpetuo.

Le giovani donne cristiane, invece, sono più interessate all'autenticità personale e all'intimità con Dio. La CCM risponde a questo bisogno con testi emotivi ed espressivi che proclamano: "Questo sono io, senza filtri né pretese. Sono qui, come sono, davanti a un Dio che mi ama". Anche questo può essere controculturale, ma rappresenta un'espressione di culto radicalmente diversa dalla liturgia tradizionale.

L'Amplificazione Digitale della Divisione

Questa separazione è drammaticamente amplificata dalla segregazione online dei generi nella Gen Z. Piattaforme come Reddit, YouTube e X (ex Twitter), a maggioranza maschile, sono diventate hub per discussioni teologiche profonde. Il gruppo "Orthodox Christianity" su Reddit conta oltre 85.000 membri, molti dei quali giovani che scoprono l'Ortodossia attraverso dibattiti online. Un membro di una chiesa ortodossa in California ha riferito di vedere regolarmente giovani uomini unirsi alla congregazione dopo aver incontrato l'Ortodossia in spazi digitali.

Nel frattempo, la CCM prospera su Instagram e TikTok, dove il pubblico femminile si coinvolge attraverso il fascino emotivo e visuale della musica. Gli algoritmi rinforzano queste divisioni in modo autoalimentante: più contenuti consumiamo, più ne riceviamo dello stesso tipo. La teologia che TikTok serve a una ventunenne è completamente diversa da quella che circola sui forum ortodossi o nel feed YouTube di Jordan Peterson.

Psicologia delle Preferenze: Agency vs Comunione

Secondo lo psicologo sociale Jonathan Haidt, questa divisione riflette differenze più ampie in ciò che uomini e donne tendenzialmente desiderano. Gli uomini spesso prioritizzano l'agency - la capacità di superare ostacoli interni ed esterni per crescere e raggiungere uno scopo. Le donne privilegiano frequentemente la comunione - la ricerca di relazioni, connessione e armonia.

Per i giovani uomini interessati a disciplina, autocontrollo e resilienza, l'Ortodossia e tradizioni simili offrono liturgie strutturate e digiuni rigorosi che l'evangelicalismo CCM non fornisce. Per le giovani donne che enfatizzano la connessione personale e la devozione a Dio, la CCM risuona profondamente perché l'industria produce musica pensando esattamente a questo segmento demografico.

Verso il Futuro: Rischi e Opportunità

Se queste due traiettorie continuano, l'autore non prevede nuove "guerre del culto" come negli anni '90, ma una divisione strutturale verso congregazioni completamente separate - non dibattiti accesi su inni e chitarre elettriche, ma uno scivolamento lento verso chiese interamente distinte.

Questo sarebbe problematico per ragioni ovvie. Mentre i cristiani si sono divisi in chiese diverse per molte ragioni dalla Riforma, non abbiamo mai visto intere chiese divise per genere. Sarebbe una novità storica preoccupante.

La Soluzione: Teologia del Recupero

La "teologia del recupero" di Gavin Ortlund offre una via d'uscita promettente. L'idea è recuperare tradizioni cristiane storiche per arricchire il culto moderno - non respingendo forme contemporanee come la CCM, ma approfondendole. Significa guardare indietro per andare avanti, reclamando pratiche perdute che hanno storicamente formato il culto cristiano.

Le chiese evangeliche potrebbero iniziare con un rinnovato focus sulla Comunione del Signore - forse settimanale invece che mensile o annuale. Questo è un atto sia di agency che di comunione, chiamando i credenti all'auto-esame, alla partecipazione comunitaria e all'incontro personale con Cristo.

Potrebbero anche far rivivere preghiere nella forma del responsorio o recitazione di credi che hanno formato il culto cristiano per secoli. Questi elementi forniscono il rigore che i giovani uomini cercano senza alienare le donne, essendo tradizionali e comunitari insieme.

Chiamata all'Azione

Autenticità e stabilità non devono essere in contrasto. Una chiesa che integra tradizione e innovazione, struttura ed emozione, agency e comunione nel culto invia un messaggio potente: la nostra fede è personale, radicata e distintiva. Uomini e donne possono adorare insieme in armonia, non in omogeneità, il Dio che li ha creati entrambi. Per il bene di questa generazione, è essenziale che ciò accada.

- Fonte: Luke Simon, Christianity Today, 29 maggio 2025

giovedì 29 maggio 2025

Fermati 1 minuto. Ancora un poco

Lettura

Giovanni 16,16-20

16 Ancora un poco e non mi vedrete; un po' ancora e mi vedrete». 17 Dissero allora alcuni dei suoi discepoli tra loro: «Che cos'è questo che ci dice: Ancora un poco e non mi vedrete, e un po' ancora e mi vedrete, e questo: Perché vado al Padre?». 18 Dicevano perciò: «Che cos'è mai questo "un poco" di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire». 19 Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «Andate indagando tra voi perché ho detto: Ancora un poco e non mi vedrete e un po' ancora e mi vedrete? 20 In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia.

Commento

Gesù si riferisce alla sua ascensione ("non mi vedrete") e alla discesa dello Spirito Santo ("mi vedrete"), perché lo Spirito renderà presente il Risorto nel cuore dei discepoli.

Lo stesso evento che porterà il mondo a rallegrarsi e i discepoli, privati della presenza fisica di Gesù, a rattristarsi, si muterà in gioia perché comporterà il dono dello Spirito, la cui assistenza continua sarà assicurata alla comunità dei credenti.

Quell'inquietudine di restare "aggrappati" a Cristo, la diligente ricerca del senso delle sue parole (v. 18) e l'umile desiderio di interrogarlo (v. 19), che furono dei discepoli, in virtù dello Spirito diventano in noi, come fu per loro a partire dalla Pentecoste, partecipazione anticipata al suo mistero, primizia delle cose future.

La grazia ci dona la capacità di tramutare la tristezza in gioia, di colmare il vuoto di senso, di bellezza, di bontà di un mondo immerso nelle tenebre dell'ignoranza e della malvagità, che si rallegra illudendosi di aver "tagliato fuori" il suo Salvatore. Ma il tralcio reciso diventa occasione per un innesto della nostra vita in Cristo, da cui possiamo attingere la linfa della vita eterna. "Ancora un poco" e saremo una cosa sola con lui.

Preghiera

Assicura la tua presenza, Signore, nel cuore dei credenti; affinché confortati e illuminati dal tuo Spirito possano portare gioia dove c'è tristezza, pace dove c'è inquietudine; a lode della tua gloria. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 27 maggio 2025

Paul Gerhardt, padre dell'innografia luterana

Nel 1676 muore a Lübben, in Germania, il pastore Paul Gerhardt, forse il massimo poeta dell'ortodossia luterana.
Nato nel 1607 a Gräfenhainichen, in Sassonia, Paul compì gli studi di teologia a Wittenberg, dove rimase dieci anni. Divenuto precettore a Berlino, nel 1651 egli fu eletto pastore a Mittenwalde. Tornato a Berlino e nominato diacono alla chiesa di San Nicola, Gerhardt esercitò per un decennio il proprio ministero dedicandosi alla composizione di poesie e inni religiosi.
Nelle sue opere, egli volle unire un fedele ascolto della Scrittura a un'osservanza rigorosa dei principi della fede luterana, e soprattutto a una forte attenzione alle esigenze della devozione popolare. Ispirandosi ai grandi inni medievali e alle opere dei mistici, egli propose una poesia semplice e profonda, capace di toccare l'intimo dei cuori senza incorrere negli eccessi in cui finiranno per scivolare alcuni pietisti tedeschi mossi da analoghe intenzioni. I suoi inni più celebri, musicati da Johann Sebastian Bach, si diffonderanno in tutte le chiese del mondo, ben al di là dei confini confessionali della chiesa luterana tedesca.
Nel 1668, Gerhardt perse il posto di pastore, poiché si rifiutava di sottoscrivere gli editti di tolleranza di Federico Guglielmo di Brandeburgo, dietro ai quali vedeva una negazione della professione di fede di Concordia. Con molta pace, egli si ritirò a Lübben, dove negli ultimi anni della sua vita fu poi reintegrato nel corpo pastorale.

Tracce di lettura

O capo insanguinato
coperto di piaghe e disonore,
o capo attorcigliato
da una corona di spine,
o capo ormai redento
che irradia ovunque onore,
a te rivolgo il mio saluto,
volto irriso del Signore.
O volto di bellezza
che ogni creatura timorosa
verrà per giudicare,
quanto sei stato sfigurato!
Quanto sei fragile e sfinito!
Tu che irradiasti
una luce incomparabile,
chi ti ha ridotto in questo stato?
(Paul Gerhardt, Inno "O capo insanguinato").

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Presenza incontenibile

Lettura

Giovanni 16,5-11

5 Ora però vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: Dove vai? 6 Anzi, perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore. 7 Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. 8 E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. 9 Quanto al peccato, perché non credono in me; 10 quanto alla giustizia, perché vado dal Padre e non mi vedrete più; 11 quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato.

Commento

Le parole di Gesù - "vado da colui che mi ha mandato" (v. 5) - attestano che egli non è tolto dal mondo con la forza ma volontariamente depone la sua vita, tornando al Padre.

La frase "nessuno di voi mi domanda: Dove vai?" forma una apparente contraddizione con la precedente domanda di Pietro (Gv 13,36) e quella di Tommaso (Gv 14,5), ma il contesto è differente. Qui Gesù si riferisce alla conclusione della sua missione: i discepoli non hanno ancora raggiunto la consapevolezza necessaria per fare domande sull'argomento.

La tristezza riempie i cuori dei discepoli per l'imminente dipartita di Gesù, ma questa implicherà diversi vantaggi: la sua morte vincerà il peccato e la morte stessa; il ministero dello Spirito, che egli invierà, sarà onnipresente e superiore alla presenza fisica di Gesù; mediante lo Spirito i credenti sperimenteranno l'adozione a figli di Dio. 

L'imminente passione suscita nei discepoli un senso di disfatta, la delusione delle loro aspettative, perchè ancora non comprendono che il regno che sta per essere instaurato non sarà di natura meramente terrena: la Chiesa sarà la presenza, vivificata dallo Spirito, del corpo di Cristo nel mondo, nell'attesa della consumazione dei tempi.

Lo Spirito convincerà il mondo del suo errore - dimostrando il diritto che aveva Gesù di presentarsi come Messia - mediante la risurrezione, con la predicazione carismatica degli apostoli e con la forza veritativa delle Scritture da lui ispirate. L'azione dello Spirito dimostrerà anche la condanna e disfatta di Satana, che perde il suo potere sul mondo liberato da Cristo.

Gesù ci chiede di "non trattenerlo" (Gv 20,17), di non essere rinchiuso nel perimetro di questo mondo e delle sue limitate aspettative, ma di lasciarlo andare là dove ci attirerà con il suo Spirito. Ci chiede insomma di lanciare lo sguardo oltre l'orizzonte terreno, verso la mèta ultima dei salvati dalla grazia: la comunione eterna con Dio, che tutto contiene ma che nulla può contenere.

Preghiera

Ricolmaci, Signore, della presenza e dei carismi del tuo Spirito, affinché possiamo testimoniarti in mezzo agli uomini ed essere edificati come pietre vive della tua Chiesa.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 26 maggio 2025

Agostino di Canterbury e l'evangelizzazione degli Angli

La Chiesa Anglicana, i veterocattolici e i luterani celebrano oggi la memoria Sant'Agostino di Canterbury, primo arcivescovo d'Inghilterra (morto a Canterbury tra il 604 e il 609). 
Nel 604, dopo aver portato a termine la sua missione in Inghilterra ed essersi assicurato un successore alla sede primaziale, muore Agostino, monaco e primo arcivescovo di Canterbury.
Fino al momento del suo invio da parte di Gregorio Magno, avvenuto nell'anno 596, di lui sappiamo soltanto che era priore del monastero romano di Sant'Andrea al Celio. La missione romana capeggiata da Agostino per evangelizzare il territorio inglese divenne possibile quando il re del Kent Etelberto sposò una principessa franca cristiana. Il papa di Roma Gregorio organizzò allora un primo gruppo di quaranta monaci per condurre l'Inghilterra alla fede in Cristo.
Agostino, non senza qualche esitazione lungo il cammino - per cui venne rimproverato da Gregorio -, alla fine obbedì, e gli fu concesso di stabilirsi nella città reale di Canterbury. In essa Agostino e compagni annunciarono il vangelo anzitutto con la testimonianza di una vita fraterna ispirata all'esempio delle comunità apostoliche.
Consacrato arcivescovo di Canterbury e primate della chiesa inglese, Agostino si adoperò, con l'aiuto di Gregorio, per dare basi solide alla comunità ecclesiale, edificando nuove chiese o restaurando le antiche chiese britanniche che erano state abbandonate dopo la prima evangelizzazione di quelle terre.
Alla dolcezza e al rispetto che Agostino mostrò verso i pagani, nella convinzione che l'adesione autentica al vangelo potesse avvenire soltanto nella piena libertà, Agostino non seppe unire un'analoga pazienza verso i problematici gruppi di cristiani già presenti nei territori occidentali dell'Inghilterra. Di conseguenza, pur avendo istituito le diocesi di York, di Londra e di Rochester, egli non riuscì a ottenere la piena unità dei cristiani britannici.
Agostino morì a Canterbury nel 604.

Tracce di lettura

Appena Agostino e i suoi compagni ebbero messo piede nella sede loro concessa, cominciarono a imitare la vita apostolica della chiesa primitiva: si consacravano a preghiere continue, veglie, digiuni, predicavano le parole di vita a quelli che potevano, disprezzavano tutte le cose di questo mondo come estranee; da quelli ai quali insegnavano prendevano solo quel poco che reputavano necessario al loro sostentamento; essi stessi vivevano seguendo in tutto quei precetti che insegnavano agli altri, con l'animo sempre pronto a sopportare qualsiasi avversità, e anche a morire per la verità che annunciavano.
(Beda il Venerabile, Storia ecclesiastica degli Angli 1,26)

- Dal martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Filippo Neri. La gioia rende saldo il cuore

Cattolici e anglicani ricordano oggi Filippo Neri, presbitero e fondatore degli Oratoriani.
Nato nel 1515 a Firenze, Filippo ricevette una prima educazione religiosa frequentando il convento domenicano di San Marco, dove da poco si era conclusa la grande stagione spirituale animata da Girolamo Savonarola.
All'età di diciotto anni, Filippo si recò a Roma, dove dimorerà per tutta la vita. Studente di teologia e di filosofia, egli amava ritirarsi in preghiera presso le catacombe, spostandosi come un pellegrino da una chiesa all'altra della città. Uomo semplice e gioviale, Filippo diede vita dapprima a una fraternità per l'assistenza di ammalati e pellegrini, quindi fu ordinato presbitero e si unì a un gruppo di preti che operavano presso la chiesa di San Girolamo.
Confessore e padre spirituale molto apprezzato, egli custodì la sua passione per la vita di preghiera anche quando si trovò circondato da un nutrito gruppo di giovani discepoli, molti dei quali diverranno a loro volta presbiteri. Nasceva in tal modo la Congregazione dell'Oratorio, così chiamata dal luogo di preghiera e d'incontro in cui troveranno ispirazione le opere di apostolato di Filippo Neri e dei suoi compagni.
Egli morì il 26 maggio del 1595. La sua fama e l'influsso della sua semplicità evangelica si diffonderanno dall'Italia alla Francia all'intera Europa occidentale. Sarà ammirato anche da un personaggio come Johann Wolfgang Goethe, non certo tenero con gli uomini di chiesa.

Tracce di lettura

Amate la vita comune, fuggite ogni singolarità, vigilate sulla purezza del vostro cuore: lo Spirito santo dimora nelle anime semplici e candide. E' lui il maestro della preghiera, che ci fa abitare nella vera pace e nella gioia incessante, facendoci pregustare in questo modo il cielo. La gioia rende saldo il cuore e consente di perseverare in una vita buona. Siate gioiosi.
(Agostino Valier, Filippo o Della gioia cristiana)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Filippo Neri (1515-1595)

Fermati 1 minuto. L'ora della prova

Lettura

Giovanni 15,26-16,4

15,26 Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; 27 e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio. 16,1 Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. 2 Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. 3 E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. 4 Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho parlato.
Non ve le ho dette dal principio, perché ero con voi.

Commento

Gesù promette ai suoi discepoli di mandare lo Spirito, quale aiuto nella testimonianza del vangelo; l'odio del mondo sarà tale da poterli scandalizzare, se questi non fossero assistiti in modo soprannaturale dal Consolatore.

Testimoniare Cristo provocò la cacciata dei discepoli dalle sinagoghe, la "scomunica" da parte delle autorità religiose e la condanna a morte. Anche oggi il mondo cerca di "tagliare fuori" i credenti, perché non avendo accolto la luce (Gv 1,5) li percepisce come un "corpo estraneo".

Il tempo della persecuzione è chiamato "la loro ora" (v. 4). Il termine delimita temporalmente la durata della prova e implica l'illusione della vittoria da parte dei persecutori. In realtà, l'ora della croce è proprio quella in cui si compie il mistero della salvezza, al quale partecipano coloro che rinnegano se stessi per seguire Gesù (Lc 9,23), per trovare la vita perdendola, conquistare l'essere che eccede il mero esistere.

In ogni epoca e per ogni credente vi è un'ora della persecuzione, un'ora più o meno "grande". Così è stato per i cristiani martirizzati sotto l'impero romano, per i molti missionari che hanno dato la vita per annunciare Cristo fino ai confini della terra e anche per quei credenti che vivono in una società apparentemente tollerante, ma in realtà ostile al messaggio di pace, giustizia, compassione, semplicità di vita, cui richiama il vangelo.

La testimonianza cristiana non è data solo con le parole ma è un farsi segno profetico nel mondo, "segno di contraddizione" come già fu Gesù (Lc 2,34). Ma anche quando sperimenta il rifiuto, la solitudine, l'avversità del mondo, il discepolo sa che può trovare nell'intimo del proprio cuore la pace e la gioia inviolabili del Consolatore, che è lo Spirito di Gesù con noi, nell'ora della prova, che ci separa dal non ancora del suo regno.

Preghiera

Rendici testimoni coraggiosi del tuo vangelo, Signore; rafforza la nostra fede e assicuraci il conforto del tuo Spirito nel momento della prova. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 24 maggio 2025

Siate facitori della parola

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUINTA DOMENICA DOPO PASQUA

comunemente chiamata Rogation sunday (Domenica delle petizioni)

Colletta

O Signore, dal quale proviene ogni cosa buona; concedi a noi, tuoi umili servi, di desiderare, mediante la tua santa ispirazione, ciò che è buono, e di perseguirlo mediante la tua guida misericordiosa. Per il nostro Signore Gesù Cristo. Amen.

Letture

Gc 1,22-27; Gv 16, 23-33

Commento

Nella Parola incarnata, che è Gesù Cristo, noi possiamo trovare la nostra vera natura, a immagine e somiglianza di Dio; ma l’apostolo Giacomo ci esorta a non limitarci a un compiacimento momentaneo: il nostro sguardo interiore deve restare fisso in essa, affinché lo Spirito ci trasformi, restaurando in noi la bellezza divina.

Il Signore non cerca semplicemente uditori della sua parola, ma persone che la mettano in pratica, "facitori della parola" (Gc 1,22): per il cristiano, l'essere, il fare, devono predominare sull'apparire.

In passato, in questo giorno di festa chiamato Rogation Sunday "Domenica delle petizioni", venivano presentate a Dio preghiere particolari per il raccolto della terra e per coloro che la lavoravano. Oggi continuiamo a riconoscere che attraverso la benedizione di Dio il nostro lavoro può portare frutti di carità in abbondanza.

La festività è occasione per domandare a Dio di insegnarci a svolgere il nostro lavoro con impegno e dedizione, quale contributo al bene della comunità umana; ma anche a coltivare con perseveranza i territori ancora aridi del nostro cuore, affinché possano produrre frutti di conversione.

Gesù esorta i suoi discepoli a chiedere, a chiedere nel suo nome, direttamente al Padre. E tutto ciò che chiederanno nel suo nome, il Padre lo concederà; la garanzia è data dal fatto che il Padre li ama perché loro hanno amato Gesù e hanno creduto che egli è venuto da Dio.

Chiedere nel nome di Gesù significa che le nostre richieste devono muoversi nel perimetro tracciato dal vangelo, dall'esempio stesso che Gesù ci ha dato con la sua vita. Nessun discepolo è più grande del maestro, così a volte non otteniamo ciò che chiediamo perché chiediamo la cosa sbagliata, qualcosa che ci allontana dalla vera sequela di Cristo.

Chiediamo dunque a Dio di insegnarci a "esaminare attentamente la legge perfetta" (Gc 1,25), che non è semplicemente un elenco di precetti, ma il Figlio di Dio che si è fatto uomo. E così, ascoltando attentamente, contemplando assiduamente, lo Spirito ci trasformi in lui, "di gloria in gloria". (2 Cor 3,18).

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 23 maggio 2025

Fermati 1 minuto. Non più servi ma amici

Lettura

Giovanni 15,12-17

12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. 13 Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. 14 Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. 15 Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. 16 Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17 Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.

Commento

L'amore che ci chiede di esercitare Gesù è un comandamento prima che un'emozione. Questo significa che deve travalicare le sensazioni del momento e le simpatie particolari, ma deve rappresentare una vera e propria scelta. L'amore non esclude il dovere della correzione, che deve essere sempre accompagnata dalla dolcezza e dalla vigilanza su di sé (Gal 6,1-2).

Vi è una stretta relazione tra l'amore e la fede. Senza la testimonianza della carità la nostra fede è vana e non risulta credibile.

Saremo amici di Gesù se faremo ciò che egli ha comandato (v. 14). L'amore che ci viene richiesto è dunque un amore fattivo, una fede che si fa operosa, non uno sterile assenso dell'intelletto o un devoto sentimentalismo.

Nei discepoli non c'è spazio per alcuna forma di orgoglio spirituale perché è Gesù che li ha scelti - "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi" (v. 16), a prescindere dai loro meriti, proprio come Israele fu costituito da Dio suo popolo a presceindere da ogni merito.

Anche i discepoli sono stati "costituiti" (v. 16), Gesù ha affidato loro un vero e proprio mandato, affinché portino frutto. Il frutto di questa elezione è descritto dal Nuovo Testamento e consiste nelle buone attitudini (Gal 5,22-23), nella rettitudine (Fil 1,11), nella lode (Eb 13,15) e soprattutto nella predicazione del vangelo della salvezza (Mt 28,18-20; Rm 1,13-16).

L'investitura che Gesù conferisce ai discepoli è in relazione con il suo esempio di amore totale (v. 12). I cristiani sono chiamati a seguire l'esempio dell'amore sacrificale di Gesù sulla croce, donandosi gli uni gli altri senza riserve.

Gesù assicura che la preghiera fatta nel suo nome - ovvero secondo le necessità del regno di Dio - sarà esaudita (v. 16). Dobbiamo impegnarci a chiedere soprattutto l'amore vicendevole che Gesù comanda, perché questi può essere ottenuto solo come dono soprannaturale. Non c'è bene più grande, perché se vi fosse carità ovunque, nessun altra legge sarebbe necessaria per gli uomini.

Preghiera

Insegnaci ad amare, Signore, come tu ci hai amati; affinché la carità operosa generi frutti di conversione, a lode del tuo Nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 22 maggio 2025

Fermati 1 minuto. Obbedienti per amore

Lettura

Giovanni 15,9-11

9 Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10 Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11 Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

Commento

Pur sapendo che la sua passione è prossima, Gesù non  ha dubbi sull'amore del Padre per lui e assicura ai discepoli il proprio amore, esortandoli a rimanere in esso.

Gesù non si riferisce a uno stato puramente emotivo, ma innanzitutto all'obbedienza: "Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore" (v. 10). 

Il modello della nostra obbedienza deve essere l'obbedienza di Gesù al Padre; come questa è alla base della gioia di Gesù, i credenti che obbediscono ai suoi comandamenti sperimentano la stessa gioia.

L'amore, non la paura, è dunque il fondamento dell'obbedienza al vangelo. Quell'amore che il cuore dell'uomo desidera ricevere e donare in abbondanza e che trova nella comunione con Cristo la qualità e la quantità dell'amore con cui il Padre e il Figlio si amano. Rinunciare a questo amore significa disertare la gioia. Trovarlo e coltivarlo colma la nostra più profonda aspirazione.

Preghiera

Guidaci, Signore, alla pienezza della gioia, lungo le vie dei tuoi comandamenti, sospinti dall'amore che tu stesso ci doni. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 21 maggio 2025

Fermati 1 minuto. Il buon agricoltore

Lettura

Giovanni 15,1-8

1 «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. 2 Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3 Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. 4 Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. 5 Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6 Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7 Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. 8 In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

Commento

L'immagine di Dio come agricoltore (questo il senso della parola greca georgos qui tradotta con "vignaiolo") è frequente nell'Antico Testamento, a significare il suo prendersi cura del suo popolo (Is 5,1-7; Ger 2,21; Ez 15,2; 17,5-10; 19,10; Os 10,1). In alcuni passaggi dei libri storici e profetici Dio, di fronte all'infedeltà di Israele, minaccia di "sradicare" la sua vite e gettarla lontano a seccare, ma sempre promette di tenersi un piccolo resto.

Vi è un gioco di parole in questo testo giovanneo, tra i termini greci traducibili rispettivamente con "togliere" (airo) e "purificare" (kathairo), tagliare e mondare. Quando Dio interviene, richiamando il suo popolo e il singolo credente all'umiltà e all'obbedienza, non si tratta di una cieca azione dettata dall'ira: egli pota le sue piante perché se ne prende cura amorevolmente e ne segue la crescita e lo sviluppo da vicino. 

Tra il momento in cui Dio semina e quello in cui raccoglie c'è dunque l'azione della sua provvidenza cosicché non solo raccoglie ciò che egli stesso ha seminato (contrariamente a quanto affermato dal servo inetto della parabola dei talenti; Mt 25,24), ma anche ciò che ha pazientemente coltivato.

Il nostro compito è dunque semplicemente quello di abbandonarci alla sua azione amorevole; di qui l'insistenza di Gesù a rimanere in lui come il tralcio nella vite (v. 5): il verbo "rimanere" (meno) viene ripetuto dieci volte in sette versetti.

Dimorare in Cristo significa essere radicati e fondati nell'amore, come esorta l'apostolo Paolo rivolgendosi agli Efesini (Ef 3,17), vivere l'abbandono fiducioso a questo amore e lasciarsi pervadere dalla sua linfa, farlo germogliare in noi, finché il "buon agricoltore" non deciderà di coglierne i frutti maturi.

Preghiera

Signore, un tralcio piantato a terra non porta alcun frutto; concedici di restare radicati e fondati in te per compiere le buone opere che tu stesso ci hai chiamato a fare e giungere alla maturità dell'amore. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 20 maggio 2025

Nil Sorskij, riformatore del monachesimo russo

La chiesa russa ricorda oggi Nil Sorskij (Nilo di Sora), monaco e animatore della rinascita esicasta nella Russia del XV secolo.
D'origine aristocratica, Nil Majkov era nato a Mosca nel 1433, ed entrò molto giovane nel monastero di San Cirillo del Lago Bianco, dove fu discepolo dello starec Paisij Jaroslavov. Appresi i rudimenti dell'esicasmo, Nil si recò al monte Athos e a Costantinopoli per approfondire la propria ricerca spirituale accanto ai grandi maestri dell'epoca. Egli rimase a lungo alla Santa Montagna, dove apprese l'arte della preghiera continua e del discernimento spirituale.
Tornato sul Lago Bianco, dopo un periodo di vita solitaria Nil si stabilì sulle rive del fiume Sora, non lontano dal suo monastero, organizzandovi una nuova forma di vita monastica, a metà strada tra quella cenobitica e quella eremitica, sull'esempio delle skiti dell'Athos. Nil mostrò sempre grande umanità verso i propri discepoli, che amava chiamare «miei signori e fratelli». La sua disponibilità ad aprire l'orecchio del cuore a Dio e al prossimo gli consentirono di imparare a riconoscere il proprio peccato e l'inesauribile misericordia di Dio, e di divenire testimone credibile di tale amore misericordioso. Nil Sorskij è per tutti i monaci russi un venerabile esempio di mitezza e di sobrietà evangeliche.
Convinto di dover contribuire alla nascita di un monachesimo più povero e meno mondano rispetto a quello dominante nei grandi centri monastici del suo tempo, Nil non esitò negli ultimi anni della sua vita a porsi a capo di un vero e proprio movimento di riforma che con parresia favorì il ritorno di molti monasteri a uno stile di vita radicalmente evangelico.
Nil Sorskij morì il 20 maggio del 1508.

Tracce di lettura

I santi padri, lottando con il corpo, coltivavano anche spiritualmente la vigna del loro cuore e, dopo aver purificato in tal modo la mente dalle passioni, trovavano il Signore e acquistavano l'intelligenza spirituale. E a noi che siamo consumati dal fuoco delle passioni essi hanno comandato di attingere l'acqua viva alla fonte della divina Scrittura, la quale può estinguere le passioni che ci consumano e mostrarci la vera intelligenza.
Per questo anch'io, grande peccatore e uomo privo di senno, ho raccolto alcune cose dalla sacra Scrittura e da quello che ci hanno detto i santi padri, e le ho scritte per conservarne il ricordo, perché io pure, incurante e pigro, le possa compiere.
(Nil Sorskij, Prologo della Regola)

- Dal martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Nil Sorskij (1433-1508)

Fermati 1 minuto. Pace a caro prezzo

Lettura

Giovanni 14,27-31

27 Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28 Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi; se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me. 29 Ve l'ho detto adesso, prima che avvenga, perché quando avverrà, voi crediate. 30 Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il principe del mondo; egli non ha nessun potere su di me, 31 ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato. Alzatevi, andiamo via di qui».

Commento

Gesù profetizza la sua passione e resurrezione affinché quando avverrà i discepoli possano restare saldi nella fede.

Il "principe del mondo" di cui Gesù annuncia l'imminente venuta (v. 30) è Satana, che sta per entrare in Giuda affinché questi compia il suo tradimento e Cristo venga crocifisso. Ma attraverso la passione Gesù mostrerà la sua obbedienza al Padre e il suo estremo atto di amore per l'uomo.

Cristo proclama il Padre più grande di lui (v. 28), perché il Figlio, incarnandosi, si è reso obbediente fino alla morte di croce (Fil 2,8). Il frutto di questa serena sottomissione è la pace, che Gesù dona al mondo. Shalom!, "Pace a voi!", è la prima parola che il Risorto dirà ai suoi discepoli.

La pace che dona Gesù è superiore alla pace debole e passeggera che dona il mondo. A livello individuale assicura ai credenti il soccorso nelle difficoltà, dissolve la paura e  realizza l'armonia nella Chiesa. Il pieno compimento di questa pace avverrà nel regno messianico (Is 9,6-7; 52,7; 54,13; 57,19; Ez 37,26; Zc 9,10).

La pace che dona Gesù è "a caro prezzo". Egli infatti ce la ottiene per mezzo della sua croce, riconciliandoci con Dio.

La pace del credente non è tuttavia esente da prove, perché ciascuno è chiamato a prendere su di sé la propria croce e seguire Gesù (Lc 9,23). Le tribolazioni diventano allora anch'esse luogo di incontro con Dio.

Il credente è colui che invoca la pace di Cristo là dove infuria la battaglia: nel mondo, nelle relazioni, nel suo stesso cuore ferito.

Preghiera

Signore, noi ti chiediamo quella pace che il mondo non conosce e che non ci può togliere; solo così avremo il coraggio di affrontare le prove della vita. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 19 maggio 2025

Dunstan di Canterbury e la bellezza di Dio

La Chiesa anglicana celebra oggi la memoria di Dunstan di Canterbury, monaco e arcivescovo primate della chiesa d'Inghilterra. Dunstan era nato nei pressi di Glastonbury, forse nel 910. Dalle sue biografie non traspare in modo del tutto chiaro se la sua famiglia fosse nobile, o se invece egli sia entrato dopo la sua nascita a far parte dell'importante casata del vescovo di Winchester. Ad ogni modo, fu quest'ultimo ad avviarlo alla vita monastica, spingendolo a entrare nell'abbazia benedettina di Glastonbury. Uomo di grande cultura e amante della bellezza, Dunstan si dedicò da monaco a diverse attività artistiche come la decorazione di manoscritti, la composizione di musica sacra e la lavorazione dei metalli preziosi. Nel 943 il nuovo re del Wessex lo nominò abate di Glastonbury e si avvalse della sua grande cultura per avviare la rinascita del monachesimo in tutto il paese. Da abate Dunstan promosse lo studio e l'amore per l'arte in diversi monasteri, organizzando una riforma che sarà portata a compimento quando egli verrà eletto arcivescovo di Canterbury sotto il re Edgardo. Anche se a partire dal 970 Dunstan perderà l'appoggio del re, non verrà comunque meno il suo impegno di predicatore, di maestro e di animatore del monachesimo, ed egli è ricordato dagli agiografi per il discernimento e l'energia con cui guidò sino alla fine la diocesi di cui era stato fatto pastore.

Tracce di lettura

Dunstan studiò con diligenza i libri degli antichi pellegrini irlandesi giunti a Glastonbury, meditando sulle vie della vera fede, e sempre esaminò con attenzione i libri di altri sapienti che egli, grazie alla visione profonda del suo cuore, aveva percepito essere confermati dagli insegnamenti dei santi padri.
Egli vigilava sulla propria condotta ricorrendo ogni volta che poteva all'esame delle sante Scritture, ed era come se Dio in esse gli parlasse. E veramente, ogni volta che poteva essere sollevato dalle sollecitudini terrene per deliziarsi nella preghiera, sembrava che fosse lui a parlare a Dio.
(Vita di Dunstan 11)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Memoria e parola vivente

Lettura

Giovanni 14,21-26

21 Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui».
22 Gli disse Giuda, non l'Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?». 23 Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24 Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
25 Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. 26 Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

Commento

Il "Giuda, non l'Iscariota" qui menzionato potrebbe essere il "Giuda Taddeo" menzionato dai sinottici (Mt 10,3; Mc 3,18), ma alcune versioni del testo riportano "Giuda il Cananeo". Le sue parole tradiscono una visione trionfalistica del Messia, ma Gesù gli risponde che si manifesterà spiritualmente e solo a chi crede in lui.

Gesù insiste sull'osservanza dei suoi comandamenti (v. 21) e della sua parola (vv. 23 e 24) per poter ricevere il suo amore e la sua manifestazione. La promessa è rivolta non solo agli apostoli ma a ogni credente che si mantiene fedele al vangelo. La rivelazione è presentata da Gesù non come una semplice comprensione intellettuale, ma come l'essere resi partecipi della stessa vita di Dio, il quale non si manifesterà a distanza, come fece con Mosè nel roveto ardente, ma prenderà dimora nell'anima di ogni discepolo obbediente.

Il Consolatore, lo Spirito Santo, ricevuto dal credente, a sua volta risveglia la memoria dell'insegnamento di Gesù e richiama alla costanza nell'impegno di annunciare il vangelo. Troviamo in questo brano la seconda delle cinque promesse dello Spirito Santo che costelleranno i discorsi che Gesù sta pronunciando (Gv 14,16-17; 14,26; 15,26; 16,7-11; 16,13-15).

Il ricordo della rivelazione di Gesù e la sua accurata comprensione prenderanno forma nelle Scritture del Nuovo Testamento, mentre lo Spirito accompagnerà gli apostoli testimoniando con opere potenti (Eb 2,4) la parola del vangelo. La memoria di Cristo nella Chiesa non è lettera morta ma è lo Spirito Santo: memoria e parola vivente.

Mediante la fede troviamo una casa in Dio e Dio trova una casa in noi. Figli nel Figlio, amati dal Padre, guidati dallo Spirito, possiamo custodire e portare Dio in ogni luogo e in ogni momento.

Preghiera

Signore, ti apriamo la porta del nostro cuore; vieni ad abitare in mezzo a noi; affinché possiamo essere consolati e diventare consolatori, mediante la tua parola di salvezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 18 maggio 2025

Ricevete con mansuetudine la parola che è stata piantata in voi

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUARTA DOMENICA DOPO PASQUA

Colletta

Dio Onnipotente, che solo puoi governare la volontà e le affezioni disordinate degli uomini peccatori; concedi al tuo popolo, di amare ciò che comandi e desiderare quanto hai promesso; affinché attraverso i molteplici rivolgimenti del mondo, i nostri cuori possano restare fissi laddove la vera gioia può essere trovata. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Gc 1,17-21; Gv 16,5-15

Commento

Il dono dello Spirito è il soggetto delle letture proposte dalla liturgia di oggi, che precede le festività dell'Ascensione e della Pentecoste.

Le parole di Gesù indicano che il suo sottrarsi a noi non è privo di frutti. Egli ci lascia, per un breve tempo, per fare ritorno al Padre, affinché possa donarci lo Spirito che ci guiderà alla verità tutta intera (Gv 16,13). Per questo l'apostolo Giacomo, nella sua lettera ci dice che "ogni buona donazione e ogni dono perfetto vengono dall'alto" (Gc 1,17).

La parola di Dio, che troviamo nelle Scritture, deve essere al centro della vita cristiana. Ma la parola di Dio non è lettera morta, la nostra non è la religione del libro. L'ascolto delle Scritture passa innanzitutto attraverso la liturgia, dove Gesù è presente in mezzo a noi e ci parla, non da un lontano passato ma con parole vive che si confrontano con la realtà di oggi. 

Quando ci parla Dio ci dà sempre del “tu”. Così la Parola di Dio trascende la vicenda del Gesù storico e si presenta come Logos eterno, ma non distaccato dalla nostra vicenda terrena; capace, anzi, di trascendere gli inevitabili limiti spaziali e temporali cui è stata soggettà la predicazione di Gesù.

L'immagine evocata dalla colletta della liturgia odierna - che chiede a Dio di tenerci saldi tra i rivolgimenti del mondo - sembra mutuata diretamente dal motto dell'ordine certosino: "Stat crux dum volvitur orbis" ("La croce resta salda mentre il mondo gira"). Non è improbabile, perché l'Arcivescovo Thomas Cranmer, che è l'autore diretto di questa preghiera, possedeva nella sua biblioteca una vita di San Bruno, fondatore dell'Ordine certosino, nonché un commento ai Salmi del certosino Ludolfo di Sassonia.

Anche Giacomo nella sua lettera ci ricorda che nel Padre "non vi è mutamento né ombra di rivolgimento" (Gc 1,17). È questo il dono dello Spirito: una parola capace di governare le nostre anime, che diversamente sarebbero come imbarcazioni prive di timone e in balìa della tempesta. Sono immagini che richiamano alla mente l'episodio evangelico in cui Gesù sgrida i venti e comanda le acque, riportando la bonaccia, dopo che i discepoli avevano temuto il naufragio.

Accostiamoci dunque con fede alla parola di Dio affinché lo Spirito ci conduca al porto sicuro della vita nella grazia.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 16 maggio 2025

Fermati 1 minuto. La verità è un cammino

Lettura

Giovanni 14,1-6

1 «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. 2 Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; 3 quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. 4 E del luogo dove io vado, voi conoscete la via».
5 Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?». 6 Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.

Commento

Con questo discorso di commiato, che si svolge nella stanza in cui si è consumata l'ultima cena, mentre Giuda si è già allontanato, Gesù incoraggia i discepoli in vista della sua passione che sta per compiersi.

Al turbamento dei discepoli espresso dal verbo greco tarasso - lo stesso usato da Gesù alla morte di Lazzaro - viene contrapposta la fede che vince il mondo (1 Gv 5,4). Uniti a Gesù i discepoli ricevono la forza per sconfiggere la paura e perseverare con coraggio nelle prove fino alla vittoria finale.

Gesù non chiede ai discepoli di anestetizzare le proprie emozioni, di non provare tristezza o dolore per quanto sta per accadere, ma di non lasciarsi "travolgere" da esse. La fede rappresenta un'àncora nelle tempeste del mondo. Se anche l'esteriorità dell'anima è provata, il suo fondo resta nella quiete.

La "casa del Padre" è nell'Antico Testamento il Tempio, ma successivamente venne a rappresentare nella cultura ebraica la casa stabilita nei cieli, nella quale si trovano le dimore dei giusti.

Gesù annuncia chiaramente il suo ritorno alla fine dei tempi per portare in cielo i giusti, insegnamento presente anche in Matteo (Mt 24,36-44) e ripreso da Paolo (1 Cor 15,51-54; 1 Ts 4,13-18).

La "via" cui si riferisce Gesù, è egli stesso, il vangelo impartito con le sue parole e con la sua vita. Il termine "la via" verrà a contraddistinguere lo stesso cristianesimo nell'età apostolica, come testimoniato dal libro degli Atti (At 9,2; 19,9.23; 22,4; 24,14.22).

Gesù non è semplicemente una guida che conduce alla salvezza ma è la verità e la vita (v. 6), Parola che procede dal Padre, per mezzo della quale tutte le cose sono state create (Gv 1,3) e che ha il potere di far diventare figli di Dio quanti la accolgono (Gv 1 12).

L'essere "via" di Gesù implica che la verità e la vita rappresentano un cammino, prima ancora che una mèta. Il viaggio stesso della vita del credente è crescita nell'esperienza di Dio.

C'è una dimora in cielo che attende coloro che in questa vita "hanno lasciato casa a causa del vangelo" (Mc 10,29). Il Risorto non solo prepara una casa per noi ma prepara anche noi per questa casa, assistendoci con la sua grazia nel percorso che conduce al Padre.

Preghiera

Signore, che hai avuto misericordia del peregrinare dell'uomo su questa terra, tu hai tracciato per noi la strada che conduce alla pienezza della vita. Il tuo Spirito ci assista affinché possiamo essere trovati da te sul retto cammino quando ci verrai incontro. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 15 maggio 2025

Pacomio e l'esperienza radicale del vangelo

Le chiese cattoliche d'Oriente e d'Occidente, la Chiesa Ortodossa e quella Luterana celebrano oggi la memoria del monaco Pacomio.
Nato nell'alto Egitto da genitori pagani nel 292, Pacomio venne per la prima volta a contatto con il cristianesimo nell'incontro con la carità attiva dei cristiani di Tebe, venuti a portare cibo e conforto a un gruppo di giovani reclute, tra le quali c'era anche lui. In quell'occasione Pacomio promise che se fosse sopravvissuto avrebbe servito il genere umano tutti i giorni della sua vita. Congedato dall'esercito, Pacomio si recò a Khenoboskion, ponendosi al servizio della piccola comunità cristiana ivi residente, e chiedendo di essere istruito nella fede. Ricevuto il battesimo, egli maturò il desiderio di essere iniziato alla vita anacoretica. Si rivolse così a un anziano eremita, Palamone, che gli trasmise le pratiche ascetiche ereditate dalla tradizione: digiuno, veglia, preghiera continua, lavoro ed elemosina. Stabilitosi nel villaggio abbandonato di Tabennesi, Pacomio fu ben presto raggiunto da uomini e donne che desideravano vivere vicino a lui e che egli serviva. 
Con pazienza e fatica egli cercò di educare i suoi discepoli alla vita comune, chiedendo che ciascuno si mettesse al servizio degli altri e proponendo come modello la prima comunità di Gerusalemme. L'originalità della comunità pacomiana sta nel fatto che essa non fu un gruppo di eremiti radunati attorno a un padre spirituale, ma una koinonia, una comunità di fratelli, in comunione di preghiera, di lavoro, di vita quotidiana. La vita del monaco era vista a Tabennesi come pieno adempimento delle promesse battesimali, nella fedeltà ai comandamenti di Dio, e la sola vera regola era la Scrittura, che doveva essere imparata a memoria, meditata costantemente per poter ispirare la preghiera. Pacomio morì nel 346 durante un'epidemia di peste, dopo aver assistito sino alla fine le numerose comunità a cui aveva dato vita. È considerato il padre della vita cenobitica.

Tracce di lettura

Se uno si presenta alla porta del monastero desiderando rinunciare al mondo ed essere aggregato al numero dei fratelli, non sarà libero di entrarvi, ma prima di tutto verrà informato il padre del monastero. Resterà fuori davanti alla porta per pochi giorni; gli si insegnerà la preghiera del Signore e quanti salmi riuscirà a imparare, ed egli darà diligentemente prova di sé: si esamini se per caso ha fatto qualcosa di male ed è fuggito all'istante, preso da paura, oppure se è in potere di altri, e ancora se è in grado di rinunciare ai suoi genitori e disprezzare i propri beni. Se lo vedono pronto a tutto, allora gli verranno insegnate anche le altre norme del monastero: quello che deve fare, chi deve servire sia nell'assemblea di tutti i fratelli, sia nella casa a cui deve essere assegnato, sia nel suo posto in refettorio, cosicché, ammaestrato e trovato perfetto in ogni opera buona, sia unito ai fratelli.
(Pacomio, Precetti 49)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

tempera all’uovo su tavola telata e gessata, cm 32 x 40
Pacomio (292-346)

Fermati 1 minuto. Un cuore grande per donare e ricevere

Lettura

Giovanni 13,16-20

16 In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. 17 Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica. 18 Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma si deve adempiere la Scrittura: Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno. 19 Ve lo dico fin d'ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono. 20 In verità, in verità vi dico: Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato».

Commento

Gesù ha appena lavato i piedi ai suoi discepoli, mentre si approssima l'ora della sua passione. Quel chinarsi di fronte a coloro che ha amato fino alla fine prefigura l'abbassamento di Dio nel profondo della miseria e della sofferenza umana, il suo rendersi presente nella nostra fragile natura.

Come uno schiavo non ha maggiori privilegi del padrone e un ambasciatore non ha maggiore importanza di colui che l'ha inviato, i discepoli sono chiamati all'umiltà, per obbedire alla parola di Dio e porsi a servizio del prossimo. Ma lungi dalla mortificazione fine a se stessa, troveranno in questo atteggiamento la vera beatitudine. Perché quando siamo una cosa sola con l'altro la sua gioia è la nostra gioia.

Gesù parla del suo tradimento imminente utilizzando le parole del Salmo 41: "colui che mangiava il mio pane alza contro di me il calcagno" (Sal 40,10). Mostrare a qualcuno il calcagno era un segno di disprezzo e ostilità. Nel contesto del Salmo è richiamato il tradimento di Davide da parte di Achitofel, che finì con l'impiccarsi, prefigurando il triste esito del tradimento del "grande Davide" - Gesù - da parte di Giuda (cfr. 2 Sam 16,20-22; 17,23). Il richiamo alle Scritture da parte di Gesù indica che ciò che sta per accadere si situa all'interno del progetto di salvezza del Signore e che la sua divinità si rivela anche nell'umiliazione della croce. "Io sono" (v. 19), infatti è un rimando al nome con cui Dio rivela se stesso (Es 3,14).

La profezia di Gesù ha come scopo quello di accrescere la fede dei discepoli nella sua divinità, sovranità e onniscenza una volta che si sarà adempiuta (v. 19). Questo essere confermati nella fede si realizzerà non mediante il semplice sforzo umano, ma per il Consolatore, lo Spirito che Gesù invierà dopo la sua ascensione, affinché guidi i suoi discepoli verso la verità tutta intera (Gv 16,13). L'autorità degli apostoli risiede in colui che li ha mandati e confermati; di conseguenza, chiunque riceve coloro che che Cristo ha inviato riceve Cristo stesso.

Con le parole che accompagnano il gesto della lavanda dei piedi Gesù ci invita a liberarci dalla logica del mondo, che porta l'uomo a considerare il prossimo come semplice strumento per raggiungere i propri scopi. Il risultato dell'egoismo è una felicità sterile, che impoverisce innanzitutto chi la persegue. Solo vivendo una spiritualità di comunione riusciremo a scoprirci dono per gli altri e a scoprire nel prossimo un dono per noi, al quale fare spazio. Un cuore grande è capace di donare tanto, ma riceve nella proporzione in cui si dona.

Preghiera

Purificaci nel lavacro della tua misericordia, Signore, e dilata il nostro cuore affinché possiamo accogliere ogni uomo e ogni donna come fratello e sorella da servire, nello spirito delle beatitudini che hai proclamato. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona


mercoledì 14 maggio 2025

Isacco di Ninive. L'umiltà e la compassione

Isacco il Siro (o di Ninive) nacque nella prima metà del VII secolo nella regione del Qatar, sulle rive del Golfo Persico.
Ordinato vescovo dal catholicos di Seleucia-Ctesifonte tra il 661 e il 681, gli fu affidata la chiesa di Ninive. Ma dopo soli cinque mesi egli abbandonò il servizio episcopale, ritirandosi nel monastero di Rabban Shabur, nell'attuale Iran. Qui trascorse gli ultimi anni di vita e, divenuto cieco per «l'assidua lettura della Scrittura», dettò i suoi insegnamenti spirituali ai discepoli che li misero per iscritto. Alla sua morte, avvenuta verso la fine del VII secolo, Isacco fu sepolto nello stesso monastero di Rabban Shabur. 
Il suo insegnamento, trasmesso da due collezioni di discorsi, fu riconosciuto fin dal IX secolo come uno dei pilastri della spiritualità cristiana; e, nonostante le lacerazioni ormai ben profonde tra le chiese, questi scritti conobbero una straordinaria diffusione, come testimoniano le antiche traduzioni in greco, arabo, georgiano, etiopico, slavone e latino. Profondo conoscitore dell'umano oltre che del divino, appassionato investigatore dell'incarnazione di Cristo, Isacco invita a leggere nell'umano il divino e nel divino l'umano: «Sforzati di entrare nella stanza del tesoro del tuo cuore e vedrai il tesoro del cielo ... Trova la pace in te stesso, e sia la terra che il cielo ti ricolmeranno di pace». Tutto però dev'essere custodito da quelli che sembrano essere i due contrafforti del suo insegnamento spirituale: l'umiltà e la compassione. Così riassume il suo pensiero un monaco arabo del IX secolo: «Isacco ha predicato con insistenza l'amore della misericordia, che è il fondamento dell'adorazione, e l'umiltà che è il baluardo della virtù».
La data odierna è quella dell'unico antico sinassario orientale che riporta espressamente la memoria di Isacco di Ninive.

Tracce di lettura

C'è un'umiltà che viene dal timore di Dio, e ce n'è una che viene dall'amore di Dio. C'è chi è stato reso umile dal timore di lui, e c'è chi è stato reso umile dalla gioia di lui. All'uno si accompagna la compostezza delle membra, l'ordine nei sensi e un cuore sempre contrito; all'altro invece una grande dilatazione e un cuore che fiorisce e che non può essere contenuto. (Isacco di Ninive, Discorsi spirituali)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose