Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

martedì 25 giugno 2024

Massimo di Torino. Nessuno diceva propria qualche cosa

La Chiesa cattolica d'Occidente celebra oggi la memoria liturgica di Massimo di Torino, vescovo e padre della Chiesa. Di lui si hanno scarsissime notizie. Nato sicuramente nel IV secolo in un'imprecisata provincia settentrionale italiana dell'impero romano, viene storicamente considerato il fondatore della Archidiocesis Taurinensis. Già discepolo di sant'Eusebio di Vercelli e di sant'Ambrogio da Milano, guidò la diocesi della allora Julia Augusta Taurinorum tra il 390 e il 420, nel difficile periodo delle invasioni barbariche.
Il suo impegno si concentrò prevalentemente sulla lotta contro la pratica della simonìa e del paganesimo. A tal proposito è ricordato per aver fatto erigere, probabilmente sui resti di un precedente tempio pagano, una piccola chiesa dedicata a Sant'Andrea dai cui resti, nel XII secolo, sorse la celebre chiesa della Consolata.
Massimo divenne inoltre conosciuto per i suoi numerosi sermoni, oggi raggruppati in un'edizione critica curata da A. Mutzenbecher. Nelle sue omelìe, tra l'altro, accennò sovente ai primi martiri di Torino, i santi Avventore, Ottavio e Solutore le cui reliquie sono conservate a Torino. La data della morte è incerta: viene fissata intorno al 420. Secondo la cronotassi dell'Arcidiocesi di Torino il suo successore fu il vescovo Massimo II.
Alcune sue reliquie sono conservate nella basilica di San Massimo a Collegno, alle porte di Torino, una delle più antiche chiese cristiane del Piemonte che, molto probabilmente, fu sede vescovile dello stesso Massimo. Per lungo tempo si è creduto che la chiesa ospitasse anche la tomba del protovescovo ma ripetuti scavi archeologici effettuati nel XIX secolo hanno smentito questa ipotesi. Sempre nel XIX secolo la municipalità di Torino gli intitolò una via del centro storico e l'arcidiocesi gli dedicò una chiesa, in essa ubicata e consacrata nel 1853.
A lui è dedicata la chiesa ortodossa di San Massimo ai piedi della collina torinese.

Tracce di lettura

Al tempo degli apostoli fu così grande la dedizione del popolo cristiano, che nessuno diceva sua la propria casa, nessuno rivendicava come propria qualche cosa, come afferma san Luca quando dice: «E nessuno diceva suo proprio qualcosa di ciò che possedeva, ma tutto era loro comune. Nessuno tra essi era nel bisogno». Beato dunque il popolo, che mentre ha molti ricchi in Cristo, non ha alcun bisognoso nel mondo e che, mentre pensa alle ricchezze eterne, allontana dai fratelli la povertà temporale.
(Massimo di Torino,  Sermoni 17).

- Fonti: Wikipedia; Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Maximus Taurinensis.JPG
Massimo di Torino (?-420)

Fermati 1 minuto. Il decentramento necessario

Lettura

Matteo 7,6.12-14

6 Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.
12 Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti.
13 Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; 14 quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!

Commento

I maiali e i cani sono considerati animali impuri dagli ebrei. Il principio per cui le cose sante non vanno date ai cani (v. 6) è la ragione per cui Gesù non compie miracoli per coloro che non credono (Mt 13,58). Ciò non contraddice l'amore per i nemici e la preghiera per i persecutori (Mt 5,44). Le cose sante e le perle rappresentano il principio di correzione fraterna, dopo che il discepolo ha rimosso "la trave" dal proprio occhio. Non dobbiamo astenerci dal predicare il vangelo anche ai malvagi e agli uomini profani, come attesta la predicazione di Gesù ai pubblicani e ai peccatori, ma di fronte a un cuore indurito il discepolo è esortato a scuotere la polvere dai propri piedi e rivolgersi altrove (Mt 10,14).

"Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro" (v. 12) è la "Regola d'oro", presente prima di Cristo nei testi rabbinici, così come nei testi sacri induisti e buddhisti. Spesso in queste fonti è presente nella sua forma negativa "Non fare agli altri ciò che non faresti a te stesso". Privilegiando la forma positiva Gesù sottolinea che questo comandamento rappresenta un sommario e l'essenza dei principi etici contenuti nella Legge mosaica e negli scitti profetici.

Anche la metafora delle "due vie" - una che conduce alla vita, l'altra alla morte - ricorre nella filosofia e mella mitologia pagana (es. Ercole al bivio) e nell'Antico testamento (cfr. nel Sal 1; Dt 30,15). In questo contesto assume un orientamento escatologico. La porta stretta e la via angusta sono difficili da attraversare perché rappresentano la partecipazione alla morte e risurrezione di Cristo.

Tutti possiamo entrare nella vita, ma si tratta di un percorso esigente, che richiede impegno, abnegazione, rinuncia al proprio egoismo, il decentramento necessario per assumere la prospettiva dell'altro da sé.

Preghiera

Guidaci, Signore, sulla via della vita e rendici testimoni fedeli della tua Parola, mediante la rigenerazione nella tua morte e risurrezione. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 24 giugno 2024

Nascita di Giovanni il Battista, frutto della promessa

Le chiese d'oriente e d'occidente celebrano oggi la natività di Giovanni il Battista, profeta e precursore del Signore.

Figlio del sacerdote Zaccaria e di Elisabetta la sterile, Giovanni è frutto della promessa di Dio e annuncia i tempi messianici in cui la sterile diventa madre gioiosa di figli e la lingua dei muti si scioglie nella lode profetica. Con lui rivive la profezia e si fa più urgente il richiamo alla conversione rivolto da Dio al suo popolo.

Secondo la parola dell'angelo, Giovanni venne con lo spirito e la forza di Elia per preparare al Signore un popolo ben disposto. Egli visse nel deserto fino al giorno della sua manifestazione a Israele e lì, nella solitudine e nel silenzio, nell'ascesi e nella preghiera, si preparò alla sua missione.
Insieme a Gesù, il Battista è l'unico personaggio di cui il Nuovo Testamento narri la nascita, ed è l'unico santo celebrato dalla chiesa antica con più feste durante l'anno.

Quando nel IV secolo la nascita di Gesù venne fissata nel solstizio d'inverno, quella di Giovanni venne posta nel solstizio d'estate per rispettare la lettera del racconto evangelico. La coincidenza con il solstizio d'estate e l'inizio dell'accorciarsi delle giornate è stata vista dai padri come una conferma delle parole di Giovanni e della sua testimonianza al Cristo: «Egli deve crescere e io invece diminuire».
Asceta vissuto nel deserto, Giovanni è diventato ben presto il modello del monachesimo nascente ed è sempre stato venerato con particolare amore dai monaci, che nell'ascesi, nel silenzio, nella preghiera e nell'assiduità alle Scritture cercano di predisporre ogni cosa per poter accogliere Dio nelle loro vite.

Tracce di lettura

Annunciazione, concepimento, santificazione e nascita di Giovanni ci sono presentate in parallelo ad annunciazione, nascita, consacrazione di Gesù, e con questi dittici dei capitoli 1 e 2 del suo vangelo, con questi eventi della preistoria di Giovanni e di Gesù, Luca ci mostra che anche nell'infanzia Giovanni è stato il precursore del Messia ... Poi il silenzio del vangelo su Giovanni come su Gesù: Giovanni vivrà nel deserto fino al giorno della sua manifestazione a Israele, Gesù vivrà soggetto a Maria e Giuseppe a Nazaret. Per entrambi è il nascondimento, la crescita, la preparazione alla missione, al dies ostensionis ad Israel.
(E. Bianchi, Amici del Signore).

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. La migliore versione di noi stessi

Lettura

Luca 1,57-66.80

57 Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. 58 I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei. 59 All'ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. 60 Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». 61 Le dissero: «Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». 62 Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. 63 Egli chiese una tavoletta, e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. 64 In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. 65 Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. 66 Coloro che le udivano, le serbavano in cuor loro: «Che sarà mai questo bambino?» si dicevano. Davvero la mano del Signore stava con lui. 80 Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

Commento

Il più grande conforto che possiamo avere dai nostri figli è di metterli nelle mani di Dio. Per questo la circoncisione, che è stata sostituita, nella nuova alleanza, dal battesimo cristiano, diviene occasione di gioia più grande della stessa nascita. 

L'usanza giudaica era quella di dare nome al bambino proprio in occasione della circoncisione, così come Abramo ricevette un nome nuovo dopo aver sancito l'alleanza con Dio mediante questo segno esteriore. Il Signore, infatti, chiama per nome coloro che sono affidati a lui, il che significa che non è solo genericamente il Dio del popolo dei salvati, ma il Padre di ciascuno di noi, che così possiamo chiamarlo in virtù del rapporto personale e filiale che abbiamo con lui. 

Questo rapporto, insito in un "nome nuovo", unico, che ci viene attribuito è ben rappresentato dal contenzioso tra Elisabbetta e gli amici e parenti giunti per assistere alla circoncisione di Giovanni. Questi suggeriscono di chiamarlo Zaccaria, come il padre, ma lei si oppone e mossa dallo Spirito Santo afferma risolutamente che si chiamerà Giovanni.

Comunicando con Zaccaria mediante segni, i vicini e parenti ottengono anche da lui la risposta scritta che il bambino dovrà chiamarsi Giovanni. Muto e sordo, Zaccaria non può fare a meno di esprimere la volontà di Dio. Quando lo Spirito parla sa come farsi sentire. Così affermerà Gesù, quando i farisei rimprovereranno la folla esultante al suo ingresso a Gerusalemme: "se questi taceranno, grideranno le pietre" (Lc 19,40). 

Compiuta la volontà di Dio sul bambino la lingua di Zaccaria si scioglie in un canto di lode. Giovanni susciterà meraviglia e la sua fama si spargerà per le regioni circostanti fin dall'infanzia, anticipando quella che otterrà con l'inizio del suo ministero profetico, quando folle di peccatori verranno a lui in cerca di conversione. Ci si sarebbe aspettato di vedere Giovanni sacerdote come suo padre. Ma i piani di Dio per lui erano altri. Egli sarebbe diventato un profeta. Il più grande dei profeti.

Dio ci ama nella nostra specificità e ha un piano di salvezza e di santità particolari per ognuno di noi. Chiediamogli la grazia per imparare ad essere la migliore versione di noi stessi, piuttosto che la brutta copia di qualche santo.

Preghiera

O Dio, che ci chiami per nome, rivelaci la tua volontà ed effondi su di noi il tuo Spirito, affinché possiamo portarla a compimento a lode del tuo Nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 23 giugno 2024

Tutto il mondo creato è in travaglio

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUARTA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

O Dio, protezione di tutti coloro che confidano in te, senza il quale non c’è nulla di forte, nulla di santo; accresci e moltiplica su di noi la tua misericordia; affinché con te come guida e governatore, possiamo passare attraverso le cose temporali senza perdere le cose eterne. Concedici questo, o Padre celeste, per l’amore di Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

Letture

Rm 8,18-23; Lc 6,36-42

Commento

Gesù ci comanda di essere misericordiosi come il Padre (Lc 6,36) e di perdonare il nostro prossimo, perché noi per primi siamo stati perdonati. Nessuno di noi può pensare di non avere avuto bisogno e di non avere continuamente bisogno del perdono di Dio.

Come afferma San Paolo nella Lettera ai Romani, citando i Salmi (Sal 14,3 e 53,1-3): “non c’è alcun giusto, neppure uno” (Rm 3,10). Per questo nella preghiera che ci ha insegnato Gesù chiediamo al Padre di rimetere i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori.

Il comandamento della misericordia scandalizza, perché ci è più facile pensare a una giustizia di Dio strettamente retributiva, che punisce i peccatori e premia i giusti. È più facile pensare di esserci meritati un premio da parte di Dio, piuttosto che pensare alla gratuità della salvezza. Una gratuità che lungi dall’istigarci all’irresponsabilità ci esorta alla riconoscenza e dunque alla rettitudine come risposta al bene che Dio ci ha mostrato per primo e come imitazione del suo agire nel mondo.

Fu proprio nel predicare la misericordia di Dio che Gesù incontrò le maggiori contestazioni e ostilità. Anche perché la sua predicazione non si fermava alle parole, ma si concretizzava in gesti che determinavano una rottura con le pratiche legalistiche del tempo: egli guarisce di sabato, tocca i lebbrosi mosso da compassione, mangia con le prostitute e i pubblici peccatori.

Siamo tutti feriti dal peccato; e anche il nostro occhio è ferito dal peccato. per questo spesso non sappiamo vedere le cose come le vede Dio. Nella misura in cui saremo in grado di comprendere quanto siamo noi per primi bisognosi del perdono del Padre saremo capaci di donare perdono e misericordia al nostro prossimo e mostrarci compassionevoli verso l’intera creazione, che geme attendendo la manifestazione dei figli di Dio (Rm 8,19). 

La perfezione non è solo qualcosa da cui siamo decaduti e che ricordiamo con nostalgia, ma una mèta cui la coscienza tende come in una visione profetica, animata dalla speranza e guidata dallo Spirito.

Il messaggio evangelico ci dona la buona notizia che il Signore fa nuove tutte le cose, restaurando in noi la sua immagine e chiamandoci a curare le ferite di ogni uomo.

Cristo ci chiede di operare attivamente per riportare nel mondo pace e riconciliazione, tra l'uomo e Dio, tra uomo e uomo e tra l'uomo e l'intera realtà creata.

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 22 giugno 2024

John Fisher e Thomas More, martiri riabilitati dalla Chiesa d'Inghilterra

In questo giorno, nel 1535, muore decapitato dopo essere stato rinchiuso nella torre di Londra John Fisher, professore all'università di Cambridge e vescovo di Rochester.
Nato nel 1469, Fisher fu un umanista e un teologo molto apprezzato. Di lui Erasmo diceva: «Non c'è uomo più colto né vescovo più santo». Pastore in una delle più piccole e povere diocesi d'Inghilterra, Fisher amò e servì con ogni cura il piccolo gregge che gli era stato affidato.

John Fisher - Wikipedia
John Fisher (1469-1535)

Sempre a Londra, due settimane dopo John Fisher, il 6 luglio 1535 sale sul patibolo sir Thomas More.
Nato nella capitale inglese il 6 febbraio 1478, dopo gli studi di diritto e un periodo di discernimento di quattro anni trascorso in una certosa, Thomas si era avviato alla carriera politica, fino a diventare deputato nel 1504. Grande amico di Erasmo, che lo definì «modello per l'Europa cristiana», Thomas, un gradino dopo l'altro, era asceso fino alla carica di Gran cancelliere del sovrano d'Inghilterra.

Thomas More (1478-1535)

La fedeltà di More e Fisher al re trovò però un ostacolo nei passi intrapresi da quest'ultimo per divorziare e trasmettere i diritti di successione ai figli della seconda moglie, Anna Bolena. L'atto decisivo, tuttavia, al quale entrambi rifiutarono di sottomettersi e che pagarono con il martirio, è l'Atto di supremazia, nel quale il re veniva riconosciuto come capo supremo sulla terra della chiesa d'Inghilterra.
Gli scritti dal carcere dei due martiri inglesi, soprattutto le lettere di Thomas More, sono tra le più alte testimonianze della spiritualità cristiana. Nutriti da un dialogo costante con il Signore nell'intimo della coscienza, More e Fisher mostrarono fino all'ultimo grande carità e misericordia verso i loro persecutori.
La testimonianza estrema al vangelo resa da More e Fisher è ricordata anche dalla Chiesa d'Inghilterra, che ne celebra la memoria il 6 di luglio.

Tracce di lettura

Finché sarò su questa terra, la mia condotta non potrà che dar modo al re di persuadersi a pensare il contrario di quel che pensa ora: di più non posso, se non rimettere tutto nelle mani di Colui, nel timore del cui sfavore, nella difesa dell'anima mia guidata dalla mia coscienza (senza rimproveri o biasimi per quella di nessun altro) io soffro e sopporto questo tormento. Io lo supplico di condurmi, quando a Lui piacerà, lontano dall'afflizione del tempo presente nella sua felicità eterna del cielo, e nel frattempo di dare a me e a voi a me cari la grazia di rifugiarci, devotamente prostrati, nel ricordo di quell'amara agonia che il nostro Salvatore patì sul monte degli Ulivi prima della sua passione. E se faremo questo con amore, credo proprio che vi troveremo gran conforto e consolazione.
(Thomas More, Lettera 59 a Margaret Roper)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

giovedì 20 giugno 2024

Nicola Cabasilas e la vita in Cristo

Le chiese ortodosse ricordano oggi Nicola Cabasilas, teologo laico autore di alcuni fra i più importanti trattati spirituali del cristianesimo bizantino.
Nicola era nato a Tessalonica attorno al 1322, in una importante famiglia della borghesia tessalonicese. Educato alla preghiera del cuore presso un discepolo di Gregorio Palamas, egli ricevette un'eccellente formazione giuridica e letteraria nella scuola di filosofia di Costantinopoli, tanto da essere stimato uno dei massimi umanisti bizantini.
Trovatosi a vivere in un periodo di gravi tensioni politiche ed ecclesiali, Nicola ebbe spesso una parte importante nei tentativi di ricomposizione delle beghe di corte e poi delle controversie sorte attorno agli insegnamenti degli esicasti athoniti.
Autore di importanti trattati sulla giustizia sociale e contro l'usura, con l'elezione di Callisto I a patriarca di Costantinopoli, che sembrò favorire tempi migliori nel mondo bizantino, Cabasilas decise di ritirarsi dall'impegno pubblico, e mise al servizio dei suoi contemporanei la propria profonda maturità umana e spirituale. Nella quiete e nel silenzio, egli scrisse L'interpretazione della santa liturgia e La vita in Cristo, veri e propri manuali di spiritualità accessibili al cristiano comune, chiamato a santificarsi nella vita di ogni giorno grazie ai sacramenti e alla preghiera, mediante i quali, secondo Cabasilas, ogni credente può accogliere Cristo nel proprio cuore.
Nicola si spense tra il 1391 e il 1397 senza lasciare alcuna testimonianza riguardo agli ultimi anni della sua vita.
La sua canonizzazione da parte del patriarcato di Costantinopoli risale solo al 1983.

Tracce di lettura

La grazia infonde la carità vera nell'anima degli iniziati ai misteri: quale sia poi la sua operazione in loro e quale esperienza doni, lo sanno coloro che l'hanno conosciuta.
In linea di massima si può dire che la grazia infonde nell'anima la percezione dei beni divini: dando a gustare grandi cose, ne fa sperare di ancora più grandi e, fondandosi sui beni già ora presenti, ispira ferma fede in quelli ancora invisibili.
La nostra parte invece è di custodire la carità. Non basta semplicemente incominciare ad amare e accogliere in sé questa passione: bisogna conservarla e alimentarne il fuoco perché duri. Ora restare nell'amore, nel quale è ogni beatitudine, significa appunto restare in Dio e possederlo dimorante in noi: «Chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui»; ma questo si realizza, e l'amore è ben radicato nella nostra volontà, quando vi giungiamo mediante l'osservanza dei comandi e delle leggi dell'Amato ...
Perciò il Salvatore dice: «Se osserverete i miei comandi, rimarrete nel mio amore». La vita beata è frutto di questo amore. L'amore infatti concentra la volontà dispersa da ogni dove, la distacca da tutte le altre cose e dallo stesso io volente, per farla aderire al Cristo solo.
(Nicola Cabasilas, La vita in Cristo 7,6)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Gesù maestro di preghiera. Commento al Padre nostro

Lettura

Matteo 6,7-15

7 Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. 8 Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. 9 Voi dunque pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome;
10 venga il tuo regno;
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
11 Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
12 e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
13 e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dal male.
14 Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; 15 ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.

Commento

Prima di offrirci un modello perfetto di preghiera con il "Padre nostro" Gesù ci esorta a essere parsimoniosi nelle parole da utilizzare. Il rapporto con Dio deve essere filiale, e quindi improntato a semplicità di cuore. Lo sproloquiare (gr. battalogeo, chicchierare) può essere riferito all'abitudine dei pagani di recitare una lunga lista di nomi divini. Nella nostra preghiera dobbiamo stare attenti a comprendere quel che diciamo e a dire solo ciò che scaturisce dal profondo del nostro cuore.

Eviteremo dunque la ripetizione di formule senza prestare attenzione, ma ciò non costituisce una proibizione contro la preghiera insistente, alla quale ci esorta, ad esempio, la parabola dell'amico importuno (Lc 11,5-8). Gesù stesso prega ripetendo le stesse parole nell'orto degli ulivi: "lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole" (Mt 26,44). Non è dunque condannata la ripetizione di parole ma la vana ripetizione. Neanche è condannata la preghiera che si protrae a lungo. Gesù prega tutta la notte (Lc 6,2) ed esorta i suoi discepoli a pregare sempre, senza stancarsi (Lc 18,1).

La preghiera del Padre nostro comprende tutte le nostre reali necessità e tutto ciò che è legittimo chiedere. Era entrata sicuramente a far parte della liturgia già al tempo in cui Matteo scrive, ma lungi dal rappresentare una semplice formula è un modello di brevità, semplicità e completezza, che dovrebbe ispirare ogni altra preghiera. Delle sei petizioni tre sono rivolte a Dio e tre riguardano le necessità dell'uomo. Gesù ci esorta infatti a cercare prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, perché tutte le altre cose ci saranno date in aggiunta (Mt 6,33). 
Le richieste per le necessità umane sono tutte rivolte al plurale, a indicare che dobbiamo pregare gli uni per gli altri, in un vincolo di comunione.

Le prime parole della preghiera rivelano la natura intima di Dio: Egli è padre; e noi possiamo chiamarlo Padre perché in Cristo abbiamo ricevuto lo spirito di adozione a figli. Lo Spirito stesso intercede nella nostra preghiera, con gemiti inesprimibili (Rm 8,26), gridando "Abbà, Padre" (Gal 4,6).

Il primo atto della preghiera è un atto di adorazione: "sia santificato il tuo nome" (v. 9). Tutte le altre richieste devono essere subordinate a questa e devono avere come unico scopo questa. Santificare (gr. hagiazo) il nome di Dio può essere inteso come un atto di ossequio e obbedienza; ma è anche una invocazione affinché Dio santifichi il suo stesso nome, manifestando la sua potenza e la sua gloria con l'avvento del suo regno. Nella supplica che segue (v. 10) si chiede infatti che il regno, predicato da Cristo e dai suoi apostoli, giunga a compimento sulla terra, così come è realizzato perfettamente in cielo.

"Sia fatta la tua volontà" esprime la necessità che ogni richiesta sia sottomessa ai piani e alla gloria di Dio. Con questa invocazione chiediamo che in questo mondo, deturpato dal maligno, prevalga la volontà di Dio, che lo rende simile al Cielo.

Gesù ci invita a chiedere al Padre che ci doni il pane quotidiano (v. 11). Non che ce lo venda, né che ce lo presti, ma che ce lo dia per la sua misericordia. La nostra sopravvivenza, materiale e spirituale, dipende dalla grazia di Dio.
L'aggettivo greco epiousios viene comunemente tradotto con "quotidiano", a indicare il nutrimento materiale essenziale per il nostro sostentamento. Ma il termine potrebbe anche essere reso con "futuro", assumendo una connotazione escatologica e venendo a significare il pane del giorno che verrà, il pane del regno, tanto desiderato e ora urgentemente atteso ("dacci oggi"). Con queste parole chiediamo dunque anche il pane che nutre il nostro spirito, il pane sacramentale e la grazia di Dio, con cui riceviamo Cristo, il pane vivo disceso dal cielo (Gv 6,51).

La richiesta di rimettere, letteralmente "lasciar andare", i debiti (v. 12), ovvero i peccati contratti verso Dio, è correlata al perdono nel giudizio finale. Chiediamo di essere perdonati come noi perdoniamo ai nostri debitori, non comportandoci come il servo al quale fu condonato molto dal suo padrone ma che non ebbe pietà del suo conservo (Mt 18,21-35).

Gesù ci esorta a chiedere di non essere introdotti nella tentazione (v. 13); questo il senso traslato della parola greca eisphero, che significa "portar dentro" Tenendo conto quanto afferma Giacomo nella sua lettera, dove è detto che "Dio non tenta nessuno al male" (Gc 1,13) si arriva alla conclusione che non è Dio l'agente attivo della tentazione, sebbene l'esempio di Giobbe dimostra che egli può mettere l'uomo alla prova esponendolo all'azione di Satana. Ciò che si chiede al Padre è di essere preservati dalle tentazioni, che qui possono essere riferite sia ai peccati che alle più generali prove della fede. Nel contesto escatologico dominante di questo passo il senso potrebbe essere anche quello di chiedere a Dio di risparmiare ai discepoli le prove e le persecuzioni che precedono la fine dei tempi. 

Il termine greco hò poneròs indica il male, da cui si chiede di essere liberati; è chiaramente maschile e sta a indicare il Maligno, a causa del quale il peccato e la morte sono entrati nel mondo.

Esortandoci a perdonare per essere perdonati (vv. 14-15), Gesù non condiziona la nostra giustificazione alle nostre opere. La grazia che ci è stata accordata dal sangue di Cristo e che trova espressione nel segno sacramentale del Battesimo ci ha purificati completamente dal peccato, ma qui siamo invitati a chiedere a Dio e concedere al nostro prossimo una remissione dei peccati quotidiani, come un lavacro parziale: "Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo" (Gv 13,10). Con le parole a commento della sua preghiera (v. 14) Gesù attesta che egli è venuto nel mondo non solo per riconciliarci con il Padre ma anche per riconciliarci l'un l'altro.

Preghiera

Signore Gesù Cristo, insegnaci a pregare; perché possiamo crescere in santità e sapienza in un continuo dialogo con il nostro Padre che è nei Cieli. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 19 giugno 2024

Romualdo e il monachesimo integrale

La singolarissima vicenda umana e spirituale di Romualdo, animatore dell'eremitismo nell'Italia centrale e settentrionale all'alba del secondo millennio, è stata tramandata dalla Vita dei cinque fratelli del suo amico Bruno di Querfurt, ma soprattutto dalla Vita del beato Romualdo scritta pochi anni dopo la morte di Romualdo da Pier Damiani.
Romualdo nacque a Ravenna verso la metà del X secolo, da una famiglia nobile. Dopo tre anni di vita benedettina abbandonò il monastero ravennate di Sant'Apollinare in Classe con il proposito di ritrovare la solitudine e il rigore del monachesimo egiziano testimoniato dalle Vite dei padri e dalle Conferenze di Cassiano. Ispirandosi a questi testi, con alcuni compagni egli cercò di mettere in pratica i principi di un'ascesi più ordinata rispetto a quella dei solitari del suo tempo, basandola sul lavoro manuale, il totale distacco dal mondo, la stabilità nella cella, la familiarità con la Scrittura, le veglie e il digiuno.
Uomo di lacrime e di preghiera, Romualdo unì al rigore dell'insegnamento un'anima appassionata, capace di grande calore umano e di intenso affetto. Egli visse circa dieci anni nei pressi del monastero di San Michele di Cuxa, nei Pirenei, dando vita ad una colonia di eremiti. Tornato in Italia, Romualdo fu chiamato a riformare la vita monastica e a fondare numerosi eremi, incontrando incomprensioni e ostilità.
Delle sue numerose fondazioni sono sopravvissute fino a oggi con alterne vicende quelle di Camaldoli e di Fonte Avellana.
La congregazione camaldolese coniuga la dimensione comunitaria e quella solitaria, espressa, architettonicamente, dalla presenza sia dell'eremo sia del monastero. Questa comunione di vita comunitaria ed eremitica è espressa anche nello stemma, formato da due colombe che si abbeverano a un solo calice. Il cenobio, dotato di una sua autonomia, può costituire una tappa di preparazione alla vita eremitica. L'Ordine prevede anche, per chi ne senta la vocazione, l'aspetto missionario di evangelizzazione presso le genti. Quest'ultimo aspetto conferisce oggi all'Ordine camaldolese una grande apertura al dialogo ecumenico e interreligioso.
Romualdo morì nel silenzio e nella solitudine con Dio, cui aveva sempre anelato e che aveva inseguito attraverso mille peripezie, nel monastero di Val di Castro, il 19 giugno del 1027.

Tracce di lettura

Siedi nella tua cella come in paradiso; scaccia dalla memoria il mondo intero e gettalo dietro le spalle, vigila sui tuoi pensieri come il buon pescatore vigila sui pesci. Unica via, il salterio: non distaccartene mai. Se non puoi giungere a tutto, dato che sei qui pieno di fervore novizio, cerca di penetrarne il senso spirituale almeno in alcuni punti, e quando leggendo comincerai a distrarti non smettere, ma correggiti subito cercando il senso di quel che hai davanti.
Poniti anzitutto alla presenza di Dio con timore e tremore; annullati totalmente e siedi come un pulcino contento solo della grazia di Dio e incapace, se non è la madre stessa a donargli il nutrimento, di sentire il sapore del cibo nonché di procurarsene.
(parole di Romualdo in Bruno di Querfurt, Vita dei cinque fratelli 32)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Icona di GIOVANNI MEZZALIRA, tempera all’uovo su tavola telata e gessata, cm 30 x 40
San Romualdo (+ 1027)

Fermati 1 minuto. Quale mèta rincorriamo?

Lettura

Matteo 6,19-23

19 Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; 20 accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. 21 Perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore.
22 La lucerna del corpo è l'occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; 23 ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!

Commento

L'accumulo di tesori "in cielo" (v. 20) ha a che fare con l'utilizzo dei beni terreni guidati da spirito di carità e condivisione.

Agire cristianamente nell'amministrare i beni terreni significa praticare l'elemosina, digiunare e vivere con sobrietà confidando in Dio nella preghiera, come raccomandato da Gesù stesso (Mt 6,1-18).
Se la manna stessa, cibo disceso dal cielo, messa in serbo per il giorno successivo "fece i vermi e si imputridì" (Es 16,20), il cristiano nel suo esodo verso la vita eterna non deve preoccuparsi di accumuare ricchezze. Anche le grazie spirituali che riceviamo da Dio non devono portarci a confidare su una "scorta di meriti", perché quotidianamente dobbiamo alimentare la nostra fede, rendendola efficace nella carità.

Gli uomini pongono il proprio cuore là dove è il loro tesoro (Mt 6,19-21) e allo stesso modo fissano i loro occhi in ciò che desiderano di più (vv. 22-23). Un occhio puro ama posarsi sui beni celesti e rende limpido il nostro intero essere. Un desiderio disordinato dei beni terreni è rappresentato da Gesù con l'analogia dell'occhio malvagio, nel quale non può entrare alcuna luce e che farà giacere tutto l'uomo nelle tenebre.

La luce che è tenebra (v. 23) è da intendersi come espressione di una religiosità esteriore, ipocrita: una  mosca morta rovina l'olio del profumiere (Eccl 10,1). Per questo l'occhio malvagio rappresenta anche la cattiva intenzione nelle azioni dell'uomo, per malizia o per colpevole ignoranza.

Tutte le realtà terrene sono caratterizzate dall'impermanenza e dall'incapacità di colmare il desiderio di bene presente nel cuore dell'uomo, il quale trasformandole in idoli non potrà che andare incontro alla delusione.

Gesù ci chiama a fare chiarezza su quale mèta stiamo rincorrendo, qual è il fine che abbiamo scelto per la nostra vita, ciò che la riempie di senso, invitando la nostra anima a scegliere "la parte migliore, che non le sarà tolta" (Lc 10,42).

Preghiera

Donaci, Signore, la saggezza di scegliere la via del vangelo, per rendere la nostra fede operosa e far fruttare i doni del tuo Spirito. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 18 giugno 2024

“Non è un luogo di culto”. La Corte di Cassazione ribalta le precedenti sentenze

Dalla chiesa Breccia di Roma riceviamo questo comunicato:
 
“In modo del tutto inaspettato, la Corte di Cassazione ha deciso di annullare le due precedenti sentenze a noi favorevoli e di chiudere definitivamente il caso a nostro sfavore. Ha stabilito che il nostro non è un locale di culto perché, dopo averlo acquistato, non sono state fatte “modifiche strutturali” per farlo diventare tale.  Il ragionamento sotteso è tornato indietro rispetto a quello delle due precedenti corti che, al contrario, avevano riconosciuto il principio che è la comunità di fede a stabilire l’adeguatezza dei propri luoghi di culto. Evidentemente, la Corte di Cassazione è ancora dentro uno schema di pensiero che prevede che i luoghi di culto debbano avere “delle caratteristiche oggettive”, forse pensando alle chiese cattoliche con altari, statue, cappelle, ecc.
 
E’ chiaro che si tratta di una sentenza gravemente ingiusta e discriminatoria. E’ ideologica e pregiudiziale. Per quanto riguarda il sistema italiano di giustizia, purtroppo questa è la sentenza finale. Ora dovremo pagare le spese giudiziarie e gli arretrati delle imposte sugli immobili commerciali per 5-6 anni arretrati. Inoltre, ogni anno dovremmo pagare le imposte sulla nostra proprietà come se fosse un locale commerciale.
 
Queste sono alcune richieste di preghiera:
1.        È evidente che sia in corso una battaglia spirituale. Sappiamo che dove c’è il progresso dell’evangelo, lì anche infierisce la battaglia. Abbiamo la conferma di essere al posto giusto e di stare facendo la cosa giusta: tenendo alta la parola di Dio a Roma, pregando per una riforma secondo l’evangelo. Il Signore ha già vinto e vincerà e siamo più determinati che mai ad andare avanti nell’opera di Dio.
2.        Dal punto economico, la sentenza ci mette di fronte alla necessità di reperire 50.000 euro per il pagamento degli arretrati. Sappiamo che Dio provvede e confidiamo in Lui.
3.        Stiamo esplorando alcune possibilità per cosa fare ora: un ricorso alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo e/o alcuni cambiamenti “strutturali” nel nostro locale per rifare la domanda per essere riconosciuti come locale di culto. Abbiamo bisogno della saggezza di Dio per discernere la sua volontà.
 
In tutto il nostro disappunto, ringraziamo il Signore per il privilegio di servirlo come “breccia” dell’evangelo a Roma. Grazie per le preghiere.”
 
Per approfondire il caso, si possono leggere gli articoli su: Evangelical Focus (inglese), Evangelicals Now (inglese), Christianity Today (inglese, francese e portoghese), World Magazine (inglese), Cvandaag e Reformatorisch Dagblad (olandse), Loci Communes (italiano).

- Ideaitalia, 18 giugno 2024

Fermati 1 minuto. Supplemento di amore

Lettura

Matteo 5,43-48

43 Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; 44 ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, 45 perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. 46 Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47 E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48 Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.

Commento

La prima parte del comandamento citato da Gesù, l'amore per il prossimo, è contenuta nella legge mosaica (Lv 19,18). Sebbene l'odio verso i malvagi nell'Antico Testamento sia considerato giusto (Sal 139,19-22), non c'è propriamente un comandamento che prescriva di odiare i propri nemici. Inoltre va rilevato che la parola "odiare" in ambito semitico non ha la connotazione estremamente negativa acquisita nel nostro linguaggio. 

Gesù estende ai nemici il comandamento dell'amore e invita i suoi discepoli a imitare l'esempio del Padre, che concede i suoi doni sia ai buoni che ai cattivi. Un cenno all'amore per i nemici è contenuto nell'Antico Testamento, nel libro dei Proverbi (Prov 25,21).

I pubblicani vengono assurti a simbolo del "nemico" di Israele per eccellenza. Erano infatti gli esattori delle tasse al servizio dei romani e perciò particolarmente odiati. Matteo era stato uno di loro, prima di diventare discepolo di Gesù.

L'esortazione di Gesù a non limitarsi ad amare i propri fratelli (v. 47) mette in guardia da ogni settarismo, che era proprio delle diverse correnti ebraiche e rischia di essere replicato nella Chiesa. Un atteggiamento stigmatizzato anche da Paolo nella sua prima lettera ai Corinti: "Mi è stato segnalato infatti a vostro riguardo, fratelli (...) che vi sono discordie tra voi. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: 'Io sono di Paolo', 'Io invece sono di Apollo', 'E io di Cefa', E io di Cristo!'" (1 Cor 1,12). I cristiani dovrebbero dunque evitare che le differenze denominazionali diventino fonte di divisione nella Chiesa.

Ai discepoli di Gesù è richiesto un supplemento di amore, che li renda capaci di dare a tutti più degli altri; questo è il distintivo del loro essere cristiani.

Gesù ci insegna che la pratica del vangelo è più che semplice umanesimo. Lo sforzo che richiede per vincere la tendenza retributiva della nostra natura e imitare il Padre nella sua benevolenza può giungere a compimento solo con l'assistenza della grazia santificante, effusa dallo Spirito.

Preghiera

Rendici capaci, Signore, di un amore senza condizioni; come tu per primo ci hai amato, donandoci tutto te stesso nell'opera della redenzione. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 17 giugno 2024

Fermati 1 minuto. La perfezione della giustizia, frutto della grazia

Lettura

Matteo 5,38-42

38 Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; 39 ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; 40 e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. 41 E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. 42 Da' a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle.

Commento

Gesù cita la legge del taglione, applicata nel mondo antico, secondo la quale si infligge al responsabile di una lesione personale la stessa lesione da lui provocata alla vittima. Questa legge (Es 21,24; Dt 19,21; Lv 24,20) ha lo sopo di moderare la vendetta, nel senso di non assegnare una lesione superiore al male ricevuto. Per offese meno gravi, come le ingiurie, era permesso un risarcimento pecuniario.

Gesù proibisce ogni forma di riparazione compensativa, non per una passività fine a se stessa, bensì per un atteggiamento tendente a indurre il nemico a cambiare e a vivere secondo giustizia.

Non opporsi al malvagio significa qui non reagire a chi ci fa del male contraccambiandolo sul piano personale o perseguendolo sul piano giudiziario. Una simile predisposizione al perdono può nascere dalla consapevolezza di essere stati noi per primi perdonati e giustificati da Dio per le nostre mancanze.

Questo atteggiamento riguarda la sfera personale e non la lotta contro azioni criminali (Rm 13,4) o aggressioni militari.

Solo il primo dei cinque esempi portati da Gesù riguarda direttamente la riparazione di un torto subito; gli altri invece mettono in evidenza la liberalità del comportamento cristiano. 

Non reagire alle offese attesta il rimettere a Dio il giudizio. Ma la perfezione della nuova legge è espressa dalla preghiera per i propri nemici (Mt 5,44), di cui Gesù stesso dà testimonianza sulla croce: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34). Solo la grazia santificante può renderci capaci di giungere a un grado così alto di perfezione.

Dare il mantello (lunga veste esterna) era un sacrificio più grande che non dare la tunica (veste interna). Inteso anche nella sua dimensione spirituale questo atto significa coprire sotto il manto della misericordia le mancanze del prossimo.

Compiere due miglia con chi chiede di accompagnarlo per uno indica la disponibilità a prestare il proprio tempo e il proprio sostegno a chi ne ha bisogno. Deviare dalla propria strada per accompagnare il nostro prossimo sulla sua è spesso un sacrificio che ci costa grande fatica, perché il tempo è spesso quanto di più prezioso abbiamo a disposizione. Gesù risorto, sulla via di Emmaus, si farà compagno dei due discepoli lungo il loro cammino, confortandoli dalla tristezza e spiegandogli le Scritture.

Gesù invita poi alla generosità; chiedere di dare un prestito a chi ne ha bisogno equivale a imitare la stessa magnanimità di Dio, il quale ci ha dato la vita, i beni della creazione, i nostri talenti personali, e ci soccorre con la sua grazia. Un mondo in cui ciascuno applicasse la stessa giustizia di Dio, riguardo la quale Gesù afferma "chiedete e vi sarà dato" (Lc 11,9), sarebbe un mondo giusto e solidale. Un mondo che applicasse il suo comandamento di amarci gli uni gli altri come egli ha amato noi (Gv 15,12) camminerebbe sulle vie della pace (Lc 1,79).

Preghiera

Porta a perfezione la nostra giustizia, signore, affinché facendoci tuoi imitatori possiamo contribuire all'avvento del tuo regno. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 15 giugno 2024

Il buon pastore

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA TERZA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

O Signore, ti supplichiamo di ascoltarci nella tua misericordia; tu che ci hai donato un ardente desiderio di pregare, concedici che attraverso il tuo aiuto, possiamo essere difesi e confortati in ogni pericolo e avversità; per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

1 Pt 5,5-11; Lc 15,1-10

Commento

L’iconografia del buon pastore o, più precisamente del “bel” pastore (il termine greco è, infatti, kalòs), apparteneva al mondo greco e romano prima dell’avvento del cristianesimo ed era considerata di buon auspicio per i defunti.

Ma l’immagine di Dio come pastore di Israele, che mostra il proprio amore per la pecora perduta è ben presente nella religiosità ebraica, e in particolare nella letteratura profetica. Così in Ezechiele leggiamo: "Dice il Signore, Dio: 'Eccomi! io stesso mi prenderò cura delle mie pecore e andrò in cerca di loro. Come un pastore va in cerca del suo gregge il giorno che si trova in mezzo alle sue pecore disperse, così io andrò in cerca delle mie pecore e le ricondurrò da tutti i luoghi dove sono state disperse in un giorno di nuvole e di tenebre'" (Ez 34,11-12). E poi vi è il ben noto salmo 23, utilizzato tradizionalmente anche nell’ambito del rito delle esequie: "Il Signore è il mio pastore" (Sal 23,1).

Il protagonista della parabola del buon pastore si comporta in modo paradossale, sfidando la comune logica umana: chi lascerebbe novantanove pecore per andare a cercarne una sola che si è smarrita, senza la certezza di ritrovarla, e con il rischio di perdere l’intero gregge?

Dio non ragiona con mentalità di profitto, semplicemente in termini di costi e benefici. Il suo amore per noi è amore non solo dell’umanità nel suo insieme, ma per la nostra individualità. Per questo si fa carico di venirci a cercare, se anche fossimo gli unici dispersi del suo gregge.

Egli non ci abbandona e non sta neanche nell’ovile ad aspettare il nostro ritorno, ma ci viene incontro, si affatica nella ricerca e quando ci ha trovati aggiunge fatica a fatica portandoci sulle sue spalle. Troviamo così in quest'immagine la passione del Dio incarnato per l'umanità. 

Dio ci chiede la stessa sollecitudine verso il fratello più debole, nella consapevolezza che tutti siamo preziosi ai suoi occhi e che egli è venuto perché nulla vada disperso.

Umiliamoci, dunque, sotto la potente mano di Dio, come ci ammonisce l’apostolo Pietro (1 Pt 5,6); perché se ci lasciamo trovare, la sua mano ci raggiunge, non per castigarci, ma come mano tesa, che ci offre il suo soccorso e il suo conforto, in ogni pericolo e avversità.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 13 giugno 2024

Fermati 1 minuto. La strada giusta per presentarsi a Dio

Lettura

Matteo 5,20-26

20 Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
21 Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. 22 Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna.
23 Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24 lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono.
25 Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. 26 In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all'ultimo spicciolo!

Commento

Gli scribi e i farisei erano gli insegnanti della legge e avevano fama di essere grandi osservanti della stessa. Gesù ci chiede di "superarli" non limitandoci a un'obbedienza puramente esteriore, ma ricercando il rigore della carità. Egli parla con l'autorità di un legislatore e non di un semplice interprete o commentatore della legge - "io vi dico" (v. 20), non "così dice il Signore" - e approfondisce i precetti consegnati da Dio sul Sinai, portandoli a pieno compimento. Sul Calvario, appeso alla croce, fisserà su di essa la legge suprema dell'amore.

Gesù considera la collera e le ingiurie - che a seconda del loro grado di gravità venivano condannate (anche a morte) da parte di un tribunale locale o del sinedrio - meritevoli della Geenna, la valle di Hinnom, posta a sud di Gerusalemme, maledetta dal re Giosia (perché sede del culto di Moloch, cui venivano offerti sacrifici umani) e destinata a immondezzaio della città. Poiché nella Geenna ardeva continuamente il fuoco, nei Vangeli è presa a simbolo dell'Inferno. 

Il rigore cui richiama Gesù ci fa comprendere quanto sia difficile per l'uomo adempiere in pienezza i suoi precetti. L'unica giustizia dalla quale il peccatore può essere giustificato è la perfetta giustizia di Cristo, imputata a nostra salvezza mediante la fede in lui. Questo non ci esime, tuttavia, dall'impegno sulla via della santificazione, che la grazia ci spinge a percorrere. 

Gesù ci invita a sanare immediatamente le nostre relazioni quando entriamo in contesa con qualcuno e stabilisce il primato dei rapporti fraterni rispetto allo stesso culto sacrificale presso il tempio, cuore della religiosità ebraica. La strada per presentarci innanzi a Dio in adorazione passa attraverso la riconciliazione con il nostro prossimo.

Preghiera

Insegnaci a guardare a te, Signore, che sei mite e umile di cuore; affinché fissando lo sguardo sulla tua passione possiamo imparare a offrire il perdono ai nostri nemici. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Evagrio Pontico. "Se preghi sei veramente teologo"

Nel 399, il giorno dell'Epifania, si spegne Evagrio Pontico, monaco e maestro di vita spirituale nel deserto egiziano.
Era nato attorno al 345 a Ibora, nel Ponto, in una famiglia di alti notabili, e questo gli permise di ricevere una formazione completa e raffinata.
Ordinato lettore da Basilio, egli divenne membro del clero di Cesarea, ove rimase fedele al proprio vescovo fino alla morte di quest'ultimo. Quindi si trasferì a Costantinopoli dall'amico Gregorio di Nazianzo, che lo ordinò diacono e lo volle al proprio fianco nella difficile lotta contro gli ariani.
Quando Gregorio si ritirò, egli trascorse un certo tempo al servizio del nuovo patriarca Nettario, finché una serie di drammatiche circostanze finì, secondo le sue stesse parole, per «esiliare Evagrio nel deserto». Fuggito da Costantinopoli, si recò a Gerusalemme, e quindi raggiunse il deserto egiziano di Nitria attorno al 384. Dopo due anni di vita semianacoretica alla scuola di Macario di Alessandria e di Macario il Grande, egli ottenne un maggiore isolamento nel deserto delle Celle.
La sua lotta nel deserto, non del tutto scelta ma pienamente assunta, non fu vana. Nel deserto Evagrio sviluppò infatti una sintesi di teologia e di monachesimo pratico unica per il suo tempo. La sua sensibilità psicologica, la sua finezza analitica ne fecero uno dei più grandi maestri spirituali dell'antichità, e a lui si ispireranno Massimo il Confessore, Isacco il Siro e Simeone il Nuovo Teologo, per citare solo i padri più famosi.
La condanna di alcune sue affermazioni, avvenuta a quasi due secoli dalla morte e in circostanze non chiare, ha a lungo infangato la memoria di Evagrio, anche se non ha impedito che i suoi scritti, spesso sotto altro nome, giungessero fino a noi. Solo la critica moderna gli ha restituito l'onore che si merita.

Tracce di lettura

La fede è il principio della carità; il fine della carità, la conoscenza di Dio.
(Evagrio, Ai monaci 3)
«Fa', o Signore, che conosca le tue vie, e insegnami i tuoi sentieri». Chi vuole conoscere «le vie del Signore», diventi mite. Si dice infatti: «Ai miti egli insegnerà le sue vie». Sono miti coloro i quali hanno placato nell'anima la lotta indefessa dell'irascibilità e della concupiscenza, nonché la lotta delle passioni da esse suscitate.
(Evagrio, Scholia sui Salmi 24,4)
Nessuna virtù produce la sapienza come la mitezza, a motivo della quale anche Mosè fu lodato, perché era «il più mite di tutti gli uomini».
(Evagrio, Lettere 36,3)
Dimmi, dunque, perché la Scrittura, quando ha voluto esaltare Mosè, ha lasciato da parte tutti i segni mirabili e pensato unicamente alla mitezza? ... Essa infatti dice che egli, nel deserto, stette tutto solo davanti al volto di Dio, quando questi volle annientare Israele, e chiese di essere annientato con i figli del suo popolo. Egli presentò dinanzi a Dio l'amore per gli uomini e la trasgressione dicendo: «Perdona loro, o cancellami dal libro che tu hai scritto». Così parlo il mite! Dio allora preferì perdonare coloro che avevano peccato, piuttosto che far torto a Mosè.
(Evagrio, Lettere 56,6).
Se sei teologo pregherai veramente, e se preghi veramente sei teologo.
(Evagrio, Sulla preghiera 60)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

mercoledì 12 giugno 2024

La riscoperta dell'antico nella quarta ondata dell'evangelicalismo

Negli anni '40, visitare una chiesa battista, presbiteriana o metodista avrebbe rivelato somiglianze e differenze distintive. Le chiese, pur essendo tutte liturgiche, variavano tra "chiesa alta" presbiteriana e metodista e "chiesa bassa" battista e metodista, con una cultura revivalista. I fedeli erano consapevoli delle distinzioni teologiche delle loro denominazioni.

Oggi, le chiese allineate al movimento neo-evangelicale mostrano una sorprendente somiglianza, indipendentemente dall'etichetta denominazionale. Le chiese nondenominazionali, spesso composte da ex battisti e metodisti, presentano una sensibilità carismatica. Le mega chiese metodiste conservatrici e le chiese battiste del Sud somigliano molto alle chiese nondenominazionali. Le differenze teologiche esistono ancora, ma sono meno pronunciate, influenzate da tre onde che hanno trasformato il panorama ecclesiale.

Prima ondata: Culto pieno di Spirito

Il movimento "Spirit-filled" degli anni '60 e '80, nato nel pentecostalismo, ha enfatizzato guarigioni, doni di segni e forme di culto contemporaneo. Questo movimento ha influenzato tutte le denominazioni, anche quelle più tradizionali. Ha minimizzato alcune delle sue peculiarità per abbracciare evangelici desiderosi di una esperienza più profonda dello Spirito. Tuttavia, ha incontrato resistenze, con leader che promuovevano un forte cessazionismo e combatterono le "guerre del culto" negli anni '80 e '90 per fermare il passaggio a forme musicali contemporanee. Oggi, gli effetti di questa onda sono visibili anche nelle chiese che rifiutano il culto carismatico, nel quale si trovano fedeli che pregano in lingue, culto contemporaneo ed espressivo e preghiere potenti di guarigione.

Seconda ondata: Crescita della chiesa "sensibile ai ricercatori"

Negli anni '60 e '70, il movimento di crescita della chiesa ha introdotto modelli "seeker-sensitive" per attrarre persone, rispondendo ai loro "bisogni sentiti". Leader come Bill Hybels e Rick Warren hanno sviluppato modi nuovi di fare chiesa, rendendola comprensibile e conveniente per i non credenti, adattando elementi del movimento "Spirit-filled". Questo modello ha affrontato critiche per l'annacquamento del Vangelo e l'adozione di una visione programmatica della discepolanza. Tuttavia, le sue pratiche sono ampiamente diffuse: segnaletica chiara, accoglienza, caffè nelle aree comuni, culto contemporaneo e predicazione connessa ai problemi della vita. Questa onda ha influenzato come le chiese vedono il loro scopo e giudicano la loro efficacia.

Terza ondata: Centralità del Vangelo

Negli anni 2000 e 2010, il movimento della centralità del Vangelo ha reagito contro le soluzioni pragmatiche e le carenze teologiche dei movimenti precedenti. Ha riportato la chiesa al centro della fede cristiana, focalizzandosi sulla grazia e la misericordia attraverso la croce e la resurrezione di Gesù. Questo movimento, sostenuto da teologi come John Piper e predicatori come Tim Keller, ha risposto a un panorama culturale segnato da domande sul dolore e la sovranità di Dio dopo l'11 settembre 2001. Ha generato critiche per il suo trionfalismo e per l'enfasi sugli indicativi a scapito degli imperativi biblici. Oggi, le tracce di questa onda sono visibili in molte chiese: inni moderni, predicazioni incentrate su Gesù e piccoli gruppi che studiano la teologia classica.

Quarta ondata: Formazione spirituale?

Una nuova onda potrebbe influenzare presto le chiese evangeliche: la formazione spirituale. I frequentatori di chiese, in particolare studenti universitari, stanno mostrando un rinnovato interesse per la formazione spirituale, un'adesione totale a Gesù che richiede una trasformazione delle abitudini personali e delle discipline spirituali.

Questa onda, come le precedenti, è in parte reattiva: la "Spirit-filled" è troppo superficiale, la "seeker-sensitive" troppo programmatica e il movimento centrato sul Vangelo troppo reticente nel sottolineare una regola di vita. Tuttavia, l'accento principale della formazione spirituale è positivo: plasmare la vita secondo pratiche e abitudini che favoriscono la crescita in virtù e sviluppo del carattere.

Un pastore afroamericano di Baltimora ha affermato che i suoi studenti universitari non prendono seriamente la chiesa se non propone una visione morale impegnativa. Libri di successo come quelli di Justin Whitmel Earley e John Mark Comer riflettono questa tendenza. Comer, in particolare, ha una forte influenza tra i giovani, indicando un ritorno all'enfasi sulla formazione spirituale.

Questa onda riprende la visione di Dallas Willard sulla discepolanza e il misticismo evangelico di A.W. Tozer, integrando pratiche antiche della chiesa pre-riformata. A livello corporativo, si allinea con la visione "antico-futuro" di Robert Webber, che promuove l'incorporazione di rituali cristiani antichi nella vita devozionale (preghiere scritte, spazi sacri, digiuni, solitudine) e ritmi di culto che combinano antichi credi e liturgie con stili di culto moderni derivati dall'onda "Spirit-filled".

Perché questa onda sta emergendo ora? Potrebbe essere segno di un rinascimento del metodismo insieme a una teologia riformata centrata sul Vangelo, o una risposta al caos culturale attuale che spinge i giovani a cercare nuove forme di struttura spirituale. Molti giovani sentono una tensione fruttuosa tra la terza e la quarta onda, desiderando più struttura e liturgia e rifiutando l'hype e la performance, mantenendo al contempo il messaggio radicale di grazia e accettazione.

Questa onda comporta rischi: il Vangelo potrebbe essere implicito anziché esplicito, la Scrittura potrebbe passare in secondo piano rispetto all'esperienza, e la chiesa potrebbe diventare secondaria rispetto al percorso individuale. Tuttavia, ogni onda lascia il suo segno nel panorama evangelico, portando sia punti di forza che debolezze.

Forse sbaglio su questa quarta onda, ma sono curioso di vedere se si concretizzerà e quale sarà il suo impatto sulla prossima generazione.

- Trevin Wax, The Gospel Coalition, 23 maggio 2024

Fermati 1 minuto. Il codice dell'amore

Lettura

Matteo 5,17-19

17 Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. 18 In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. 19 Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli.

Commento

Lo iota è la nona lettera dell'alfbeto greco, corrispondente alla decima dell'alfabeto ebraico (jod), che è la più piccola. Il termine greco keraia, tradotto con "segno", significa "corno", "apice" e indica probabilmente il piccolo segno aggiunto a scopo decorativo a numerose consonanti dell'alfabeto ebraico. Il senso delle parole di Gesù è che nessun particolare della legge potrà essere trascurato, ma dovrà giungere a compimento.

Gesù è un ebreo osservante, ma allo stesso tempo fa nuove tutte le cose: riafferma i dieci comandamenti, ma li arricchisce con il "discorso della montagna"; osserva il Sabato, ma non si esime in quel giorno dal compiere miracoli e guarigioni; difende la purità rituale del Tempio, scacciando venditori e cambiavalute, ma proclama il nuovo culto "in spirito e verità"; celebra la Pasqua ebraica, ma con la sua Croce inaugura la nuova Pasqua, della quale l'antica era solo una prefigurazione.

Il "compimento" di cui si proclama artefice Gesù è il realizzarsi delle profezie antiche; egli non solo porta a perfezione la legge morale ma realizza in se stesso l'incarnazione della legge cerimoniale, simbolo del suo sacrificio pieno, perfetto e sufficiente, realizzato sulla croce.

Il riferimento alla legge e ai profeti è presente, poco più avanti nel Vangelo di Matteo, nell'enunciazione, da parte di Gesù, della "regola d'oro": "'Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti'" (Mt 7,12).

Gesù afferma l'autorità delle Scritture dell'Antico Testamento come parola di Dio. Ciò implica che il Nuovo Testamento non soppianta l'Antico, ma lo completa e ne spiega il significato. La verità nascosta nelle Scritture ebraiche rimane valida e risplende ora alla luce del vangelo.

Natura non facit saltus affermavano gli antichi: la natura non procede per gradini, ma attraverso un piano inclinato, per progressive integrazioni. Così è per alcune pagine dell'Antico Testamento, che possono risultare "scandalose" per l'uomo di oggi, intrise di violenza, inganni, e piene di precetti che fatichiamo a comprendere. Ma c'è una progressività della rivelazione, che conduce fino all'epifania di Cristo.

Coloro che custodiranno e insegneranno la parola di Dio saranno ritenuti grandi nel regno dei cieli (v. 19): "Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche" (Mt 13,52).

In Gesù abbiamo la pienezza della rivelazione. Egli non si propone come semplice interprete della Legge ma si colloca al di sopra di essa, come sua fonte. Gesù è la Parola che si è fatta carne (Gv 1,14), per farci conoscere il codice dell'amore, il cui giogo è dolce e il carico leggero.

Preghiera

Signore Gesù Cristo, aiutaci a riconoscerti come norma di vita e a conformarci a te, per progredire nell'amore e testimoniare la tua giustizia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 11 giugno 2024

Fermati 1 minuto. Sale e luce

Lettura

Matteo 5,13-16

13 Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
14 Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, 15 né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. 16 Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.

Commento

Le immagini del sale e della luce attestano chiaramente che Gesù desidera che i suoi discepoli siano capaci di influenzare la realtà toccata dalla loro predicazione e testimonianza di vita. Come "conservante" il "sale" dei discepoli contrasta il decadimento morale del mondo, ma aggiunge anche sapore, rendendo il mondo un posto migliore. Il sale è un rimedio per le pietanze insipide ma non c'è rimedio per il sale insipido.

La lampada serve per illuminare le tenebre e non ha senso nasconderla. I cittadini del regno di Dio sono luce e devono risplendere davanti agli uomini; vedendo le loro buone opere questi saranno mossi ad amare e servire Dio.

Gesù definisce se stesso la luce del mondo (Gv 8,12); i credenti partecipano della sua luce mediante il dono della grazia.

Lungi dal fuggire dal mondo Gesù ci invita alla testimonianza, per contribuire alla gloria di Dio. Testimonianza che può esprimersi con un attivo impegno nella società e nella vita della polis, o che può farsi eloquente silenzio quando nella solitudine contemplativa ci si fa segno vivente di quell'amore per l'unico bene necessario (Mt 19,17).

Preghiera

Confermaci, Signore, nella testimonianza fedele del tuo vangelo di salvezza; affinché il mondo possa santificare il tuo nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 10 giugno 2024

Fermati 1 minuto. Le beatitudini

Lettura

Matteo 5,1-12

1 Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. 2 Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:
3 «Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
4 Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
5 Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
6 Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
7 Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
8 Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
9 Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
10 Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
11 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12 Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.

Commento

Gesù proclama le beatitudini "sulla montagna"; si tratta di una connotazione teologica che richiama il monte Sinai, dove Mosè ricevette le tavole della legge (Es 24,12). Mentre però la prima legge fu portata al popolo discendendo dal monte, la legge evangelica è data con l'ascesa di Gesù sul monte; mentre la prima fu data fra tuoni e fulmini, la seconda è proclamata da Cristo con la dolcezza della sua parola; mentre nella promulgazione della prima legge il popolo doveva tenersi a distanza dal monte, qui è invitato ad avvicinarsi.

Si tratta del primo di cinque discorsi che costituiscono una caratteristica del Vangelo di Matteo che, diversamente dall'analogo discorso di Luca (Lc 6,20-49), non è indirizzato solo ai discepoli ma anche alle folle. Le beatitudini sono destinate a tutti.

Il discorso della montagna rappresenta un potente assalto al legalismo farisaico. L'alto standard richiesto da Gesù per l'osservanza della legge è impossibile da conseguire con le sole forze umane e rende completamente dipendenti dalla grazia.

La formula "beati" ricorre nei Salmi e nella letteratura sapienziale, ed è frequente anche nel Nuovo Testamento, in particolare nell'Apocalisse.

Il termine "poveri (gr. ptochos) in spirito" è quello che nel Nuovo Testamento designa frequentemente chi è povero, ma anche emarginato e oppresso, così come nell'Antico Testamento esprimono questa condizione le parole ebraiche ebyiondal anawim. L'aggiunta "in spirito" (gr. to pneumati) indica l'umiltà di cuore di chi, qualunque sia il suo ceto sociale, riconosce la sua completa dipendenza da Dio e il suo costitutivo bisogno di lui. L'umiltà di spirito è la prima virtù elencata e rappresenta come le fondamenta per costruire l'edificio della santità: più sono profonde, più l'edificio sarà solido e potrà svilupparsi in altezza.

La consolazione è promessa a "coloro che sono nel lutto" (gr. penthountes), non perché piangono dei morti, ma perché vivono la loro condizione terrena di sofferenza nell'attesa e nella speranza di Dio che verrà a liberarli definitivamente dalle catene del mondo (cfr. Is 61,3).

I miti (gr. praeis) che erediteranno la terra (cfr. Sal 37,11), cioè il regno dei cieli, non sono i mansueti per temperamento, ma coloro che, poveri e umili di cuore, sono diventati docili alla volontà del Signore.

Avere "fame e sete di giustizia" significa porsi in sintonia con l'azione di salvezza di Dio, traducendo coerentemente nella propria vita ciò che essa comporta, vivendo pienamente la propria vocazione cristiana. La giustizia, ovvero il retto agire, proviene dalla stessa azione santificante della grazia.

Misericordioso (gr. eleemon) non è sempicemente chi ha compassione per gli altri, ma chi concretamente, nei rapporti, riproduce il modo di amare di Dio misericordioso. La misericordia è ciò che ci rende più simili a Dio.

Con l'espressione "puri di cuore" (gr. katharoi te kardia) Gesù si riferisce agli uomini giusti secondo Dio, sinceri, semplici e retti nell'agire. A loro è promesso di vedere Dio nel regno che deve venire.

Gli operatori di pace (gr. eirènopoioi) sono innanzitutto coloro che lavorano per dare all'umana convivenza la sua unità e pienezza di relazioni, riconciliando i cuori, appianando i conflitti, creando legami di comunione. La speciale unione in questo sforzo con il disegno di Dio, attuato da Gesù, li innanlzerà al rango di figli. Questa virtù attesta anche che Gesù non ha mai inteso diffondere il suo regno con la spada e con il fuoco, mediante uno zelo intemperante.

Come i profeti perseguitati da Israele anche i discepoli di Gesù sono destinati a patire le persecuzioni (gr. dediògmanoi), prima da parte della sinagoga, poi dal potere imperiale romano, più in generale dal "mondo", per agire in conformità al vangelo.

Le ultime frasi di questo discorso di Gesù includono la presenza della croce nella vita del credente, ma invitano alla gioia anche quando le cose diventano difficili. La felicità è l'obiettivo ricercato da ogni essere umano; nelle beatitudini Gesù ci indica la strada per raggiungerla, ma possiamo percorrerla solo guidati e fortificati dal suo Spirito.

Preghiera

Guidaci, Signore, verso la pienezza della felicità; affinché camminando sulle vie delle tue leggi possa risplendere in noi l'opera della tua grazia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona