Nel 399, il giorno dell'Epifania, si spegne Evagrio Pontico, monaco e maestro di vita spirituale nel deserto egiziano.
Era nato attorno al 345 a Ibora, nel Ponto, in una famiglia di alti notabili, e questo gli permise di ricevere una formazione completa e raffinata.
Ordinato lettore da Basilio, egli divenne membro del clero di Cesarea, ove rimase fedele al proprio vescovo fino alla morte di quest'ultimo. Quindi si trasferì a Costantinopoli dall'amico Gregorio di Nazianzo, che lo ordinò diacono e lo volle al proprio fianco nella difficile lotta contro gli ariani.
Quando Gregorio si ritirò, egli trascorse un certo tempo al servizio del nuovo patriarca Nettario, finché una serie di drammatiche circostanze finì, secondo le sue stesse parole, per «esiliare Evagrio nel deserto». Fuggito da Costantinopoli, si recò a Gerusalemme, e quindi raggiunse il deserto egiziano di Nitria attorno al 384. Dopo due anni di vita semianacoretica alla scuola di Macario di Alessandria e di Macario il Grande, egli ottenne un maggiore isolamento nel deserto delle Celle.
La sua lotta nel deserto, non del tutto scelta ma pienamente assunta, non fu vana. Nel deserto Evagrio sviluppò infatti una sintesi di teologia e di monachesimo pratico unica per il suo tempo. La sua sensibilità psicologica, la sua finezza analitica ne fecero uno dei più grandi maestri spirituali dell'antichità, e a lui si ispireranno Massimo il Confessore, Isacco il Siro e Simeone il Nuovo Teologo, per citare solo i padri più famosi.
La condanna di alcune sue affermazioni, avvenuta a quasi due secoli dalla morte e in circostanze non chiare, ha a lungo infangato la memoria di Evagrio, anche se non ha impedito che i suoi scritti, spesso sotto altro nome, giungessero fino a noi. Solo la critica moderna gli ha restituito l'onore che si merita.
Tracce di lettura
La fede è il principio della carità; il fine della carità, la conoscenza di Dio.
(Evagrio, Ai monaci 3)
«Fa', o Signore, che conosca le tue vie, e insegnami i tuoi sentieri». Chi vuole conoscere «le vie del Signore», diventi mite. Si dice infatti: «Ai miti egli insegnerà le sue vie». Sono miti coloro i quali hanno placato nell'anima la lotta indefessa dell'irascibilità e della concupiscenza, nonché la lotta delle passioni da esse suscitate.
(Evagrio, Scholia sui Salmi 24,4)
Nessuna virtù produce la sapienza come la mitezza, a motivo della quale anche Mosè fu lodato, perché era «il più mite di tutti gli uomini».
(Evagrio, Lettere 36,3)
Dimmi, dunque, perché la Scrittura, quando ha voluto esaltare Mosè, ha lasciato da parte tutti i segni mirabili e pensato unicamente alla mitezza? ... Essa infatti dice che egli, nel deserto, stette tutto solo davanti al volto di Dio, quando questi volle annientare Israele, e chiese di essere annientato con i figli del suo popolo. Egli presentò dinanzi a Dio l'amore per gli uomini e la trasgressione dicendo: «Perdona loro, o cancellami dal libro che tu hai scritto». Così parlo il mite! Dio allora preferì perdonare coloro che avevano peccato, piuttosto che far torto a Mosè.
(Evagrio, Lettere 56,6).
Se sei teologo pregherai veramente, e se preghi veramente sei teologo.
(Evagrio, Sulla preghiera 60)
- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose