Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

venerdì 31 gennaio 2025

Marcella e il monachesimo domestico

Marcella, nobile donna romana, rimasta vedova a pochi mesi dalle nozze, decise di vivere, in casa propria, quella forma di monachesimo domestico in uso ai suoi tempi. Poi, quando venne a conoscenza del monachesimo egiziano ormai noto a Roma soprattutto grazie alla Vita di Antonio, redatta dal patriarca Atanasio, trasformò il suo palazzo sull’Aventino in una sorta di monastero dove confluirono molte nobili donne romane. Marcella, dopo ripetute insistenze, riuscì a convincere Girolamo a sostenere questo gruppo di donne offrendo la sua competenza biblica e i suoi consigli spirituali. Assai dotata, curiosa, esigente, Marcella non riceveva supinamente gli insegnamenti del suo padre spirituale e maestro, ma formulava obiezioni, sollevava dubbi, lo stimolava a ulteriori ricerche e Girolamo, che la definisce “amantissima della fatica” (Lettera 30,14) oppure “mio datore di lavoro” (Lettera 28,1), nasconde sotto queste parole scherzose la sua altissima stima per questa donna che non si limita a leggere e studiare le Scritture nelle lingue originali, ma le mette in pratica nella sua vita quotidiana.
Alla partenza di Girolamo per la Terrasanta, Marcella, a differenza delle sue compagne, decide di restare a Roma, dove continua la sua vita di studio delle Scritture e interviene, con autorevolezza e competenza, nelle questioni teologiche del tempo.
Muore nel 411, dopo aver sperimentato personalmente la violenza dei goti che avevano invaso Roma. Girolamo ne narra la vita nella Lettera 127, dedicata alla sua fedele discepola Principia.

Tracce di lettura

Incredibile era il suo zelo per le divine Scritture, cantava incessantemente: “Ho nascosto nel mio cuore le tue parole per non peccare contro di te” (Sal 119,11), e quei versetti sull’uomo perfetto: “E si compiace nella legge del Signore, e nella sua legge medita giorno e notte” (Sal 1,2). Sapeva che la meditazione della legge non consiste nel ripetere quello che sta scritto, come pensano, fra i giudei, i farisei, ma nell’agire secondo quel detto dell’Apostolo: “Sia che mangiate, sia che beviate, qualunque cosa facciate, fate tutto a gloria del Signore” (1Cor 10,31), e secondo le parole del profeta che dice: “Ho capito a partire dai tuoi comandamenti” (Sal 119,104), di modo che, dopo aver adempiuto i comandamenti, sapeva di meritare l’intelligenza delle Scritture.
(Girolamo, Lettera 127,4)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Hai mai colto l'attimo in cui una pianta cresce?

Lettura

Marco 4,26-34

26 Diceva: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; 27 dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. 28 Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. 29 Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura».
30 Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31 Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; 32 ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra».
33 Con molte parabole di questo genere annunziava loro la parola secondo quello che potevano intendere. 34 Senza parabole non parlava loro; ma in privato, ai suoi discepoli, spiegava ogni cosa.

Commento

Il parlare in parabole di Gesù indica un metodo pedagogico che stimola il coinvolgimento degli uditori e richiede una partecipazione attiva del loro intelletto. A coloro che vogliono intendere offre la possibilità di una spiegazione ulteriore, innalzando la loro conoscenza, ma a coloro che non lo accolgono resta oscuro il senso delle sue parole. 

Nella parabola del seme che cresce il seminatore e il mietitore sono la stessa persona. Il seme cresce da solo, senza alcun intervento umano, come il regno di Dio, iniziato da Gesù con la proclamazione del vangelo. Esso si sviluppa fino al tempo della mietitura, il giudizio finale stabilito da Dio. Questa crescita e questa raccolta richiamano sia la vita del cristiano che l'instaurarsi del regno nella storia. 

La progressione nella crescita del seme (stelo, spiga, chicco) indica che, la grazia, così come la natura, hanno bisogno di fare il loro corso, richiedono uno sviluppo graduale. I tempi di Dio non sono i tempi frettolosi dell'uomo "urbano", ma piuttosto i tempi del contadino, la cui pazienza, nell'operosa preparazione del terreno e nell'attesa da una stagione all'altra, sono premiate con un raccolto favorevole.

Nella parabola sul grano di senapa, le dimensioni esigue di questo seme rimandano all'azione invisibile della grazia che opera in noi e nel mondo, mentre la grandezza della pianta rappresenta l'universalità del regno di Dio. 

Non dobbiamo scoraggiarci se non vediamo risultati immediati nel nostro percorso di crescita spirituale; è necessario che discendiamo nelle profondità dell'humus, che diventiamo umili attraverso le prove e i fallimenti della nostra vita. Solo quando ci saremo totalmente spogliati della "scorza" del nostro ego potremo diventare come un albero piantato lungo corsi d'acqua, che darà frutto a suo tempo (Sal 1,3). 

Quando incontra un terreno buono la parola di Dio produce, in modo inesplicabile e senza far rumore, frutti di grazia. Qualcuno ha mai colto l'attimo in cui una pianta cresce? Ma quando giunge a piena maturazione, come l'arbusto di senape che offre riparo alla sua ombra, il cristiano diviene una benedizione per il mondo. 

La parabola del seme e quella del granello di senapa ci insegnano che la natura e la grazia non solo non fanno "salti" (natura non facit saltus) ma neanche operano con violenza. La storia terrena di Gesù ci mostra che egli non si impone e neanche si contrappone a coloro che lo rifiutano mettendolo in croce. 

Non sarebbe insensato un contadino che cercasse di far crescere il seme con la forza? L'agricoltura è attività per uomini miti come Abele e Giacobbe. Prendiamo esempio dalle parole di Gesù affinché uno zelo eccessivo non rischi di farci rovinare la delicata opera della grazia nel nostro cuore e in ogni uomo.

Preghiera

Signore, sia che vegliamo, sia che dormiamo, la tua grazia opera misteriosamente in noi; il tuo Spirito ci conceda un'attesa fiduciosa, nella certezza che ti prendi cura del tuo campo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 30 gennaio 2025

Fermati 1 minuto. Gli abbagli del mondo e la luce di Cristo

Lettura

Marco 4,21-25

21 Diceva loro: «Si porta forse la lampada per metterla sotto il moggio o sotto il letto? O piuttosto per metterla sul lucerniere? 22 Non c'è nulla infatti di nascosto che non debba essere manifestato e nulla di segreto che non debba essere messo in luce. 23 Se uno ha orecchi per intendere, intenda!».
24 Diceva loro: «Fate attenzione a quello che udite: Con la stessa misura con la quale misurate, sarete misurati anche voi; anzi vi sarà dato di più. 25 Poiché a chi ha, sarà dato e a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha».

Commento

Gesù non ha mai considerato il suo insegnamento in modo elitario; è invece responsabilità dei discepoli annunciare il vangelo del regno al mondo intero. Anche quando le parabole sono spiegate in privato, il fine è di consentire di svelarne il senso pubblicamente. 

"La tua parola nel rivelarsi illumina, dona saggezza ai semplici" afferma il salmista (Sal 118,130); e nelle parole di Gesù riecheggia ciò che Dio dice al suo popolo nel libro del Deuteronomio: "Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire? Non è di là dal mare, perché tu dica: Chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire? Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica" (Dt 30,11-14). 

Anche il vangelo è una parola che può essere compresa e messa in pratica da ogni uomo. Compresa perché non destinata a un circolo di intellettuali, ma anzi può essere accolta solo da una ragione umile. Messa in pratica perché parola efficace, che lo Spirito porta a compimento in chi la accoglie con fede. Coloro che ascoltano la parola di verità e la adempiono riceveranno una comprensione ancora maggiore delle cose di Dio. 

Come rappresentato nella parabola del seminatore, Dio si aspetta un generoso ritorno dalla grazia che ci ha elargito. Se saremo servi fedeli egli sarà un maestro fedele e ci donerà una misura di grazia ancora più grande. I doni di Dio si moltiplicano nella misura in cui vengono impiegati. Ma chi seppellirà il talento ricevuto gli sarà tolto anche quello (Mt 25,14-30), perché ha tradito la fiducia accordatagli dal Signore. 

Cristo è il sole di giustizia, ma noi cosa siamo chiamati a essere? Lampade che attingono alla sua luce e bruciano per quanto ci è dato di restare in questo mondo. Un mondo dove tante parole futili si accavallano e tanti abbagli ci seducono, ma la Parola di Dio è parola affidabile, lampada per i nostri passi e luce sul nostro cammino (Sal 118,105). Gesù ci chiede di non bruciare per noi stessi, come una lampada sotto il letto, ma di essere luce che si dona al mondo (Mt 5,14).

Preghiera

Alla tua luce, Signore, vediamo la luce; concedici di vincere  le seduzioni del mondo e di donarci generosamente ai nostri fratelli e alle nostre sorelle. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 29 gennaio 2025

Fermati 1 minuto. Gesù, parola che si è fatta seme

Lettura

Marco 4,1-20

1 Di nuovo si mise a insegnare lungo il mare. E si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli salì su una barca e là restò seduto, stando in mare, mentre la folla era a terra lungo la riva. 2 Insegnava loro molte cose in parabole e diceva loro nel suo insegnamento: 3 «Ascoltate. Ecco, uscì il seminatore a seminare. 4 Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e vennero gli uccelli e la divorarono. 5 Un'altra cadde fra i sassi, dove non c'era molta terra, e subito spuntò perché non c'era un terreno profondo; 6 ma quando si levò il sole, restò bruciata e, non avendo radice, si seccò. 7 Un'altra cadde tra le spine; le spine crebbero, la soffocarono e non diede frutto. 8 E un'altra cadde sulla terra buona, diede frutto che venne su e crebbe, e rese ora il trenta, ora il sessanta e ora il cento per uno». 9 E diceva: «Chi ha orecchi per intendere intenda!».
10 Quando poi fu solo, i suoi insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli disse loro: 11 «A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole, 12 perché:
guardino, ma non vedano, ascoltino, ma non intendano,
perché non si convertano e venga loro perdonato».
13 Continuò dicendo loro: «Se non comprendete questa parabola, come potrete capire tutte le altre parabole? 14 Il seminatore semina la parola. 15 Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la parola; ma quando l'ascoltano, subito viene satana, e porta via la parola seminata in loro. 16 Similmente quelli che ricevono il seme sulle pietre sono coloro che, quando ascoltano la parola, subito l'accolgono con gioia, 17 ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della parola, subito si abbattono. 18 Altri sono quelli che ricevono il seme tra le spine: sono coloro che hanno ascoltato la parola, 19 ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e l'inganno della ricchezza e tutte le altre bramosie, soffocano la parola e questa rimane senza frutto. 20 Quelli poi che ricevono il seme su un terreno buono, sono coloro che ascoltano la parola, l'accolgono e portano frutto nella misura chi del trenta, chi del sessanta, chi del cento per uno».

Commento

Con la parabola del seminatore Gesù esemplifica il modo in cui la parola di Dio viene respinta, incontra ostacoli e resistenze, ma anche viene accolta e porta frutto, diffondendosi ovunque. Mentre il monte è il luogo privilegiato da Gesù per la preghiera e la formazione dei discepoli, la costa del mare di Galilea, ovvero il lago di Gennesaret, è il luogo in cui Marco presenta il Signore intento ad ammaestrare le folle.

Il verbo greco usato per indicare il riunirsi delle persone intorno a lui è synago, con un richiamo alla sinagoga; forse perché gli ascoltatori sono ebrei, o perché quella che Gesù forma con la sua predicazione è la nuova sinagoga dei credenti nel vangelo. 

Mentre il capitolo precedente si apriva con l'ingresso di Gesù nella sinagoga per insegnare, in questo lo vediamo uscire dagli ambienti tradizionali di predicazione, che gli sono ostili, per rivolgersi alle moltitudini. 

Gesù predica su una barca, quasi a significare che il suo messaggio è rivolto a Israele, ma questi guarda verso il mare, da dove il vangelo prenderà il largo verso le terre dei gentili. L'uso di parabole - comune nel giudaismo del tempo - serve a Gesù per coinvolgere e provocare chi ascolta, facendogli applicare ciò che dice alla realtà della propria vita spirituale. Attraverso esempi e paragoni così vicini all'esperienza quotidiana di ciascuno, Gesù scuote e invita a cambiare mentalità e comportamenti, perché la parola di Dio penetri e diventi lievito della vita. 

L'esortazione "Ascoltate" con cui si apre la parabola, come invito a interiorizzare la parola, richiama l'"Ascolta, Israele" del libro del Deuteronomio (Dt 6,4-9). L'ascolto che ci chiede Cristo implica una piena partecipazione della nostra mente e della nostra volontà alla sua parola. Non la curiosità con cui Erode si dilettava nell'ascoltare Giovanni il Battista, che poi mise a morte (Mc 6,20); non la superbia e l'ipocrisia con cui gli scribi e i farisei ascoltavano Gesù per cercare di coglierlo in errore; ma l'attenzione con cui i due discepoli sulla via di Emmaus ascolteranno il Risorto, che li apre all'intelligenza delle Scritture (Lc 24,13-27). 

L'ascolto che porta frutto è incontro spirituale con la persona di Gesù. Ma la parola necessita di un cuore umile, di un humus, un terreno morbido, dove il seme può trovare riparo e nutrimento. Il rendimento di una semina era solitamente di otto a uno, dieci a uno in casi eccezionali; la crescita fino al cento per uno che Gesù descrive è incredibilmente grande. 

Sebbene questa parabola sia riportata in tutti e tre i vangeli sinottici, solo Luca e Matteo spiegano che il seme è la parola di Dio. Ma la parola di Dio non è solo aria che risuona: Gesù stesso è la parola fattasi "seme", che incontra la durezza di chi lo disprezza tra quelli della sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua (Mc 6,4); è il seme che incontra i rovi di chi flagellerà il suo corpo e gli coronerà il capo di spine; il seme che dovrà morire ed essere sepolto per generare frutti di vita eterna. Un frutto così grande da sfamare tutti coloro che hanno fame non di pane, ma d'ascoltare la parola del Signore (Am 8,11).

Preghiera

Crea in noi, Signore, un cuore umile e pronto a ricevere la tua parola; irriga i solchi, spiana le zolle, effondi la pioggia del tuo Spirito; affinché possano abbondare i frutti della tua grazia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 28 gennaio 2025

Efrem il Siro. La poesia come teologia

Il 9 giugno del 373 muore a Edessa Efrem, diacono della chiesa di Nisibi e innografo tra i più amati nelle chiese di tradizione siriaca.
Efrem era nato attorno al 306 da genitori cristiani, ed era cresciuto nella città di Nisibi sotto la guida spirituale del vescovo Giacomo, che lo volle come interprete delle Scritture nella locale scuola teologica.
Divenuto un «figlio del Patto», cioè uno di quei solitari dediti nelle chiese di Persia all'ascesi, alla preghiera e alla carità nella rinuncia al matrimonio, Efrem crebbe a contatto delle scuole esegetiche ebraiche fiorenti nella sua città. Innamorato della bellezza spirituale, cercò di esprimerla attraverso il genere innico, ritenendolo più adeguato di quello speculativo per narrare i misteri di Dio senza cadere nella sfrontatezza o nella bestemmia. Per produrre i suoi canti, utilizzò in primo luogo quelle che egli stesso definiva le «tre arpe» di Dio: le Scritture ebraiche, il Nuovo Testamento e il libro della natura.
Uomo di grande comunione ecclesiale, mise a disposizione dei vescovi nisibeni, di cui fu diacono, i propri doni spirituali senza risparmiarsi, e fu molto attento al ruolo e alla presenza femminile nella chiesa.
Quando Nisibi cadde in mano persiana nel 363, Efrem fu costretto a fuggire a Edessa, dove avviò una fiorente scuola teologica, che rimase in vita a lungo dopo la sua morte. La sua autorevolezza fu tale che anche le chiese d'occidente lo proclamarono dottore e maestro della fede.

Tracce di lettura

Signore, fammi tornare ai tuoi insegnamenti:
volevo ritirarmi innanzi ad essi,
ma mi accorsi del mio impoverimento.
L'anima non trae alcun beneficio, infatti,
all'infuori del tempo in cui conversa con te.
Ogni volta che ho meditato su di te,
da te io ho ricevuto un autentico tesoro;
quale che fosse il tuo aspetto contemplato,
un fiume sgorgava dal tuo seno:
non vi era modo per me di contenerlo.
La tua fontana, Signore, è nascosta
agli occhi di colui che di te non è assetato;
il tuo tesoro vuoto appare
a colui che ti respinge.
Amore è il tesoro delle tue riserve celesti.
(Efrem, Inni sulla fede 32,1-3)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Tommaso d'Aquino. Rendere ragione della speranza

Nel 1274, mentre si sta recando al concilio di Lione, muore nei pressi dell'abbazia di Fossanova Tommaso d'Aquino, frate domenicano.

Nato nei pressi di Aquino, vicino a Napoli, Tommaso entrò a circa diciotto anni nell'Ordine dei predicatori. Discepolo di Alberto Magno a Colonia e a Parigi, egli insegnò in queste città e poi a Roma, Bologna e Napoli. Tommaso fu autore di una considerevolissima opera teologica, che lasciò incompiuta, e fu con Bonaventura il più grande pensatore cristiano d'occidente del XIII secolo.

La sua originalità sta soprattutto nel modo in cui seppe esprimere la fede della chiesa nella cultura del suo tempo, specie per ciò che concerne la teologia della creazione e della libertà dell'uomo, partendo dalla Scrittura e dai padri della chiesa, e accogliendo la riscoperta del pensiero aristotelico che si era attuata a quei tempi.

Umile e sapiente, egli seppe unire uno spirito speculativo alla prudenza di uno spirito pratico, il dominio di un temperamento violento alla tenera devozione per Cristo crocifisso e al dialogo continuo con Dio.

Tommaso fu proclamato dottore della chiesa da papa Pio V nel 1567, e la sua teologia ebbe un ruolo di primissimo piano nei secoli successivi, soprattutto al concilio di Trento, dove alla sua Somma teologica fu accordato un onore senza precedenti nella storia della chiesa d'Occidente.

Tracce di lettura

L'insegnamento cristiano fa uso anche della ragione umana, non però per dimostrare la fede - in tal modo si disconoscerebbe il merito proprio della fede -, ma per chiarire alcuni punti che si tramandano nell'insegnamento stesso. Poiché infatti la grazia non distrugge la natura, ma anzi la porta a compimento, è bene che la ragione si ponga al servizio della fede, allo stesso modo in cui l'inclinazione naturale della volontà asseconda la carità. Per questo l'Apostolo afferma: «Rendete ogni intelligenza soggetta all'obbedienza di Cristo».
(Tommaso d'Aquino, Somma teologica I, q.1, a.8)

Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

San tommaso d'aquino con la summa, angelico san marco.jpg

Fermati 1 minuto. Gli uccelli del cielo si annidano tra i suoi rami

Lettura

Matteo 13,31-35

31 Un'altra parabola espose loro: «Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. 32 Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami».
33 Un'altra parabola disse loro: «Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti».
34 Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole, 35 perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta:
Aprirò la mia bocca in parabole,
proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.

Commento

Insieme a quella del seminatore e a quella della zizzania la parabola sul granello di senapa è una delle parabole del Regno in cui Gesù utilizza immagini tratte dal mondo agricolo. Mentre la parabola del seminatore illustrava il diverso modo di recepire l'annuncio evangelico e la parabola della zizzania illustrava la crescita dei buoni frutti insieme a quelli malvagi, quella del chicco di senapa mostra l'estensione del Regno a partire dai suoi piccoli inizi. 

Così la Chiesa, che muove i suoi passi nella storia a partire dai dodici apostoli e dai settanta discepoli, dopo la risurrezione di Cristo, nonostante le ostilità della sinagoga, dei re e dei principi della terra, raggiungerà nel dispiegarsi della storia tutti gli angoli della terra. 

Nella sua ramificazione possiamo vedere la diversità nell'unità, lungi dall'appiattimento nell'uniformità, che non risponderebbe all'abbondanza di carismi trasmessi come linfa vitale dallo Spirito Santo. Gli angeli benedicono le diverse espressioni di santità, innestate sull'unico tronco di Cristo, come uccelli del cielo che si vengono a posare sui suoi rami (v. 32).

Anche la parabola del lievito sembra richiamare l'azione generatrice e vivificante dello Spirito Santo. L'enorme quantità di farina (anche qui a significare l'abbondanza dei chiamati al Regno di Dio) non produrrebbe nulla senza di esso.

Nell'uomo che semina e nella donna che impasta potremmo vedere rispettivamente due metafore di Cristo e della sua Chiesa, del nuovo Adamo e della nuova Eva, che generano alla vita le moltitudini.

Le due parabole possono essere lette anche secondo un significato individuale, trovando in esse un richiamo a non scoraggiarsi di fronte ai piccoli inizi del Regno di Dio dentro di noi; a "coltivare" e "impastare" con pazienza; ad attendere con fiducia che lo Spirito faccia giungere a maturazione i frutti della grazia, oltre ogni nostra aspettativa.

Preghiera

O Dio, che ci hai generati nel santo battesimo come primizia del tuo Regno e che mediante il tuo Spirito, sia che dormiamo, sia che vegliamo, accresci i frutti della tua Parola caduta nel terreno buono, moltiplica in noi la tua grazia, affinché la Chiesa possa risplendere della tua gloria. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 27 gennaio 2025

Angela Merici. Fondatrice della Compagnia di Sant'Orsola

Nel 1540 si spegne, a Brescia, Angela Merici, fondatrice della Compagnia di sant’Orsola. Nata a Desenzano sul Garda intorno al 1474, Angela era rimasta orfana in giovane età. Sin da ragazza provò il desiderio di un’intensa vita di preghiera e di carità, ma non trovava una risposta alla sua ricerca nei monasteri dell’epoca. A vent’anni cominciò a radunare attorno a sé bambine e ragazze povere per dare loro una formazione umana e spirituale, istruirle nel lavoro e nell’assistenza ai malati. Intorno al 1530 si stabilì a Brescia, presso la chiesa di Sant’Afra e qui diede inizio a una Compagnia di donne che si proponeva di riattualizzare l’esperienza delle primitive comunità cristiane. Per quante la seguirono nella sua scelta di vita religiosa scrisse una regola e dei testi spirituali.
La forma di vita religiosa inaugurata da Angela Merici conobbe un grandissima diffusione.

Tracce di lettura

Sorelle, vi supplico che vogliate tener conto, e aver scolpite nella mente e nel cuore tutte le vostre figlie, a una a una; non solamente i loro nomi, ma anche la condizione, la natura, e ogni loro stato ed essere. Il che non vi sarà difficile, se le amerete con viva carità. Infatti, si osserva nelle madri secondo la carne che, se avessero mille figli e figlie, li avrebbero tutti totalmente presenti nell'animo, a uno a uno, perché così opera il vero amore. Anzi, pare che quanti più figli si hanno, tanto più l'amore e l'interessamento crescano a ogni figlio. Le madri spirituali possono e devono far questo in misura maggiore, in quanto l'amore spirituale è senza alcun paragone più potente dell'amore fisico. Sicché, mie cordialissime madri, se amerete queste vostre figlie con viva e viscerale carità, non sarà possibile che non le abbiate tutte particolarmente dipinte nella memoria e nel vostro animo.
(Angela Merici, Secondo legato)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Il discernimento origina dalla purezza del cuore

Lettura

Marco 3,22-30

22 Ma gli scribi, che erano discesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del principe dei demòni». 23 Ma egli, chiamatili, diceva loro in parabole: «Come può satana scacciare satana? 24 Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi; 25 se una casa è divisa in se stessa, quella casa non può reggersi. 26 Alla stessa maniera, se satana si ribella contro se stesso ed è diviso, non può resistere, ma sta per finire. 27 Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire le sue cose se prima non avrà legato l'uomo forte; allora ne saccheggerà la casa. 28 In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; 29 ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna». 30 Poiché dicevano: «È posseduto da uno spirito immondo».

Commento

La specificazione che gli scribi che accusano Gesù provengono da Gerusalemme indica la loro autorità agli occhi del popolo, ma anche il lungo viaggio compiuto per ostacolare la sua attività. La malizia degli scribi è più grande della loro scienza e davanti alla compassione di Gesù lo accusano di agire per mezzo del principe dei demòni.

I miracoli del Signore, il cui scopo è rendere più salda la fede in lui, sono motivo di scandalo per chi lo rifiuta. L'opposizione all'azione liberante del vangelo proviene spesso proprio dai rappresentanti della "dottrina ufficiale".

Beelzebùl era una antica divinità pagana, venerata nel tempio di Ekron, in Filistea. Il secondo libro dei Re, racconta l'episodio in cui l'empio re di Isrele Acazia, mandò a consultare il suo oracolo (2 Re 1,2). La divinità è chiamata dall'autore con la deformazione insultate "Baal-Zebub", che significa "Signore delle mosche", anziché Baal-Zebul, il cui significato è "Baal il sublime". Gesù identifica questa divinità con Satana.

Gesù risponde all'accusa mossagli dagli scribi con un'analogia: occorre essere più forti di Satana per entrare nel suo dominio - "la casa dell'uomo forte" -, contenere la sua azione ("legarlo") e liberare l'uomo che si trova sotto il suo controllo ("saccheggiare la casa"). Le parole di Gesù testimoniano che il diavolo non è un mito, la rappresentazione simbolica dell'idea del male, ma un soggetto personale che pensa e agisce in opposizione a Dio e all'uomo creato a immagine di Dio.

A chi lo accusa, consapevole della falsità della denuncia, Gesù riserva una condanna durissima: la bestemmia contro lo Spirito Santo è il rifiuto cosciente della verità e della conversione e per questo non può essere perdonata "in eterno" (in reatà il termine greco aion indica un lunghissimo lasso di tempo). Dio perdona sempre, ma chi non trova il perdono è colui che sceglie un accecamento volontario. Questi, pur riconoscendo l'opera di liberazione compiuta da Gesù e dai suoi discepoli ne dà un'interpretazione distorta, cercando di disinnescarne la forza.

Gesù esprime la sua condanna con autorità, come attestato dalle parole "In verità vi dico" (gr. amèn légo umin). Siamo chiamati a esercitare un accurato discernimento prima di giudicare il prossimo secondo i nostri schemi mentali. In particolare dobbiamo guardarci dall'invidia - da cui erano mossi gli scribi che accusavano Gesù - che genera divisioni; perché le divisioni sono opera del Maligno. Mentre accusano Gesù di operare per mezzo di Satana gli scribi si comportano proprio come Satana, l'accusatore, che si oppone alla comunione dell'uomo con Dio e dell'uomo con l'uomo.

Solo l'accoglienza di Gesù con cuore puro rende capaci di chiamare male il male e bene il bene. La disobbedienza e la mancanza di fiducia verso Dio accecarono l'uomo e la donna nel giardino di Eden, impedendogli di ottenere proprio ciò che cercavano mangiando il frutto dell'albero: la conoscenza del bene e del male. Quest'ultima è data nell'opera di redenzione attuata da Cristo, parola viva, efficace e fonte di liberazione per coloro che l'accolgono.

Preghiera

Purifica il nostro cuore, Signore, affinché possiamo riconoscere le tue opere meravigliose, glorificando il tuo nome con la voce dello Spirito che ci hai inviato. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 26 gennaio 2025

Il ministero della felicità

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA TERZA DOMENICA DOPO L'EPIFANIA

Colletta

Dio Onnipotente ed eterno, guarda con misericordia le nostre infermità e in ogni nostro pericolo e necessità stendi la tua mano destra per aiutarci e difenderci. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Rm 12,16-21; Gv 2,1-11

Commento

Il Vangelo di oggi ci presenta il primo miracolo pubblico di Gesù, la trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana. Fin dai più antichi lezionari questo evento è collegato all’Epifania, ovvero alla manifestazione di Gesù come il Signore, insieme agli episodi della nascita a Betlemme, dell’arrivo dei Magi e del battesimo al fiume Giordano. 

Giovanni utilizza la parola "segni" (gr. semèion) per indicare otto miracoli pubblici compitui da Gesù per manifestare l'autorità ricevuta da Dio. È significativo che il primo di questi segni non sia una guarigione o una liberazione dai demòni, ma sia compiuto in occasione di un evento conviviale. 

La narrazione del miracolo a Cana dovrebbe portarci a riconsiderare il nostro rapporto, come credenti, con il mondo. Noi, come Gesù, non apparteniamo al mondo (Gv 17,16), ma il nostro atteggiamento verso di esso, con tutto ciò che lo caratterizza, compresa la nostra umanità, le nostre aspirazioni, la ricerca stessa del piacere, non può essere di puro diprezzo. 

Le Scritture condannano l'ubriachezza, ma non il consumo di vino (Sal 104,15; Prov 20,1; Ef 5,18). Ciò che è riprovevole è l'abuso, non l'uso. Il messaggio che ci comunica Gesù con questo primo miracolo è molto chiaro: l’uomo ha il pieno diritto di godere anche le gioie di questa vita. 

La felicità, il piacere, nelle loro diverse espressioni, come l’arte, il buon cibo, la sessualità, diventano un peccato solo quando vengono assolutizzati a discapito di altri aspetti altrettanto importanti della vita; quando rompono l’armonia con l'ordine delle cose stabilito da Dio, l'equilibrio con l’altrettanto necessaria coltivazione dei propri doveri, verso la famiglia, il prossimo, se stessi; quando vengono gettati in un meccanismo di produzione e consumo. 

Ponendo ogni cosa nella giusta gerarchia del regno di Dio, saremo liberi dalla schiavitù e regneremo con lui, fonte di ogni bene. Mentre cercheremo la sua gloria realizzeremo uno dei più alti scopi della nostra vita; perché Dio ci vuole felici, e vuole che la nostra gioia sia piena (Gv 15,11).

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 25 gennaio 2025

Gregorio di Nazianzo. Un pastore amante della solitudine

Gregorio di Nazianzo, nato in Cappadocia verso il 330, in giovinezza, dopo gli studi ad Atene, visse un tempo di vita comune nella preghiera, nello studio delle Scritture, nel lavoro manuale con l'amico Basilio. Ritornò in seguito nella casa paterna per aiutare l'anziano padre, vescovo della diocesi di Nazianzo. Quando Basilio divenne vescovo di Cesarea, capitale della Cappadocia, nominò l'amico Gregorio vescovo di Sasima, un piccolo villaggio eretto a diocesi perchè situato in un luogo strategico ai confini delle due province in cui era stata suddivisa la Cappadocia. La nuova diocesi era contesa dagli ariani e Gregorio rifiutò di prenderne possesso. Amante della solitudine, preferì rimanere accanto al padre a Nazianzo, lontano da intrighi politici e religiosi. Ma quando, nel 379, fu chiamato a Costantinopoli a presiedere il piccolo gruppo di cristiani rimasti fedeli a Nicea, divenne l'erede spirituale di Basilio; in questi anni pronunciò cinque discorsi teologici che gli valsero l'appellativo di "teologo". Per qualche mese presiedette il secondo concilio ecumenico che proclamò la divinità dello Spirito santo; poi a causa degli intrighi orditi contro di lui, si dimise e, dopo aver guidato per due anni la comunità di Nazianzo, si ritirò in solitudine. Morì intorno al 390.

Tracce di lettura

Accanto alle forme di battesimo di cui ci parla la Scrittura, io ne conosco un'altra: l'immersione nelle lacrime. È un battesimo impegnativo, perché colui che lo riceve giorno e notte bagna di lacrime il proprio giaciglio. E' il battesimo di chi procede dolente e rattristato e imita l'umiliazione dei Niniviti, la quale ottenne misericordia. Io, per mio conto, siccome confesso di essere uomo, cioè un animale mutevole, di natura fragile, accetto volentieri questo battesimo e adoro Colui che me lo ha concesso, e ne faccio parte anche agli altri e dono per primo la misericordia per ottenere misericordia. So, infatti, che anch'io sono circondato di debolezza e che sarò misurato con la stessa misura con cui io per primo ho misurato agli altri.
(Gregorio di Nazianzo, Discorso 39)

Gregorio di Nazianzo (ca 330-389/390)

La conversione di Paolo, afferrato dalla misericordia

Oggi le chiese d'occidente ricordano la rivelazione di Gesù Cristo a Saulo di Tarso, ebreo della Cilicia, zelante fariseo educato alla scuola di Rabbi Gamaliele, chiamato a riconoscere in Gesù di Nazaret il Messia atteso da Israele e ad annunciarlo ai suoi fratelli ebrei e a tutte le genti. Mentre si recava a Damasco per condurre in catene a Gerusalemme i seguaci della "via" (At 9,2) di Cristo, Saulo si sentì interpellato dal Signore risorto, quel Gesù che egli perseguitava nei suoi discepoli. 
Accecato dalla rivelazione ricevuta, fu condotto nella comunità cristiana di Damasco e qui Anania gli impose le mani perchè recuperasse la vista e fosse colmato dallo Spirito santo. Ricevuto il battesimo, Saulo o Paolo, come viene chiamato in seguito, cominciò ad annunciare dapprima ai Giudei e poi ai pagani "la parola della croce" (1Cor 1,18), il mistero della salvezza donata in Cristo attraverso l'abbassamento fino alla morte in croce (cf. Fil 2,8). Rivendicando la sua autorità apostolica, Paolo affermò di non aver ricevuto il vangelo da uomini ma "per rivelazione di Gesù Cristo" (Gal 1,12). La sua infaticabile attività di predicazione lo portò a viaggiare per tutto il Mediterraneo; si rivolse soprattutto ai pagani ricevendo il titolo di "apostolo delle genti".
La festa odierna, sorta in Gallia già nel VI secolo, fu estesa a tutto l'occidente a partire dall'XI secolo.

Tracce di Lettura

Se la memoria della conversione di Paolo è così solenne, questo accade perché è utile a quelli che ne celebrano il ricordo. Perché da questa celebrazione il peccatore attinge la speranza del perdono che l'invita alla penitenza; e chi si è già pentito vi trova il modello di una perfetta conversione.
Come è possibile cedere alla disperazione, per quanto grandi siano le nostre colpe, quando si sente che quel Saulo che sempre fremente minacciava strage contro i discepoli del Signore, fu all'improvviso trasformato in vaso d'elezione? Chi potrebbe dire: «Non posso rialzarmi e condurre una vita migliore» se sulla strada su cui il suo cuore era pieno di veleno, l'accanito persecutore divenne subito il predicatore più fedele?
(Bernardo di Clairvaux, Sermone per la conversione di san Paolo 1)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Caravaggio. La conversione di San Paolo (particolare)

Fermati 1 minuto. Il dovere e la grazia dell'annuncio

Lettura

Marco 16,15-18

15 Gesù disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. 16 Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. 17 E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, 18 prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

Commento

Gesù, che in precedenza aveva chiesto agli apostoli di predicare il vangelo della salvezza alle pecore perdute della casa di Israele (Mt 10,5-6; 15,24), estende ora questa missione nei confronti del mondo intero (v. 15). Undici apostoli non potranno da soli adempiere a un compito così grande, ma insieme ai settandadue discepoli e ad altri che si aggiungeranno loro di generazione in generazione, getteranno il seme del vangelo verso i quattro angoli della terra. 

Il "grande mandato" è simile nei Vangeli di Matteo e Marco. Attraverso il battesimo si entra nella Chiesa, la comunità di Gesù-risorto, e la funzione della Chiesa è di evangelizzare "ogni creatura" (v. 15).

I miracoli, che all'inizio della predicazione di Gesù sono stati "segni" per suscitare la fede, divengono ora espressione del regno di Dio che si fa strada nella storia. Quella che viene delineata da Gesù e un'umanità riconciliata: la pacifica convivenza con i serpenti velenosi, la capacità di affrancare dagli influssi del male, la ritrovata comprensione senza che si perda la ricchezza delle differenze, sono i segni di un cielo nuovo e di una terra nuova (Ap 21,1), promessi dal Risorto nel nuovo patto siglato sulla croce.

Pur coltivando il dialogo tra fedi e culture differenti, nella solidarietà suscitata dalla comune natura umana e nel riconoscimento della diversità come benedizione, non può essere trascurata l'urgenza e la responsabilità dell'annuncio evangelico: "guai a me se non predicassi il vangelo!" eslama l'apostolo Paolo (1 Cor 9,16), afferrato dalla misericordia del Risorto. 

Annunciare Cristo significa partecipare alla sua missione sacerdotale, per liberare l'uomo da ciò che lo rende schiavo, non lasciarsi danneggiare dalla malvagità di questo mondo ma saperne curare e guarire le ferite. 

Preghiera

Rinnova in noi, Signore, il fervore per l'annuncio della tua Parola; affinché possiamo essere dispensatori della tua grazia che salva e guarisce. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 24 gennaio 2025

Fermati 1 minuto. Plasmati secondo la sua volontà

Lettura

Marco 3,13-19

13 Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. 14 Ne costituì Dodici che stessero con lui 15 e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demòni.
16 Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro; 17 poi Giacomo di Zebedèo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè figli del tuono; 18 e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananèo 19 e Giuda Iscariota, quello che poi lo tradì.

Commento

Il monte è più volte associato nei Vangeli a momenti e atti solenni della missione di Gesù (il "discorso della montagna" e la proclamazione delle beatitudini; la moltiplicazione dei pani e dei pesci; la trasfigurazione). 

La scelta dei dodici apostoli da parte di Gesù è esercitata con piena sovranità, e l'utilizzo del verbo greco ételen, che ci porta a tradurre il passo come "quelli che voleva", fa pensare a una scelta meditata. Gli uomini che sceglie sono persone comuni, pescatori, esattori delle tasse, sovversivi zeloti, peccatori riconciliati e anche colui che sarà il traditore. 

Secondo un esplicito atto della propria volontà Cristo forma un gruppo distinto di dodici uomini tra i suoi seguaci. Letteralmente Gesù "fa" i dodici, questo il significato del verbo greco epòiesen. La stessa espressione semitica è utilizzata nella Bibbia greca dei Settanta per indicare la scelta dei sacerdoti (1 Re 12,31; 13,33; 2 Cr 2,18). Quando Dio ci sceglie, il suo Spirito ci dona la capacità di diventare quello che la sua misericordia ha progettato; proprio come afferma il salmista: "Le tue mani mi hanno fatto e plasmato" (Sal 119,73). Eppure si tratta di un'azione di grazia che non fa violenza alla nostra volontà, non mortifica la nostra natura, né ci obbliga a diventare quello che egli vuole, come mostrerà la tragica vicenda di Giuda Iscariota. 

Il nuovo gruppo costituito da Gesù rappresenta le fondamenta della Chiesa. Insieme al compito principale di predicare, ai dodici è conferito il mandato di scacciare i demòni. 

Gli apostoli sono nominati in modo simile in tutti e tre i Vangeli sinottici. Pietro è sempre nominato per primo; questo nome, che significa "roccia" sostituisce il nome originario Simone e descrive il suo carattere e la sua attività, che sarà quella di confermare i fratelli nella fede, come pietra fondativa nella costruzione della Chiesa. 

Gli apostoli vengono presentati in tre gruppi di quattro. Il primo gruppo di apostoli, Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni, tutti pescatori, è rappresentato nei Vangeli particolarmente vicino a Gesù. Giacomo e Giovanni sono definiti "figli del tuono" (boanèrghes in aramaico) probabilmente in riferimento alla loro fervente personalità o alla loro predicazione apocalittica. 

Ogni apostolo presenta una specifica identità; è la tessera di un mosaico, la cui bellezza risplende in se stessa, ma ancor di più se guardata nell'insieme della composizione.

Preghiera

Concedici, Signore, di essere nella costruzione della Chiesa una piccola pietra intagliata secondo la tua volontà. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Francesco di Sales e la dolcezza dell'azione pastorale

La Chiesa cattolica e la Chiesa anglicana ricordano oggi la persona di Francesco di Sales (1567-1622). 
Francesco si formò alla cultura classica e filosofica alla scuola dei Gesuiti, ricevendo al tempo stesso una solida base di vita spirituale. Il padre, che sognava per lui una brillante carriera giuridica, lo mandò all’università di Padova, dove Francesco si laureò, ma dove pure portò a maturazione la vocazione sacerdotale. Ordinato il 18 dicembre 1593, fu inviato nella regione del Chablais, dominata dal Calvinismo, e si dedicò soprattutto alla predicazione, scegliendo non la contrapposizione polemica, ma il metodo del dialogo.
Per incontrare i molti che non avrebbe potuto raggiungere con la sua predicazione, escogitò il sistema di pubblicare e di far affiggere nei luoghi pubblici dei “manifesti”, composti in agile stile di grande efficacia.
A Thonon fondò la locale Congregazione dell’Oratorio, eretta da Papa Clemente VIII con la Bolla “Redemptoris et Salvatoris nostri”.
L’impegno che Francesco svolse al servizio di una vastissima direzione spirituale, nella profonda convinzione che la via della santità è dono dello Spirito per tutti i fedeli, religiosi e laici, fece di lui uno dei più grandi direttori spirituali. La sua azione pastorale - in cui impegnò tutte le forze della mente e del cuore - e il dono incessante del proprio tempo e delle forze fisiche, ebbe nel dialogo e nella dolcezza, nel sereno ottimismo e nel desiderio di incontro, il proprio fondamento, con uno spirito ed una impostazione che trovano eco profondo nella proposta spirituale di Filippo Neri, la quale risuona mirabilmente esposta, per innata sintonia di spirito, nelle principali opere del Sales - “Introduzione alla vita devota, o Filotea”, “Trattato dell’amor di Dio, o Teotimo” - come pure nelle Lettere e nei Discorsi.
Fatto vescovo di Ginevra nel 1602, contemporaneamente alla nomina dell’Ancina, continuò con la medesima dedizione la sua opera pastorale. Frutto della direzione spirituale e delle iniziative di carità del Vescovo è la fondazione, in collaborazione con S. Francesca Fremiot de Chantal, dell’Ordine della Visitazione.

 Tracce di lettura

I bambini, a forza di ascoltare le mamme e balbettare dietro loro, imparano la loro lingua; avverrà lo stesso per noi se ci terremo vicino al Salvatore con la meditazione: osservando le sue parole, le sue azioni e i suoi affetti, impareremo, con il suo aiuto, a parlare, agire e volere come Lui. (Filotea. Introduzione alla vita devota)

giovedì 23 gennaio 2025

Menno Simons, i Mennoniti e gli Amish

Nel 1535, nella città tedesca di Münster, non lontana dai Paesi Bassi, veniva stroncato in un bagno di sangue il tragico tentativo di instaurare la Nuova Gerusalemme attraverso la forza. Esso era stato progettato dalle frange impazzite dell'anabattismo olandese, ed ebbe come conseguenza una crudele persecuzione di chiunque si dichiarasse anabattista. L'anabattismo sopravvisse però grazie all'intelligente opera di Menno Simons, il quale ricondusse alle radici evangeliche un movimento che aveva attirato moltissime persone semplici e desiderose soltanto di fare la volontà di Dio.
Simons era nato a Witmarsum, in Frisia, nel 1496 da una famiglia di contadini. Divenuto prete cattolico, egli fu colpito dalla sincera buona fede che riscontrava in molti suoi fedeli, attratti dalle diverse correnti della Riforma.
Attraversò una profonda crisi vocazionale che lo condusse ad abbandonare la chiesa di Roma. Convinto che seguire Cristo poteva significare solo accettare la propria croce, per venti anni predicò la parola di Dio e ricostituì un movimento anabattista liberato da deliri profetici ed escatologici e ricondotto al primato del vangelo. Simons si sforzò di operare una profonda conversione nella propria vita per adeguarla al messaggio evangelico che quotidianamente predicava.
Morì il 31 gennaio 1561. La data odierna è quella in cui è ricordato in alcune chiese evangeliche.

Menno Simons (1496-1561)


I mennoniti dopo la morte di Menno Simons

Dopo la morte di Simons, i mennoniti iniziarono a frammentarsi. I waterlanders, guidati da Hans de Ries, furono attivi nella guerra d’indipendenza olandese, pur mantenendo principi pacifisti sanciti nella loro Confessione di fede del 1577. Il governo olandese li trattò con tolleranza, concedendo esenzioni e privilegi.

Altri gruppi mennoniti si divisero ulteriormente e molti emigrarono verso est, fino in Russia, dove Caterina la Grande garantì loro libertà religiosa ed esenzione militare. Nel 1693, Jakob Amman fondò gli Amish, oggi presenti soprattutto negli Stati Uniti.

Nel XIX secolo, a causa della leva obbligatoria in Prussia e Russia, i mennoniti emigrarono in massa verso gli Stati Uniti, Canada e Sud America, dove si stabilirono e mantennero i loro principi di fede.

I mennoniti oggi

I mennoniti sono quindi principalmente concentrati in America: infatti, benché secondo le loro statistiche interne ci siano più di un milione di fedeli (tuttavia secondo altre statistiche sono solo 700.000) sparsi in 60 paesi del mondo, solo in Stati Uniti e Canada (secondo la Mennonite World Conference del 1996) ci sono 415.978 membri (altri danno un numero più contenuto di circa 200-250.000 fedeli nordamericani).

Risultati immagini per mennonites
Giovani donne Mennonite

Tracce di lettura

Quando si diffusero le notizie delle persecuzioni seguite alla tragedia di Münster, il sangue di questi uomini, sia pur sviati, ricadde sulla mia coscienza e ne ebbi dei rimorsi insopportabili. Ripensai alla mia vita impura, carnale, alla dottrina ipocrita e all'idolatria che professavo tutti i giorni sotto una parvenza di pietà, ma senza gioia. Vidi che quelle creature zelanti, pur essendo nell'errore, offrivano volentieri la loro vita e i loro beni per la loro dottrina e la loro fede.
Mentre riflettevo, la mia coscienza mi tormentava a tal punto che non potei più resistere. Mi dicevo: me misero, cosa sto facendo? Se continuo a vivere così e non conformo la mia vita alla parola di Dio; se non condanno apertamente con i miei deboli talenti l'ipocrisia, la falsificazione del battesimo, la cena del Signore snaturata dal culto che insegnano i dotti; se, per timore del mio corpo, non espongo ciò che ritengo essere il fondamento della verità e non concentro tutte le mie forze per condurre il gregge disperso - che farebbe volentieri il proprio dovere se lo conoscesse - verso i pascoli di Cristo, oh come il loro sangue, versato nella trasgressione, griderà contro di me nel giorno del giudizio!
(Menno Simons, Risposta a Gellius Faber)

Fermati 1 minuto. Lasciare spazio per comprendere

Lettura

Marco 3,7-12

7 Gesù intanto si ritirò presso il mare con i suoi discepoli e lo seguì molta folla dalla Galilea. 8 Dalla Giudea e da Gerusalemme e dall'Idumea e dalla Transgiordania e dalle parti di Tiro e Sidone una gran folla, sentendo ciò che faceva, si recò da lui. 9 Allora egli pregò i suoi discepoli che gli mettessero a disposizione una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero. 10 Infatti ne aveva guariti molti, così che quanti avevano qualche male gli si gettavano addosso per toccarlo. 11 Gli spiriti immondi, quando lo vedevano, gli si gettavano ai piedi gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». 12 Ma egli li sgridava severamente perché non lo manifestassero.

Commento

Il ritirarsi di Gesù presso il lago di Gennesaret, che segna il confine con i territori pagani, indica la sua definitiva rottura con la sinagoga e l'apertura del suo messaggio a tutti i popoli. Le folle che lo seguono testimoniano la sua grande fama, nonostante l'ostilità dei farisei e degli erodiani. 

La folla è tale che rischia di schiacciare Gesù, le persone si gettano addosso a lui, come indica il verbo greco thlibo, il cui significato è stringere creando un senso di oppressione. Gesù "si difende" salendo su una barca. A volte anche chi ha fede costringe Dio dentro categorie che ne fanno quasi un "idolo", con una devozione che guarda solo alla ricerca del miracolo. 

Gesù ha pietà anche di queste folle di uomini "semplici" e afflitti. I mali da cui cercano la guarigione coloro che si gettano addosso a lui sono letteralmente "piaghe" (gr. mastigas), termine con il quale si indicavano diverse patologie, ma che può essere inteso anche con il significato di "correzione, castigo". Come le piaghe inviate agli egiziani e quelle descritte nel libro dell'Apocalisse, si tratta di mali inviati da Dio per sollecitare il ravvedimento. 

I demòni riconoscono l'identità di Gesù, ma pur temendola, non si sottomettono ad essa. Dio ci chiama a stabilire una relazione con lui, a crescere nella carità e non solo nella conoscenza intellettuale del suo mistero. Per quanto ricca possa essere la nostra cultura teologica non varrà a niente se l'ortoprassi non sarà all'altezza dell'ortodossia. 

Gesù riprende i demòni, intimandogli di non rivelare la sua identità; egli vuole essere accolto dagli uomini non per la testimonianza degli spiriti maligni ma per le proprie opere e per le proprie parole, che proclamano chiaramente chi egli è. Per questo ristabilisce una distanza dalle moltitudini; una distanza piena di sollecitudine, ma in grado di lasciare spazio a una considerazione più attenta e meditata, meno "istintiva", sulla sua persona.

Preghiera

Donaci, Signore, di cercarti con cuore puro; affinché possiamo accoglierti come colui che con le proprie piaghe è venuto a sanare le ferite prodotte in noi dal peccato. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 22 gennaio 2025

Fermati 1 minuto. Non un pugno chiuso ma una mano tesa

Lettura

Marco 3,1-6

1 Entrò di nuovo nella sinagoga. C'era un uomo che aveva una mano inaridita, 2 e lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato per poi accusarlo. 3 Egli disse all'uomo che aveva la mano inaridita: «Mettiti nel mezzo!». 4 Poi domandò loro: «È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?». 5 Ma essi tacevano. E guardandoli tutt'intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quell'uomo: «Stendi la mano!». La stese e la sua mano fu risanata. 6 E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire.

Commento

Gesù entra nella sinagoga di Cafarnao. Qui trova l'occasione per chiarire ulteriormente il senso del sabato, contro la polemica dei farisei appena avvenuta per le spighe strappate dai discepoli per sfamarsi. La sua predicazione avviene più con le opere che con le parole. Vi è un uomo con una mano paralizzata ed egli lo invita a mettersi nel centro della sala di culto. Quest'uomo è posto di fronte ai farisei quasi come simbolo della loro paralisi dottrinale e del legalismo cui hanno reso soggetto il popolo di Dio. 

I dottori della legge non hanno né pietà per il malato, né devozione per colui che può guarirlo, così anziché intercedere stanno a guardare, con occhio malevolo, per accusare Gesù di aver violato il riposo sabbatico. 

La domanda di Gesù se sia lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla (v. 4) non può che avere un'unica risposta per colui che è realmente guidato dalla pietà religiosa. Ma nessuno parla, e quel silenzio che spesso è complice dell'ingiustizia, suscita in Gesù indignazione e tristezza. In controluce c'è la durezza di cuore dei farisei (v. 5), il rigore della dottrina che anestetizza ogni emozione. 

Gesù guarisce l'uomo dalla mano inaridita con un comando semplice e diretto "Stendi la mano!"; e l'uomo "la stese e la sua mano fu risanata" (v. 5). Cristo, investito di autorità dal Padre, è parola che non ritorna mai a Dio senza effetto (Is 55,11). 

Le mani tenute legate dalla Legge, vengono sciolte per poter compiere il bene e coltivare il seme della grazia. I farisei - rappresentanti dell'ortodossia religiosa - e gli erodiani - difensori del potere statale - pur divisi in opposte fazioni, trovano un comune interesse nella volontà di far morire Gesù (v. 6), avvertito come un elemento di sovversione del loro desiderio di prevaricazione politica e religiosa.  

Ma il potere sovversivo di Gesù passa attraverso un "depotenziamento", una spoliazione del Figlio di Dio, fino alla morte di croce (Fil 2,8), in modo da aprire, lungo le vie oscure della nostra umanità sofferente, la via per la risurrezione.

Preghiera

Insegnaci, Signore, a non anteporre nulla a te; la nostra fede possa essere non un pugno chiuso per ferire, ma una mano aperta per ricevere la tua grazia e tesa per donare al nostro prossimo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 21 gennaio 2025

Fermati 1 minuto. L'uomo, prima del precetto

Lettura

Marco 2,23-28

23 In giorno di sabato Gesù passava per i campi di grano, e i discepoli, camminando, cominciarono a strappare le spighe. 24 I farisei gli dissero: «Vedi, perché essi fanno di sabato quel che non è permesso?». 25 Ma egli rispose loro: «Non avete mai letto che cosa fece Davide quando si trovò nel bisogno ed ebbe fame, lui e i suoi compagni? 26 Come entrò nella casa di Dio, sotto il sommo sacerdote Abiatàr, e mangiò i pani dell'offerta, che soltanto ai sacerdoti è lecito mangiare, e ne diede anche ai suoi compagni?». 27 E diceva loro: «Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato! 28 Perciò il Figlio dell'uomo è signore anche del sabato».

Commento

Secondo i rabbini quello del riposo del sabato, in onore del giorno in cui Dio si riposò dopo l'opera della creazione (Gen 2,3), è il comandamento più importante: osservarlo correttamente significa compiere tutta la legge. Di conseguenza la violazione del sabato viene considerata alla stregua dei peccati peggiori (idolatria, incesto, omicidio). 

Il semplice comandamento contentuto nel libro dell'Esodo (Es 34,21) e nel Deuteronomio (Dt 5,12-15) è stato esteso dai maestri ebrei fino a includere trentanove tipi di lavori proibiti, a loro volta suddivisi in trentanove classi, per un totale di 1521 lavori proibiti. L'opposizione di Gesù è contro questi eccessi della legislazione sabbatica, contro le "dottrine che sono precetti di uomini" (Mt 15,9). 

Contrariamente a quanto rimproverato dai farisei, ai viaggiatori che non avevano abbastanza cibo era consentito cibarsi raccogliendo le spighe per strada (Dt 23,24-25). L'opposizione dei farisei è, dunque, non solo maliziosa, ma anche ingiustificata. 

L'episodio di Davide che con i suoi compagni mangiò i pani dell'offerta è ripreso dal primo libro di Samuele (1 Sam 21,2-7) e non riguarda la violazione del riposo sabbatico, ma viene qui inserito per dimostrare che la violazione della legge è possibile in quanto gli uomini di Davide, in fuga da Saul, erano senza cibo. I pani dell'offerta erano i dodici pani presentati al Signore nel tempio, sostituiti ogni sabato (Lv 24,5-9) e che potevano essere mangiati solo dai sacerdoti. 

La legge del sabato, stabilita da Dio per il riposo del corpo, non può andare contro le necessità del corpo, nostre o del prossimo. Ecco perché Gesù compie molte guarigioni anche in giorno di sabato. Egli riafferma l'intenzione divina del sabato, giorno di riposo "fatto per l'uomo" (v. 27), come beneficio verso Israele, in contrapposizione alla tradizione restrittiva dei farisei nell'interpretare la legge. 

L'uomo non è stato fatto per il sabato ma per onorare e servire Dio. Il significato del commento finale, "il Figlio dell'uomo è signore anche del sabato" (v. 29) è che la violazione del sabato è giustificata in forza dell'autorità stessa di Gesù, che ripristina l'autentica legge di Dio, respingendo le tradizioni umane che rendono schiavo l'uomo e ristabilendo il sabato come giorno di benedizione. 

Le restrizioni del sabato vengono meno con la giustificazione operata da Cristo nella sua morte e risurrezione, così che il giorno del Signore, spostato dai cristiani alla domenica, diventerà il giorno in cui celebrare il suo sacrificio di salvezza e rendere a lui onore. Il vangelo della grazia ci libera dal timore della Legge per servire Dio con amore, in risposta alla sollecitudine che egli ha mostrato per noi, nel crearci, custodirci e redimerci nel suo Figlio. 

Questo il senso dei "comandamenti": una guida per insegnarci ad amare Dio, non sotto il giogo degli schiavi, ma con responsabilità e sapendo guardare l'uomo e i suoi bisogni prima di ogni precetto.

Preghiera

Signore Dio, che ci hai liberati dalla schiavitù del peccato, insegnaci ad amarti mostrandoci solleciti verso le necessità del nostro prossimo; affinché possiamo giungere al riposo senza fine del tuo sabato eterno. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Agnese, la mitezza che sconfigge le potenze del mondo

Nella seconda metà del III secolo, il 21 gennaio di un anno a noi ignoto, muore martire a Roma Agnese, appena tredicenne. La sua grande forza d'animo, che le derivava secondo gli agiografi da una fede incrollabile a dispetto della sua fragilità di adolescente e della sua esile figura, ne fecero una delle martiri più famose di tutta la cristianità. La sua Passio, giunta a noi nelle versioni greca, latina e siriaca del V secolo, era già conosciuta da tutti i grandi padri della chiesa. Ambrogio, Agostino, papa Damaso, Girolamo, Massimo di Torino, Gregorio Magno, Beda il Venerabile, Prudenzio, e poi i poeti carolingi, e infine Jacopo da Varagine, offriranno dei ritratti toccanti della giovane Agnese, fondati tutti su una tradizione orale di antichissima memoria.Anche l'iconografia della santa ebbe uno sviluppo enorme. Nelle immagini, soprattutto medievali, Agnese appare con a fianco un agnello, a ricordo del suo nome e del sogno avuto, secondo la leggenda otto giorni dopo la sua morte, dai suoi genitori che la videro insieme ad altre martiri sfilare accanto a un agnello senza macchia (cf. 1 Pt 1,19). Sul luogo della sua deposizione fu edificata, una basilica che, più volte rimaneggiata, fu in seguito ricostruita in stile bizantino e che ancor oggi è una delle principali chiese di Roma. Il nome di Agnese è ricordato nel Canone romano, la principale preghiera eucaristica della chiesa latina.

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Sant'Agnese (III sec.), mosaico, Roma

lunedì 20 gennaio 2025

Fermati 1 minuto. Digiunare durante le nozze?

Lettura

Marco 2,18-22

18 Ora i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Si recarono allora da Gesù e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». 19 Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. 20 Ma verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno. 21 Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo squarcia il vecchio e si forma uno strappo peggiore. 22 E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi».

Commento

I discepoli di Giovanni, probabilmente, come i farisei osservavano la pratica in uso ai tempi di Gesù di digiunare due volte a settimana (Lc 18,12); in realtà la legge levitica prevedeva un solo digiuno l'anno nel giorno dell'espiazione (Lv 16,29.31). 

L'immagine del banchetto nuziale - nettamente in contrasto con la pratica del digiuno - esprime un nuovo rapporto d'amore tra Dio e il suo popolo nella persona e nella missione terrena di Gesù. Gli invitati a nozze (v. 19) sono qui letteralmente "i figli del talamo", semitismo per indicare gli amici che accompagnano e aiutano lo sposo nei preparativi e nella cerimonia. 

Nell'Antico Testamento l'immagine di Dio come sposo è presente nel libro di Isaia (Is 1,21-23; 49,14-16), mentre nella letteratura patristica abbondano le interpretazioni allegoriche del Cantico dei cantici, considerato come dialogo tra Dio e la Chiesa, sua sposa. 

Il verbo greco apairomai, in riferimento allo sposo che sarà tolto agli invitati a nozze (v. 20), significa letteralmente "strappare", e preannuncia la fine violenta di Gesù.

La presenza del Messia è un evento così gioioso che non lascia spazio per il digiuno; ma nel tempo della Chiesa ci sarà spazio anche per questo. Gesù offre nel "discorso della montagna" (Mt 5-7) una spiegazione su come dovranno digiunare i suoi discepoli: con discrezione, senza apparire sfigurati in volto, profumandosi il capo, affinché possano essere ricompensati solo dal Padre che vede nel segreto (Mt 6,16-18). 

Gesù non disdegna gli inviti alla ricca tavola dei pubblicani e dei peccatori, è infatti per loro che è venuto come medico (Mc 2,15-17); tuttavia, l'episodio della spigolatura (Mc 2,23) e la modalità con cui invia i suoi discepoli a predicare "senza bisaccia" (Lc 10,4) dimostrano l'assunzione di un regime alimentare povero e fiducioso nella provvidenza divina. 

Gesù raccomanda il digiuno anche per scacciare gli spiriti malvagi più "resistenti" alla preghiera e agli esorcismi: "Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo se non con il digiuno e la preghiera" (Mc 9,29). 

Il digiuno è ormai un "tabù" nelle chiese occidentali, tanto in quella cattolica e ancor più in quelle protestanti. In queste ultime viene generalmente rigettato per il suo - reale - rischio di essere concepito come pratica per "accumulare meriti" e contraria al vangelo della grazia. Tuttavia, non mancano eccezioni: il Book of Common Prayer anglicano prescrive numerosi giorni di digiuno, mentre John Wesley, fondatore del metodismo, digiunava tutti i mercoledi e venerdi dell'anno. 

Al di là delle prescrizioni, è venuta meno la pratica diffusa del digiuno, che potrebbe avere una importante valenza pedagogica. Si tratta di riscoprire la sua capacità di farci comprendere che non si può avere tutto e subito, educandoci alle rinunce che la vita, in differenti modi e tante volte, ci chiede.

Ma il vero digiuno è soprattutto condividere il pane con l'affamato, soccorrere l'orfano e la vedova, dare il proprio contributo affinché la giustizia sia ristabilita sulla terra.

Preghiera

Si compiano, Signore, le tue nozze con la Chiesa, tua sposa; affinché possiamo gioire nel banchetto celeste, quando non ci sarà più fame e tu stesso sarai la sorgente della vita. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Richard Rolle e "L'incendio d'amore"

La Chiesa Anglicana fa oggi memoria di Richard Rolle (circa 1300-1349), mistico cristiano, scrittore e poeta inglese, considerato una delle figure più influenti della spiritualità medievale. Nato probabilmente a Thornton-le-Dale, nello Yorkshire, Rolle abbandonò gli studi universitari a Oxford per dedicarsi a una vita eremitica e contemplativa, cercando una più profonda unione con Dio.

La sua opera si distingue per il linguaggio accessibile e per l'intensa descrizione delle esperienze mistiche, caratterizzate da visioni e da una percezione sensoriale della presenza divina, spesso espressa in termini di calore (calor), dolcezza (dulcor) e canto (canor). Tra i suoi scritti più noti vi sono The Fire of Love e The Mending of Life, opere che trattano di meditazione, preghiera e trasformazione spirituale.

Rolle scrisse sia in latino che in inglese, contribuendo alla diffusione della spiritualità cristiana tra i laici. La sua influenza fu significativa anche per la successiva tradizione mistica inglese, come quella di Giuliana di Norwich e dell'autore della Nube della non conoscenza. Morì nel 1349, probabilmente vittima della peste nera.

Tracce di lettura

E così, quando sentii per la prima volta questo calore, pensai che fosse un fuoco fisico acceso nel mio petto. E mi alzai e mi toccai per vedere se fosse così. Ma quando mi resi conto che non era un fuoco naturale, mi sedetti di nuovo, completamente sopraffatto dalla gioia e dal conforto. Da quel momento, la dolcezza incommensurabile crebbe così tanto nel mio cuore che, se fosse stata ancora più intensa, non avrei potuto sopportarla. E allora mi sembrava di essere già in paradiso. Oh, come è meraviglioso sentire Dio nel cuore! Questa dolcezza è inesprimibile, eppure è una tale consolazione che io non scambierei un'ora di essa con tutto il piacere terreno. Essa accende l'anima, la purifica, e la solleva verso Dio, rendendola capace di amarlo sempre di più. (Richard Rolle, L'incendio d'amore)

Eutimio il Grande, testimone nel deserto

Il 20 gennaio del 473 muore nella lavra che egli stesso aveva fondato Eutimio il Grande, monaco nativo di Melitene, in Armenia.
Alla morte del padre, il piccolo Eutimio era stato affidato all'educazione del vescovo di quella città. Ebbe così modo di acquisire un forte sensus fidei, generato dall'ascolto e dalla meditazione delle Scritture, che lo accompagnerà per tutta la vita e in ogni situazione.
L'amore per la quiete e la riluttanza nei confronti della carriera ecclesiastica che gli si prospettava in modo ormai evidente, lo spinsero a cercare la solitudine in Palestina, dove si recò con il desiderio di imitare la vita di Cristo nel deserto.
Con la sua vita egli testimoniò a tal punto la bellezza del vangelo da portare alla fede cristiana un numero notevole di abitanti del deserto, in gran parte nomadi di lingua araba. Si andò così formando attorno ad Eutimio una laura, alla quale accorsero discepoli anche da regioni molto lontane.
Eutimio ebbe un ruolo importante negli avvenimenti della chiesa di quegli anni, e fu anche grazie a lui che la chiesa di Gerusalemme accolse il concilio di Calcedonia.

Tracce di lettura

Così esortava i propri fratelli Eutimio: «In ogni ora ci occorre essere vigilanti e stare desti. Sappiate anzitutto questo: chi rinuncia al mondo non deve avere volontà propria, ma in primo luogo acquisirà umiltà e obbedienza; egli deve perseverare, meditare senza posa l'ora della morte e il giorno terribile del giudizio, aspirare alla gloria del regno dei cieli».
Diceva ancora: «Oltre alla custodia dell'interiorità, i monaci, soprattutto quelli giovani, devono faticare corporalmente, ricordando la parola dell'Apostolo: "Ho lavorato notte e giorno per non essere di peso a nessuno" (1Ts 2,9); e queste mani hanno lavorato al mio servizio e al servizio di coloro che sono con me". Sarebbe strano, infatti, che mentre le persone del mondo si danno pena e fatica per nutrire moglie e figli con il loro lavoro, per offrire a Dio primizie, fare del bene per quanto possono, e inoltre vedersi reclamare imposte, noi non sovvenissimo neppure, con il lavoro delle nostre mani, alle nostre necessità corporali, ma restassimo lì pigri e immobili a godere della fatica altrui, quando soprattutto l'Apostolo comanda che il pigro non deve neppure mangiare»(2Ts 3,10).
(Cirillo di Scitopoli, Vita di Eutimio 9)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose