Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

giovedì 30 novembre 2023

Fermati 1 minuto. Prendere il largo

Lettura

Matteo 4,18-22

18 Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori.
19 E disse loro: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini». 20 Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono. 21 Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedèo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò. 22 Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono.

Commento

Andrea, come riporta il Vangelo di Giovanni (Gv 1,40-41), aveva già incontrato Gesù durante la predicazione di Giovanni Battista, riconoscendo in lui l'Agnello di Dio e annunciando prontamente a suo fratello Pietro di avere trovato il Messia atteso da Israele. Dopo aver seguito Cristo come discepoli ordinari i due fratelli sono ora chiamati a servire la causa del vangelo con  maggiore radicalità.

A differenza dei discepoli dei maestri ebrei che scelgono il loro maestro è Gesù che sceglie quelli che vuole che lo seguano. C'è una forza e un'autorità misteriosa in lui se basta questo semplice invito a seguirlo per ottenere da parte dei discepoli una risposta pronta e l'altrettanto immediata rinuncia a tutto.

Gli strumenti che Gesù sceglie per stabilire il suo regno sono umili e considerati di poco conto dal mondo. Anche la modalità con cui desidera instaurare il suo regno è umile: avrebbe potuto costituire una scuola di teologia, e senz'altro sarebbero andati da lui allievi numerosi; avrebbe potuto formare un esercito per combattere gli oppressori di Israele; invece sceglie uomini comuni, per stabilire il regno mediante la predicazione. 

Così sceglie i suoi apostoli non tra i dotti del sinedrio, ma tra i pescatori sulle rive del lago di Gennesaret (che gli ebrei chiamavano "mare di Galilea"). Al momento della loro chiamata questi uomini lasciano tutto: la  famiglia, il  lavoro, i compagni; comincia per loro una vita radicalmente nuova. Eppure non resteranno "a  mani vuote"; Gesù prometterà loro: "Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna" (Mt 19,29). 

Vi è poi una certa continuità tra quello che gli apostoli sono prima della loro chiamata e la loro funzione al servizio di Gesù: erano pescatori di pesci, ora saranno pescatori di uomini. La sequela di Cristo non mortifica la nostra natura, le nostre doti, quel che contraddistingue la nostra personalità. Piuttosto valorizza tutti questi aspetti portandoli a piena maturazione.

Gesù ci chiama a non tenere nulla per noi stessi, a tutto sacrificare alla sua grazia, per trovare quella libertà che sola può consentirci di "prendere il largo" e di gettare la rete del suo amore sull'umanità, radunandola alla sua presenza.

Preghiera

Donaci un cuore generoso, Signore, per seguirti senza esitazioni e lavorare per la gloria del tuo nome e al servizio del nostro prossimo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Andrea apostolo. Il primo dei chiamati

Oggi le chiese d'oriente e d'occidente ricordano Andrea, apostolo del Signore. Figlio di Giona e fratello di Simon Pietro, Andrea era originario di Betsaida ed esercitava il mestiere di pescatore. Discepolo del Battista, egli comprese in profondità la testimonianza resa da Giovanni a Gesù di Nazaret e si mise subito alla sequela dell'Agnello di Dio. Andrea fu il «primo chiamato», e si prodigò per portare a Gesù quanti attendevano il Messia. Secondo la tradizione, dopo la morte e resurrezione di Gesù egli annunciò il vangelo in Siria, in Asia Minore e in Grecia. Divenuto pescatore di uomini attraverso l'annuncio della stoltezza della croce, Andrea morì a Patrasso, crocifisso come il suo Maestro. Nel IV secolo, le sue reliquie furono trasferite a Costantinopoli. Finite poi in occidente, esse sono state restituite alla chiesa di Patrasso da papa Paolo VI nel 1974, in segno d'amore verso l'ortodossia, che venera in Andrea il primo arcivescovo della chiesa di Costantinopoli.

Tracce di lettura

Andrea, dopo essere rimasto con Gesù e aver imparato tutto ciò che Gesù gli aveva insegnato, non tenne chiuso per sé il tesoro, ma si affrettò a correre da suo fratello per comunicargli la ricchezza che aveva ricevuto. Ascolta bene cosa gli disse: «Abbiamo trovato il Messia, che significa Cristo». Questa è la parola di un'anima che con grande ansietà prepara la venuta di lui e attende la sua discesa dai cielo, ed è piena di gioia sovrabbondante quando l'Atteso si è manifestato, e si affretta ad annunziare agli altri la grande novità. L'aiutarsi reciprocamente nella vita spirituale è proprio segno di benevolenza, di amore fraterno, di sincerità d'animo. Guarda anche Pietro: Andrea «lo condusse da Gesù», affidandolo a lui perché imparasse tutto da lui direttamente.
(Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Giovanni 19,1)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

ANDREA APOSTOLO, dipinto su tela copia di affresco bizantino
(Andrea apostolo, 6-60 d.C.)

mercoledì 29 novembre 2023

Fermati 1 minuto. L'occasione della testimonianza

Lettura

Luca 21,12-19

12 Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome. 13 Questo vi darà occasione di render testimonianza. 14 Mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa; 15 io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere. 16 Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi; 17 sarete odiati da tutti per causa del mio nome. 18 Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà. 19 Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime.

Commento

Gli ultimi tempi saranno un periodo di persecuzione per i credenti; ma non dobbiamo pensare a un momento lontano nella storia. Sono proprio quelli che viviamo: tutto l'arco temporale che separa l'instaurazione della Chiesa dalla seconda venuta del Signore. 

"Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me" (Gv 15,18). Vi è una potenza nel mondo avversa al vangelo, una forma di resistenza alla penetrazione del suo messaggio. Ma lungi dal far soccombere i cristiani, diventa per essi occasione di testimonianza (v. 13), di martyrion

Non si tratta qui solo della morte cruenta, ma di una intera vita che si lascia guidare dalla fede, in mezzo alle avversità, all'ostilità degli increduli e alla possibilità della solitudine nell'esperienza del tradimento da parte degli affetti più cari. 

Una tale prova può essere affrontata solo non confidando in se stessi, nelle proprie capacità e nei propri  meriti, ma abbandonandosi fiduciosamente a Dio e allo Spirito che Cristo ci ha lasciato affinché sia con noi fino alla fine del mondo (Gv 14,16-17). Da lui proviene quella pace che dimora nel più profondo del cuore del credente e che nessuna tribolazione può togliere. Nulla di quel che siamo perirà, ma tutto verrà trasfigurato nella gloria futura.

Preghiera 

Donaci, Signore, la forza della coerenza nella fede; affinché possiamo testimoniare con coraggio il tuo Nome, fino all'incontro con te nella gloria. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Giacomo di Sarūg, monaco, pastore, poeta della Chiesa di Siria

La chiesa siro-occidentale fa oggi memoria di uno dei suoi più grandi scrittori e poeti: Giacomo di Sarūg la cui vita ci è giunta soprattutto grazie alla Storia del contemporaneo Giacomo di Edessa. Nato nel 451 nel villaggio di Qurtam, sull'Eufrate, Giacomo studiò alla celebre scuola di Edessa. 
A 22 anni divenne monaco, e iniziò presto a trasfondere la sua meditazione delle Scritture in poemi religiosi di rara bellezza. Dopo aver ricevuto l'ordinazione presbiterale, Giacomo divenne visitatore ecclesiastico della chiesa locale di Ḥawra, ed ebbe così modo di conoscere tutta la Siria; poi, sul finire della vita, fu eletto vescovo di Batnān-Sarūg, nel 518. Giacomo morì il 29 novembre del 521, e per le sue grandi doti di scrittore la chiesa siriaca gli attribuì il titolo di «arpa dello Spirito santo», al pari del suo maestro sant'Efrem. Dei suoi 763 poemi, appena un terzo è giunto a noi. In essi Giacomo canta con continui e sapienti rinvii alle Scritture ebraiche e cristiane la bellezza dell'agire divino nella storia, riflesso emblematicamente nello sguardo misericordioso di Dio rivelato a noi dal volto di Cristo.

Tracce di lettura

Nel suo dolore, l'anima malata dice:
Chi mi restituirà la bellezza di cui ero adorna
perché non pecchi più?
E se Dio mi ha gradito
a motivo della sua misericordia,
chi mi restituirà le qualità che ho perduto?
La mia natura è bella e splendente come il giorno;
se succederà che si spenga e si oscuri,
chi la rischiarerà ancora
per restituirle la bellezza?
E se tu cancelli i miei peccati
con la tua misericordia,
chi mi innalzerà al livello da cui sono caduta?
O anima che hai perduto la bellezza,
tu sei l'immagine del re: vieni!
La tua bellezza è fra le mani del tuo Signore:
egli l'ha custodita per te fino al momento
in cui farai ritorno a lui.
Allora egli te la ridarà
secondo la sua promessa.
Ci tiene assolutamente a rendertela.
(Giacomo di Sarug, Poemi )

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Giacomo di Sarūg (451-521)

martedì 28 novembre 2023

Fermati 1 minuto. La fine e il fine della storia

Lettura

Luca 21,5-11

5 Mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, disse: 6 «Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta». 7 Gli domandarono: «Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?». 8 Rispose: «Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: "Sono io" e: "Il tempo è prossimo"; non seguiteli. 9 Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine». 10 Poi disse loro: «Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, 11 e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo.

Commento

Comincia con questi versetti del Vangelo di Luca il discorso di Gesù sugli ultimi tempi (discorso escatologico). Gli avvenimenti narrati riguardano la distruzione del Tempio e di Gerusalemme, ma sono di insegnamento anche per la Chiesa, su come dovrà attendere il ritorno di Cristo. 

Israele non ha accolto il messaggio di liberazione spirituale predicato da Gesù e perderà per sempre la propria libertà e i propri fasti. Questo è il rischio che corriamo anche noi se non lasciamo che il vangelo ci liberi dalla "nostalgia" del tempio e dai falsi profeti. 

La nostalgia del tempio è propria di una religiosità che pensa di poter racchiudere Dio dentro la maestosità degli edifici di culto e nell'apparente solidità dell'istituzione clericale. Si tratta di un atteggiamento che spegne lo spirito di profezia, la capacità della fede di essere lievito nel mondo. 

I falsi profeti, per contro, traggono il pretesto dagli eventi dolorosi che attraversano ciclicamente la vita su questa terra per annunciare l'imminenza della fine, prospettando facili vie di fuga, mediante una religiosità disincarnata e settaria.

Molte sono le tribolazioni che gli uomini di ogni tempo dovranno affrontare, ma "non sarà subito la fine" (v. 9). Le prove che siamo chiamati ad attraversare, individualmente e come comunità, rappresentano l'occasione per testare la nostra perseveranza e la nostra solidarietà con gli uomini, nell'attesa di quel fine ultimo della storia in cui Cristo ci attende.

Preghiera

Signore, che attraverso gli avvenimenti della storia ci guidi verso la liberazione e la risurrezione, aiutaci ad attenderti con speranza e operosità. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Paisij Veličkovskij, la preghiera esicasta e lo studio dei Padri

Le chiese ortodosse ricordano oggi lo starec Paisij Veličkovskij, maestro di intere generazioni di monaci. Paisij nacque nel 1722 a Poltava, in Ucraina. Desideroso di una profonda vita spirituale, egli entrò nell'Accademia teologica di Kiev. Deluso dai sistemi troppo ispirati alla teologia delle scuole occidentali e poco radicati nella tradizione patristica, egli partì alla volta dell'Athos, dove giunse all'età di 24 anni. Uomo di grande dolcezza, amante della sapienza e capace di utilizzare i moderni metodi scientifici per esplorare il pensiero dei padri, Paisij trovò presto riunita attorno a sé una folta schiera di monaci romeni e slavi. Cominciò allora a organizzare comunità cenobitiche, che strutturava attorno al duplice polo della preghiera di Gesù, da lui appresa al Monte Athos, e dello studio dei padri. Grazie a Paisij e ai suoi compagni furono tradotte per la prima volta in lingua romena e slava moltissime opere patristiche. È a lui che si deve l'edizione in slavone della Filocalia, cioè dell'antologia composta da Nicodemo Aghiorita di testi dei padri orientali sulla preghiera del cuore. Per il suo discernimento e l'enorme numero di discepoli di diverse nazionalità che aveva accolto e saputo riconciliare attorno a sé, Paisij esercitò un profondo influsso sulla vita spirituale di generazioni di cristiani e di monaci. Paisij morì il 15 novembre del 1793 nel monastero romeno di Neamţ, di cui nel 1779 era divenuto starec.

Tracce di lettura

Così si edifica la vita comunitaria dei cenobi: per prima cosa, figli miei occorre che chi presiede sia molto versato in tutte le divine Scritture, in pieno possesso del dono di un vero e retto discernimento, capace di istruire e di guidare i suoi discepoli secondo la potenza delle sante Scritttire. Abbia amore vero e sincero per tutti. Sia mite e molto umile, molto paziente. Sia assolutamente libero dalla collera. In secondo luogo, i discepoli siano nelle sue mani come utensili nelle mani dell'artista, come argilla nelle mani del vasaio, come la pecora nelle mani del pastore. Non posseggano beni particolari, nulla di nulla, nemmeno un ago. Non confidino in se stessi a proposito di nulla, ma solo nel loro padre spirititale.
(P.Veličkovskij, Lettere)

La vera obbedienza consiste in questo: nel non pensare che si servono gli uomini, bensì il Signore. Dall'obbedienza nasce l'umiltà e l'umiltà è il fondamento di tutti i comandamenti, così come l'amore ne è la sommità. Perciò sforzatevi, nei limiti delle vostre possibilità, di compiere tutti i comandamenti del Signore. Umiliatevi l'uno davanti all'altro; preferite l'altro a voi stessi e abbiate amore secondo Dio tra di voi. Allora ci sarà in voi un'unica anima e un unico cuore nella grazia di Cristo.
(P. Veličkovskij, Istruzioni ai monaci)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

lunedì 27 novembre 2023

Fermati 1 minuto. Tutto quel che siamo in ogni cosa che facciamo

Lettura

Luca 21,1-4

1 Alzati gli occhi, vide alcuni ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro. 2 Vide anche una vedova povera che vi gettava due spiccioli 3 e disse: «In verità vi dico: questa vedova, povera, ha messo più di tutti. 4 Tutti costoro, infatti, han deposto come offerta del loro superfluo, questa invece nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere».

Commento

Gesù alza gli occhi (v. 1) e il suo sguardo vede oltre le apparenze esteriori. Poco prima aveva osservato alcuni ricchi pavoneggiarsi nel fare le proprie offerte al tempio, ora scorge una povera vedova tra la folla e ne trae un insegnamento per i discepoli.

Più volte Luca, nel suo Vangelo, esalta la povertà e il distacco come un modello di vita cristiana. Qui troviamo l'esempio di una vedova che depone nel tesoro del tempio i pochi spiccioli che possiede: il valore venale è minimo, ma il valore morale è altissimo, perché «ha dato tutto quanto aveva per vivere» (v. 4). Gli "spiccioli" (gr. lepta) in rame, erano le più piccole monete in uso. Da ciò si comprende l'estrema povertà della vedova, evidenziata dal termine greco penichros ("misera"), che è più forte di ptochos (per l'appunto, "povero").

La piccola, silenziosa, offerta della vedova - che avrebbe dovuto essere destinataria della carità più che donatrice - crea un evidente contrasto con la pretenziosità dimostrata poco prima dagli scribi (Lc 20,45-47). Donando tutto ciò che aveva per vivere la donna compie un vero sacrificio, a differenza degli scribi che hanno offerto il superfluo, coltivando il proprio orgoglio. Lungi dal giustificarla, l'offerta della vedova testimonia la sua giustizia davanti a Dio.

La vedova non ha semplicemente "messo più di tutti" (v. 3), ma secondo una traduzione letterale del testo greco "ha gettato tutta la vita (gr. bios) che aveva" portando a pieno compimento il comandamento di amare Dio "con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze" (Lc 10,27). Il gesto della donna ha un senso escatologico: è come se intuisse che sono giunti gli ultimi tempi e non c'è più da preoccuparsi della propria vita. Nel dilagare dell'iniquità e della falsa religiosità il suo gesto di integrità non passa inosservato agli occhi del Figlio di Dio. Il piccolo atto esteriore testimonia un orizzonte interiore totalmente diverso da quello che circonda la vedova e Gesù, che sta per donare la sua vita fino all'estremo della croce, si rispecchia in esso.

Fedeli nelle azioni quotidiane, che spesso passano inosservate, siamo chiamati a mettere tutti noi stessi in tutto quel che facciamo per dare lode a Dio, che per primo è stato generoso con noi, donandoci se stesso. La povera vedova ne era consapevole, perché pur portando pochi spicci nelle proprie tasche custodiva Dio nel proprio cuore.

Preghiera

Aiutaci, Signore, a spogliarci del nostro egoismo e del nostro orgoglio; per fare spazio nel nostro cuore al dono della tua grazia ed essere testimoni della tua bontà in ogni nostra azione quotidiana. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Il culto cristiano del Buddha nella Storia di Barlaam e Iosafat

La Chiesa Cattolica occidentale e la Chiesa maronita celebrano il 27 novembre la memoria di Barlaam e Iosafat.

Barlaam e Iosafat (o Josaphat), anticamente venerati come santi cristiani, sono i protagonisti di un romanzo agiografico, popolarissimo in età medievale, ispirato alla vicenda della conversione del Buddha.

La vita del Buddha venne conosciuta dai cristiani nell'Iran orientale e nell'Asia centrale dove i cristiani vivevano a contatto con i buddisti, con i mazdeisti e i manichei, grazie anche alla diffusione di qualche testo scritto come il Lalitavistara.

La prima redazione del testo, risalente presumibilmente al VI secolo, fu scritta nell'iranica lingua pahlavi, quindi venne tradotto in siriaco e in arabo e da queste derivarono molte altre traduzioni, a partire dal greco. La successiva traduzione in latino, aprì le porte alla diffusione in tutta l'Europa del testo, convertito a sua volta anche in lingue volgari. Il più antico manoscritto che ce la tramanda è del 1021 ed è conservato a Kiev; il suo parente più stretto è al Monte Athos; l'altro del 1064 è ad Oxford.

Il racconto, giunto in Occidente nell'XI secolo ed attribuito a Giovanni Damasceno, conobbe una rapida diffusione e venne ritenuto storico, tanto che i nomi di Barlaam e di Iosafat vennero inseriti nel Martirologio Romano al 27 novembre.

Narra del principe indiano Iosafat al cui padre, pagano, viene predetto che si convertirà al cristianesimo: Iosafat viene quindi tenuto lontano dalle miserie del mondo, in mezzo al lusso ed ai piaceri, ma ciò non gli impedisce di prendere coscienza delle miserie della vita umana (conosce la malattia, la vecchiaia e la morte). Il giovane viene quindi convertito dal santo eremita Barlaam e, divenuto eremita egli stesso, converte al cristianesimo il padre ed i sudditi.

La storia venne in realtà ricalcata sul modello della vicenda della conversione del Buddha (il nome sanscrito Bodhisattva si trasformò in Budasaf e poi in Iosafat; dal nome dell'eremita Balahuar, sdoppiamento del Buddha stesso, si arrivò al nome di Barlaam): venne tradotta in greco e poi in latino, quindi in numerose lingue volgari. Divenne tanto popolare da essere inclusa da Jacopo da Varagine nella sua Legenda Aurea e da ispirare alcune opere di Bernardo Pulci e di Lope de Vega, oltre a numerose opere scultoree, come quella nel Battistero di Parma di Benedetto Antelami, miniature e vetrate, nonché alcune immagini sul mosaico di Otranto.

Per approfondire:

Risultati immagini per barlaam e iosafat

domenica 26 novembre 2023

Susciterò a Davide un germoglio

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA DOMENICA PRECEDENTE L’AVVENTO

Colletta

Risveglia, ti supplichiamo Signore, la volontà dei tuoi fedeli, affinché essi coltivando i frutti delle opere buone, possano essere da te ricompensati in pienezza. Per Cristo nostro Signore. Amen

Letture

Gr 23,5-8; Mt 9,18-26

Commento

"I giorni vengono" (Gr 23,5), non "i giorni verranno": si tratta di una realtà già in atto nel tempo in cui Geremia profetizza, e di una realtà che si adempie ed è ancora in divenire oggi. Con l'avvento di Cristo, e con la sua morte e risurrezione, la salvezza giunge a compimento, estendendosi oltre i confini di Israele, ma i frutti di questo "germoglio giusto", si dispiegheranno nella storia fino al suo ritorno glorioso.

Se ai tempi del profeta Geremia la salvezza indicava la liberazione di Israele dalla cattività babilonese e la ricostruzione del Tempio, nella prospettiva neotestamentaria questo evento storico diviene prefigurazione della liberazione dal peccato e dalle sue conseguenze, aperta ora a tutti i popoli. Il tempio che Cristo viene a costruire è egli stesso: "Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere!" (Gv 2,19) e "l'ora viene che né su questo monte, né a Gerusalemme adorerete il Padre" (Gv 4,21).

Il tempio che Gesù viene a costruire è la sua Chiesa, non come istituzione, ma come Corpo mistico in cui lo Spirito vivifica ogni membro e restaura in noi l'uomo in comunione con Dio.
Ecco perchè questo re, discendenza di Davide, sarà chiamato "l'Eterno, nostra giustizia". Il tempio che ricostruisce è l'uomo, giustificandolo dal peccato e rendendolo capace di ricevere lo Spirito santificante.

L'unica condizione richiesta per accedere a questo è la fede. E il Vangelo ci offre grandi esempi di fede. Quello del capo della Sinagoga è davvero tra i più forti, perché quest'uomo crede l'incredibile: che Gesù possa esercitare la propria potenza anche sulla morte, risuscitando la figlia appena defunta: "vieni, metti la mano su di lei, ed ella vivrà".

Mentre Gesù si reca a casa del capo della Sinagoga il Vangelo inserisce un racconto nel racconto, una specie di "cameo" che offre un'altro esempio di fede. Una donna, è affetta da dodici anni da una emorragia e pensa di potere ritrovare la propria salute mediante Gesù. Non osa chiedergli nulla, ma tocca il suo mantello, le cui frange rappresentavano i comandamenti della legge. La donna esprime con il proprio gesto una piena fiducia in Gesù come Salvatore e Santo nel quale la legge è portata a compimento e perfezione. Non è l'atto di toccare il mantello in sé che la guarisce, ma la sua fede, come attestato dalle parole di Gesù: "Fatti animo, figliola; la tua fede ti ha salvata".

Gesù giunge a casa del capo della Sinagoga e qui trova, come era tradizione al tempo, diverse persone che intonano lamenti, accompagnati da strumenti musicali. Forse anche infastidito da una maniera scomposta di celebrare il cordoglio per il defunto, ordina a tutti di ritirarsi, dicendo che la fanciulla non è morta ma dorme. In tal modo si attira le derisioni dei presenti, i quali non comprendono che dal punto di vista di Dio, anche ciò che ci spaventa al di sopra di ogni altra cosa, la morte, è una realtà a lui soggetta. 

Gesù "prese la fanciulla per la mano ed ella si alzò". La parola ebraica qui usata e tradotta con il verbo "alzarsi" è la stessa impiegata per indicare la risurrezione di Cristo. Il Signore ci prende per mano, soccorrendo la nostra impotenza, anche laddove la fede è messa alla prova e conducendoci nelle regioni della grazia, la terra promessa fin dai tempi antichi.

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 25 novembre 2023

Assidui e concordi nella preghiera. Commento al Salterio - Salmo 22

Lettura

Salmi 22

1 Salmo. Di Davide.

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla;
2 su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
3 Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome.
4 Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
5 Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo.
Il mio calice trabocca.
6 Felicità e grazia mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore
per lunghissimi anni.

Commento

Il Salmo 22 è un canto di fiducia. La breve composizione è incentrata sui simboli del pastore (vv. 1-4) e dell'ospite (vv. 5-6). Duplice è, dunque, l'argomento del salmo: sicurezza sotto la guida di Dio e pienezza di vita alla sua mensa.

I "pascoli erbosi" (v. 2) riecheggiano la divina promessa profetizzata da Isaia (Is,49-9-10): "Lungo tutte le strade pascoleranno e in ogni altura troveranno pastura; non avranno fame né avranno sete; non li colpirà arsura né calor di sole, poiché Colui che ha pietà di loro sarà loro guida, e alle sorgenti di acque li condurrà". La promessa è richiamata nel libro dell'Apocalisse (Ap 7,16-17). 

La menzione del nome divino quale mezzo di salvezza (v. 3) ricorre con frequenza nei Salmi (cfr. 24,11; 30,4), come anche nella letteratura profetica (cfr. Is 48,9; Ez 20,44).

Per il semita il pastore non è solo la guida che conduce il gregge al pascolo o all'oasi, ma soprattutto il "compagno di viaggio" che condivide con il gregge pericoli e difficoltà, caldo e sete. Per questo nella Bibbia il simbolo pastorale è applicato spesso a Dio (cfr. Sal 79, Is 40,10-11; 49,10; Ger 23,3-4; 31,10;Ez 34,11-16; Gv 10,11-18), non di rado in polemica con i "pastori" umani: re e capi politico-religiosi. Il Signore è il vero compagno, la vera guida, il vero sostegno del popolo e di ogni fedele. Di qui la frase che fa da centro spirituale del salmo: "perché tu sei con me" (v. 4).

Il Signore guida "sul giusto cammino" (v. 3), sui sentieri più adatti e sicuri della vita, lontani dai pericoli per la nostra anima. Anche quando tocca attraversare una "valle oscura" la sicurezza viene dal sapere che Dio - al quale il salmista si rivolge ora in seconda persona - è sempre al nostro fianco. Il bastone e il vincastro del pastore indicano che la guida del Signore è salda, la sua protezione sicura.

I nemici sotto gli occhi dei quali il Signore prepara una mensa per il suo fedele (v. 5) restano sullo sfondo del salmo, come testimoni dell'amicizia e della generosità di Dio per chi si lascia guidare da lui. I doni di cui il salmista è ricolmato dal Signore sonoo simboleggiati da un calice traboccante.

Il salmo si chiude con la certezza espressa dal salmista di godere per sempre della protezione di Dio e di beneficiare per lunghi anni della divina ospitalità nella sua casa (v. 6). Anche Gesù offrirà l'immagine di Dio che, cintesi le vesti, farà mettere a tavola il servo fedele e passerà a servirlo (Lc 12,37). La promessa culminerà nella realtà storica storica del cenacolo e nella prospettiva escatologica del banchetto celeste. I padri della Chiesa hanno letto le immagini delle acque (v. 2) e della mensa (v. 5) come prefigurazione del battesimo e dell'eucaristia.

La versione testamentaria del Salmo 22 può essere considerata la parabola evangelica del "buon pastore" (Gv 10,11-15), ricordando che l'immagine di Dio "Pastore d'Israele" ricorre con frequenza nella letteratura profetica, la quale con essa descriveva tutta la cura e l'amore di Dio per il suo popolo e per i singoli membri di esso. Gesù è presentato come "guardiano delle anime" e "pastore supremo" nella Prima lettera di Pietro (1 Pt 2,25; 5,4) e "pastore grande delle pecore" nella Lettera agli Ebrei (Eb 13,20).

- Rev. Dr. Luca Vona


venerdì 24 novembre 2023

Fermati 1 minuto. La purificazione necessaria

Lettura

Luca 19,45-48

45 Entrato poi nel tempio, cominciò a cacciare i venditori, 46 dicendo: «Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri!». 47 Ogni giorno insegnava nel tempio. I sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo perire e così anche i notabili del popolo; 48 ma non sapevano come fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue parole.

Commento

Giunto a Gerusalemme Gesù non compie più miracoli e guarigioni ma si dedica all'insegnamento nel tempio, impegnandosi in varie dispute e dando ammaestramenti sulle cose ultime. Ma prima di far risuonare la sua parola svolge un'opera di purificazione, allontanando i venditori. 

La predicazione si svolge tra l'ammirazione del popolo, che "pendeva dalle sue parole" (v. 48) e l'ostilità dei capi politici e religiosi, che saranno i suoi antagonisti nel dramma della passione. 

Anche nel nostro cuore si svolge un commercio con le cose di questo mondo - spesso ridotte a beni di scambio - e si manifestano reazioni contrastanti alle parole del vangelo. Ma il Signore viene a purificarlo, a volte in maniera veemente, ma sempre per amore del suo luogo santo, creato a immagine e somiglianza di Dio.

Non fare del Tempio una "spelonca di ladri" significa anche recarsi in esso senza la presunzione di avere diritto a ottenere qualcosa da Dio, piegandolo alla nostra volontà spesso prigioniera di dinamiche del tutto umane. Gesù ci invita a rivolgerci a lui per trovare nella relazione con lui il senso di ogni cosa, che si esprime in un amore gratuito e sovrabbondante.

Preghiera

Crea in noi Signore un cuore puro; affinché possiamo adorarti in spirito e verità, mettendoci in ascolto della tua parola. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Giovanni Ecolampadio, riformatore di Basilea

La Chiesa luterana fa oggi memoria di Giovanni Ecolampadio alias Jo(h)annes Oecolampadius (Weinsberg, 1482 – Basilea, 24 novembre 1531), teologo, umanista e riformatore svizzero.

Il suo vero nome era Johannes Heussgen (ma spesso scritto anche come Husschyn, Hussgen, Huszgen, Hausschein). Come usuale all'epoca fra umanisti, il nome fu tradotto in una delle due lingue classiche (in questo caso il greco oikos, casa, e lampas, lampada).

Studiò a Heidelberg e Bologna, e nel 1510 fu ordinato sacerdote e ottenne una parrocchia a Weinsberg. Le sue prediche, che auspicavano una riforma della Chiesa, crearono molti contrasti e lo costrinsero in seguito a lasciare la città nel 1518.

Già precedentemente, nel corso dei suoi vari soggiorni a Tubinga, Stoccarda e Heidelberg, aveva imparato la lingua ebraica ed era entrato in contatto con umanisti del calibro di Johannes Reuchlin, Filippo Melantone e Volfango Capitone. Nel 1515 a Basilea, dove aveva concluso i propri studi di teologia, aveva conosciuto anche Erasmo da Rotterdam, che aveva assistito per l'edizione del Nuovo Testamento. Dopo essersi laureato, pubblicò una grammatica della lingua greca e una serie di traduzioni dei padri della Chiesa.

Ecolampadio iniziò a studiare gli scritti di Lutero, ritirandosi in un convento. Qui continuò a dedicarsi alle traduzioni dei padri della Chiesa e aderì alla dottrina della giustificazione per sola fede. Egli rese pubblica la propria adesione alla Riforma con due scritti. Dovette lasciare il convento, diventando cappellano del castello di Franz von Sickingen, ed entrò in contrasto con Erasmo, che non aderì mai alla Riforma.

Partecipò alla disputa sacramentaria (1525) e al colloquio di Marburgo. Sulla questione eucaristica si associò alla posizione di Zwingli. Fu sempre in posizione conciliante, e tollerante anche nelle lotte con i cattolici, gli anabattisti, il Serveto.

Nel 1522 si stabilì definitivamente a Basilea, dove continuò la traduzione dei padri della Chiesa. Diede lezioni pubbliche sui profeti biblici.

Morì nel 1531, appena poche settimane dopo la morte di Zwingli. È sepolto nel Duomo di Basilea e uno dei comuni ecclesiastici del Canton Basilea Città porta il suo nome.

giovedì 23 novembre 2023

Fermati 1 minuto. L'assedio del cuore

Lettura

Luca 19,41-44

41 Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: 42 «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. 43 Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; 44 abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».

Commento

Gesù sta scendendo dal Monte degli ulivi verso Gerusalemme e ammirando la città e il suo Tempio proprompe in pianto. Il verbo greco qui utlizzato da Luca - klaio - è diverso da quello impiegato per descrivere il pianto di fronte alla tomba di Lazzaro - dakryo. Non si tratta semplicemente di commozione, ma di un vero lamento profetico. 

Non accettando colui che porta la pace, Gerusalemme non potrà trovar pace e sarà vittima di devastazioni di ogni genere. Eppure Gesù sarà di lì a poco accolto in modo trionfale nel suo ingresso in città. Ma egli scorge la superficialità dei cuori delle folle e il rinnegamento che si consumerà nelle ore della passione. 

Gerusalemme sarà distrutta nel 70 d.C. da Tito Flavio Vespasiano, durante la prima rivolta giudaica. La città, dopo un lungo assedio, verrà passata a fil di spada e rasa al suolo; anche il Tempio, in cui confidava, come luogo della presenza di Dio, che avrebbe assicurato la sua protezione, sarà distrutto. 

Le parole di Gesù non sono solo una triste testimonianza delle tragiche conseguenze per Gerusalemme per averlo respinto come Cristo. Anche noi siamo chiamati a riconoscere il tempo in cui viene a visitarci la grazia di Dio, colui che è venuto a "dirigere i nostri passi sulla via della pace" (Lc 1,79); il solo che può garantire la tregua ai nostri cuori, cinti d'assedio dai turbamenti interiori e dalle potenze di questo mondo.

Preghiera

Signore, donaci la pace non come la dà il mondo, ma come la dà il tuo Spirito; affinché possiamo restarti fedeli in ogni tribolazione. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Clemente di Roma e il vincolo della carità

Agli inizi del II secolo muore martire Clemente, secondo la tradizione terzo vescovo di Roma e autore di un'Epistola ai Corinzi, che è uno dei più toccanti testi letterari della cristianità primitiva. Secondo il Liber Pontificalis, Clemente nacque nel I secolo nel quartiere romano di Montecelio. Di lui si sa con certezza che fu vescovo a Roma sotto gli imperatori Galba e Vespasiano, e che, a nome degli anziani della sua chiesa ritenne opportuno intervenire per riportare la concordia nella chiesa di Corinto, lacerata da divisioni riguardanti l'autorità nella comunità cristiana.
Nella sua lettera, con un tono umile e al tempo stesso pieno di sapienza e di parresia evangeliche, Clemente ricorda ai cristiani di Corinto che la via dell'unità e della pace tracciata da Cristo passa per l'umiliazione e la sottomissione reciproca per amore, secondo gli insegnamenti di san Paolo, che costituivano un legame profondo tra i cristiani di Roma e quelli di Corinto. La sua fama di uomo mite ed evangelico crebbe a tal punto che nei secoli successivi fiorirono numerose tradizioni a suo riguardo. Secondo alcune di esse, Clemente morì martire in Crimea, dove fu annegato per ordine dell'autorità romana.

Tracce di lettura

Chi può spiegare il vincolo della carità di Dio? Chi è capace di esprimere la grandezza della sua bellezza? L'altezza ove conduce la carità è ineffabile. La carità ci unisce a Dio: «La carità copre la moltitudine dei peccati». Nulla di banale, nulla di superbo nella carità. La carità non ha scisma, la carità non si ribella, la carità tutto compie nella concordia. Senza carità nulla è accetto a Dio. Nella carità il Signore ci ha presi a sé. Per la carità avuta per noi, Gesù Cristo nostro Signore, nella volontà di Dio, ha dato per noi il suo sangue, la sua carne per la nostra carne e la sua anima per la nostra anima.
(Clemente di Roma, Epistola ai Corinzi 49)

mercoledì 22 novembre 2023

Fermati 1 minuto. Un Dio che dà fiducia

Lettura

Luca 19,11-28

11 Mentre essi stavano ad ascoltare queste cose, Gesù disse ancora una parabola perché era vicino a Gerusalemme ed essi credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all'altro. 12 Disse dunque: «Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano per ricevere un titolo regale e poi ritornare. 13 Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele fino al mio ritorno. 14 Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un'ambasceria a dire: Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi. 15 Quando fu di ritorno, dopo aver ottenuto il titolo di re, fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il denaro, per vedere quanto ciascuno avesse guadagnato. 16 Si presentò il primo e disse: Signore, la tua mina ha fruttato altre dieci mine. 17 Gli disse: Bene, bravo servitore; poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città. 18 Poi si presentò il secondo e disse: La tua mina, signore, ha fruttato altre cinque mine. 19 Anche a questo disse: Anche tu sarai a capo di cinque città. 20 Venne poi anche l'altro e disse: Signore, ecco la tua mina, che ho tenuta riposta in un fazzoletto; 21 avevo paura di te che sei un uomo severo e prendi quello che non hai messo in deposito, mieti quello che non hai seminato. 22 Gli rispose: Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: 23 perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l'avrei riscosso con gli interessi. 24 Disse poi ai presenti: Toglietegli la mina e datela a colui che ne ha dieci 25 Gli risposero: Signore, ha già dieci mine! 26 Vi dico: A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. 27 E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me». 28 Dette queste cose, Gesù proseguì avanti agli altri salendo verso Gerusalemme.

Commento

Gesù sta per intraprendere la lunga salita che da Gerico lo condurrà a Gerusalemme per la celebrazione della Pasqua. Le aspettative dei suoi discepoli sono grandi. Pensano infatti che il suo regno debba manifestarsi "da un momento all'altro" (v. 11). Non immaginano il sacrificio che sta per compiersi. 

Ma Gesù narra una parabola che per immagini ci svela quanto sta per affidare a ogni suo discepolo. Un uomo nobile parte per "un paese lontano" (v. 12) per essere fatto re. Gesù sta per morire e ascenderà al Padre dopo la sua risurrezione. Il suo regno non si manifesterà immediatamente, ma vi sarà un "tempo di mezzo", qui rappresentato dall'affidamento di dieci mine (una moneta dell'antica grecia), da parte del nobile uomo a dieci suoi servitori, una per ciascuno. In questo tempo si manifesterà la ribellione di molti, nel rifiuto di essere governati dal nuovo re. 

Gesù prende spunto probabilmente da un fatto storico: dopo la morte di Erode il Grande il figlio Archelao si recò a Roma per ricevere il titolo di re. Ma una ambasciata di giudei si presentò a Cesare Augusto per opporsi alla richiesta. Divenne comunque governatore della Gudea, per quanto non gli fu conferito il titolo di re. 

Il protagonista della parabola ottiene il titolo di re e al suo ritorno chiede conto ai suoi servitori di come hanno impiegato le mine affidate. Viene portato l'esempio di tre diversi tipi di condotta. Un primo servo ha ricavato dalla sua mina altre dieci mine; il secondo altre cinque; mentre il terzo, anziché fare fruttare la mina affidatagli l'ha nascosta in un fazzoletto, rendendola improduttiva. 

La ricompensa per i servi operosi è incomparabile con quanto loro affidato: una mina corrispondeva a circa tre mesi di lavoro e per ciascuna mina fatta fruttare il re affida ai suoi servi una intera città. Il terzo servo considera il suo padrone come una sorta di avido tiranno e sarà proprio questa sua idea distorta a condannarlo. 

Il padrone è certo severo ma ha affidato a ogni servo la stessa somma di denaro. Cristo non fa differenze nel dare fiducia. Spetta a noi agire con gratitudine e responsabilmente, non restando oziosi in attesa del suo ritorno, né lasciandoci paralizzare dalla paura del suo giudizio. La fedeltà al Signore ci renderà operosi nell'annunciare il suo vangelo e nel moltiplicare la sua stessa grazia.

Preghiera

Signore, concedici di accogliere responsabilmente la fiducia che ci hai accordato, agendo come buoni amministratori della tua grazia, nell'attesa del tuo ritorno. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 21 novembre 2023

Fermati 1 minuto. In fretta e con gioia

Lettura

Luca 19,1-10

1 Entrato in Gerico, attraversava la città. 2 Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, 3 cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. 4 Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. 5 Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». 6 In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. 7 Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È andato ad alloggiare da un peccatore!». 8 Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto». 9 Gesù gli rispose: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch'egli è figlio di Abramo; 10 il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

Commento

Gesù, che aveva da poco rammentato quanto sia difficile per un ricco entrare nel regno dei cieli (Lc 18,24), passa lungo le vie di Gerico, non su un carro come i principi di questo mondo, ma a piedi, perso tra la folla. Zaccheo, che ha sentito parlare dei suoi miracoli e della sua predicazione, desidera anche solo vederlo, ma per la sua bassa statura è costretto a salire su un sicomoro; posizione di certo non degna del suo rango - un capo dei pubblicani (v. 2) -, ma che attesta una grande curiosità. 

La curiosità si trasforma in opportunità di salvezza quando Gesù chiama Zaccheo per nome - perché conosce personalmente coloro che salva - e "si invita" a casa sua. Quella di Gesù non è una richiesta ma l'espressione di un preciso mandato: "Oggi devo fermarmi a casa tua" (v. 5). 

Zaccheo è odiato sia dall'élite religiosa che dalla gente comune, per il suo ruolo di capo degli esattori delle tasse per conto dell'occupante romano. Per questo mormorano di fronte alla decisione di Gesù di condividere con lui qualcosa di intimo come il pasto. 

Zacchero riceve Gesù in casa sua "in fretta" e "pieno di gioia" (v. 6). Decide di risarcire coloro ai quali ha estorto denaro, ma tale decisione è il frutto, non la condizione, della sua conversione. Egli dona la metà dei suoi beni ai poveri non per comprarsi la salvezza, ma perché il suo cuore è stato convertito dalla misericordia di Dio.

Il Signore si aspetta di trovarci pronti a riceverlo con gioia quando ci chiama per portare "nella nostra casa" il dono della grazia.

Preghiera

Non considerare Signore, la bassa statura della nostra anima, ma l'altezza della tua misericordia; affinchè possiamo accoglierti con gioia come nostro personale salvatore. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 20 novembre 2023

Fermati 1 minuto. Il Signore passa

Lettura

Luca 18,35-43

35 Mentre si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada. 36 Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. 37 Gli risposero: «Passa Gesù il Nazareno!». 38 Allora incominciò a gridare: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». 39 Quelli che camminavano avanti lo sgridavano, perché tacesse; ma lui continuava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». 40 Gesù allora si fermò e ordinò che glielo conducessero. Quando gli fu vicino, gli domandò: 41 «Che vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io riabbia la vista». 42 E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato». 43 Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo lodando Dio. E tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio.

Commento

La guarigione del cieco segue immediatamente il terzo annuncio della passione da parte di Gesù  e forse è posta in relazione simbolica con l'incapacità dei discepoli di comprendere il suo destino terreno fino al momento della risurrezione, quando saranno in grado di vedere ciò che prima non vedevano. 

La menomazione fisica del cieco lo costringe a una vita di stenti e a mendicare lungo la strada, proprio come la cecità spirituale tiene lontano l'uomo dalle ricchezze del regno di Dio.

Ma lungo la strada in cui giace il cieco si trova a passare Gesù. Impossibilitato a vedere, l'uomo fa propri gli occhi della folla e l'annuncio dell'arrivo di Gesù gli giunge attraverso l'udito. Proclama così con la lingua la sua professione di fede: "Figlio di Davide!". Egli riconosce in Gesù il Messia promesso e a nulla valgono i tentativi di dissuasione per farlo tacere, da parte di "quelli che camminavano avanti" (v. 39). 

Gesù stesso lo chiama a sé. Così da "ultimo" diviene primo, destinatario della misericordia del Signore. La sua guarigione lo trasforma in testimone e annunciatore della gloria di Dio, e egli inizia a seguire Gesù.

Tutti noi abbiamo delle debolezze, difettiamo di qualcosa, ma vi è in noi anche la capacità di arrivare a Cristo "per altre strade", oltrepassando gli ostacoli con uno slancio di fede. Egli non solo si lascia raggiungere, ma ci raggiunge in prima persona, ascoltando il grido della nostra preghiera. Il Signore passa. Siamo in grado di riconoscerlo?

Preghiera

Concedici di trovarti, Signore, oltre il buio della nostra umana fragilità. La luce della tua risurrezione ci guidi alla piena comprensione del tuo mistero di salvezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 19 novembre 2023

Partecipare alla sorte dei santi nella luce

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA VENTIQUATTRESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ


Colletta

O Dio, ti supplichiamo, assolvi il tuo popolo dalle sue offese; affinché attraverso la tua abbondante misericordia possiamo essere liberati dai lacci dei peccati commessi per nostra fragilità. Concendici questo, Padre celeste, per la grazia di Gesù Cristo, nostro Signore benedetto e salvatore. Amen.

Letture

Col 1,3-12; Gv 6,5-14

Commento

Le due letture di oggi, in particolare il primo capitolo della Lettera di Paolo ai Colossesi, invitano a riflettere sulla natura della preghiera cristiana.

La parola greca proseukomenoi utilizzata dall'Apostolo per indicare la preghiera è un composto di "supplica" e "desiderio". La preghiera è un desiderio rivolto a Dio.
 
La preghiera, secondo il modello presentato da Paolo, è perseverante ("prego continuamente"), ha un oggetto determinato ("per voi") ed è pervasa dalla riconoscenza ("Noi rendiamo grazie"). L'apostolo potrebbe qui riferirsi anche alla preghiera liturgica, all'eucaristia, che appunto significa “ringraziamento” e rappresenta il rendimento di grazie per eccellenza.

Il motivo della preghiera di Paolo è costituito dalla fede, dall'amore e dalla speranza dei Colossesi, di cui gli è giunta notizia: "abbiamo sentito parlare della vostra fede in Cristo Gesù e del vostro amore per tutti i santi". Il plurale indica probabilmente il ministero di Timoteo accanto a quello di Paolo, o la più estesa comunità alla quale Paolo aveva predicato l'evangelo.

Nulla alimenta la fede e al contempo ne dimostra la solidità più di una preghiera perseverante, fino a farsi "importuna", come attesta il Vangelo di Matteo nel racconto della guarigione della donna siro-fenicia (Mt 15,21-28). Non sappiamo quando la nostra preghiera verrà esaudita e nemmeno come, perché potrebbe essere il frutto di uno slancio sentimentale, oppure potrebbe manifestare desideri contrari a un bene più alto per noi e per la maggior gloria di Dio. Se la preghiera esaudisse automaticamente qualsiasi capriccio del nostro cuore sarebbe un atto magico e non espressione della fede.

Le preghiere che attraversano la Scrittura, dall'Antico al Nuovo Testamento, contengono spesso un rendimento di grazie. Gesù rende continuamente grazie al Padre, anche prima di compiere i suoi miracoli. Un figlio dimentico dei benefici ricevuti dal Padre, come un amico dimentico dei doni già ricevuti in passato dall'amico, non è degno di essere esaudito. Solo dopo aver reso grazie possiamo osare chiedere qualcosa, con fede e con viva speranza nel tesoro che già ci è stato preparato in cielo, che consiste nel partecipare "alla sorte dei santi nella luce" (Col 1,12), cioè nella contemplazione del mistero di Dio.

Quel di cui dobbiamo essere certi nella nostra preghiera è mostrato dal racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci: il Signore parte dalla nostra povertà, una miseria totalmente incapace di far fronte alle esigenze delle moltitudini, e da quella, non senza il nostro intervento ("li distribuì ai discepoli e i discepoli alla gente seduta", Gv 6,11), ci consente di sfamare ogni necessità. Egli supera ogni nostra aspettativa, come attestano i pezzi di pane e i pesci avanzati. Il Signore ci vuole sazi, pienamente soddisfatti. Quindi se preghiamo e non otteniamo è perché preghiamo male e chiediamo male. Chiediamo le cose sbagliate. Chiediamo troppo poco. Non ci mettiamo il nostro. Il Signore fa un grande miracolo, ma sceglie di non creare i pani e i pesci dal nulla, chiede ai discepoli di prendere l'iniziativa, mette alla prova la loro fede.

L'erba verde descritta da Giovanni, su cui Gesù fa sedere le moltitudini, è una immagine pasquale, che richiama da un lato il tempo in cui si svolse la scena, quello, appunto, della Pasqua ebraica, intorno a marzo, all'inizio della primavera, dall'altro richiama la Pasqua celeste, che i credenti consumeranno nell'eternità con il Risorto.

È, questo, dunque, il nostro destino ultimo: la piena soddisfazione di ciò che la nostra natura umana più profondamente brama: la ritrovata comunione con Dio, nell'eternità.

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 18 novembre 2023

Assidui e concordi nella preghiera. Commento al Salterio - Salmo 21,24-32

Lettura

Salmi 21,24-32

24 Lodate il Signore, voi che lo temete,
gli dia gloria la stirpe di Giacobbe,
lo tema tutta la stirpe di Israele;
25 perché egli non ha disprezzato
né sdegnato l'afflizione del misero,
non gli ha nascosto il suo volto,
ma, al suo grido d'aiuto, lo ha esaudito.
26 Sei tu la mia lode nella grande assemblea,
scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
27 I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano:
«Viva il loro cuore per sempre».
28 Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra,
si prostreranno davanti a lui
tutte le famiglie dei popoli.
29 Poiché il regno è del Signore,
egli domina su tutte le nazioni.
30 A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.
E io vivrò per lui,
31 lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
32 annunzieranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l'opera del Signore!».

Commento

Proprio quando il Salmo 23 giunge al momento più drammatico assistiamo a una grande svolta: l'orante è ora rappresentato nel tempio mentre scioglie i suoi voti per la liberazione concessa da Dio (cfr. Sal 21,23). Tutta l'assemblea intona un inno di lode al Signore, davanti al quale si prostrano tutti i popoli (vv. 28-29), i defunti (v. 30) e persino le generazioni future (v. 31).

Tutto, nell'universo, in terra, come nel mondo ultraterreno, è posto sotto il dominio di Dio, al quale rendono culto i vivi e i morti e chi ha sperimentato la salvezza sente di doversene fare annunciatore. Iniziato come un grido di desolazione, il Salmo si conclude con un inno di gioia.

La prospettiva escatologica delineata dal salmista (v. 31) rappresenta l'adempiersi delle promesse fatte ad Abramo: «Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce» (Gen 22,18). Tali promesse troveranno in Cristo, che si è fatto "obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,8), il loro pieno compimento.

La grande assemblea innanzi alla quale il salmista loderà il Signore (v. 26) è l'assemblea pubblica liturgica; in questa occasione si svolgono il rito di ringraziamento e l'offerta sacrificale. Durante il rito di ringraziamento aveva luogo lo scioglimento dei voti (cfr. Lv 7,16; Sal 49,14; 60,9; 65,13; 115,14.18).

La promessa di lode è spesso utilizzata come motivo conclusivo delle lamentazioni (cfr. Sal 7,18; 12,6). Nell'ampliamento liturgico del salmo la promessa di lode si trasforma in un sacro banchetto di ringraziamento per l'esaudimento ottenuto o profeticamente assicurato, offerto idealmente a tutti i fratelli nella fede e in particolare ai poveri, prediletti dal Signore (v. 27).

Come le folle che assistettero alla passione di Cristo, "ripensando a quanto accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto " (Lc 23,48), l'umanità intera riconoscerà di essere stata generata al Padre come popolo nuovo da Gesù, nell'ora dell'angoscia e del supremo abbandono, per essere radunata da tutti i confini della terra e cantare la gloria della risurrezione.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 17 novembre 2023

Fermati 1 minuto. Non importa dove. Non importa quando

Lettura

Luca 17,26-37

26 Come avvenne al tempo di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell'uomo: 27 mangiavano, bevevano, si ammogliavano e si maritavano, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca e venne il diluvio e li fece perire tutti. 28 Come avvenne anche al tempo di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; 29 ma nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece perire tutti. 30 Così sarà nel giorno in cui il Figlio dell'uomo si rivelerà. 31 In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza, se le sue cose sono in casa, non scenda a prenderle; così chi si troverà nel campo, non torni indietro. 32 Ricordatevi della moglie di Lot. 33 Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà. 34 Vi dico: in quella notte due si troveranno in un letto: l'uno verrà preso e l'altro lasciato; 35 due donne staranno a macinare nello stesso luogo: l'una verrà presa e l'altra lasciata». [36 Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l'altro lasciato.]  37 Allora i discepoli gli chiesero: «Dove, Signore?». Ed egli disse loro: «Dove sarà il cadavere, là si raduneranno anche gli avvoltoi».

Commento

Diversamente da Matteo e Marco che riferiscono questi detti in riferimento alla distruzione di Gerusalemme, Luca li adatta ai suoi lettori, prevalentemente pagani, sottolineando la necessità del distacco dai beni terreni in vista della salvezza eterna.

Niente di ciò che Gesù cita riguardo ai giorni di Noè e di Lot è intrinsecamente peccaminoso. Ma le persone risultano così assorbite dalle cose di questo mondo che sono trovate totalmente impreparate quando viene il momento del giudizio.

L'attaccamento della moglie di Lot a Sodoma è così grande che viene travolta dal giudizio di Dio, proprio quando è a un passo dalla salvezza.

Gesù non indica una scadenza temporale né un luogo in cui avverrà il giudizio. Ma esorta a tenersi sempre pronti, facendo della propria vita un dono. Questo il significato del verbo greco zoogoneo, che indica il "conservare in vita" (v. 33), "far vivere"; una vita che non solo si fruisce e detiene per sé ma che può essere donata agli altri; il detto di Gesù va dunque interpretato nell'ottica di sacrificare la propria vita se la si vuole conservare. 

Una prospettiva esistenziale del tutto diversa da quella di chi si preoccupa solo dei propri affari. Questo è il tratto distintivo del cristiano. Quel "marchio" che consentirà all'occhio di Dio di distinguere chiaramente i suo figli, chiamati alla vita eterna. Non importa dove. Non importa quando. Con Paolo possiamo esclamare: "Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!" (2 Cor 6,2).

Preghiera

Il tuo ritorno, Signore, ci trovi all'opera nella tua vigna. Insegnaci a comprendere le giuste priorità della nostra vita e a fare di essa un dono per la tua gloria. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Ugo di Lincoln. Certosino e maestro di carità

La Chiesa anglicana celebra oggi la memoria di Ugo di Lincoln spentosi il 16 novembre del 1200 all'età di sessant'anni

Nativo dei dintorni di Grenoble Ugo era stato educato presso i canonici agostiniani di Villarbenoît, dove aveva emesso i voti religiosi. Desideroso di una vita più ritirata, a 25 anni egli ottenne di entrare nella Grande Chartreuse, dalla quale sarà presto inviato a presiedere la Certosa inglese di Witham, che versava in cattive condizioni. Eletto nel 1186 vescovo di Lincoln, allora la più grande diocesi inglese, Ugo accettò unicamente per obbedienza al suo priore, e si dedicò con tutto se stesso all'incarico pastorale ricevuto. Egli fece rifiorire a Lincoln la locale scuola teologica, e sovrintendette al restauro della cattedrale partecipando talvolta di persona ai lavori più pesanti. Uomo di grande compassione ed equilibrio, Ugo fu spesso chiamato a giudicare le cause più difficili. Per amore della giustizia non esitò a contrapporsi con franchezza ai re e ai confratelli nell'episcopato, senza mai serbare rancore o inimicizia verso nessuno. Si racconta che giunse a rischiare la propria incolumità personale per salvare dalla morte alcuni ebrei, ingiustamente accusati a seguito di un tumulto popolare. Ugo intervenne personalmente per curare i lebbrosi, e si batté perché anche i più poveri potessero avere una sepoltura dignitosa. Egli nutriva inoltre un profondo amore per la natura, ed è spesso raffigurato in compagnia del suo cigno addomesticato, che visse con lui nell'episcopio di Lincoln. Alla sua morte era conosciuto in tutta l'Inghilterra, e da nessuno era posta in discussione la sua santità.

Tracce di lettura

Con l'aiuto di molti uomini di valore che si scelse quali suoi consiglieri, il nuovo vescovo di Lincoln trasformò immediatamente la sua diocesi. Egli predicava la parola di Dio con vigore, obbedendo premurosamente ai comandi contenuti in essa e seguendo un celebre adagio della Scrittura: «Dov'è lo Spirito del Signore, là c'è libertà». Egli riprendeva con fermezza i peccatori, senza curarsi dell'importanza delle persone a cui si rivolgeva.
È poi impossibile ricordare adeguatamente la sua grande compassione e tenerezza verso gli ammalati, specie verso quanti soffrivano di lebbra. Egli li accudiva di persona, lavandone e asciugandone i piedi e baciandoli con affetto. E dopo averli ristorati, li colmava di doni, senza badare alla misura. In alcune residenze episcopali aveva fatto costruire ospedali, nei quali trovavano ricovero uomini e donne afflitti da simili mali.
Quando visitava i lebbrosi, era solito sedersi in mezzo a loro in una piccola stanza per confortare le loro anime con le sue parole delicate, e così alleviava le loro sofferenze con la sua tenerezza materna.
(Adamo di Eynsham, Vita di sant'Ugo di Lincoln)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Ugo di Lincoln
Ugo di Lincoln (1140-1200)

giovedì 16 novembre 2023

Fermati 1 minuto. Attraverso le buie strade della storia

Lettura

Luca 17,20-25

20 Interrogato dai farisei: «Quando verrà il regno di Dio?», rispose: 21 «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!». 22 Disse ancora ai discepoli: «Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell'uomo, ma non lo vedrete. 23 Vi diranno: Eccolo là, o: eccolo qua; non andateci, non seguiteli. 24 Perché come il lampo, guizzando, brilla da un capo all'altro del cielo, così sarà il Figlio dell'uomo nel suo giorno. 25 Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga ripudiato da questa generazione.

Commento

I farisei credono che il trionfo del Messia sarà immediato. Essi lo attendono come colui che capolvolgerà l'impero dei dominatori romani, per stabilire il suo regno millenario. Anche i primi cristiani attendevano il ritorno di Cristo e rimasero turbati dal suo ritardo, mentre infuriavano le persecuzioni da parte dei romani e dei giudei. 

Ma il programma di Cristo è completamente differente. Egli inaugura un'era in cui Dio governerà sui cuori mediante la fede. Tale regno non sarà confinato a una particolare area geografica, né visibile direttamente agli occhi umani. Verrà silenziosamente, invisibilmente, attraverso le strade buie e tormentate della storia, senza la grandiosità associata all'instaurazione di un re terreno.

«Il mio regno non è di questo mondo» (Gv 18,36), afferma Gesù. Il suo potere è sulle coscienze e  provoca una rivoluzione nei cuori, prima ancora che nella società civile.

Il regno di Dio è dentro e tra di noi. Non dobbiamo guardare a tempi lontani o luoghi remoti: è adesso, in mezzo a noi; è un regno spirituale, un principio interiore. 

Il regno di Dio si manifesta nella totale resa dell'uomo alla volontà del Padre, con la "nuda fede" nella sua azione salvifica, che squarcia con la sua luce le tenebre del peccato. A volte anche noi possiamo essere scoraggiati perché non vediamo segni di progresso "eclatanti" nella nostra vita spirituale. Ma nella croce di Cristo, che egli richiama in questo discorso, sappiamo che egli ha lavato i nostri peccati nel suo sangue e ha vinto per sempre il principe di questo mondo. 

Possiamo a ragione innalzare un inno di lode: "hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione e li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti e regneranno sopra la terra»" (Ap 5,9-10).

Preghiera

Signore, noi ti offriamo i nostri cuori affinché tu possa renderci partecipi della crescita silenziosa del tuo regno in mezzo a noi. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Gertrude di Helfta e l'equilibrio interiore

La Chiesa cattolica fa oggi memoria di Gertrude, monaca del monastero di Helfta, in Sassonia. Entrata a soli cinque anni in monastero, Gertrude fu educata da maestre spirituali di grande valore, come Matilde di Hackeborn e Matilde di Magdeburgo. Alla loro scuola essa acquisì una profonda dimestichezza con tutte le dimensioni della vita interiore: lo studio, la lettura orante delle Scritture e la preghiera personale. Il suo più vivo desiderio divenne presto quello di poter accedere nel profondo del cuore per dimorarvi e incontrare Dio, il quale mediante lo Spirito si rende presente al credente nel Cristo misericordioso e amante. Grazie alla grande cultura e all'equilibrio interiore che aveva acquisito, Gertrude seppe mettere a frutto i suoi molti doni spirituali, evitando gli eccessi e le deviazioni in cui incorreranno altre mistiche dei secoli successivi. Dalle sue esperienze spirituali, infatti, messe per iscritto in parte da lei stessa e in parte da una consorella, trapela una dottrina profondamente sobria e biblica. Ritenuta in modo improprio un esempio di «cristocentrismo assoluto» nella vita spirituale, Gertrude fu in realtà una delle grandi cantrici dell'azione della Trinità divina nel cuore dei credenti e nella comunità ecclesiale. Gertrude morì il 17 novembre del 1301 o 1302, ed è spesso raffigurata con un libro in mano, in atteggiamento orante, vestita da monaca cistercense, anche se il monastero di Helfta non appartenne probabilmente a nessuna delle grandi congregazioni del tempo.

Tracce di lettura

O amore, tu sei, nella santa Trinità, il dolcissimo bacio che unisce in modo così stretto il Padre al Figlio. Tu sei quel bacio di salvezza che la maestà divina ha impresso sulla nostra umanità mediante il Figlio. O dolcissimo bacio, fa' che questo piccolo granello di polvere non sia dimenticato dai tuoi legami: che io non sia privata del tuo contatto e della tua stretta, fino a divenire un solo spirito con Dio. Fammi sperimentare per davvero come sia delizioso abbracciare te, il Dio vivente, amore mio dolcissimo, dimorando in te, a te essere unita. O Dio amore, tu sei quanto di più caro io possieda; all'infuori di te, nel cielo come in terra, io non spero nulla, nulla voglio e nulla abita i miei desideri. Tu sei la mia vera eredità e ogni mia attesa, verso di te tende il mio fine e la mia intenzione.
(Gertrude di Hefta, Esercizio quinto)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Gertrude di Helfta (1256-1301/2)

mercoledì 15 novembre 2023

Alberto Magno. Lo studio come culto della Verità

La Chiesa Cattolica d'Occidente e la Chiesa Luterana celebrano oggi la memoria di Alberto Magno, "Doctor universalis".

Alberto nacque nel 1193 a Launigen, sul Danubio, in Diocesi di Augusta, da famiglia militare al servizio di Federico II. 
Venuto in Italia per compiere gli studi, fu prima a Bologna, poi a Venezia, infine a Padova dove conobbe Giordano di Sassonia, Maestro Generale dell'Ordine dei Predicatori (Frati Domenicani) e immediato successore del Patriarca Domenico di Guzmán. Contro la volontà dei genitori decise di entrare nell'Ordine (probabilmente nel 1223).
Ritornato in Germania, nel 1228, lo troviamo, appena terminato il corso filosofico e teologico, docente a Colonia. Iniziano le tappe del suo insegnamento: Hildeshein, Friburgo, Ratisbona, Strasburgo; maestro di teologia (1244) a Parigi, dove tenne per quattro anni la cattedra all'Università, fino a quando fu destinato a Colonia, per fondarvi uno Studio Generale, di cui assunse la direzione (1248-1252). Qui ebbe un allievo d'eccezione: Tommaso d'Aquino.
Nel 1274 partecipa al Concilio di Lione. Muore il 15 novembre 1280 nella sua amatissima Colonia. La sua salma riposa nella chiesa parrocchiale di Sant'Andrea a Colonia. 
Dell'ideale domenicano Alberto rappresenta forse, insieme a Tommaso d'Aquino, la personificazione più completa. In lui è l'ansia di affrontare e prevenire l'errore, lo sforzo geniale per unificare in sintesi armonica tutto lo scibile e di assimilare le conquiste del pensiero pagano. Lo studio è da lui concepito come culto della Verità, come pratica ascetica, come perfezione umana: esso gli consente quella visione sapienziale della realtà che affiora ad ogni pagina della sua immensa opera scientifica, filosofica e teologica (di qui il titolo di Doctor universalis). 
Insieme a quattro confratelli Alberto redige la magna charta degli studi dell'Ordine e la sua scuola sarà la scaturigine di due filoni auriferi: da un lato la corrente mistica agostiniana, con Ulrico di Strasburgo, Maister Eckhart, Johannes Tauler, Heinrich Seuse e gli Amici di Dio (Gottesfreunde), dall'altro la corrente aristotelico-tomista, con Tommaso d'Aquino.

Tracce di lettura

"Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi; la mia eredità è magnifica" (Sal 15,6). "Disse il Signore ad Aronne... Sono io la tua parte, la tua eredità in mezzo ai figli di Israele" (Nm 18,20). "Sara, moglie del mio padrone, nella sua vecchiaia ha partorito al mio padrone un figlio a cui egli ha dato tutto quello che possiede" (Gn 24,36). Sara, che si interpreta "principessa" è la Chiesa: figlio dell'eterno gaudio, fiore ed erede è colui che per mezzo della Chiesa Dio Padre genera senza meriti nella tarda età degli ultimi tempi. A lui anche dà in eredità tutto ciò che ha sempre avuto, perché dando se stesso dona tutto ciò che è suo. Dio stesso non si vergogna di chiamarsi loro Dio (Eb 11,6). "Il Signore è la mia porzione, ha detto l'anima mia, per questo lo aspetterò" (Lam 3,24). In coloro che il Sommo Padre genera per grazia, questi sono gli inizi del suo agire paterno. (Alberto Magno, Commenti sul Vangelo di San Matteo)

Alberto Magno (1193-1280)