L’aveva già intuito la Bibbia ebraica usando il verbo “conoscere” come sinonimo di “unirsi sessualmente”. Si legge infatti in Genesi 4,1: “Adamo conobbe Eva sua moglie che concepì e partorì”. Vale a dire: si giunge a conoscere veramente una persona, al punto da scegliere responsabilmente di volerla compagna di vita per tutta l’esistenza, solo se prima la si conosce nell’integralità del suo corpo e nella completezza del carattere e della personalità quali si rivelano anche nel rapporto sessuale. Niente completezza dei rapporti sessuali, niente completezza della conoscenza. Adamo infatti conobbe Eva non prima del rapporto sessuale, ma “nel” rapporto sessuale. Ed è un vero peccato che questa antica sapienza biblica, trasmessa non solo nel testo citato della Genesi ma anche dal libro del “Cantico dei cantici”, dopo duemilacinquecento anni non sia stata ancora recepita dal Magistero della Chiesa cattolica, come appare nel modo più esplicito e più deludente dal documento vaticano pubblicato ieri, opera del “Dicastero per i laici, la famiglia e la vita”, intitolato “Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale” e che rispecchia alla perfezione il pensiero di Papa Francesco.
Il documento si apre con una Prefazione del Pontefice che dichiara lo scopo perseguito: quello di offrire un articolato percorso di preparazione al matrimonio che viene detto “catecumenato”, classico termine del gergo ecclesiastico che tradizionalmente rimanda al periodo di preparazione di coloro che si apprestano a ricevere il battesimo, detti appunto “catecumeni”. La Chiesa già da tempo prevede corsi di preparazione al matrimonio, ma per Papa Francesco non sono sufficienti e per questo intende istituire “un nuovo catecumenato in preparazione al matrimonio”. Secondo il Papa questo nuovo catecumenato è necessario perché a causa dell’attuale preparazione troppo superficiale “le coppie vanno incontro al rischio reale di celebrare un matrimonio nullo o con basi così deboli da sfaldarsi in poco tempo”. Constatazione che, a giudicare dal grande lavoro della Rota Romana che non cessa di dichiarare nulli matrimoni durati anni e soprattutto dal numero impressionante di separazioni e di crisi coniugali, non resta che condividere del tutto.
Ma per provare ad arginare la frana progressiva dei matrimoni, la scelta di Papa Francesco non è di tipo lassista abbassando il livello di quanto è necessario per dichiararsi sposi cristiani, ma al contrario è all’insegna di un rinnovato e più responsabile impegno. D’ora in avanti chi vorrà sposarsi in chiesa dovrà sottoporsi a un cammino lungo e articolato che prevede tre tappe: 1) un periodo di preparazione remota, prossima e immediata al matrimonio; 2) un particolare modo di celebrare le nozze; 3) un accompagnamento della comunità cristiana nei primi anni di vita coniugale. Insomma: se fino a oggi chi voleva sposarsi in chiesa se la cavava con qualche serata in parrocchia, da domani dovrà prevedere un periodo di preparazione e di accompagnamento di alcuni anni. Si tratta della prospettiva giusta per mettere fine alla diminuzione crescente dei matrimoni in chiesa e all’aumento ancora più crescente delle separazioni e dei divorzi? Ovviamente nessuno lo sa, ma quanto mi sento di dire è che è ammirabile il desiderio di non fare sconti e di rilanciare la preziosità dell’impegno che il matrimonio richiede.
Rimane però, assai grave, l’incapacità della Chiesa cattolica di comprendere la sessualità. Papa Francesco in questo non si distingue dai suoi predecessori, visto che non recepisce per nulla le posizioni più avanzate di alcuni teologi e di alcuni vescovi e soprattutto della Bibbia. Secondo lui “la castità insegna ai nubendi i tempi e i modi dell’amore vero, delicato e generoso”, perché “solo quando un amore è casto, è veramente amore”. Egli ritiene infatti, come scrisse in un documento del 2020 (Patris corde, n. 7) citato dal documento pubblicato ieri, che “l’amore che vuole possedere, alla fine diventa pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici”. Ma è veramente così?
Io non penso che, per risultare eticamente lecito, il sesso debba essere esercitato unicamente all’interno del matrimonio. Penso al contrario che vi possano essere forme di esercizio della sessualità eticamente lecite che prescindono dal vincolo matrimoniale. Qualcuno potrebbe obiettare che pressoché tutte le religioni condannano la sessualità al di fuori del matrimonio, ma la risposta è che esse si sono formate in epoche assai lontane in cui la struttura sociale era molto diversa rispetto a oggi, epoche in cui l’individuo contava ben poco rispetto alla tribù e alla famiglia e in cui i matrimoni non rispondevano a una logica di conoscenza reciproca e di amore personale ma erano piuttosto un evento sociale deciso da altri, non dagli sposi. L’età di costoro inoltre, in particolare delle donne, era molto inferiore rispetto agli usi attuali (la Madonna per esempio aveva dodici, quattordici anni al massimo), così che il matrimonio veniva a coincidere con l’ingresso nella pubertà e con il sorgere del desiderio sessuale. Ne consegue che il sesso al di fuori del matrimonio significava o adulterio o pedofilia, ed è per questo che tutte le tradizioni religiose condannano i rapporti prematrimoniali.
Oggi però la situazione è del tutto mutata, oggi al matrimonio si arriva molto più avanti nell’età, almeno a trenta, più volte a quaranta, e soprattutto con altre attese, date dal fatto che l’individuo non considera più la sua esistenza come totalmente al servizio della struttura familiare, ma come un fine in se stessa. È per questo che oggi risulta insensato condannare i rapporti prematrimoniali. Al contrario, quando esiste un impegno reciproco di due persone che si nutre di affetto, sincerità, stima, desiderio di futuro, è impossibile non considerare quanto l’unione sessuale favorisca la loro conoscenza e intesa reciproca. È questo il vero “catecumenato”: una conoscenza integrale e responsabile dell’altro, di sé, e della qualità dell’armonia fisica, psichica e spirituale che ne scaturisce. - Vito Mancuso, "Vaticano e rapporti prematrimoniali", La Stampa, 16 giugno 2022