Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

mercoledì 25 dicembre 2024

Il Natale di John Donne

Provato nel corpo e nello spirito, per la perdita dell'amata moglie e per un cancro allo stomaco, pochi mesi prima di morire John Donne pronunciò questo Sermone di Natale nella Cattedrale londinese di St. Paul, di cui era stato nominato Decano. È un Sermone che vale la pena leggere e rileggere, meditare e rimeditare di anno in anno, per la sua capacità di rompere i canoni, specie contemporanei, di una Natale edulcorato, dimentico del fatto che l'incarnazione del Verbo è prima di tutto una spoliazione di Dio da se stesso.

Discorso contro la morte

Sermone pronunciato da John Donne la notte di Natale del 1630, nella Cattedrale di Saint Paul, Londra.

     Solo adesso arrivo a parlarvi, miei fedeli. Educato fra uomini abituati al disprezzo della vita e al culto dei morti, affamati di un immaginario martirio e di una tormentosa trascendenza, oppressi dal cilicio di una religione oscura come una tara inconfessabile, solo adesso arrivo a parlarvi, come dopo un lungo viaggio.
     Ora siamo nudi, qui, nella chiesa di Saint Paul, e non possiamo tacere. I nostri abiti sono quella piccola montagna di stracci ammucchiata davanti al portale. Ma non vergognatevi. Nessuno entrerà. La porta è stata sbarrata dall’interno con un trave di legno. E’ quasi mezzanotte e nessuno potrà vederci così come siamo. Dowland ha acceso questo grande fuoco al centro della chiesa, che ci scalda tutti. Non possiamo avere freddo. Dobbiamo restare in preghiera – noi, chiusi in questo silenzioso mausoleo con i nostri corpi nudi, nudi come lo furono alla nascita, senza lo straccio di una veste, senza l’orpello di un abito, scorticati da ogni lusso superfluo – con tutti i nostri corpi, giovani, vecchi, bambini, adulti, nel giorno della massima festività: il Natale del 1630, la nascita di Cristo, Nostro Signore.
     Il cuore mi si colma di commozione. Quasi non riesco a proferire parola. Come siete diversi tutti. Il tempo è leggero su quelle braccia, pesante su quella schiena, funesto su quel cranio, atroce su quelle gambe. Vi vedo tutti – non posso farne a meno. Vedo la vita in cammino, come il suo muto gemello, il Signore della Morte. Dio passa dentro di voi. Quell’addome magro, Katherine, ieri era florido e ha generato Anna Porter, vostra figlia. Quel braccio che ieri lavorava duramente nei campi, Summer, adesso è lì, raggrinzito sul volume di preghiere. Vi vedo con chiarezza, come un cartografo la mappa delle terre che esplorerà.
     Ma i vostri pensieri sono le cose più incredibili: affollano questo luogo da ogni parte, sono uno sciame di cose tranquille e atroci, chi vorrebbe ammazzare il vicino di campo, chi cullare la figlia, chi mangiare un arrosto di cervo, chi fare all’amore con la donna dell’amico. Voi che ora mi ascoltate e arate dei campi e nutrite delle famiglie, non avete mai sentito parlare, da bambini, di apostasie, anatemi, abiure, sentenze. Non siete stati allontanati, a sei anni, da un drappello di militari che conducevano l’eretico alla forca: non vi hanno coperto il viso, come fecero a me, obbligandomi a giurare di non fare parola di quello scandalo. Io, che sentii solo il rullo dei tamburi, non promisi però di non immaginare: così vidi me stesso, issato sulla forca, il cappuccio sulla testa, ma, nel momento in cui la botola avrebbe dovuto aprirsi, la terra tremò, franò la forca, e io ero là, nudo e ispirato, la morte negli occhi, che soggiogavo tutti con le parole e cambiavo il corso del mondo.
     Ognuno di voi, lo sapete, è nato da un luogo buio, lì ha preso forma: e, dentro il corpo della madre, è nato e si è nutrito, per nove mesi. Ma, se quel tempo non fosse stato rispettato, se il feto avesse avuto qualche malattia, la morte avrebbe ucciso le madri e i figli, e qui ci sarebbero dei posti vuoti e io non potrei guardare negli occhi persone che hanno vissuto una vita intera, di felicità o di stenti, perché non sarebbero mai esistite, perché un piccolo germe, quel giorno di primavera o di autunno, si sarebbe insediato nell’utero di qualche madre, un piccolissimo insetto, invisibile a occhio nudo, che anche adesso potrebbe benissimo stare sotto la cute del tuo braccio, John, o la pelle del tuo cranio, Jane, anticipando il vostro viaggio agli inferi. La vita è qualcosa di incongruo e di non ragionevole: dipende da un acaro o da un bacillo, a noi è capitato di viverla e siamo qui, insieme, come una mappa di cui è impossibile decifrare qualcosa. Siamo corpi che si espongono a Dio.
     Io non mi staccherò più dalla pelle degli uomini, non sarò più il perfetto ascoltatore delle Variazioni Walshingham di John Bull, non sarò più l’assiduo frequentatore dell’Hamlet di William Shakespeare. Mi spoglierò di tutte le mie maschere. Prima di venire a Saint Paul a parlarvi, ho lacerato con un bisturi affilato la tela in cui mi ero fatto dipingere con il lenzuolo funebre annodato sul capo, già composto per la sepoltura: vezzi di poeta funebre, che predispone la mappa del suo cadavere per il futuro giudizio di Dio.
     Atlante, libri, pianeti, sudore, fatiche, singulti – voi siete la mia mappa, la parabola accidentata della creazione. I libri sacri lo dicono: La creazione è il sommo bene, ecco l’opera di Dio, mirabile ai nostri occhi, e tu mi hai fatto e plasmato, Signore: ma queste meraviglie, se sono attaccate dalla peste e dilaniate dalle guerre, restano sempre delle meraviglie? A volte marciscono negli uteri, a volte marciscono nel mondo, e la vita è meno di una pezza da piedi, in cui il potente si asciuga lo stivale infangato o la lancia insanguinata. E tutto è così precario anche se ci copriamo di mille abiti e pellicce e corazze e armature, perché la puntura di un ago infetto potrebbe provocare dolori, febbri, bubboni, e non lasciarci più finché non abbiamo reso l’ultimo respiro.
     Credete a me – miei cari, miei nudi fedeli, miei vivi – è solo per caso che qui ci vediamo e parliamo. Nostro Signore è nato in quella capanna che le nostre storie dolcificano a nido edificante di un bambino meraviglioso ma lo sapete – voi! – che era una notte d’inverno e faceva un freddo atroce e il fuoco non bastava e, se Cristo non fosse stato il miracolo di se stesso, la febbre lo avrebbe assalito e lui sarebbe morto di freddo o di fame o per qualche agente maligno, e lo avrebbero pianto i suoi sventurati genitori, eletti da Dio?
     Certo, quando un uomo nasce, può scegliere le sue condizioni di vita. Può viaggiare o pensare, sposarsi o restare solo, leggere libri o conquistare città: ma non c’è nessuna differenza fra un eremita e un viaggiatore, entrambi si consumano, entrambi sono ben fragili fortezze. Uno preferisce farsi di pietra, l’altro di vento, ma alla fine devono tutti morire: e chi va sul Nilo a trovarsi oscure terzane e sopravvive, e chi non si sposta dal tugurio dove è nato e un piccolo verme lo possiede, distrugge il suo corpo, lo espropria dalla vita: questo è il dannato exitus a cui siamo tutti avviati, e i vostri corpi lo confermano, chi giovane, chi vecchio, chi malato. Nessuno di voi è immune dai segni del tempo e dai sintomi del male. Implorate al vostro corpo, che ora è qui, nudo, di tacere a lungo, di non portarvi le sue sorde pene; fatelo stare zitto; non forzatelo con lavori massacranti; non esibitelo come trofeo nelle guerre; non esponetelo in guerre di religione; non vituperatelo in risse da quattro soldi; non vi spaccate lo stomaco con la carne e i reni con la birra.
     Rispettiamoci: la morte verrà, anche se siamo prudenti. Ma forse, possiamo essere in armonia con lei, se cerchiamo di vivere un’ora d’ozio al giorno, di leggerezza assoluta, senza vestiti e senza rimorsi, disincantati e liberi.  Eccoci qui, corpi e volti nudi, come non siamo mai stati prima, a mezzanotte. Qui non ci sono orge o scandali, ma solo la pace giusta. Non sento più il sussurro delle fontane, le armonie dei clavicordi, i cori delle campane, i corni di caccia, le marce funebri, i canti liturgici. Ho perso il lessico del teologo per essere qui, con voi, nel dubbio reale dei capelli intorno all’osso, della pelle viva contro lo scheletro. Voi siete la mia mappa planetaria e le mie strofe perfette: voi significate il mio abbandono di ogni perfezione. Io entro, con voi, nella presenza della vita e della morte.
     Anche se la chiesa, come abbiamo voluto, è sbarrata a chiave. Anche se non vogliamo che nessun vescovo o nessuna guardia entri qui, dove preghiamo, e inorridito dallo scandalo delle mie parole condanni me al rogo e voi ai lavori forzati. Ma sarebbe bello fosse così per ognuno di noi – nella sua comunità; che fosse esposto a tutti, docile e giusto. Certo è che l’uomo, così come voi lo vedete, ha bisogno di tutto. E’ l’essere più fragile. Se questo fuoco uscisse dai limiti in cui lo abbiamo confinato e si appiccasse ai vostri corpi, cosa potrei fare io, per voi? cercare di salvarvi?  Ma come, se io sono debole e leggero quanto voi? e se questa chiesa fosse invasa dall’acqua e grandi onde frantumassero le vetrate e si impadronissero dei vostri corpi? e se il vento vi trascinasse via come fuscelli? e se la terra vi inghiottisse nei suoi crateri?
     Ecco, noi siamo qui, nudi e calmi, in questo Natale, solo perché la terra è tranquilla e non manda scosse e gli oceani non escono dai loro limiti. Noi esistiamo e i nostri padri e i padri dei padri e i figli dei figli e i figli dei nostri figli, magari per cinquecento anni, solo perché in questi cinquecento anni la terra è rimasta tranquilla. Quindi viviamo per caso: e intanto continuiamo a invecchiare e niente può arrestare il processo se non amare meno la vita e pensare con saggezza al possibile distacco.
     Guardate laggiù, i vostri abiti. Sono tutti fradici delle vostre fatiche, del sudore, della gioia che avete vissuto. Sanno di quando avete fatto all’amore o avete cagato i vostri escrementi. Sono una piccola montagna lurida. Ma racchiudono tutti i fatti che vi sono accaduti. Forse, in qualche brandello, ci sono rimasti anche i vostri pensieri.  Forse un giorno li brucerete, li dimenticherete, li getterete via, parte della vostra storia resterà in quelle fibre di tessuto, e le fibre non andranno distrutte, magari saranno macinate o riassorbite dall’acqua e porteranno nel mondo, dove voi siete morti, l’eco di voi.
     Eccoci qui, nudi. Le maschere le abbiamo lasciate lì, addossate al portale della chiesa, e qui nessuno entrerà. Ma ricordiamo che quelle maschere sono anche la nostra storia. Non illudiamoci di essere sempre nudi. Santi o veggenti o folli – è un destino di cui ho appena intravisto l’orrore.
     Qualcuno di voi è malato. Qualcuno di voi mi dirà che, magari, desidera uccidersi. Non c’è niente di più naturale, per l’uomo, che togliersi la vita. Cosa si può imputare, al suicida? Egli corre, invece di camminare. Si affretta, invece di rallentare. Cade nel pozzo, invece di esserci a fatica buttato dentro. Siamo tutti mortali. Non ci sono peccati né nel vivere né nel morire. Siamo tutti la mappa di un disegno sacro, che ognuno di noi potrebbe anche turbare, chi ridendo, chi giocando, chi uccidendo, chi cominciando a danzare. Non c’è un fato già scritto: già scritto è solo il fatto che morremo.
     Ma qui, adesso che siamo nudi e spaventati, io vi dico: guardiamo con chiarezza il mistero. Nutriamoci della morte come gustiamo la carne degli animali o le piante della terra, è tutto un ciclo naturale, non pensiamo troppo a noi, alle nostre famiglie, ai nostri figli, non possediamo i nostri pensieri ma facciamo che loro traversino noi. Non viviamoci indispensabili, anche se siamo portati a pensarlo, ognuno con le sue eccellenti ragioni. Tutti andiamo e veniamo dalla stessa porta. Ognuno di noi ha il suo volto e il suo incubo: la paura non è neppure un sentimento, è uno stato. E’ sangue della nostra carne, prendiamola con noi, passiamo con lei le nostre ore. Viviamo o uccidiamoci o sopportiamo gli stenti: ogni giorno ci colerà vita dalle mani, è stupido poi piangere quando qualcuno muore, come se un fato crudele ce lo avesse strappato. Sarebbe come incolpare una bottiglia di essere vuota, dopo che è stata bevuta giorno per giorno. Piangere, lo possiamo fare a ogni secondo che scappa dalle dieci dita; ma, se non fossimo esistiti, potremmo gustare questa gioia di esserci, di gridare e battere i piedi, e gustare il vino e tenerci per mano? Non saremmo nulla e allora niente servirebbe, né cibo né vesti né carezze.
     Se uscite di qui, quando sarete di nuovo con le vostre vesti, non pensate a voi stessi. Ricordate di esservi visti e che domani potete ancora vedervi, se il caso lo concede. Non c’è speranza o disperazione: solo una stretta di mano, un bacio, uno sguardo. Si vive di nulla. Qui, a pelle nuda, col sangue che ci scorre nelle vene. Qualcuno leggerà la mappa dei nostri corpi anche quando essi saranno cenere e solo le ossa indicheranno la nostra permanenza sulla terra. Qualcuno ci sognerà o respirerà di noi e noi rivivremo nel sogno di un re o nel rimpianto di un soldato, nel dolore di un mendicante o nel sonno di un eremita, in qualche angolo del pianeta, e allora, verme o Shakespeare, cosa importa, resteranno sempre le ossa, fuori sarà primavera o inverno, o qualche altra stagione.
     Forse qualcuno di noi, presente oggi, potrebbe domani uccidere il vicino, per una questione di donne o di campi. Si uccide per difendersi da chi ci opprime o ci offende: è un impulso naturale. Un uomo deve uccidere, per essere vivo: ma se lo fa, lo circondano ingombranti cadaveri, cose da sotterrare. Deve essere più scaltro. Deve, se sarà necessario, annientare l’altro, privarlo delle armi, ridurlo alla condizione di morto, ma senza spargere sangue. Così l’essere umano ammazza il padre e la madre non se li elimina fisicamente ma quando sa distaccarsene. Essere vivi è sempre e solo un distacco. Tutta la vita è un raffinato vagare nelle strategie dell’addio. Ma durante queste fasi, durante il tempo che ci separa dalla morte o dall’assassinio, eccoci nudi, qui, nella chiesa di Saint Paul, a dichiarare che amiamo, a non potere non amare, nel modo più eretico e folle, personale e avventuroso, quanto vogliamo e possiamo. E, se ci sarà occasione di odiare, odieremo.
     Ma ora rivestiamoci. Il tempo della Messa è quasi finito e non voglio che nessuno sappia di quanto è accaduto. Questa notte è stata irripetibile: teniamola dentro la nostra memoria come un evento. Spegniamo il fuoco e torniamo a vivere e a morire nelle nostre case. Non cerchiamo mai di opprimere o di rassegnarci ma di essere liberi, innanzitutto. Di sorprendere e meravigliarci. Mai dormire in se stessi ma addormentarsi fuori di sé, per uscire dai nostri corpi, lasciando a chi resta l’insegnamento del sogno e qualche gesto da ricordare.

Amen

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Biografia

John Donne nasce a Londra nel 1572 da un ricco mercante di ferramenta, fu educato dalla madre Elizabeth, figlia del drammaturgo J. Heywood e pronipote di Thomas More in ambiente cattolico. Dal 1584 studiò a Oxford. Frequentò (1591-1594) l'istituto legale di Lincoln's Inn. Soldato e cortigiano, partecipò alle spedizioni del conte di Essex a Cadice (1596) e alle Azzorre (1597). Nel 1601 sposò Anne More, nipote del guardasigilli lord Egerton di cui John Donne era segretario. Un matrimonio contrastato. Risale a questo periodo la conversione all'anglicanesimo. 
Anne More morì a 33 anni nel 1617 nel dare alla luce il dodicesimo figlio. Nel 1621 Donne ricevette la nomina a decano della cattedrale di Saint Paul, raggiungendo una posizione di grande prestigio che, nonostante le sue ambizioni, gli era stata preclusa come membro di corte – attraverso imprese eroiche o incarichi pubblici – e che poté conseguire invece come uomo di Chiesa. La sua salute si aggravò seriamente, compromessa per aver contratto il tifo, e il momento delicato lo portò a considerare con gravità le fragilità del fisico e la prospettiva della morte, soggetto che Donne, ormai irrimediabilmente rovinato dall'insorgere di un cancro allo stomaco, riprese in quello che viene ritenuto il suo sermone funebre, Death Duell, composto nel 1631. Gli ultimi momenti lo videro autoritrarsi in un sudario, e dal disegno fu ricavata da parte di Nicholas Stone una scultura marmorea, che restò indenne nell'incendio di Londra che distrusse la città nel 1666 e che è conservata nella cattedrale di St. Paul.
John Donne morì a Londra il 31 marzo del 1631; fu sepolto nella vecchia cattedrale di Saint Paul, dove è stata eretta una statua in suo onore portante un'epigrafe in latino, probabilmente composta dallo stesso Donne poco prima di morire.

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Monumento funebre di John Donne (1572-1631), St. Paul's Cathedral

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martedì 24 dicembre 2024

Prendersi cura di Dio

COMMENTO ALLA LITURGIA DEL NATALE

Colletta

Dio Onnipotente, che ci hai donato il tuo unico Figlio, affinché prendesse la nostra natura su di sé e nascesse in questo tempo da una vergine pura; concedici di essere rigenerati e resi tuoi figli per adozione nella grazia, rinnovati ogni giorno dal tuo Spirito Santo; per lo stesso Gesù Cristo nostro Signore, che vive e regna con te e con lo Spirito Santo, unico Dio, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Letture

Eb 1,1-12; Gv 1,1-14

«No, Dio non cerca l'adorazione, il capo chino, lo spirito che l'invoca, che lo interroga, nemmeno il grido della rivolta. Cerca, soltanto, di vedere, come vede il fanciullo, una pietra, un albero, un frutto, la pergola sotto il tetto, l'uccello che s'è posato su un grappolo maturo». Quali parole più appropriate di queste del poeta Yves Bonnefoy potrebbero descrivere il mistero dell'incarnazione? Il mistero di un Dio che, in Cristo, ci salva amando e condividendo la nostra condizione umana in tutte le sue sfumature, quelle più delicate, come la contemplazione delle bellezze del creato, ma anche quelle più cupe: il freddo della stalla, le fatiche del lavoro quotidiano, una vita di stenti e peregrinazioni «Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi; ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo» (Lc 9,58).

Con la sua nascita, con la sua intera vita e con la sua passione, Cristo si è spogliato della sua uguaglianza con Dio affinché questi potesse farsi presente anche nell'ultimo, nel più disprezzato e nel più sofferente degli uomini. Non c'è condizione umana che non sia toccata da Dio.
E se Dio si è spogliato della propria gloria, quanto più noi dovremmo spogliarci dei nostri orpelli, delle maschere che indossiamo per esorcizzare il nostro nulla e nascondere a noi stessi il nostro destino mortale?

La parola eterna, abbandonando ogni perfezione e condividendo la nostra natura umana, senza perdere la distinzione tra essa e la propria natura divina, ha dimostrato la dignità assoluta di ogni vita.

Cristo non è soltanto uno tra i grandi profeti di cui Dio si è servito nel corso dei secoli per far conoscere all'uomo i suoi disegni; egli è il rivelatore ultimo e definitivo della verità divina, di cui partecipa e che rende operante nella storia. Egli, che pur si abbassò facendosi scandalo nella sua passione, siede ora alla destra di Dio investito di podestà regale su tutte le creature.

Non c'è pietra d'inciampo più grande di questa per la nostra ragione e persino per ogni altra religione: un Dio onnipotente che nel Figlio si fa assoluta debolezza, che sceglie di nascere come un bambino, fragile e bisognoso delle nostre cure. Lui, che si prende cura di noi, avendoci donato tutto quello che abbiamo, a cominciare dalla nostra stessa esistenza. Prendiamoci anche noi cura di Dio, affinché egli possa crescere e noi diminuire.

- Rev. Dr. Luca Vona

Vieni, vieni Dio-con-noi!

Veni, Veni, Emmanuel ("Emmanuel"=dall'ebraico, "Dio-con-noi") è un inno latino per il periodo dell'Avvento, il cui testo, di autore anonimo, risale forse all'VIII secolo e la cui melodia ebbe probabilmente origine in Francia nel XV secolo.

Il brano fu pubblicato per la prima volta nel 1710 a Colonia nei Psalteriolum Cantionum Catholicarum.

Un bellissimo inno d'Avvento, ottimo per la Novena di Natale (e la IV domenica d'Avvento). Non molto conosciuto - per la verità - in Italia, è invece famoso e richiestissimo nei paesi anglosassoni, dove si canta O Come o come Emmanuel. Ha la particolarità di essere costruito sul contenuto delle antifone "O", e quindi adattissimo al periodo liturgico che stiamo vivendo: l'immediata preparazione al Natale, significata dall'invocazione del ritornello: "Rallegrati, Rallegrati! L'Emmanuele nascerà per te, o Israele".
Non è un canto gregoriano antico, e viene spesso eseguito anche in polifonia.

Nel testo, che si compone di sette strofe, viene invocato l'arrivo del figlio di Dio, affinché il popolo d'Israele venga liberato dall'esilio.

Nel 1851 il reverendo britannico John Mason Neale tradusse solo cinque delle Antifone e le pubblicò nel suo Mediaeval Hymns and Sequences. Ulteriori traduttori e poeti misero mano al testo di “O come Emmanuel” e in particolare il reverendo Thomas A. Lacey (1853-1931) e il ministro presbiteriano Henry Sloane Coffin  (1877-1954). La melodia è stata arrangiata dal pastore anglicano Thomas Helmore e venne pubblicata nel 1854 nell’ The Hymnal Noted con il testo tradotto dal Rev. Neale
Il brano è interpretato da moltissimi artisti ed è un brano spesso contenuto nelle raccolte dei Celtic Christmas Songs anche in versione strumentale.

Qui di seguito una esecuzione del King's College e il testo, nell'originale latino, nella traduzione italiana, e nella versione inglese.



Veni, veni Emmanuel!
Captivum solve Israel!
Qui gemit in exilio,
Privatus Dei Filio,
Gaude, gaude, Emmanuel
nascetur pro te, Israel.


Veni, O Sapientia,
quae hic disponis omnia,
veni, viam prudentiae
ut doceas et gloriae.
Gaude, gaude, Emmanuel
nascetur pro te, Israel.


Veni o Jesse virgula!
Ex hostis tuos ungula,
De specu tuos tartari
Educ, et antro barathri.
Gaude, gaude, Emmanuel
nascetur pro te, Israel.


Veni, veni o oriens!
Solare nos adveniens,
Noctis depelle nebulas,
Dirasque noctis tenebras.
Gaude, gaude, Emmanuel
nascetur pro te, Israel.

Veni clavis Davidica!
Regna reclude coelica,
Fac iter Tutum superum,
Et claude vias Inferum.
Gaude, gaude, Emmanuel
nascetur pro te, Israel.



Veni, veni Adonai!
Qui populo in Sinai
Legem dedisti vertice,
In maiestate gloriae.
Gaude, gaude, Emmanuel
nascetur pro te, Israel.

Vieni, vieni, Emmanuele
libera dalla prigionia Israele,
che si addolora in esilio,
privata dal figlio di Dio.
Rallegrati! Rallegrati! L'Emmanuele
nascerà per te o Israele.

Vieni O Sapienza
che disponi di questo mondo
vieni, la via della prudenza
insegnaci per la Gloria
Rallegrati! Rallegrati! L'Emmanuele
nascerà per te o Israele.

O vieni Ramo di Jesse
dallo zoccolo del tuo nemico,
dalla caverna dell'Averno
liberaci e dalla morte.
Rallegrati! Rallegrati! L'Emmanuele
nascerà per te o Israele.

Vieni, o vieni, sole d’Oriente;
Allontana le tenebre della notte
Rallegrati! Rallegrati! L'Emmanuele
nascerà per te o Israele.


O vieni, Chiave di Davide,
spalanca (le porte) del Regno;
rendi sicura la via del Cielo,
e chiudi l'accesso agli Inferi.
Rallegrati! Rallegrati! L'Emmanuele
nascerà per te o Israele.


Vieni, vieni, O Signore
che dall'alto del Sinai
donasti la legge al popolo
nella maestà della Gloria
Rallegrati! Rallegrati! L'Emmanuele
nascerà per te o Israele.



O come, O come, Emmanuel!
Redeem thy captive Israel
That into exile drear is gone,
Far from the face of God's dear Son.
Rejoice! Rejoice! Emmanuel
Shall come to thee, O Israel.

O come, thou Branch of Jesse! draw
The quarry from the lion's claw;
From the dread caverns of the grave,
From nether hell, thy people save.
Rejoice! Rejoice! Emmanuel
Shall come to thee, O Israel.

O come, O come, thou Dayspring bright!
Pour on our souls thy healing light;
Dispel the long night's lingering gloom,
And pierce the shadows of the tomb.
Rejoice! Rejoice! Emmanuel
Shall come to thee, O Israel.

O Come, thou Lord of David’s Key!
The royal door fling wide and free;
Safeguard for us the heavenward road,
And bar the way to death's abode.
Rejoice! Rejoice! Emmanuel
Shall come to thee, O Israel.

O come, O come, Adonai,
Who in thy glorious majesty
From that high mountain clothed in awe,
Gavest thy folk the elder Law.
Rejoice! Rejoice! Emmanuel
Shall come to thee, O Israel.




lunedì 23 dicembre 2024

Le Antifone maggiori dell'Avvento - O Emmanuel


O Emmanuel,
nostro re e legislatore,
speranza delle genti,
e loro Salvatore:
vieni e salvaci,
Signore, nostro Dio.

O Emmanuel,
Rex et legifer noster,
expectatio gentium,
et Salvator earum:
veni ad salvandum nos,
Domine, Deus noster.



Advent Antiphons No. 7 - O Emmanuel - Queen's College



Antifona di Avvento No. 7 - O Emmanuel - Canto gregoriano

Fermati 1 minuto. La migliore versione di noi stessi

Lettura

Luca 1,57-66.80

57 Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. 58 I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei. 59 All'ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. 60 Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». 61 Le dissero: «Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». 62 Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. 63 Egli chiese una tavoletta, e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. 64 In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. 65 Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. 66 Coloro che le udivano, le serbavano in cuor loro: «Che sarà mai questo bambino?» si dicevano. Davvero la mano del Signore stava con lui. 80 Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

Commento

Il più grande conforto che possiamo avere dai nostri figli è di metterli nelle mani di Dio. Per questo la circoncisione, che è stata sostituita, nella nuova alleanza, dal battesimo cristiano, diviene occasione di gioia più grande della stessa nascita. 

L'usanza giudaica era quella di dare nome al bambino proprio in occasione della circoncisione, così come Abramo ricevette un nome nuovo dopo aver sancito l'alleanza con Dio mediante questo segno esteriore. Il Signore, infatti, chiama per nome coloro che sono affidati a lui, il che significa che non è solo genericamente il Dio del popolo dei salvati, ma il Padre di ciascuno di noi, che così possiamo chiamarlo in virtù del rapporto personale e filiale che abbiamo con lui. 

Questo rapporto, insito in un "nome nuovo", unico, che ci viene attribuito è ben rappresentato dal contenzioso tra Elisabbetta e gli amici e parenti giunti per assistere alla circoncisione di Giovanni. Questi suggeriscono di chiamarlo Zaccaria, come il padre, ma lei si oppone e mossa dallo Spirito Santo afferma risolutamente che si chiamerà Giovanni.

Comunicando con Zaccaria mediante segni, i vicini e parenti ottengono anche da lui la risposta scritta che il bambino dovrà chiamarsi Giovanni. Muto e sordo, Zaccaria non può fare a meno di esprimere la volontà di Dio. Quando lo Spirito parla sa come farsi sentire. Così affermerà Gesù, quando i farisei rimprovereranno la folla esultante al suo ingresso a Gerusalemme: "se questi taceranno, grideranno le pietre" (Lc 19,40). 

Compiuta la volontà di Dio sul bambino la lingua di Zaccaria si scioglie in un canto di lode. Giovanni susciterà meraviglia e la sua fama si spargerà per le regioni circostanti fin dall'infanzia, anticipando quella che otterrà con l'inizio del suo ministero profetico, quando folle di peccatori verranno a lui in cerca di conversione. Ci si sarebbe aspettato di vedere Giovanni sacerdote come suo padre. Ma i piani di Dio per lui erano altri. Egli sarebbe diventato un profeta. Il più grande dei profeti.

Dio ci ama nella nostra specificità e ha un piano di salvezza e di santità particolari per ognuno di noi. Chiediamogli la grazia per imparare ad essere la migliore versione di noi stessi, piuttosto che la brutta copia di qualche santo.

Preghiera

O Dio, che ci chiami per nome, rivelaci la tua volontà ed effondi su di noi il tuo Spirito, affinché possiamo portarla a compimento a lode del tuo Nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 21 dicembre 2024

Ridestiamoci dal sonno

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUARTA DOMENICA DI AVVENTO

Colletta

Dio Onnipotente, donaci la grazia di allontanare da noi le opere delle tenebre e rivestirci dell’armatura della luce, ora nel tempo di questa vita mortale, in cui il tuo figlio Gesù Cristo è venuto a visitarci in grande umiltà; affinché nell’ultimo giorno, quando ritornerà nella sua gloriosa maestà, per giudicare i vivi e i morti, possiamo risorgere alla vita immortale, per lui che vive e regna, con te e con lo Spirito santo, nei secoli dei secoli. Amen.

Ti supplichiamo Signore, solleva la tua potenza e vieni in nostro soccorso; affinché mentre corriamo, affaticati e ostacolati, tra il peccato e la debolezza, sul percorso che ci hai posto dinanzi, la tua grazia e la tua misericordia, possano soccorrerci prontamente. Per Gesù Cristo, nostro Signore, al quale, con te e con lo Spirito Santo, va ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Letture

Fil 4,4-7; Gv 1,19-28

Commento

«Egli è colui che viene dopo di me e che mi ha preceduto» (Gv 1,27). In queste parole di Giovanni Battista è racchiusa la ragione della nostra speranza. Dio ci precede nel donarci la sua salvezza. 

La colletta della quarta settimana di Avvento richiama la seconda lettera di San Paolo a Timoteo, scritta dalla prigionia, nella consapevolezza della morte imminente: "Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservato la fede. Ormai mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno" (2 Tim 4,7-8). Ma come ci ricorda questa preghiera liturgica la corsa può risultare estremamente faticosa, e può essere non priva di inciampi, a volte di rovinose cadute, a causa del peccato e della nostra debolezza. Il Signore ci viene incontro, con la sua grazia e la sua misericordia.

Fin dal primo atto di allontanamento dal Creatore vediamo nel libro della Genesi un Dio che cerca la sua creatura, chiamandola per il giardino: «Dove sei?» (Gen 3,9). Anche dopo l'allontanamento dell'uomo dall'Eden, Dio parla ai patriarchi, come a Giacobbe, nel sogno della scala mediante la quale gli angeli salgono e scendono dal cielo. Qui Dio gli promette «Io sono con te e ti proteggerò dovunque andrai... non ti abbandonerò» (Gen 28,15).

L'Avvento e il tempo di Natale sono il momento in cui maggiormente siamo chiamati a riconoscere la presenza di Dio tra noi. La lettera di Paolo ai Filippesi descrive il mirabile scambio di nature che si realizza nel mistero dell'incarnazione. Una dinamica circolare ascendente e discendente, proprio come quella degli angeli sulla scala di Giacobbe. Per questo la letteratura cristiana antica, in Oriente, parla di theosis kenosis, divinizzazione e spoliazione: divinizzazione dell'uomo, mediante la spoliazione di Dio. L'apostolo Paolo lo afferma con parole eloquenti: "Cristo Gesù... essendo in forma di Dio, non considerò qualcosa a cui aggrapparsi tenacemente l'essere uguale a Dio, ma svuotò se stesso, prendendo la forma di servo, divenendo simile agli uomini; e, trovato nell'esteriore simile ad un uomo, abbassò se stesso, divenendo ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,6). Vi è un profondo legame tra l'incarnazione e la passione.

Dio ha spogliato se stesso, assumendo la nostra natura, la nostra miseria, affinché non vi potesse essere più alcuna regione dell'umano classificabile come terra straniera, "senza Dio". Affinché saltassero tutte le distinzioni tra "sacro" e "profano". Affinché ciascuno di noi potesse esclamare, come Giacobbe, ridestatosi dal suo sogno profetico in terra straniera: «Certamente l'Eterno è in questo luogo, e io non lo sapevo» (Gen 28,16). Ridestiamoci dal sonno, dunque, e riconosciamo il Dio che è venuto ad abitare in mezzo a noi.

- Rev. Dr. Luca Vona

Le Antifone maggiori dell'Avvento - O Oriens


O (astro) Sorgente
splendore di luce eterna,
e sole di giustizia:
vieni ed illumina
chi è nelle tenebre,
e nell'ombra della morte.

O Oriens,
splendor lucis aeternae,
et sol justitiae:
veni, et illumina
sedentes in tenebris,
et umbra mortis.




Advent Antiphon No. 5 - O Oriens - Queen's College



Antifona di Avvento No. 5 - O Oriens - Canto gregoriano

venerdì 20 dicembre 2024

Le Antifone maggiori dell'Avvento - O Clavis David

O Chiave di David,
e scettro della casa di Israele,
che apri e nessuno chiude,
chiudi e nessuno apre:
vieni e libera lo schiavo
dal carcere,
che è nelle tenebre,
e nell'ombra della morte.

O Clavis David,
et sceptrum domus Israël,
qui aperis, et nemo claudit,
claudis, et nemo aperit:
veni, et educ vinctum
de domo carceris,
sedentem in tenebris,
et umbra mortis.




Advent Antiphon No. 4 - O Clavis David - Queen's College



Antifona di Avvento No. 4 - O Clavis David - Canto gregoriano

Fermati 1 minuto. Il privilegio della grazia

Lettura

Luca 1,26-38

26 Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, 27 a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28 Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». 29 A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. 30 L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32 Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33 e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
34 Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». 35 Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. 36 Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: 37 nulla è impossibile a Dio». 38 Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.

Commento

Maria è la prima creatura ad essere evangelizzata, ricevendo la parola di salvezza sull'avvento del Messia atteso da Israele. Se l'annuncio della nascita di Giovanni il Battista era avvenuto a Gerusalemme - centro del giudaismo - a un sacerdote, nel mezzo del culto divino, qui l'angelo appare a un'umile donna, in un piccolo villaggio della Galilea, regione che a parte aver dato i natali ai profeti Giona e Nahum, era tenuta in poco conto nel Paese. 

La donna si chiama Maria, trasposizione latina del nome ebraico Miriam - lo stesso della sorella di Mosè e Aronne - il cui significato è "esaltata" (da Dio). La vergine è promessa sposa di un uomo, Giuseppe, la cui genealogia ne attesta la discendenza da Davide. Non siamo certi, invece, della discendenza davidica di Maria; tuttavia, l'attribuzione a Gesù del titolo "Figlio di Davide" pur essendo nato da Maria senza che vi sia stata un'unione di questa con Giuseppe, fanno propendere per la discendenza davidica di Maria stessa. 

Gesù è presentato, dunque, come il legittimo re di Israele, sebbene il regno che egli inaugura "non è di questo mondo" (Gv 18,36) e non avrà fine (v. 33). Gesù è il "Figlio dell'Altissimo" (v. 32), titolo che gli sarà riconosciuto a più riprese: dal Padre, durante il battesimo al Giordano (Lc 3,22), da Pietro («Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»; Mt 16,16), dall'indemoniato gadareno («Che c'è fra me e te, Gesù, Figlio del Dio altissimo?»; Mc 5,7); dal centurione presso la croce («Veramente, costui era Figlio di Dio»; Mt 27,54). 

Il saluto dell'angelo non presenta l'abituale formula ebraica Shalom (pace) ma è indicato con il greco chàire, ovvero "rallegrati", che sembra alludere a diversi passi messianici dell'Antico Testamento. La parola che segue, kecharitoméne significa letteralmente "favorita dalla grazia", a indicare il particolare privilegio cui è innalzata Maria. Da qui il suo turbamento, nella consapevolezza del proprio limite creaturale, destinatario di un disegno sorprendente da parte di Dio. Le parole "il Signore è con te" (v. 28) richiamano anch'esse un'espressione che ricorre spesso nell'Antico Testamento, per indicare l'assistenza di Dio in una missione.

La risposta-domanda di Maria "come è possibile?" (v. 34) non indica un dubitare sulla capacità di Dio di farla concepire senza conoscere uomo, quanto invece la sorpresa per una scelta di elezione di ciò che è umile e nascosto. L'ombra che si stenderà su di lei rappresenta il mistero delle operazioni straordinarie di Dio e al contempo richiama la nube che accompagnava Israele nel suo esodo dall'Egitto alla terra promessa. L'annunciazione assume così una connotazione pasquale, di "nuovo esodo", in quanto la nascita del Messia segnerà il passaggio dalla schiavitù del peccato alla libertà della grazia. 

L'ombra che si stende su Maria è immagine dello Spirito Santo, che agisce nei credenti nell'ascolto e nella ruminazione della parola di Dio: "Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (Lc 2,19). L'evento dell'annunciazione e la risposta di Maria costituiscono per ogni credente un invito ad accogliere la volontà di Dio, nella certezza dell'efficacia della grazia: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (v. 38). Il "sì" che Maria pronuncia condiziona tutta la sua vita e le sorti dell'intero genere umano. La capacità di compiere decisioni radicali e definitive come quella di Maria potrà dare forma nelle nostre vite ai grandi progetti che Dio ha per noi.

Preghiera

Noi ci rallegriamo, Signore, all'ascolto della tua parola di salvezza. Che essa possa generare nelle nostre anime, per l'azione del tuo Spirito, il Verbo eterno; affinché possiamo cantare la tua misericordia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 19 dicembre 2024

Fermati 1 minuto. Docile fiducia

Lettura

Luca 1,5-25

5 Al tempo di Erode, re della Giudea, c'era un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abìa, e aveva in moglie una discendente di Aronne chiamata Elisabetta. 6 Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. 7 Ma non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni.
8 Mentre Zaccaria officiava davanti al Signore nel turno della sua classe, 9 secondo l'usanza del servizio sacerdotale, gli toccò in sorte di entrare nel tempio per fare l'offerta dell'incenso. 10 Tutta l'assemblea del popolo pregava fuori nell'ora dell'incenso. 11 Allora gli apparve un angelo del Signore, ritto alla destra dell'altare dell'incenso. 12 Quando lo vide, Zaccaria si turbò e fu preso da timore. 13 Ma l'angelo gli disse: «Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni. 14 Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita, 15 poiché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre 16 e ricondurrà molti figli d'Israele al Signore loro Dio. 17 Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto». 18 Zaccaria disse all'angelo: «Come posso conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni». 19 L'angelo gli rispose: «Io sono Gabriele che sto al cospetto di Dio e sono stato mandato a portarti questo lieto annunzio. 20 Ed ecco, sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, le quali si adempiranno a loro tempo».
21 Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria, e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio. 22 Quando poi uscì e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto.
23 Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa. 24 Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: 25 «Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna tra gli uomini».

Commento

Dopo un prologo in cui Luca delinea il metodo con cui ha composto il proprio libro, vengono dedicati due capitoli al cosiddetto "vangelo dell'infanzia", in cui l'autore stabilisce una serie di paralleli tra la nascita di Giovanni il Battista e quella di Gesù.

La sterilità, di cui soffre Elisabetta, era considerata un segno della mancanza della benevolenza divina, ma Luca ci tiene a sottolineare che lei e Zaccaria "Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore" (v. 6); la loro fede e la loro speranza è attestata anche dal fatto che continuano a pregare per ottenere il figlio desiderato (v. 13). Anche noi, quando non vediamo segni "tangibili" del favore divino, siamo chiamati a restare fedeli al Signore e a non abbandonare l'orazione. La contraddizione tra l'irreprensibilità di Zaccaria e di Elisabetta e il grembo vuoto di quest'ultima ci invita a uscire da una relazione "contrattualistica" con Dio, riconoscendo che nulla è dovuto, ma tutto è dono.

L'annuncio della nascita di Giovanni avviene mentre il sacerdote Zaccaria sta celebrando l'offerta dell'incenso nel Tempio di Gerusalemme. Quando Davide assegnò ai sacerdoti il servizio del tempio dividendoli in sorte ad Abia toccò l'ottava (1 Cr 24,5.10) delle ventiquattro classi sacerdotali stabilite (1 Cr 24,18). Per una settimana, due volte l'anno, la classe di Abia serviva nel tempio di Gerusalemme. Dato il gran numero di sacerdoti (circa diciottomila), l'incarico di offrire l'incenso (v. 9) poteva essere conferito una sola volta nella vita; si trattava quindi di un evento di grande importanza.

Giovanni (letteralmente "Dio ha mostrato la sua grazia"), il figlio annunciato dall'angelo, non berrà vino né altre bevande inebrianti (v. 15): come Sansone (Gdc 13,4-5) e Samuele (1 Sam 1,11) viene consacrato a Dio come nazireo (Nm 6,2-3) al servizio del Signore. A Giovanni viene conferito il ruolo del profeta Elia che, secondo quanto detto da Malachia, è inviato "prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore" (Ml 3,23).

Gabriele è l'angelo che nel libro di Daniele proclama le settanta settimane di anni e la venuta del Messia (Dn 9,20-25), e che annuncia la sua nascita a Maria nello stesso Vangelo di Luca (Lc 1,26-38). Il rimprovero dell'angelo evidenzia che non dobbiamo preoccuparci dell'umana realizzazione delle promesse di Dio, ma che dobbiamo tener conto di colui che fa la promessa, la cui parola non può venire a mancare. Vi è così un parallelo tra la parola irremovibile di Dio e la temporanea perdita della parola di Zaccaria.

Il mutismo di Zaccaria è conseguenza della sua incredulità. Quando Maria porrà una domanda simile sarà invece rassicurata; il mistero del concepimento verginale del Figlio di Dio, è ben più grande della liberazione dalla sterilità e supera infinitamente le capacità dell'umana comprensione. Il piano di Dio giungerà a effetto nonostante l'incredulità iniziale di Zaccaria e la lingua di questi si scioglierà in un canto di lode (Lc 2,67-79).

Il racconto della nascita di Giovanni ci invita a non avere un concetto eccessivamente umano delle cose di Dio, a mantenere una docilità fiduciosa per credere ai suoi progetti, che sono sempre più grandi dei nostri.

Preghiera

Accresci la nostra fede Signore, affinché possiamo pregustare le promesse della tua grazia, fonte di vita che supplisce ai limiti della nostra umanità. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Le Antifone maggiori dell'Avvento - O Radix Jesse

O Radice di Jesse,
che sei un segno per i popoli,
innanzi a te i re della terra non parlano,
e le nazioni ti acclamano:
vieni e liberaci,
non fare tardi.

O Radix Jesse,
qui stas in signum populorum,
super quem continebunt reges os suum,
quem gentes deprecabuntur:
veni ad liberandum nos,
jam noli tardare.





Advent Antiphons No. 3 - O Radix Jesse- Queen's College Cambridge





Antifona di Avvento No. 3 - O Radix Jesse - Canto gregoriano

mercoledì 18 dicembre 2024

Le Antifone maggiori dell'Avvento - O Adonai


O Adonai,
e condottiero di Israele,
che sei apparso a Mosè tra le fiamme,
e sul Sinai gli donasti la legge:
redimici col tuo braccio potente.

O Adonai,
et dux domus Israël,
qui Moysi in igne flammae rubi apparuisti,
et ei in Sina legem dedisti:
veni ad redimendum nos in brachio extento.



Advent Antiphons No. 2 - O Adonai - Queen's Colledge Cambridge




Antifona di Avvento No. 2 - O Adonai - Canto gregoriano

Fermati 1 minuto. Come Spirito sulle acque calme

Lettura

Matteo 1,18-24

18 Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19 Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. 20 Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. 21 Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». 22 Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 23 Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi. 24 Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Commento

Un uomo innamorato della sua futura moglie si trova davanti al timore di essere stato tradito. Giuseppe non è solo giusto, osservante della legge del Signore, ma anche misericordioso, poiché non vuole esporre Maria alla pubblica accusa e preferisce allontanarla in segreto, con un divorzio privato. 

Il fidanzamento ebraico era considerato nell'antichità come un moderno matrimonio. Poteva essere sciolto solo con un formale atto di ripudio, in presenza di due testimoni. I fidanzati erano considerati dal punto di vista legale come marito e moglie e sebbene l'unione fisica non fosse stata ancora consumata l'adulterio era punito con la lapidazione. 

Il modo di comportarsi di Giuseppe ci suggerisce di giudicare con delicatezza e prudenza il nostro prossimo, presupponendo sempre la sua innocenza piuttosto che la colpevolezza, ma ci invita anche ad accogliere quanto di incredibile accade nelle nostre vite. 

Giuseppe viene visitato da Dio mentre "stava pensando a tutte queste cose" (v. 20). Dio rivela la sua volontà a coloro che la ricercano e considerano interiormente i segni della sua presenza. Egli appare nel momento di maggiore quiete, come spirito che si muove sulle acque calme. Così Giuseppe, che custodisce la fiducia in Dio, si convince dell'innocenza di Maria venendo visitato in sogno da un angelo, il cui messaggio sconvolge i suoi piani e ogni aspettativa sul nascituro. Questi sarà chiamato Gesù, ovvero "il Signore salva" e infatti salverà gli uomini dal peccato. 

Emmanuele - "Dio con noi" - non è il nome proprio di Cristo, ma descrive perfettamente l'efficacia della sua opera di redenzione, che solleva la nostra umanità dalla miseria, elevandola alle altezze divine. Dio aveva camminato con Israele nel deserto, nella forma di una nube rinfrescante di giorno e luminosa di notte; per questo il suo popolo poteva domandarsi "qual grande nazione ha la divinità così vicina a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?" (Dt 4,7). In Gesù, vero uomo, che lo Spirito ha plasmato a immagine del Padre, Dio si fa presente in mezzo a noi, per condurci verso la risurrezione. 

Ricevuto l'annuncio dell'angelo Giuseppe si desta dal sonno (v. 24) e fa subito come gli è stato ordinato. Anche noi siamo chiamati a rispondere senza tardare alla volontà del Signore: "Per questo sta scritto: "Svègliati, o tu che dormi, déstati dai morti e Cristo ti illuminerà" (Ef 5,14).

Preghiera

Donaci la saggezza, o Dio, di discernere la tua volontà tra le pieghe della nostra vita e la grazia per compierla con sollecitudine; affinché la luce di Cristo possa risplendere nel mondo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 17 dicembre 2024

Le Antifone maggiori dell'Avvento - O Sapientia

Le antifone maggiori dell'Avvento (o anche antifone O, perché cominciano tutte con il vocativo "O") sono sette antifone latine proprie della Liturgia delle Ore secondo il rito romano. Vengono cantate come antifone del Magnificat nei vespri e come versetto alleluiatico del Vangelo nella Messa delle ferie maggiori dell'Avvento, dal 17 al 23 dicembre.

Anche il rito ambrosiano le ha introdotte nella propria liturgia, durante la "commemorazione del Battesimo" alla sera di questi stessi giorni precedenti il Natale (in ambrosiano, feriae de Exceptato, ferie dell'Accolto).

La Chiesa anglicana le ha reintrodotte in tempi recenti.

Origine

La loro origine è sconosciuta, ma Boezio le menziona già nel sesto secolo a Roma, al tempo della riforma liturgica di papa san Gregorio Magno (540-604). Spesso sono state musicate. I sostantivi con cui ogni antifona si apre hanno origine nella Bibbia e sono utilizzati come titoli di Gesù Cristo. È stato osservato fin dal Medioevo che le lettere iniziali di questi stessi sostantivi, lette partendo dall'ultima antifona, formano la frase latina ero cras, cioè "Domani sarò qui", una espressione che sottolinea il carattere di attesa proprio dell'Avvento. La serie in questo modo si divide in due parti: dal 17 al 20, e dal 21 al 23 dicembre.

Prima antifona - 17 dicembre

(Italiano)

«O Sapienza,
che esci dalla bocca dell'Altissimo,
ed arrivi ai confini della terra,
e tutto disponi con dolcezza:
vieni ad insegnarci la via della prudenza.

(Latino)

«O Sapientia,
quae ex ore Altissimi prodisti,
attingens a fine usque ad finem,
fortiter suaviter disponensque omnia:
veni ad docendum nos viam prudentiae.



Advent Antiphons No. 1 - O Sapientia - Queen's College, Cambridge



Antifona di Avvento No. 1 . O Sapientia - Canto gregoriano

Fermati 1 minuto. Più che una cantilena

Lettura

Matteo 1,1-17

1 Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. 2 Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, 3 Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esròm, Esròm generò Aram, 4 Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmòn, 5 Salmòn generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, 6 Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, 7 Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asàf, 8 Asàf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, 9 Ozia generò Ioatam, Ioatam generò Acaz, Acaz generò Ezechia, 10 Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, 11 Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. 12 Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel, Salatiel generò Zorobabèle, 13 Zorobabèle generò Abiùd, Abiùd generò Elìacim, Elìacim generò Azor, 14 Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, 15 Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, 16 Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. 17 La somma di tutte le generazioni, da Abramo a Davide, è così di quattordici; da Davide fino alla deportazione in Babilonia è ancora di quattordici; dalla deportazione in Babilonia a Cristo è, infine, di quattordici.

Commento

La genealogia di Gesù ci offre una elenco di nomi, che potrebbero suonare come una noiosa cantilena, ma testimoniano la profonda appartenenza del Messia al genere umano, le cui miserie e grandezze egli, come Figlio di Dio, è venuto ad assumere su di sé, per portare a compimento il progetto del Padre.

L'incipit matteano "Genealogia di Gesù Cristo" richiama il titolo del libro della Genesi nella Bibbia greca ("dei Settanta"), chiamato appunto Libro delle genealogie. In questo senso Gesù appare nel Vangelo di Matteo come compimento della creazione nella pienezza dei tempi. 

Il riferimento agli antenati di Gesù è presente sia nel Vangelo di Matteo che in quello di Luca, ma Matteo gli conferisce un'importanza particolare, aprendo con esso il suo racconto. Il nome "Gesù" significa in ebraico "il Signore salva", mentre "Cristo" è un appellativo che traduce in greco (Christos)  l'ebraico "Messia". La parola significa "unto" con allusione al carattere profetico, sacerdotale e regale di Gesù; infatti era d'uso nella tradizione ebraica ungere con l'olio coloro che avevano ricevuto un mandato da Dio. Davide fu unto alla sua consacrazione come re (1 Sam 16,13); Aronne quando fu consacrato sacerdote (Lv 8,12), Eliseo (1 Re 19,16) e Isaia (Is 61,1) furono unti come profeti.

L'appellativo Gesù Cristo significa dunque il Salvatore promesso. Gesù è il sacerdote venuto a espiare i nostri peccati entrando "una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna" (Eb 9,12); Gesù è il profeta che illumina le tenebre dell'ignoranza nelle nostre anime e istruisce la nostra volontà, la "luce per illuminare le genti" (Lc 2,32) cantata da Simeone durante la presentazione al tempio; Gesù è il re venuto a regnare sui nostri cuori, affinché possano trovare la vera libertà dalle inquietudini di questo mondo, riposando in Dio. 

Matteo seleziona e antepone negli anelli della catena genealogica i nomi del re Davide e di Abramo; perché Gesù è sia il messia regale, sia colui nel quale si adempie la promessa di una discendenza numerosa come la sabbia del mare (Gn 22,17), nell'universalità della sua missione. 

La presenza di Ieconia ha una certa rilevanza: egli fu maledetto da Dio il quale gli precluse una discendenza dal trono di Davide, ma il suo nome in questa genealogia indica la capacità della grazia di prevalere sul peccato. Anche la presenza di Tamar (una prostituta) e delle altre tre donne straniere - Racab (cananea), Rut (moabita) Betsabea, moglie di Urìa l'hittita - indica che il piano di salvezza non è precluso a nessuno, e che l'irregolarità stessa della situazione in cui esse hanno concepito i loro figli non spezza il filo continuo dell'azione di grazia che Dio svolge nella storia. 

La bontà di Dio corre di generazione in generazione. Quale gloria se i nostri nomi trovassero posto nel suo libro, pur dimenticati dagli uomini!

Preghiera

Scrivi i nostri nomi sul libro della vita Signore; affinché possiamo prendere parte alla tua famiglia celeste, nonostante le nostre mancanze e per l'azione della tua grazia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 16 dicembre 2024

Fermati 1 minuto. In chi o in cosa risiede l'autorità della chiesa?

Lettura

Matteo 21,23-27

23 Entrato nel tempio, mentre insegnava gli si avvicinarono i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo e gli dissero: «Con quale autorità fai questo? Chi ti ha dato questa autorità?». 24 Gesù rispose: «Vi farò anch'io una domanda e se voi mi rispondete, vi dirò anche con quale autorità faccio questo. 25 Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?». Ed essi riflettevano tra sé dicendo: «Se diciamo: "dal Cielo", ci risponderà: "perché dunque non gli avete creduto?"; 26 se diciamo "dagli uomini", abbiamo timore della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta». 27 Rispondendo perciò a Gesù, dissero: «Non lo sappiamo». Allora anch'egli disse loro: «Neanch'io vi dico con quale autorità faccio queste cose».

Commento

La domanda dei capi dei sacerdoti del tempio riguardo l'autorità di Gesù si riferisce alla cacciata dei venditori dal cortile esterno, alla sua predicazione e alle guarigioni operate. Gesù non è un sacerdote secondo la legge, non è un levita, né uno scriba. Egli è il sacerdote celeste e "non ha bisogno, come i sommi sacerdoti, di offrire sacrifici ogni giorno, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo: lo ha fatto una volta per tutte, offrendo se stesso" (Eb 7,27). 

L'autorità di Gesù viene direttamente dal Padre; mentre i sommi sacerdoti, che rispondendo falsamente di non sapere da dove viene l'autorità di Giovanni, si mostrano ignoranti e incapaci di insegnare con autorità. 

Questo episodio evangelico ripropone a noi cristiani una domanda essenziale: da dove proviene l'autorità della Chiesa? Sappiamo che questa domanda ha generato delle risposte divisive nella storia, ma non possiamo fare a meno di porcela e di cercare una risposta. Diversamente, cadremmo nella stessa ambiguità delle autorità giudaiche con cui si confrontò Gesù. 

Mentre i protestanti riconoscono come autorità suprema la Scrittura, i cattolici aggiungono a questa il magistero della chiesa e l'autorità del vescovo di Roma; gli ortodossi, invece, si richiamano alle dichiarazioni dei concili ecumenici e dei sacri sinodi.

Di fronte a tante e diverse interpretazioni del cristianesimo si potrebbe restare confusi, ma una cosa è certa: l'autorità della Chiesa proviene direttamente dal suo capo: Gesù Cristo, che la vivifica con lo Spirito Santo, il quale ci guiderà fino al compimento escatologico della storia. La Chiesa non è orfana, non è una pecora senza pastore e non ha bisogno di un "vicario", perché non è abbandonata a se stessa. Cristo è la sua guida e parla al suo popolo mediante l'esempio della propria vita, si comunica a ogni credente mediante la grazia battesimale e il nutrimento della Santa cena.

Preghiera

Vivifica con il tuo Spirito, Signore, la tua santa Chiesa e guidala verso l'unità, affinché i tuoi discepoli siano una cosa sola con te. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 15 dicembre 2024

I tratti del buon ministro del vangelo

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA TERZA DOMENICA DI AVVENTO

Colletta

Dio Onnipotente, donaci la grazia di allontanare da noi le opere delle tenebre e rivestirci dell’armatura della luce, ora nel tempo di questa vita mortale, in cui il tuo figlio Gesù Cristo è venuto a visitarci in grande umiltà; affinché nell’ultimo giorno, quando ritornerà nella sua gloriosa maestà, per giudicare i vivi e i morti, possiamo risorgere alla vita immortale, per lui che vive e regna, con te e con lo Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen

Signore Gesù Cristo, che nella tua prima venuta hai mandato il tuo messaggero per preparare la via dinanzi a te; concedi che i ministri e dispensatori dei tuoi misteri possano allo stesso modo preparare e rendere pronta la via, convertendo i cuori disobbedienti alla saggezza e alla giustizia; affinché nella tua seconda venuta per giudicare il mondo possiamo essere trovati come popolo accettevole alla tua vista; tu che vivi e regni con il Padre e lo Spirito Santo, unico Dio, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Letture

1 Cor 4,1-5; Mt 11,1-10

Commento

All'inizio del quarto capitolo della prima lettera ai Corinzi Paolo delinea la natura del ministro di Dio. Lungi dall'essere un alter Christus egli è un subordinato, un amministratore, che dispensa un tesoro non suo. Così anche nella seconda lettera ai Corinzi l'Apostolo afferma: "Or noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra, affinché l'eccellenza di questa potenza sia di Dio e non da noi" (2 Cor 4,7).

Dinanzi a Cristo, capo della Chiesa, la posizione dei pastori è quella di un'assoluta ed umile dipendenza. Dalla grazia di Dio essi ricevono i doni necessari di conoscenza, di parola, di compassione per gli uomini; da lui la vocazione interiore. La Chiesa non può che riconoscere questi doni e questa vocazione ed accogliere con riconoscenza coloro che il Signore le manda.

A Dio appartiene l'opera alla quale i ministri consacrano le forze. Da Dio procede la benedizione che rende efficace il lavoro degli operai. A Dio devono i ministri rendere conto del loro operato. Il pastore è per la chiesa, non la chiesa per il pastore. La funzione affidata ai ministri del vangelo è quella degli economi nelle grandi case. Essi dispensano i beni del loro padrone, hanno la sovrintendenza e la cura degli altri servi a cui devono distribuire il cibo.

Gli apostoli non devono tener conto né degli apprezzamenti né delle ostilità ricevuti, affidandosi unicamente al giudizio divino che verrà alla fine dei tempi, nel giorno del Signore. La nostra capacità di consapevolezza verso il peccato è offuscata secondo Paolo; per questo egli afferma "non giudico neppure me stesso. Non sono infatti consapevole di colpa alcuna; non per questo sono però giustificato" (1 Cor 4,3-4). Non conosciamo i moti più profondi del cuore umano: né quelli altrui, né i nostri. Per questo ci è richiesta una fede assoluta nella grazia di Dio e nel potere santificante del suo Spirito. 

Tuttavia ciò non ci esime dal coltivare un grande senso di responsabilità nel mettere in pratica l'insegnamento evangelico; e a questo sono chiamati tanto coloro che si consacrano in modo speciale al ministero pastorale, quanto coloro che essi ammaestrano.

Al capitolo undicesimo del Vangelo di Matteo Gesù applica a se stesso un passo del libro di Isaia (61,1) mandando a dire a Giovanni il Battista che l'evangelo è annunziato ai poveri (Mt 11,5); laddove dobbiamo intendere non solo coloro che dispongono di scarsi mezzi materiali, ma ogni uomo con un cuore umile e un orecchio capace di mettersi in ascolto, oltre le distrazioni, le seduzioni e le illusioni mondane.

I poveri erano anche coloro che fino a quel momento i farisei e i grandi dottori della Legge avevano trascurato nella propria predicazione. Il buon ministro del vangelo deve portare la Parola a ogni uomo, anche a coloro che la società non prende in considerazione e "Beato chi non si scandalizza di me" afferma Gesù  (Mt 11,6). Beato, cioè, chi non rigetta il suo messaggio, ma sa cogliererne la profonda ricchezza.

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 14 dicembre 2024

Giovanni della Croce e la fiamma dell'amore divino

Il 14 dicembe la Chiesa Cattolica e quella Anglicana celebrano la memoria di Giovanni della Croce.

La notte fra il 13 e il 14 dicembre del 1591 si spegne all'età di 49 anni Giovanni della Croce, primo carmelitano ad aver aderito alla riforma del Carmelo operata da Teresa d'Ávila. Juan de Yepes Alvarez era nato a Fontiveros, nella Vecchia Castiglia. Di origini molto povere, dopo un'infanzia assai difficile, per potersi pagare gli studi egli dovette lavorare a lungo come infermiere nell'ospedale degli appestati. Entrato dai Carmelitani a Medina del Campo, per le sue brillanti qualità intellettuali fu mandato a studiare alla celebre università di Salamanca. Uomo dedito a un'ascesi estrema, che gli pregiudicò ben presto l'integrità fisica, Giovanni era sul punto di abbandonare il Carmelo per farsi certosino, quando l'incontro con Teresa d'Avila lo convinse della possibilità di riformare l'Ordine. Egli diede allora vita a una piccola comunità estremamente povera, ma ben presto i suoi superiori gli affidarono responsabilità di rilievo nella formazione intellettuale e spirituale dei novizi. La sua vita divenne allora un pellegrinaggio da una comunità all'altra, durante il quale Giovanni fu spesso osteggiato, a volte oltraggiato e umiliato, e comunque raramente capito dai suoi compagni. In questo itinerario di umiliazione, nel quale egli afferma di aver sperimentato l'abbandono da parte di Dio stesso nella «notte oscura» dell'anima, Giovanni trasse la forza per invocare la «fiamma d'amore» dello Spirito e per scrivere poemi e cantici spirituali che narrano l'unione sponsale dell'anima con Dio, approdo sicuro, secondo la sua esperienza spirituale, per coloro che seguono con fiducia il cammino pasquale del Signore. Per i cattolici egli è dottore della chiesa, gli anglicani lo ricordano come poeta e maestro della fede.

Tracce di lettura

Dove ti sei nascosto,
Amato, lasciandomi a gemere?
Come il cervo corresti,
dopo avermi ferito:
ti uscii dietro gridando, e te n'eri andato.
Pastori, voi che andate
da un ovile all'altro su all'altura:
se per caso vedrete chi più di tutti amo,
ditegli che soffro, languo e muoio.
Cercando il mio amore,
andrò per questi monti e rive,
non coglierò mai fiori,
né temerò le fiere,
e passerò oltre ai forti e alle frontiere.
(Giovanni della Croce, Canzoni tra l'anima e lo Sposo)


- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Giovanni della Croce (1542-1591)