Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

martedì 24 dicembre 2024

Prendersi cura di Dio

COMMENTO ALLA LITURGIA DEL NATALE

Colletta

Dio Onnipotente, che ci hai donato il tuo unico Figlio, affinché prendesse la nostra natura su di sé e nascesse in questo tempo da una vergine pura; concedici di essere rigenerati e resi tuoi figli per adozione nella grazia, rinnovati ogni giorno dal tuo Spirito Santo; per lo stesso Gesù Cristo nostro Signore, che vive e regna con te e con lo Spirito Santo, unico Dio, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Letture

Eb 1,1-12; Gv 1,1-14

«No, Dio non cerca l'adorazione, il capo chino, lo spirito che l'invoca, che lo interroga, nemmeno il grido della rivolta. Cerca, soltanto, di vedere, come vede il fanciullo, una pietra, un albero, un frutto, la pergola sotto il tetto, l'uccello che s'è posato su un grappolo maturo». Quali parole più appropriate di queste del poeta Yves Bonnefoy potrebbero descrivere il mistero dell'incarnazione? Il mistero di un Dio che ci salva amando e condividendo la nostra condizione umana in tutte le sue sfumature, quelle più delicate, come la contemplazione delle bellezze del creato, ma anche quelle più cupe: il freddo della stalla, le fatiche del lavoro quotidiano, una vita di stenti e peregrinazioni «Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi; ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo» (Lc 9,58).

Con la sua nascita, con la sua intera vita e con la sua passione, Cristo si è spogliato della propria natura divina affinché Dio potesse essere presente anche nell'ultimo, nel più disprezzato e nel più sofferente degli uomini. Non c'è condizione umana che non sia toccata da Dio.
E se Dio si è spogliato della propria gloria, quanto più noi dovremmo spogliarci dei nostri orpelli, delle maschere che indossiamo per esorcizzare il nostro nulla e nascondere a noi stessi il nostro destino mortale?

La parola eterna, abbandonando ogni perfezione e condividendo la nostra natura umana, senza perdere la distinzione tra essa e la propria natura divina, ha dimostrato la dignità assoluta di ogni vita.

Cristo non è soltanto uno tra i grandi profeti di cui Dio si è servito nel corso dei secoli per far conoscere all'uomo i suoi disegni; egli è il rivelatore ultimo e definitivo della verità divina e lo è in virtù della sua natura stessa e della posizione eccelsa che egli occupa. Egli, che pur si abbassò facendosi scandalo nella sua passione, siede ora alla destra di Dio investito di podestà regale su tutte le creature.

Non c'è pietra d'inciampo più grande di questa per la nostra ragione e persino per ogni altra religione: un Dio onnipotente che si fa assoluta debolezza, che sceglie di nascere come un bambino, fragile e bisognoso delle nostre cure. Lui, che si prende cura di noi, avendoci donato tutto quello che abbiamo, a cominciare dalla nostra stessa esistenza. Prendiamoci anche noi cura di Dio, affinché egli possa crescere e noi diminuire.

- Rev. Dr. Luca Vona

Vieni, vieni Dio-con-noi!

Veni, Veni, Emmanuel ("Emmanuel"=dall'ebraico, "Dio-con-noi") è un inno latino per il periodo dell'Avvento, il cui testo, di autore anonimo, risale forse all'VIII secolo e la cui melodia ebbe probabilmente origine in Francia nel XV secolo.

Il brano fu pubblicato per la prima volta nel 1710 a Colonia nei Psalteriolum Cantionum Catholicarum.

Un bellissimo inno d'Avvento, ottimo per la Novena di Natale (e la IV domenica d'Avvento). Non molto conosciuto - per la verità - in Italia, è invece famoso e richiestissimo nei paesi anglosassoni, dove si canta O Come o come Emmanuel. Ha la particolarità di essere costruito sul contenuto delle antifone "O", e quindi adattissimo al periodo liturgico che stiamo vivendo: l'immediata preparazione al Natale, significata dall'invocazione del ritornello: "Rallegrati, Rallegrati! L'Emmanuele nascerà per te, o Israele".
Non è un canto gregoriano antico, e viene spesso eseguito anche in polifonia.

Nel testo, che si compone di sette strofe, viene invocato l'arrivo del figlio di Dio, affinché il popolo d'Israele venga liberato dall'esilio.

Nel 1851 il reverendo britannico John Mason Neale tradusse solo cinque delle Antifone e le pubblicò nel suo Mediaeval Hymns and Sequences. Ulteriori traduttori e poeti misero mano al testo di “O come Emmanuel” e in particolare il reverendo Thomas A. Lacey (1853-1931) e il ministro presbiteriano Henry Sloane Coffin  (1877-1954). La melodia è stata arrangiata dal pastore anglicano Thomas Helmore e venne pubblicata nel 1854 nell’ The Hymnal Noted con il testo tradotto dal Rev. Neale
Il brano è interpretato da moltissimi artisti ed è un brano spesso contenuto nelle raccolte dei Celtic Christmas Songs anche in versione strumentale.

Qui di seguito una esecuzione del King's College e il testo, nell'originale latino, nella traduzione italiana, e nella versione inglese.



Veni, veni Emmanuel!
Captivum solve Israel!
Qui gemit in exilio,
Privatus Dei Filio,
Gaude, gaude, Emmanuel
nascetur pro te, Israel.


Veni, O Sapientia,
quae hic disponis omnia,
veni, viam prudentiae
ut doceas et gloriae.
Gaude, gaude, Emmanuel
nascetur pro te, Israel.


Veni o Jesse virgula!
Ex hostis tuos ungula,
De specu tuos tartari
Educ, et antro barathri.
Gaude, gaude, Emmanuel
nascetur pro te, Israel.


Veni, veni o oriens!
Solare nos adveniens,
Noctis depelle nebulas,
Dirasque noctis tenebras.
Gaude, gaude, Emmanuel
nascetur pro te, Israel.

Veni clavis Davidica!
Regna reclude coelica,
Fac iter Tutum superum,
Et claude vias Inferum.
Gaude, gaude, Emmanuel
nascetur pro te, Israel.



Veni, veni Adonai!
Qui populo in Sinai
Legem dedisti vertice,
In maiestate gloriae.
Gaude, gaude, Emmanuel
nascetur pro te, Israel.

Vieni, vieni, Emmanuele
libera dalla prigionia Israele,
che si addolora in esilio,
privata dal figlio di Dio.
Rallegrati! Rallegrati! L'Emmanuele
nascerà per te o Israele.

Vieni O Sapienza
che disponi di questo mondo
vieni, la via della prudenza
insegnaci per la Gloria
Rallegrati! Rallegrati! L'Emmanuele
nascerà per te o Israele.

O vieni Ramo di Jesse
dallo zoccolo del tuo nemico,
dalla caverna dell'Averno
liberaci e dalla morte.
Rallegrati! Rallegrati! L'Emmanuele
nascerà per te o Israele.

Vieni, o vieni, sole d’Oriente;
Allontana le tenebre della notte
Rallegrati! Rallegrati! L'Emmanuele
nascerà per te o Israele.


O vieni, Chiave di Davide,
spalanca (le porte) del Regno;
rendi sicura la via del Cielo,
e chiudi l'accesso agli Inferi.
Rallegrati! Rallegrati! L'Emmanuele
nascerà per te o Israele.


Vieni, vieni, O Signore
che dall'alto del Sinai
donasti la legge al popolo
nella maestà della Gloria
Rallegrati! Rallegrati! L'Emmanuele
nascerà per te o Israele.



O come, O come, Emmanuel!
Redeem thy captive Israel
That into exile drear is gone,
Far from the face of God's dear Son.
Rejoice! Rejoice! Emmanuel
Shall come to thee, O Israel.

O come, thou Branch of Jesse! draw
The quarry from the lion's claw;
From the dread caverns of the grave,
From nether hell, thy people save.
Rejoice! Rejoice! Emmanuel
Shall come to thee, O Israel.

O come, O come, thou Dayspring bright!
Pour on our souls thy healing light;
Dispel the long night's lingering gloom,
And pierce the shadows of the tomb.
Rejoice! Rejoice! Emmanuel
Shall come to thee, O Israel.

O Come, thou Lord of David’s Key!
The royal door fling wide and free;
Safeguard for us the heavenward road,
And bar the way to death's abode.
Rejoice! Rejoice! Emmanuel
Shall come to thee, O Israel.

O come, O come, Adonai,
Who in thy glorious majesty
From that high mountain clothed in awe,
Gavest thy folk the elder Law.
Rejoice! Rejoice! Emmanuel
Shall come to thee, O Israel.




lunedì 23 dicembre 2024

Le Antifone maggiori dell'Avvento - O Emmanuel


O Emmanuel,
nostro re e legislatore,
speranza delle genti,
e loro Salvatore:
vieni e salvaci,
Signore, nostro Dio.

O Emmanuel,
Rex et legifer noster,
expectatio gentium,
et Salvator earum:
veni ad salvandum nos,
Domine, Deus noster.



Advent Antiphons No. 7 - O Emmanuel - Queen's College



Antifona di Avvento No. 7 - O Emmanuel - Canto gregoriano

Fermati 1 minuto. La migliore versione di noi stessi

Lettura

Luca 1,57-66.80

57 Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. 58 I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei. 59 All'ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. 60 Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». 61 Le dissero: «Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». 62 Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. 63 Egli chiese una tavoletta, e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. 64 In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. 65 Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. 66 Coloro che le udivano, le serbavano in cuor loro: «Che sarà mai questo bambino?» si dicevano. Davvero la mano del Signore stava con lui. 80 Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

Commento

Il più grande conforto che possiamo avere dai nostri figli è di metterli nelle mani di Dio. Per questo la circoncisione, che è stata sostituita, nella nuova alleanza, dal battesimo cristiano, diviene occasione di gioia più grande della stessa nascita. 

L'usanza giudaica era quella di dare nome al bambino proprio in occasione della circoncisione, così come Abramo ricevette un nome nuovo dopo aver sancito l'alleanza con Dio mediante questo segno esteriore. Il Signore, infatti, chiama per nome coloro che sono affidati a lui, il che significa che non è solo genericamente il Dio del popolo dei salvati, ma il Padre di ciascuno di noi, che così possiamo chiamarlo in virtù del rapporto personale e filiale che abbiamo con lui. 

Questo rapporto, insito in un "nome nuovo", unico, che ci viene attribuito è ben rappresentato dal contenzioso tra Elisabbetta e gli amici e parenti giunti per assistere alla circoncisione di Giovanni. Questi suggeriscono di chiamarlo Zaccaria, come il padre, ma lei si oppone e mossa dallo Spirito Santo afferma risolutamente che si chiamerà Giovanni.

Comunicando con Zaccaria mediante segni, i vicini e parenti ottengono anche da lui la risposta scritta che il bambino dovrà chiamarsi Giovanni. Muto e sordo, Zaccaria non può fare a meno di esprimere la volontà di Dio. Quando lo Spirito parla sa come farsi sentire. Così affermerà Gesù, quando i farisei rimprovereranno la folla esultante al suo ingresso a Gerusalemme: "se questi taceranno, grideranno le pietre" (Lc 19,40). 

Compiuta la volontà di Dio sul bambino la lingua di Zaccaria si scioglie in un canto di lode. Giovanni susciterà meraviglia e la sua fama si spargerà per le regioni circostanti fin dall'infanzia, anticipando quella che otterrà con l'inizio del suo ministero profetico, quando folle di peccatori verranno a lui in cerca di conversione. Ci si sarebbe aspettato di vedere Giovanni sacerdote come suo padre. Ma i piani di Dio per lui erano altri. Egli sarebbe diventato un profeta. Il più grande dei profeti.

Dio ci ama nella nostra specificità e ha un piano di salvezza e di santità particolari per ognuno di noi. Chiediamogli la grazia per imparare ad essere la migliore versione di noi stessi, piuttosto che la brutta copia di qualche santo.

Preghiera

O Dio, che ci chiami per nome, rivelaci la tua volontà ed effondi su di noi il tuo Spirito, affinché possiamo portarla a compimento a lode del tuo Nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 21 dicembre 2024

Ridestiamoci dal sonno

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUARTA DOMENICA DI AVVENTO

Colletta

Dio Onnipotente, donaci la grazia di allontanare da noi le opere delle tenebre e rivestirci dell’armatura della luce, ora nel tempo di questa vita mortale, in cui il tuo figlio Gesù Cristo è venuto a visitarci in grande umiltà; affinché nell’ultimo giorno, quando ritornerà nella sua gloriosa maestà, per giudicare i vivi e i morti, possiamo risorgere alla vita immortale, per lui che vive e regna, con te e con lo Spirito santo, nei secoli dei secoli. Amen.

Ti supplichiamo Signore, solleva la tua potenza e vieni in nostro soccorso; affinché mentre corriamo, affaticati e ostacolati, tra il peccato e la debolezza, sul percorso che ci hai posto dinanzi, la tua grazia e la tua misericordia, possano soccorrerci prontamente. Per Gesù Cristo, nostro Signore, al quale, con te e con lo Spirito Santo, va ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Letture

Fil 4,4-7; Gv 1,19-28

Commento

«Egli è colui che viene dopo di me e che mi ha preceduto» (Gv 1,27). In queste parole di Giovanni Battista è racchiusa la ragione della nostra speranza. Dio ci precede nel donarci la sua salvezza. 

La colletta della quarta settimana di Avvento richiama la seconda lettera di San Paolo a Timoteo, scritta dalla prigionia, nella consapevolezza della morte imminente: "Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservato la fede. Ormai mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno" (2 Tim 4,7-8). Ma come ci ricorda questa preghiera liturgica la corsa può risultare estremamente faticosa, e può essere non priva di inciampi, a volte di rovinose cadute, a causa del peccato e della nostra debolezza. Il Signore ci viene incontro, con la sua grazia e la sua misericordia.

Fin dal primo atto di allontanamento dal Creatore vediamo nel libro della Genesi un Dio che cerca la sua creatura, chiamandola per il giardino: «Dove sei?» (Gen 3,9). Anche dopo l'allontanamento dell'uomo dall'Eden, Dio parla ai patriarchi, come a Giacobbe, nel sogno della scala mediante la quale gli angeli salgono e scendono dal cielo. Qui Dio gli promette «Io sono con te e ti proteggerò dovunque andrai... non ti abbandonerò» (Gen 28,15).

L'Avvento e il tempo di Natale sono il momento in cui maggiormente siamo chiamati a riconoscere la presenza di Dio tra noi. La lettera di Paolo ai Filippesi descrive il mirabile scambio di nature che si realizza nel mistero dell'incarnazione. Una dinamica circolare ascendente e discendente, proprio come quella degli angeli sulla scala di Giacobbe. Per questo la letteratura cristiana antica, in Oriente, parla di theosis kenosis, divinizzazione e spoliazione: divinizzazione dell'uomo, mediante la spoliazione di Dio. L'apostolo Paolo lo afferma con parole eloquenti: "Cristo Gesù... essendo in forma di Dio, non considerò qualcosa a cui aggrapparsi tenacemente l'essere uguale a Dio, ma svuotò se stesso, prendendo la forma di servo, divenendo simile agli uomini; e, trovato nell'esteriore simile ad un uomo, abbassò se stesso, divenendo ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,6). Vi è un profondo legame tra l'incarnazione e la passione.

Dio ha spogliato se stesso, assumendo la nostra natura, la nostra miseria, affinché non vi potesse essere più alcuna regione dell'umano classificabile come terra straniera, "senza Dio". Affinché saltassero tutte le distinzioni tra "sacro" e "profano". Affinché ciascuno di noi potesse esclamare, come Giacobbe, ridestatosi dal suo sogno profetico in terra straniera: «Certamente l'Eterno è in questo luogo, e io non lo sapevo» (Gen 28,16). Ridestiamoci dal sonno, dunque, e riconosciamo il Dio che è venuto ad abitare in mezzo a noi.

- Rev. Dr. Luca Vona

Le Antifone maggiori dell'Avvento - O Oriens


O (astro) Sorgente
splendore di luce eterna,
e sole di giustizia:
vieni ed illumina
chi è nelle tenebre,
e nell'ombra della morte.

O Oriens,
splendor lucis aeternae,
et sol justitiae:
veni, et illumina
sedentes in tenebris,
et umbra mortis.




Advent Antiphon No. 5 - O Oriens - Queen's College



Antifona di Avvento No. 5 - O Oriens - Canto gregoriano

venerdì 20 dicembre 2024

Le Antifone maggiori dell'Avvento - O Clavis David

O Chiave di David,
e scettro della casa di Israele,
che apri e nessuno chiude,
chiudi e nessuno apre:
vieni e libera lo schiavo
dal carcere,
che è nelle tenebre,
e nell'ombra della morte.

O Clavis David,
et sceptrum domus Israël,
qui aperis, et nemo claudit,
claudis, et nemo aperit:
veni, et educ vinctum
de domo carceris,
sedentem in tenebris,
et umbra mortis.




Advent Antiphon No. 4 - O Clavis David - Queen's College



Antifona di Avvento No. 4 - O Clavis David - Canto gregoriano

Fermati 1 minuto. Il privilegio della grazia

Lettura

Luca 1,26-38

26 Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, 27 a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28 Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». 29 A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. 30 L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32 Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33 e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
34 Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». 35 Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. 36 Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: 37 nulla è impossibile a Dio». 38 Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.

Commento

Maria è la prima creatura ad essere evangelizzata, ricevendo la parola di salvezza sull'avvento del Messia atteso da Israele. Se l'annuncio della nascita di Giovanni il Battista era avvenuto a Gerusalemme - centro del giudaismo - a un sacerdote, nel mezzo del culto divino, qui l'angelo appare a un'umile donna, in un piccolo villaggio della Galilea, regione che a parte aver dato i natali ai profeti Giona e Nahum, era tenuta in poco conto nel Paese. 

La donna si chiama Maria, trasposizione latina del nome ebraico Miriam - lo stesso della sorella di Mosè e Aronne - il cui significato è "esaltata" (da Dio). La vergine è promessa sposa di un uomo, Giuseppe, la cui genealogia ne attesta la discendenza da Davide. Non siamo certi, invece, della discendenza davidica di Maria; tuttavia, l'attribuzione a Gesù del titolo "Figlio di Davide" pur essendo nato da Maria senza che vi sia stata un'unione di questa con Giuseppe, fanno propendere per la discendenza davidica di Maria stessa. 

Gesù è presentato, dunque, come il legittimo re di Israele, sebbene il regno che egli inaugura "non è di questo mondo" (Gv 18,36) e non avrà fine (v. 33). Gesù è il "Figlio dell'Altissimo" (v. 32), titolo che gli sarà riconosciuto a più riprese: dal Padre, durante il battesimo al Giordano (Lc 3,22), da Pietro («Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»; Mt 16,16), dall'indemoniato gadareno («Che c'è fra me e te, Gesù, Figlio del Dio altissimo?»; Mc 5,7); dal centurione presso la croce («Veramente, costui era Figlio di Dio»; Mt 27,54). 

Il saluto dell'angelo non presenta l'abituale formula ebraica Shalom (pace) ma è indicato con il greco chàire, ovvero "rallegrati", che sembra alludere a diversi passi messianici dell'Antico Testamento. La parola che segue, kecharitoméne significa letteralmente "favorita dalla grazia", a indicare il particolare privilegio cui è innalzata Maria. Da qui il suo turbamento, nella consapevolezza del proprio limite creaturale, destinatario di un disegno sorprendente da parte di Dio. Le parole "il Signore è con te" (v. 28) richiamano anch'esse un'espressione che ricorre spesso nell'Antico Testamento, per indicare l'assistenza di Dio in una missione.

La risposta-domanda di Maria "come è possibile?" (v. 34) non indica un dubitare sulla capacità di Dio di farla concepire senza conoscere uomo, quanto invece la sorpresa per una scelta di elezione di ciò che è umile e nascosto. L'ombra che si stenderà su di lei rappresenta il mistero delle operazioni straordinarie di Dio e al contempo richiama la nube che accompagnava Israele nel suo esodo dall'Egitto alla terra promessa. L'annunciazione assume così una connotazione pasquale, di "nuovo esodo", in quanto la nascita del Messia segnerà il passaggio dalla schiavitù del peccato alla libertà della grazia. 

L'ombra che si stende su Maria è immagine dello Spirito Santo, che agisce nei credenti nell'ascolto e nella ruminazione della parola di Dio: "Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (Lc 2,19). L'evento dell'annunciazione e la risposta di Maria costituiscono per ogni credente un invito ad accogliere la volontà di Dio, nella certezza dell'efficacia della grazia: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (v. 38). Il "sì" che Maria pronuncia condiziona tutta la sua vita e le sorti dell'intero genere umano. La capacità di compiere decisioni radicali e definitive come quella di Maria potrà dare forma nelle nostre vite ai grandi progetti che Dio ha per noi.

Preghiera

Noi ci rallegriamo, Signore, all'ascolto della tua parola di salvezza. Che essa possa generare nelle nostre anime, per l'azione del tuo Spirito, il Verbo eterno; affinché possiamo cantare la tua misericordia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 19 dicembre 2024

Fermati 1 minuto. Docile fiducia

Lettura

Luca 1,5-25

5 Al tempo di Erode, re della Giudea, c'era un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abìa, e aveva in moglie una discendente di Aronne chiamata Elisabetta. 6 Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. 7 Ma non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni.
8 Mentre Zaccaria officiava davanti al Signore nel turno della sua classe, 9 secondo l'usanza del servizio sacerdotale, gli toccò in sorte di entrare nel tempio per fare l'offerta dell'incenso. 10 Tutta l'assemblea del popolo pregava fuori nell'ora dell'incenso. 11 Allora gli apparve un angelo del Signore, ritto alla destra dell'altare dell'incenso. 12 Quando lo vide, Zaccaria si turbò e fu preso da timore. 13 Ma l'angelo gli disse: «Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni. 14 Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita, 15 poiché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre 16 e ricondurrà molti figli d'Israele al Signore loro Dio. 17 Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto». 18 Zaccaria disse all'angelo: «Come posso conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni». 19 L'angelo gli rispose: «Io sono Gabriele che sto al cospetto di Dio e sono stato mandato a portarti questo lieto annunzio. 20 Ed ecco, sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, le quali si adempiranno a loro tempo».
21 Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria, e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio. 22 Quando poi uscì e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto.
23 Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa. 24 Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: 25 «Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna tra gli uomini».

Commento

Dopo un prologo in cui Luca delinea il metodo con cui ha composto il proprio libro, vengono dedicati due capitoli al cosiddetto "vangelo dell'infanzia", in cui l'autore stabilisce una serie di paralleli tra la nascita di Giovanni il Battista e quella di Gesù.

La sterilità, di cui soffre Elisabetta, era considerata un segno della mancanza della benevolenza divina, ma Luca ci tiene a sottolineare che lei e Zaccaria "Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore" (v. 6); la loro fede e la loro speranza è attestata anche dal fatto che continuano a pregare per ottenere il figlio desiderato (v. 13). Anche noi, quando non vediamo segni "tangibili" del favore divino, siamo chiamati a restare fedeli al Signore e a non abbandonare l'orazione. La contraddizione tra l'irreprensibilità di Zaccaria e di Elisabetta e il grembo vuoto di quest'ultima ci invita a uscire da una relazione "contrattualistica" con Dio, riconoscendo che nulla è dovuto, ma tutto è dono.

L'annuncio della nascita di Giovanni avviene mentre il sacerdote Zaccaria sta celebrando l'offerta dell'incenso nel Tempio di Gerusalemme. Quando Davide assegnò ai sacerdoti il servizio del tempio dividendoli in sorte ad Abia toccò l'ottava (1 Cr 24,5.10) delle ventiquattro classi sacerdotali stabilite (1 Cr 24,18). Per una settimana, due volte l'anno, la classe di Abia serviva nel tempio di Gerusalemme. Dato il gran numero di sacerdoti (circa diciottomila), l'incarico di offrire l'incenso (v. 9) poteva essere conferito una sola volta nella vita; si trattava quindi di un evento di grande importanza.

Giovanni (letteralmente "Dio ha mostrato la sua grazia"), il figlio annunciato dall'angelo, non berrà vino né altre bevande inebrianti (v. 15): come Sansone (Gdc 13,4-5) e Samuele (1 Sam 1,11) viene consacrato a Dio come nazireo (Nm 6,2-3) al servizio del Signore. A Giovanni viene conferito il ruolo del profeta Elia che, secondo quanto detto da Malachia, è inviato "prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore" (Ml 3,23).

Gabriele è l'angelo che nel libro di Daniele proclama le settanta settimane di anni e la venuta del Messia (Dn 9,20-25), e che annuncia la sua nascita a Maria nello stesso Vangelo di Luca (Lc 1,26-38). Il rimprovero dell'angelo evidenzia che non dobbiamo preoccuparci dell'umana realizzazione delle promesse di Dio, ma che dobbiamo tener conto di colui che fa la promessa, la cui parola non può venire a mancare. Vi è così un parallelo tra la parola irremovibile di Dio e la temporanea perdita della parola di Zaccaria.

Il mutismo di Zaccaria è conseguenza della sua incredulità. Quando Maria porrà una domanda simile sarà invece rassicurata; il mistero del concepimento verginale del Figlio di Dio, è ben più grande della liberazione dalla sterilità e supera infinitamente le capacità dell'umana comprensione. Il piano di Dio giungerà a effetto nonostante l'incredulità iniziale di Zaccaria e la lingua di questi si scioglierà in un canto di lode (Lc 2,67-79).

Il racconto della nascita di Giovanni ci invita a non avere un concetto eccessivamente umano delle cose di Dio, a mantenere una docilità fiduciosa per credere ai suoi progetti, che sono sempre più grandi dei nostri.

Preghiera

Accresci la nostra fede Signore, affinché possiamo pregustare le promesse della tua grazia, fonte di vita che supplisce ai limiti della nostra umanità. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Le Antifone maggiori dell'Avvento - O Radix Jesse

O Radice di Jesse,
che sei un segno per i popoli,
innanzi a te i re della terra non parlano,
e le nazioni ti acclamano:
vieni e liberaci,
non fare tardi.

O Radix Jesse,
qui stas in signum populorum,
super quem continebunt reges os suum,
quem gentes deprecabuntur:
veni ad liberandum nos,
jam noli tardare.





Advent Antiphons No. 3 - O Radix Jesse- Queen's College Cambridge





Antifona di Avvento No. 3 - O Radix Jesse - Canto gregoriano

mercoledì 18 dicembre 2024

Le Antifone maggiori dell'Avvento - O Adonai


O Adonai,
e condottiero di Israele,
che sei apparso a Mosè tra le fiamme,
e sul Sinai gli donasti la legge:
redimici col tuo braccio potente.

O Adonai,
et dux domus Israël,
qui Moysi in igne flammae rubi apparuisti,
et ei in Sina legem dedisti:
veni ad redimendum nos in brachio extento.



Advent Antiphons No. 2 - O Adonai - Queen's Colledge Cambridge




Antifona di Avvento No. 2 - O Adonai - Canto gregoriano

Fermati 1 minuto. Come Spirito sulle acque calme

Lettura

Matteo 1,18-24

18 Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19 Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. 20 Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. 21 Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». 22 Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 23 Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi. 24 Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Commento

Un uomo innamorato della sua futura moglie si trova davanti al timore di essere stato tradito. Giuseppe non è solo giusto, osservante della legge del Signore, ma anche misericordioso, poiché non vuole esporre Maria alla pubblica accusa e preferisce allontanarla in segreto, con un divorzio privato. 

Il fidanzamento ebraico era considerato nell'antichità come un moderno matrimonio. Poteva essere sciolto solo con un formale atto di ripudio, in presenza di due testimoni. I fidanzati erano considerati dal punto di vista legale come marito e moglie e sebbene l'unione fisica non fosse stata ancora consumata l'adulterio era punito con la lapidazione. 

Il modo di comportarsi di Giuseppe ci suggerisce di giudicare con delicatezza e prudenza il nostro prossimo, presupponendo sempre la sua innocenza piuttosto che la colpevolezza, ma ci invita anche ad accogliere quanto di incredibile accade nelle nostre vite. 

Giuseppe viene visitato da Dio mentre "stava pensando a tutte queste cose" (v. 20). Dio rivela la sua volontà a coloro che la ricercano e considerano interiormente i segni della sua presenza. Egli appare nel momento di maggiore quiete, come spirito che si muove sulle acque calme. Così Giuseppe, che custodisce la fiducia in Dio, si convince dell'innocenza di Maria venendo visitato in sogno da un angelo, il cui messaggio sconvolge i suoi piani e ogni aspettativa sul nascituro. Questi sarà chiamato Gesù, ovvero "il Signore salva" e infatti salverà gli uomini dal peccato. 

Emmanuele - "Dio con noi" - non è il nome proprio di Cristo, ma descrive perfettamente l'efficacia della sua opera di redenzione, che solleva la nostra umanità dalla miseria, elevandola alle altezze divine. Dio aveva camminato con Israele nel deserto, nella forma di una nube rinfrescante di giorno e luminosa di notte; per questo il suo popolo poteva domandarsi "qual grande nazione ha la divinità così vicina a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?" (Dt 4,7). In Gesù, vero uomo, che lo Spirito ha plasmato a immagine del Padre, Dio si fa presente in mezzo a noi, per condurci verso la risurrezione. 

Ricevuto l'annuncio dell'angelo Giuseppe si desta dal sonno (v. 24) e fa subito come gli è stato ordinato. Anche noi siamo chiamati a rispondere senza tardare alla volontà del Signore: "Per questo sta scritto: "Svègliati, o tu che dormi, déstati dai morti e Cristo ti illuminerà" (Ef 5,14).

Preghiera

Donaci la saggezza, o Dio, di discernere la tua volontà tra le pieghe della nostra vita e la grazia per compierla con sollecitudine; affinché la luce di Cristo possa risplendere nel mondo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 17 dicembre 2024

Le Antifone maggiori dell'Avvento - O Sapientia

Le antifone maggiori dell'Avvento (o anche antifone O, perché cominciano tutte con il vocativo "O") sono sette antifone latine proprie della Liturgia delle Ore secondo il rito romano. Vengono cantate come antifone del Magnificat nei vespri e come versetto alleluiatico del Vangelo nella Messa delle ferie maggiori dell'Avvento, dal 17 al 23 dicembre.

Anche il rito ambrosiano le ha introdotte nella propria liturgia, durante la "commemorazione del Battesimo" alla sera di questi stessi giorni precedenti il Natale (in ambrosiano, feriae de Exceptato, ferie dell'Accolto).

La Chiesa anglicana le ha reintrodotte in tempi recenti.

Origine

La loro origine è sconosciuta, ma Boezio le menziona già nel sesto secolo a Roma, al tempo della riforma liturgica di papa san Gregorio Magno (540-604). Spesso sono state musicate. I sostantivi con cui ogni antifona si apre hanno origine nella Bibbia e sono utilizzati come titoli di Gesù Cristo. È stato osservato fin dal Medioevo che le lettere iniziali di questi stessi sostantivi, lette partendo dall'ultima antifona, formano la frase latina ero cras, cioè "Domani sarò qui", una espressione che sottolinea il carattere di attesa proprio dell'Avvento. La serie in questo modo si divide in due parti: dal 17 al 20, e dal 21 al 23 dicembre.

Prima antifona - 17 dicembre

(Italiano)

«O Sapienza,
che esci dalla bocca dell'Altissimo,
ed arrivi ai confini della terra,
e tutto disponi con dolcezza:
vieni ad insegnarci la via della prudenza.

(Latino)

«O Sapientia,
quae ex ore Altissimi prodisti,
attingens a fine usque ad finem,
fortiter suaviter disponensque omnia:
veni ad docendum nos viam prudentiae.



Advent Antiphons No. 1 - O Sapientia - Queen's College, Cambridge



Antifona di Avvento No. 1 . O Sapientia - Canto gregoriano

Fermati 1 minuto. Più che una cantilena

Lettura

Matteo 1,1-17

1 Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. 2 Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, 3 Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esròm, Esròm generò Aram, 4 Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmòn, 5 Salmòn generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, 6 Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, 7 Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asàf, 8 Asàf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, 9 Ozia generò Ioatam, Ioatam generò Acaz, Acaz generò Ezechia, 10 Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, 11 Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. 12 Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel, Salatiel generò Zorobabèle, 13 Zorobabèle generò Abiùd, Abiùd generò Elìacim, Elìacim generò Azor, 14 Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, 15 Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, 16 Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. 17 La somma di tutte le generazioni, da Abramo a Davide, è così di quattordici; da Davide fino alla deportazione in Babilonia è ancora di quattordici; dalla deportazione in Babilonia a Cristo è, infine, di quattordici.

Commento

La genealogia di Gesù ci offre una elenco di nomi, che potrebbero suonare come una noiosa cantilena, ma testimoniano la profonda appartenenza del Messia al genere umano, le cui miserie e grandezze egli, come Figlio di Dio, è venuto ad assumere su di sé, per portare a compimento il progetto del Padre.

L'incipit matteano "Genealogia di Gesù Cristo" richiama il titolo del libro della Genesi nella Bibbia greca ("dei Settanta"), chiamato appunto Libro delle genealogie. In questo senso Gesù appare nel Vangelo di Matteo come compimento della creazione nella pienezza dei tempi. 

Il riferimento agli antenati di Gesù è presente sia nel Vangelo di Matteo che in quello di Luca, ma Matteo gli conferisce un'importanza particolare, aprendo con esso il suo racconto. Il nome "Gesù" significa in ebraico "il Signore salva", mentre "Cristo" è un appellativo che traduce in greco (Christos)  l'ebraico "Messia". La parola significa "unto" con allusione al carattere profetico, sacerdotale e regale di Gesù; infatti era d'uso nella tradizione ebraica ungere con l'olio coloro che avevano ricevuto un mandato da Dio. Davide fu unto alla sua consacrazione come re (1 Sam 16,13); Aronne quando fu consacrato sacerdote (Lv 8,12), Eliseo (1 Re 19,16) e Isaia (Is 61,1) furono unti come profeti.

L'appellativo Gesù Cristo significa dunque il Salvatore promesso. Gesù è il sacerdote venuto a espiare i nostri peccati entrando "una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna" (Eb 9,12); Gesù è il profeta che illumina le tenebre dell'ignoranza nelle nostre anime e istruisce la nostra volontà, la "luce per illuminare le genti" (Lc 2,32) cantata da Simeone durante la presentazione al tempio; Gesù è il re venuto a regnare sui nostri cuori, affinché possano trovare la vera libertà dalle inquietudini di questo mondo, riposando in Dio. 

Matteo seleziona e antepone negli anelli della catena genealogica i nomi del re Davide e di Abramo; perché Gesù è sia il messia regale, sia colui nel quale si adempie la promessa di una discendenza numerosa come la sabbia del mare (Gn 22,17), nell'universalità della sua missione. 

La presenza di Ieconia ha una certa rilevanza: egli fu maledetto da Dio il quale gli precluse una discendenza dal trono di Davide, ma il suo nome in questa genealogia indica la capacità della grazia di prevalere sul peccato. Anche la presenza di Tamar (una prostituta) e delle altre tre donne straniere - Racab (cananea), Rut (moabita) Betsabea, moglie di Urìa l'hittita - indica che il piano di salvezza non è precluso a nessuno, e che l'irregolarità stessa della situazione in cui esse hanno concepito i loro figli non spezza il filo continuo dell'azione di grazia che Dio svolge nella storia. 

La bontà di Dio corre di generazione in generazione. Quale gloria se i nostri nomi trovassero posto nel suo libro, pur dimenticati dagli uomini!

Preghiera

Scrivi i nostri nomi sul libro della vita Signore; affinché possiamo prendere parte alla tua famiglia celeste, nonostante le nostre mancanze e per l'azione della tua grazia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 16 dicembre 2024

Fermati 1 minuto. In chi o in cosa risiede l'autorità della chiesa?

Lettura

Matteo 21,23-27

23 Entrato nel tempio, mentre insegnava gli si avvicinarono i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo e gli dissero: «Con quale autorità fai questo? Chi ti ha dato questa autorità?». 24 Gesù rispose: «Vi farò anch'io una domanda e se voi mi rispondete, vi dirò anche con quale autorità faccio questo. 25 Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?». Ed essi riflettevano tra sé dicendo: «Se diciamo: "dal Cielo", ci risponderà: "perché dunque non gli avete creduto?"; 26 se diciamo "dagli uomini", abbiamo timore della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta». 27 Rispondendo perciò a Gesù, dissero: «Non lo sappiamo». Allora anch'egli disse loro: «Neanch'io vi dico con quale autorità faccio queste cose».

Commento

La domanda dei capi dei sacerdoti del tempio riguardo l'autorità di Gesù si riferisce alla cacciata dei venditori dal cortile esterno, alla sua predicazione e alle guarigioni operate. Gesù non è un sacerdote secondo la legge, non è un levita, né uno scriba. Egli è il sacerdote celeste e "non ha bisogno, come i sommi sacerdoti, di offrire sacrifici ogni giorno, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo: lo ha fatto una volta per tutte, offrendo se stesso" (Eb 7,27). 

L'autorità di Gesù viene direttamente dal Padre; mentre i sommi sacerdoti, che rispondendo falsamente di non sapere da dove viene l'autorità di Giovanni, si mostrano ignoranti e incapaci di insegnare con autorità. 

Questo episodio evangelico ripropone a noi cristiani una domanda essenziale: da dove proviene l'autorità della Chiesa? Sappiamo che questa domanda ha generato delle risposte divisive nella storia, ma non possiamo fare a meno di porcela e di cercare una risposta. Diversamente, cadremmo nella stessa ambiguità delle autorità giudaiche con cui si confrontò Gesù. 

Mentre i protestanti riconoscono come autorità suprema la Scrittura, i cattolici aggiungono a questa il magistero della chiesa e l'autorità del vescovo di Roma; gli ortodossi, invece, si richiamano alle dichiarazioni dei concili ecumenici e dei sacri sinodi.

Di fronte a tante e diverse interpretazioni del cristianesimo si potrebbe restare confusi, ma una cosa è certa: l'autorità della Chiesa proviene direttamente dal suo capo: Gesù Cristo, che la vivifica con lo Spirito Santo, il quale ci guiderà fino al compimento escatologico della storia. La Chiesa non è orfana, non è una pecora senza pastore e non ha bisogno di un "vicario", perché non è abbandonata a se stessa. Cristo è la sua guida e parla al suo popolo mediante l'esempio della propria vita, si comunica a ogni credente mediante la grazia battesimale e il nutrimento della Santa cena.

Preghiera

Vivifica con il tuo Spirito, Signore, la tua santa Chiesa e guidala verso l'unità, affinché i tuoi discepoli siano una cosa sola con te. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 15 dicembre 2024

I tratti del buon ministro del vangelo

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA TERZA DOMENICA DI AVVENTO

Colletta

Dio Onnipotente, donaci la grazia di allontanare da noi le opere delle tenebre e rivestirci dell’armatura della luce, ora nel tempo di questa vita mortale, in cui il tuo figlio Gesù Cristo è venuto a visitarci in grande umiltà; affinché nell’ultimo giorno, quando ritornerà nella sua gloriosa maestà, per giudicare i vivi e i morti, possiamo risorgere alla vita immortale, per lui che vive e regna, con te e con lo Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen

Signore Gesù Cristo, che nella tua prima venuta hai mandato il tuo messaggero per preparare la via dinanzi a te; concedi che i ministri e dispensatori dei tuoi misteri possano allo stesso modo preparare e rendere pronta la via, convertendo i cuori disobbedienti alla saggezza e alla giustizia; affinché nella tua seconda venuta per giudicare il mondo possiamo essere trovati come popolo accettevole alla tua vista; tu che vivi e regni con il Padre e lo Spirito Santo, unico Dio, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Letture

1 Cor 4,1-5; Mt 11,1-10

Commento

All'inizio del quarto capitolo della prima lettera ai Corinzi Paolo delinea la natura del ministro di Dio. Lungi dall'essere un alter Christus egli è un subordinato, un amministratore, che dispensa un tesoro non suo. Così anche nella seconda lettera ai Corinzi l'Apostolo afferma: "Or noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra, affinché l'eccellenza di questa potenza sia di Dio e non da noi" (2 Cor 4,7).

Dinanzi a Cristo, capo della Chiesa, la posizione dei pastori è quella di un'assoluta ed umile dipendenza. Dalla grazia di Dio essi ricevono i doni necessari di conoscenza, di parola, di compassione per gli uomini; da lui la vocazione interiore. La Chiesa non può che riconoscere questi doni e questa vocazione ed accogliere con riconoscenza coloro che il Signore le manda.

A Dio appartiene l'opera alla quale i ministri consacrano le forze. Da Dio procede la benedizione che rende efficace il lavoro degli operai. A Dio devono i ministri rendere conto del loro operato. Il pastore è per la chiesa, non la chiesa per il pastore. La funzione affidata ai ministri del vangelo è quella degli economi nelle grandi case. Essi dispensano i beni del loro padrone, hanno la sovrintendenza e la cura degli altri servi a cui devono distribuire il cibo.

Gli apostoli non devono tener conto né degli apprezzamenti né delle ostilità ricevuti, affidandosi unicamente al giudizio divino che verrà alla fine dei tempi, nel giorno del Signore. La nostra capacità di consapevolezza verso il peccato è offuscata secondo Paolo; per questo egli afferma "non giudico neppure me stesso. Non sono infatti consapevole di colpa alcuna; non per questo sono però giustificato" (1 Cor 4,3-4). Non conosciamo i moti più profondi del cuore umano: né quelli altrui, né i nostri. Per questo ci è richiesta una fede assoluta nella grazia di Dio e nel potere santificante del suo Spirito. 

Tuttavia ciò non ci esime dal coltivare un grande senso di responsabilità nel mettere in pratica l'insegnamento evangelico; e a questo sono chiamati tanto coloro che si consacrano in modo speciale al ministero pastorale, quanto coloro che essi ammaestrano.

Al capitolo undicesimo del Vangelo di Matteo Gesù applica a se stesso un passo del libro di Isaia (61,1) mandando a dire a Giovanni il Battista che l'evangelo è annunziato ai poveri (Mt 11,5); laddove dobbiamo intendere non solo coloro che dispongono di scarsi mezzi materiali, ma ogni uomo con un cuore umile e un orecchio capace di mettersi in ascolto, oltre le distrazioni, le seduzioni e le illusioni mondane.

I poveri erano anche coloro che fino a quel momento i farisei e i grandi dottori della Legge avevano trascurato nella propria predicazione. Il buon ministro del vangelo deve portare la Parola a ogni uomo, anche a coloro che la società non prende in considerazione e "Beato chi non si scandalizza di me" afferma Gesù  (Mt 11,6). Beato, cioè, chi non rigetta il suo messaggio, ma sa cogliererne la profonda ricchezza.

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 14 dicembre 2024

Giovanni della Croce e la fiamma dell'amore divino

Il 14 dicembe la Chiesa Cattolica e quella Anglicana celebrano la memoria di Giovanni della Croce.

La notte fra il 13 e il 14 dicembre del 1591 si spegne all'età di 49 anni Giovanni della Croce, primo carmelitano ad aver aderito alla riforma del Carmelo operata da Teresa d'Ávila. Juan de Yepes Alvarez era nato a Fontiveros, nella Vecchia Castiglia. Di origini molto povere, dopo un'infanzia assai difficile, per potersi pagare gli studi egli dovette lavorare a lungo come infermiere nell'ospedale degli appestati. Entrato dai Carmelitani a Medina del Campo, per le sue brillanti qualità intellettuali fu mandato a studiare alla celebre università di Salamanca. Uomo dedito a un'ascesi estrema, che gli pregiudicò ben presto l'integrità fisica, Giovanni era sul punto di abbandonare il Carmelo per farsi certosino, quando l'incontro con Teresa d'Avila lo convinse della possibilità di riformare l'Ordine. Egli diede allora vita a una piccola comunità estremamente povera, ma ben presto i suoi superiori gli affidarono responsabilità di rilievo nella formazione intellettuale e spirituale dei novizi. La sua vita divenne allora un pellegrinaggio da una comunità all'altra, durante il quale Giovanni fu spesso osteggiato, a volte oltraggiato e umiliato, e comunque raramente capito dai suoi compagni. In questo itinerario di umiliazione, nel quale egli afferma di aver sperimentato l'abbandono da parte di Dio stesso nella «notte oscura» dell'anima, Giovanni trasse la forza per invocare la «fiamma d'amore» dello Spirito e per scrivere poemi e cantici spirituali che narrano l'unione sponsale dell'anima con Dio, approdo sicuro, secondo la sua esperienza spirituale, per coloro che seguono con fiducia il cammino pasquale del Signore. Per i cattolici egli è dottore della chiesa, gli anglicani lo ricordano come poeta e maestro della fede.

Tracce di lettura

Dove ti sei nascosto,
Amato, lasciandomi a gemere?
Come il cervo corresti,
dopo avermi ferito:
ti uscii dietro gridando, e te n'eri andato.
Pastori, voi che andate
da un ovile all'altro su all'altura:
se per caso vedrete chi più di tutti amo,
ditegli che soffro, languo e muoio.
Cercando il mio amore,
andrò per questi monti e rive,
non coglierò mai fiori,
né temerò le fiere,
e passerò oltre ai forti e alle frontiere.
(Giovanni della Croce, Canzoni tra l'anima e lo Sposo)


- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Giovanni della Croce (1542-1591)

venerdì 13 dicembre 2024

Fermati 1 minuto. Il sapiente operare di Dio

Lettura

Matteo 11,16-19

16 Ma a chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono: 17 Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto. 18 È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e hanno detto: Ha un demonio. 19 È venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ma alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere».

Commento

Gesù riprende con derisione i farisei, accusandoli di comportarsi in maniera infantile, scontenti sia se invitati a gioire del suo ministero - quando si siede a tavola con i peccatori per riconciliarli a Dio - sia se chiamati a fare penitenza per i propri peccati - con riferimento all'invito alla conversione e alla penitenza di Giovanni Battista.

Ogni credente rischia di cadere in questo atteggiamento, quando lamenta un eccessivo lassismo da parte dei fratelli o, al contrario, quando giustifica le proprie infedeltà ritenendo il vangelo troppo esigente.

Certi credenti vorrebbero seguire Cristo soltanto alle nozze di Cana; altri coltivano una fede prigioniera del rigore legalistico, ma più comunemente l'atteggiamento diffuso è di indolenza, come quella di bambini annoiati seduti in una piazza. 

Gesù ci chiama a conciliare la gioia dell'annuncio di salvezza e la necessità di seguirlo prendendo la nostra croce. Questo significa partecipare in pienezza al mistero pasquale, alla morte e risurrezione di Cristo, accogliendolo nella sua interezza. 

Non siamo noi a dover giudicare le vie con cui Dio agisce sugli uomini per favorirne lo sviluppo spirituale, perché sebbene lo stesso Dio operi in tutti (1 Cor 12,6), alcuni sono chiamati da una voce che grida nel deserto, altri con parole di consolazione e di gioia. Come ammonisce l'Ecclesiaste c'è "un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per fare lutto e un tempo per danzare" (Eccl 3,4). Dio sa come trattare ciascuno di noi, talvolta parlando dal tuono sul monte Sinai e talaltra esortandoci dolcemente dal monte Sion.

Perghiera

Dio di giustizia e di misericordia, concedici di vivere sempre più in profondità il mistero battesimale, per sovrabbondare della tua grazia, nella predicazione del tuo vangelo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 12 dicembre 2024

Fermati 1 minuto. Non basta avere orecchi

Lettura

Matteo 11,11-15

11 In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. 12 Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono. 13 La Legge e tutti i Profeti infatti hanno profetato fino a Giovanni. 14 E se lo volete accettare, egli è quell'Elia che deve venire. 15 Chi ha orecchi intenda.

Commento

Entrare a far parte del regno di Dio è un tal privilegio che persino il più piccolo in esso è più grande di Giovanni il Battista. Colui che è perfetto nella legge, come Giovanni, è inferiore a coloro che sono battezzati con Cristo e partecipano al mistero della grazia.

Giovanni è il più grande dei profeti dell'Antico Testamento (v. 11) perché vede con i suoi occhi colui che rappresenta il compimento delle antiche profezie, ma tutti i credenti dopo la venuta di Cristo sono più grandi di lui perché gli è rivelato in pienezza ciò che Giovanni vide soltanto in forma di "ombra". Giovanni vide lo Spirito discendere su Gesù come colomba; gli apostoli lo riceveranno su di sé e ne saranno ripieni nella Pentecoste. 

Gesù afferma che il regno dei cieli subisce violenza; letteralmente che è "rapinato" (gr. harpazo) dai violenti; i suoi avversari cercano, infatti, di impedire alla gente di entrarvi. Egli pronuncerà contro costoro una dura invettiva: "Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci" (Mt 23,13). Il richiamo alla legge e ai profeti (v. 13) rimanda al ruolo di Gesù nel portare a compimento qualcosa che fu solo intravisto da lontano.

Le parole di Gesù sono un monito a guardarci bene dagli scribi e dai farisei che anche oggi si trovano nella Chiesa, sbarrandone le porte con la loro religiosità legalistica.

Gesù porta a compimento le promesse degli antichi profeti, inaugurando la nuova era della salvezza per grazia. Giovanni è da lui paragonato a Elia, il profeta che fu rapito in cielo e del quale Israele attendeva il ritorno prima della fine dei tempi. Elia apparirà sul monte, insieme a Mosè durante la trasfigurazione (Mt 17,1-8) per redere testimonianza al Cristo. 

Di fronte all'annuncio dell'avvento dell'agnello di Dio non basta avere orecchi, perché di questi sono dotati anche gli scribi e i farisei; occorre avere l'intelligenza spirituale per comprenderne le implicazioni.

La fede nasce dall'ascolto, ma se saremo ascoltatori distratti, potremmo conoscere a memoria anche tutte le Scritture, senza trovare la strada che conduce alla salvezza. Proprio coloro che credermo rimasti indietro, come i pubblicani e le prostitute, ci passeranno avanti, per incontrare la misericordia di Dio.

Preghiera

Ti ringraziamo, Signore, per averci fatto conoscere i misteri del tuo regno; santificaci nella tua morte e resurrezione e donaci di prevalere contro tutto ciò che può separarci da te. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 11 dicembre 2024

Fermati 1 minuto. Una gioiosa partecipazione all'opera divina

Lettura

Matteo 11,28-30

28 Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. 29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».

Commento

Dopo aver proclamato la beatitudine degli umili, ai quali vengono rivelati il Cristo e il suo Regno, Gesù esorta gli affaticati e gli oppressi ad andare a lui. Costoro, paradossalmente, troveranno ristoro ponendo su di sé il giogo del Signore. Ma come è possibile essere liberati dall'oppressione sottomettendosi e vincolandosi?

Questa, purtroppo, è l'impressione che al giorno d'oggi molti hanno della fede: semplicemente una religione, ovvero un insieme di norme da rispettare, spesso con fatica. Il rischio di un cristianesimo legalista è di replicare l'oppressione generata dal modo di spiegare la legge degli scribi e dei farisei, dei quali Gesù afferma: «Legano pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito» (Mt 23,4). 

Gesù invita all'obbedienza alla sua parola, che dà ristoro perché dona la salvezza, mediante la giustificazione e la santificazione. La vita del credente è più che una religione: è un'esperienza di comunione con Dio. E poiché  Dio è il creatore di tutto e colui che governa tutto, essere "sottomessi a lui" significa regnare con lui, in lui. 

La vera religione è lontana tanto dall'arbitrio individualistico quanto dalla sterile precettistica; è un'esperienza di liberazione e di gioiosa partecipazione all'opera divina.

Gesù ci libera da tutto ciò che ci appesantisce lungo la via della salvezza; anche da quei pesi inutili che spesso noi stessi ci siamo caricati sulle spalle. Come ai suoi apostoli egli ci dice: «Venite... riposatevi un po'» (Mc 6,31).

Preghiera

Guidaci, Signore, verso la libertà dei figli di Dio; affinché attraverso la mitezza e l'umiltà possiamo regnare con te e trovare ristoro. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 10 dicembre 2024

Fermati 1 minuto. Il cuore umano di Dio

Lettura

Matteo 18,12-14

12 Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e una di queste si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti per andare in cerca di quella smarrita? 13 E se gli riesce di ritrovarla, in verità vi dico che egli si rallegra più per questa che per le novantanove che non si erano smarrite. 14 Così il Padre vostro che è nei cieli vuole che neppure uno di questi piccoli perisca.

Commento

Con la parabola della pecora smarrita Gesù restituisce un'immagine di Dio che richiama la compassione su cui si fondava già l'antica alleanza con il popolo di Israele, tante volte infedele, eppure sempre cercato e riconciliato con sé. Questa apprensione di Dio, per la salvezza del suo popolo, e che si estende, come già annunciato dai profeti dell'epoca post-esilica, a tutte le nazioni, trova compimento in Cristo. Nel buon pastore la misericordia di Dio trova un cuore umano in cui pulsare e discende nelle valli, spesso oscure, in cui risiede l'umanità smarrita.

Dio si rallegra per la salvezza del suo gregge non solo in quanto moltitudine, ma di ogni singola sua pecora. L'immagine di questo animale non deve indurci a considerare il credente come una creatura passiva nelle mani di Dio. La possibilità di allontanarci da lui segna in maniera chiara la cifra della nostra libertà personale. Ma al contempo il nostro bene si realizza all'interno di una relazione con Dio, il quale chiama ciascuno di noi per nome (Gv 10,3), riconoscendo dunque la nostra unicità. È lui che ci guida su pascoli erbosi (Sal 22,2). È lui che ci fa riposare al sicuro (Sal 4,9). L'atteggiamento del buon pastore è per i credenti un modello della sollecitudine che questi devono mostrare verso ogni uomo alla ricerca della via che conduce alla salvezza.

Preghiera

Signore, tu ci chiami per nome. Apri le nostre orecchie alla tua voce, affinché possiamo rallegrarci con te della nostra salvezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 9 dicembre 2024

Fermati 1 minuto. Al di sotto o al di sopra della parola?

Lettura

Luca 5,17-26

17 Un giorno sedeva insegnando. Sedevano là anche farisei e dottori della legge, venuti da ogni villaggio della Galilea, della Giudea e da Gerusalemme. E la potenza del Signore gli faceva operare guarigioni. 18 Ed ecco alcuni uomini, portando sopra un letto un paralitico, cercavano di farlo passare e metterlo davanti a lui. 19 Non trovando da qual parte introdurlo a causa della folla, salirono sul tetto e lo calarono attraverso le tegole con il lettuccio davanti a Gesù, nel mezzo della stanza. 20 Veduta la loro fede, disse: «Uomo, i tuoi peccati ti sono rimessi». 21 Gli scribi e i farisei cominciarono a discutere dicendo: «Chi è costui che pronuncia bestemmie? Chi può rimettere i peccati, se non Dio soltanto?». 22 Ma Gesù, conosciuti i loro ragionamenti, rispose: «Che cosa andate ragionando nei vostri cuori? 23 Che cosa è più facile, dire: Ti sono rimessi i tuoi peccati, o dire: Alzati e cammina? 24 Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati: io ti dico - esclamò rivolto al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua». 25 Subito egli si alzò davanti a loro, prese il lettuccio su cui era disteso e si avviò verso casa glorificando Dio. 26 Tutti rimasero stupiti e levavano lode a Dio; pieni di timore dicevano: «Oggi abbiamo visto cose prodigiose».

Commento

Gli scribi e i farisei menzionati in questo passaggio evangelico vengono da lontano, fin da Gerusalemme. La fama di Gesù si è diffusa e i dottori della legge cominciano a guardarlo con sospetto. Gli scribi e i farisei non siedono ai piedi di Gesù per ricevere la sua parola, ma si innalzano sopra di essa, per giudicarla e condannarla. Questo è l'atteggiamento di coloro che ancora oggi si avvicinano alla parola di Dio non per essere illuminati da essa ma per manipolarla o piegarla ai propri interessi. 

Diverso è l'atteggiamento degli amici del paralitico, che non potendo raggiungere Gesù a causa della folla, salgono sul tetto della casa e si aprono un varco per calare l'amico proprio davanti ai suoi piedi. Gesù è ammirato da tanta fede e dalla carità mostrata con questo atto di intercessione e non può restare indifferente. 

D'altra parte è Gesù stesso che ci esorta a insistere, con la parabola dell'amico importuno  (Lc 11,5-8) e con quella della vedova che chiede giustizia al giudice iniquo (Lc 18,1-8). Il tema della speranza che non si ferma davanti ad alcun ostacolo sembra particolarmente caro all'evangelista Luca.

Secondo una credenza palestinese dell'epoca di Gesù, risalente alla tradizione veterotestamentaria (Es 20,5; Dt 5,9), la malattia e le infermità sono una conseguenza dei peccati propri o di quelli degli antenati (cfr. anche Gv 5,14 e 9,2). 

Gesù ignora la paralisi e si rivolge alla necessità più grande dell'uomo, agendo non come un semplice guaritore, ma come colui che ha ricevuto dal Padre l'autorità di rimettere i peccati.

Cristo ci insegna a cercare il perdono di Dio prima ancora della guarigione dalla malattia. Il peccato è infatti di per sé una "paralisi" della nostra vita spirituale, bloccata nella sua crescita e incapace di camminare sulle vie di Dio. 

Ma chi riconosce l'autorità della parola del Signore e l'accoglie con fede sperimenta quella potenza - la potenza dello Spirito - che opera prodigi, suscitando lode e timore (v.26); quest'ultimo da intendersi non come paura, ma come rispetto per colui che pone sotto il suo sguardo benevolo le nostre vite.

Preghiera

Signore, donaci il coraggio di non fermarci di fronte agli ostacoli di questa vita, ma di accogliere con fede la tua parola di salvezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona