Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

martedì 31 ottobre 2023

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Lettura

Luca 13,18-21

In quel tempo, diceva Gesù: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami». E disse ancora: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».

Commento

L'idea del regno di Dio che si estende come un maestoso albero, all'ombra del quale si radunano tutte le nazioni richiama alcuni passaggi messianici dell'Antico Testamento (Ez 17,23; 31,6). Le parole di Gesù sono un invito alla pazienza e alla speranza, al superamento dell'ossessione contabilizzatrice nel considerare la crescita della Chiesa e i nostri progressi spirituali. Gesù ci esorta a puntare sulla qualità, su quel lievito capace di far fermentare tutta la pasta.

Le parabole del granello di senapa e del lievito mettono in luce il sorprendente contrasto tra i piccoli inizi del Regno e la sua meravigliosa espansione. Le due immagini rappresentano l'azione di Dio, che si compie silenziosamente e nel segreto. L'opera della grazia nelle nostre anime e nel mondo non avviene in modo improvviso e "fragoroso", ma può essere scorta da orecchie capaci di ascoltare e occhi capaci di vedere ciò che opera nel segreto; necessita di un cuore capace dell'attesa, come il contadino che semina e come la donna che prepara il pane. 

Dai piccoli segni possiamo intuire un esito che sarà sorprendente, rappresentato in queste due parabole dalla maestosità del cespuglio di senape in cui si rifugiano gli uccelli e dalla quantità di farina - circa sessanta chilogrammi! - che poco lievito fa panificare. Il Regno di Dio potrà così accogliere uomini di ogni popolo e nazione e saziare tutti coloro che hanno fame e sete di giustizia.

Preghiera

Signore, accresci la nostra fede affinché i nostri occhi possano aprirsi all'opera che la tua grazia compie incessantemente nei nostri cuori. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Matti e Santi. Rueiss e la tradizione degli Stolti per Cristo

La Chiesa copta ricorda oggi Rueiss, vagabondo di Dio e folle per Cristo. Nato attorno al 1334 in un villaggio del delta del Nilo da una famiglia di poveri contadini, fin da ragazzo il giovane Furayǧ dovette aiutare i genitori nel duro lavoro dei campi, aiutato da un piccolo cammello che egli chiamava Rueiss, «piccola testa». Allo scoppio di feroci persecuzioni contro i cristiani, il padre di Furayǧ rinnegò la fede. Il ragazzo fuggì, assunse il nomignolo che aveva dato al proprio cammello e visse da itinerante, nella povertà estrema e vagando per tutto l'Egitto. Per sfuggire alla stima che ovunque si attirava per la sua santità, Rueiss simulò la pazzia, si fece chiamare Tegi, «il matto», e cominciò a girare nudo e a rifiutarsi di parlare, anche quando veniva percosso e umiliato.

San Rueiss

Uomo di grande preghiera, «contemplatore di Dio», Rueiss morì il 21 bābah del 1404, pari al 18 ottobre del calendario giuliano, e fu sepolto nella piccola chiesa di San Mercurio, nella località chiamata Dayr al-Handaq. Tale chiesina fu restaurata nel 1937, e attorno ad essa sono sorti l'Istituto superiore di studi copti, la nuova sede del Patriarcato copto e la nuova cattedrale del Cairo. L'insediamento è denominato, in memoria dell'amato folle per Cristo, « Anba Rueiss».
A sottolineare l'importanza che il santo riveste nella devozione popolare della chiesa, il nome di Rueiss è stato inserito nel canone della liturgia eucaristica copta.

I Folli di Cristo nella tradizione dei Padri del Deserto e nella Chiesa Russa

La stoltezza in Cristo (in russo, юродство, jurodstvo), è una particolare forma di ascetismo presente nell'esperienza della Chiesa ortodossa.

Colui che intraprende tale via religiosa è chiamato юродивый (jurodivyj, plurale jurodivye), cioè stolto in Cristo, o pazzo di Dio. Gli stolti in Cristo sono asceti o monaci russi che abbandonano la sapienza umana per scegliere la "sapienza del cuore". Ancor oggi presenti sul territorio russo, si aggirano per le città vestiti di stracci, mortificando il corpo attraverso digiuni e lunghe veglie e dormendo all'aperto o nelle case di chi offre loro ospitalità.

Il loro comportamento differisce a seconda delle situazioni: se mentre sono in mezzo alla folla simulano pazzia e trattano a male parole chiunque, ricco o povero (credendo che approcciandosi in diversa maniera si allontanino dal volere di Dio), in privato sono calmi e assennati e non disdegnano di offrire aiuto, il più delle volte sotto forma di consiglio, a chi si rivolge loro.

Ritenuti dalle credenze popolari capaci di miracoli e di prevedere il futuro, sono trattati con il più profondo rispetto da ogni fascia sociale della popolazione e molto spesso venerati già in vita. In certi casi sono anche oggetto di pubblico disprezzo (quest'ultimo talvolta da essi ricercato come ulteriore mezzo di ascesi).

I modelli a cui gli stolti in Cristo si ispirano sono principalmente due e derivano entrambi dalle opere di San Paolo di Tarso, o attribuite ad esso, contenute nel Nuovo Testamento.

Lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi

Testo fondamentale per questa peculiare forma di ascetismo è la Prima Lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi, poiché in essa è contenuta una vera e propria dichiarazione di intenti, a cui tutti gli "Stolti" faranno riferimento nel corso della loro vita per giustificare la propria condotta:

«Noi siamo gli Stolti per la causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi siamo deboli, ma voi forti; voi siete onorati, noi reietti. Fino a questo momento soffriamo la fame. la sete, la nudità, veniamo schiaffeggiati, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo con le nostre mani. Insultati benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino a oggi» (Prima lettera ai Corinzi, 4,10-13)

Attraverso l'ostentazione di una finta stoltezza, le persone che si richiamano a questo modello denunciano i limiti della sapienza e dell'intelletto umano partendo dallo stesso modello paolino. Appare in questo modo un vero e proprio mondo alla rovescia laddove, così come "Gesù annuncia la croce e con la croce [...] il suo modo assolutamente nuovo di essere re, un modo totalmente contrario alle aspettative della gente" (Papa Benedetto XVI, Catechesi 24 maggio 2006), così anche gli Stolti in Cristo, facendo leva su quello che può sembrare un paradosso, affermano tramite la propria stoltezza la fatuità di ogni tipo di ragionamento, di "logos", che basi il proprio esistere unicamente sulla razionalità umana.
Ed è in base a tale assunto che lo stesso Paolo, così come faranno gli asceti che si riferiranno alle sue parole, arriva ad affermare:

«Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato per ridurre al nulla le cose che sono» (Prima lettera ai Corinzi, 1,27-28

Lettera agli Ebrei

Seppur in misura ridotta rispetto all'esempio precedente, l'autore delinea il modello di vita aderente alla Stoltezza in Cristo nella Lettera agli Ebrei, laddove per dare un esempio sulla santità, racconta di uomini che nei tempi passati

«Vagavano coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati - di loro il mondo non era degno! - tra i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra» (Lettera agli Ebrei, 11,37-38.)

Seppur tale modello di vita non faccia alcun riferimento alla pazzia e delinei una condotta molto simile a quella degli asceti che nei secoli successivi popoleranno il Deserto di Scete è indubbio che lo sradicamento ed il continuo vagare che l'autore descrive sia molto simile alla condotta posta in essere dai primi esponenti di Stolti in Cristo, come dimostra chiaramente la vita dei Santi Bessarione e Simeone di Edessa che per gran parte della loro vita vagarono in luoghi inospitali mortificando il proprio corpo e mostrandosi con difficoltà agli altri uomini).

Attraverso l'ostentazione di una finta stoltezza, le persone che si richiamano a questo modello denunciano i limiti della sapienza e dell'intelletto umano partendo dallo stesso modello paolino. Appare in questo modo un vero e proprio mondo alla rovescia laddove, così come "Gesù annuncia la croce e con la croce [...] il suo modo assolutamente nuovo di essere re, un modo totalmente contrario alle aspettative della gente" (Papa Benedetto XVI, Catechesi 24 maggio 2006), così anche gli Stolti in Cristo, facendo leva su quello che può sembrare un paradosso, affermano tramite la propria stoltezza la fatuità di ogni tipo di ragionamento, di "logos", che basi il proprio esistere unicamente sulla razionalità umana.
Ed è in base a tale assunto che lo stesso Paolo, così come faranno gli asceti che si riferiranno alle sue parole, arriva ad affermare:

«Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato per ridurre al nulla le cose che sono» (Prima lettera ai Corinzi, 1,27-28.)

Storia

Bacino mediterraneo

I primi esempi di Stolti in Cristo nella Storia cristiana possono essere individuati nel IV secolo in Egitto e successivamente, a partire dal VI secolo, nell'Impero bizantino. Qui questa tipologia di ascetismo inizierà ad interessare in maniera sempre più rilevante l'ambiente cittadino e gli Stolti, prima auto-relegatesi per lo più in luoghi deserti e inospitali, inizieranno a manifestare la propria follia a un numero sempre maggiore di persone. Le figure di Santi Stolti emerse in questo periodo storico, e in maniera particolare quelle di Simeone di Edessa e di Andrea di Costantinopoli, furono estremamente rilevanti per gli Jurodivyj russi, che sul loro esempio modelleranno il proprio modus agendi nei secoli successivi.

Russia

Dopo la caduta dell'Impero romano d'Oriente ad opera degli Ottomani il fenomeno ascetico in quanto tale scomparve nel bacino mediterraneo mentre si sviluppò nelle terre russe. Il primo e unico esempio di Stolto in Cristo nella Rus' di Kiev fu Isacco di Pečerska, monaco del Pečerska Lavra che nell'XI secolo ebbe il merito di esportare tale forma di ascetismo al di fuori dei confini dell'Impero bizantino.

La sua esperienza in tal senso, che giunse tuttavia solo in tarda età, non fu imitata da altri religiosi, almeno fino alla fine del XIII secolo quando fu reintrodotta in Russia da Procopio di Ustiug, mercante tedesco neoconvertito alla religione ortodossa. La Stoltezza in Cristo si svilupperà da allora principalmente nei territori settentrionali di quello che sarà l'Impero Russo, corrispondenti all'incirca alla parte europea della Russia odierna. A livello storico è possibile distinguere due periodi di sviluppo di questo fenomeno ascetico:

La stoltezza nelle città

In Russia tale movimento ascetico ebbe il proprio inizio nelle città: due furono i luoghi dove il fenomeno si manifestava pienamente: la chiesa e la piazza. Nella prima lo Stolto era solito ritirarsi, sovente in solitudine, in preghiera, nella seconda svolgeva invece la propria vita sociale, fatta sì di pazzia simulata ma anche di carità verso quelle persone che, pur non avendo scelto la povertà tramite un proprio atto volitivo, erano ad essa soggiogate.

Caratteristica comune a tutti gli Jurodivyj era infatti un'estrema attenzione agli strati più bassi e bisognosi della popolazione, visti non come "massa" ma come una pluralità di individui ognuno dei quali aveva bisogno di un'attenzione particolare: per questo (e per la consapevolezza che la giustizia sociale non è di questa terra) lo Stolto non lancia mai proclami politici, ma cerca invece di essere di costante aiuto alla moltitudine di individualità che incontra, alle volte dividendo con il povero il cibo stesso che gli era stato donato in carità. Ritenuti dalle credenze popolari capaci di miracoli e di prevedere il futuro, godevano inoltre di uno status particolare che permetteva loro di esprimersi come meglio credevano persino con le più alte cariche dello Stato senza che potesse venir loro inflitta punizione alcuna.

Esemplare a tal proposito fu il rapporto che si instaurò tra Ivan il Terribile e lo Stolto San Basilio il Benedetto, il quale non esitava ad ogni piè sospinto a giudicare pubblicamente ed inveire nei confronti dello zar davanti alla sua stessa persona; Ivan, passato alla storia come "il Terribile" per il modo in cui trattò e uccise i propri avversari politici, non solo non prese alcun provvedimento nei confronti dello Stolto ma corse al suo capezzale poco prima che questi morisse, giungendo infine a trasportarne la bara durante il funerale. In piazza così come in chiesa tuttavia il comportamento imprevedibile dello stolto ed il rispetto di cui godeva, iniziarono a risultare sgraditi a quella parte della classe dirigente russa che nel XVIII secolo mirava a un riammodernamento del tessuto sociale.

Proprio nel tentativo di europeizzare la cultura del Paese, nel 1721 Pietro il Grande sostituì il Patriarcato di Mosca con un sinodo che, nel 1722, emanò un decreto in cui, dipingendo gli Stolti come degli ipocriti, veniva dato mandato alla polizia di arrestare chiunque fosse stato sorpreso a "simulare" in tal modo la propria fede nei luoghi pubblici, provvedendo all'incarcerazione o alla detenzione forzata in un monastero.

Tuttavia, malgrado le resistenze iniziali da parte della polizia zarista, grande risonanza ebbe per molti decenni del secolo la stolta Ksenija di Pietroburgo, tanto da essere venerata già in vita come santa e persona capace di compiere miracoli o profetizzare il futuro. Ksenija è stata poi canonizzata dalla Chiesa ortodossa russa.

La stoltezza nelle campagne

A causa di tale decreto e dei molti dello stesso tenore che si susseguiranno fino al ripristino del Patriarcato (avvenuto nel 1917) il fenomeno degli Stolti in Cristo conobbe una radicale trasformazione: riducendosi drasticamente dalle città più grandi si trasferì nelle campagne, dove il potere del Sinodo era meno forte. Allo stesso modo la presenza maschile, quasi totalitaria prima del 1722, lasciò campo a quella femminile.

Quest'ultima tendenza può essere spiegata con l'ipotesi che l'opinione pubblica, soprattutto nelle campagne, mal avrebbe sopportato una repressione della religiosità femminile. Tale sentimento, diffuso non solo nella popolazione rurale, fu tenuto in conto anche dal regime sovietico che, pur cercando di soffocare il sentimento religioso della popolazione, non riuscì ad impedire alle sante stolte di vivere nell'ascetismo, come è dimostrazione la vita di Matrona la Cieca.

Celebri Stolti in Cristo

Bessarione di Egitto

Bessarione (IV secolo – V secolo) è stato un monaco cristiano egiziano vissuto intorno al IV - V secolo in Egitto, peregrinando nel Deserto di Scete (o Nitria), uno dei luoghi più inospitali della regione.
Padre del deserto, è venerato come santo dalla Chiesa copta, cattolica e ortodossa, che lo ricordano rispettivamente il 6 e il 17 giugno.

SanBessarion.jpg

Gran parte di quello che sappiamo sulla vita del santo ci è stato tramandato dalla raccolta dei Detti dei Padri del deserto. Battezzato durante la sua adolescenza partì in peregrinazione verso i luoghi sacri. Visitò nell'entroterra giordano alcuni monasteri skiti e assimilò dal suo viaggio le leggi della vita monastica.
Al suo ritorno ricevette la tonsura monastica e diventò discepolo di Sant'Isidoro di Pelusium. Da allora iniziò la sua vita di Stolto in Cristo, così come erano chiamati coloro che sceglievano di vivere la propria fede simulando la pazzia, in miseria e disprezzando il proprio corpo per poter meglio partecipare alla passione di Gesù, e di cui Bessarione è ritenuto il primo esponente nella storia. Secondo la sua agiografia scelse infatti di disprezzare il proprio corpo rimanendo sempre all'aperto, vestito solo di pochi stracci e incurante del caldo e del freddo. Mangiava solo una volta alla settimana, passava il proprio tempo vagabondando in vaste regioni inospitali e sabbiose dormendo sempre sotto la volta del cielo e mai sdraiato ma sempre in piedi o seduto. Una leggenda racconta che una volta rimase per quaranta giorni e quaranta notti in preghiera, astenendosi dal mangiare e dormire. Morì in età avanzata.

Detti raccontano che Bessarione avrebbe ricevuto da Dio il dono di compiere miracoli e avrebbe utilizzato tale facoltà per dissetare i suoi discepoli assetati facendo con la sola sua preghiera sgorgare fiumi nelle terre desolate da lui abitate.

Si racconta che la sua umiltà fosse talmente grande che una volta, mentre visitava uno Skita, vedendo un sacerdote che scacciava un novizio colto in peccato fosse accorso verso i due esclamando "Anch'io sono un peccatore". Il suo nome è in alcuni casi sostituito a quello di san Pafnuzio nella leggenda della conversione di santa Taide.

Simeone di Edessa

Simeone di Edessa, detto anche San Simeone Salos, cioè Stolto (Emesa, ... – Emesa, 550), è stato un monaco cristiano siriano, venerato come santo dalla Chiesa ortodossa e da quella cattolica.


Nato da una famiglia agiata di Emesa, l'odierna Homs, visse fino all'età di trent'anni insieme con la propria madre, che lasciò solo per compiere, insieme all'amico d'infanzia Giovanni, un pellegrinaggio a Gerusalemme in occasione della festa dell'Esaltazione della Croce. Le sue agiografie, contenute nelle opere Storia ecclesiastica di Evagrio Scolastico e Symeonis Salis Confessoris del vescovo di Limisso di Cipro Leonzio di Neapoli, narrano che i due compagni dopo che sulla via del ritorno avevano visitato alcuni monasteri sul fiume Giordano, decisero di dedicarsi interamente alla vita monacale.

In poco tempo furono consacrati monaci ma, essendo desiderio di Simeone dedicarsi interamente alla vita ascetica nel deserto, abbandonarono il monastero ove erano stati ordinati.

Dopo 29 anni vissuti in contemplazione nel deserto Simeone tornò solo nella propria città natale, ove condusse la vita di "Stolto in Cristo", così come erano chiamati coloro i quali, fingendo pazzia e sottoponendosi ad ogni sorta di penitenza, credevano di avvicinarsi alle sofferenze patite da Gesù nel Calvario. La sua vita in città non fu priva di aneddoti curiosi e significativi, così come ci racconta Evagrio Scolastico nella sua opera. Apparendo a tutti "in uno stato alterato" non salutava chi incontrava, scappando se qualcuno gli rivolgeva la parola nella convinzione che questi "volesse rubare la sua virtù".

A causa di tali comportamenti era spesso visto in cattiva luce dalla popolazione locale la quale, fuggendo Simeone dalla compagnia degli altri, non poteva sapere se e quando il monaco pregava Dio o digiunava, tanto più che questi non era avulso dall'introdursi furtivamente nelle locande per mangiare tutto ciò che gli si parava davanti.

Vi era tuttavia una stretta cerchia di persone con la quale Simeone si mostrava sincero e affabile.
Tra questi vi era una serva la quale, rimasta incinta, incolpò Simeone del suo stato. Il santo, come ci racconta la Storia ecclesiastica, non fece nulla per contraddirla, affermando anzi con le persone che incontrava che era successo proprio quanto si raccontava poiché "la carne era debole". Solamente quando giunse il parto e alcuni familiari della serva si rivolsero a lui perché vi erano complicanze e volevano che il monaco pregasse per la salute della partoriente che il santo rivelò che la donna non riusciva a sgravarsi solo e unicamente perché non aveva rivelato il nome del padre del nascituro. Quando finalmente lo rivelò, secondo le fonti agiografiche, anche il bambino nacque.
Si racconta che vi fu grande scandalo per Edessa quando il santo fu sorpreso ad introdursi negli alloggi di una prostituta. Interrogata la donna rivelò che Simeone si era recato in casa sua per donarle da mangiare, essendo più di tre giorni che la stessa era rimasta malata e senza cibo, mostrando nel contempo i resti dei cibi che le erano stati portati.
Leggenda vuole che poco prima di un terremoto il monaco iniziò a colpire con una frusta le colonne presenti nel foro gridando "Voi state; voi dovete saltare". Alcuni testimoni presenti al fatto, conoscendo le virtù profetiche del santo, segnarono le colonne indicate le quali, dopo il terremoto, furono le uniche a rimanere erette.
La sua memoria liturgica cade il 21 luglio.

Andrea di Costantinopoli

Andrea di Costantinopoli (IX secolo – 936) è stato un asceta bizantino, considerato santo dalle Chiese ortodosse; il suo appellativo Stolto in Cristo sta ad indicare coloro che, simulando la pazzia, vivendo della carità e disprezzando il proprio corpo erano convinti di partecipare più attivamente alla passione di Gesù.

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Slavo di nascita, fu venduto in giovinezza come schiavo a Teognosto, un ricco mercante di Costantinopoli, ai tempi dell'imperatore Leone il Saggio. Istruito dal suo padrone nella lettura e nella scrittura, secondo le fonti agiografiche sulla sua vita, Andrea iniziò a pregare ferventemente e con grande devozione fino a che, obbedendo alla visione di un angelo, che dopo averlo benedetto gli diceva «noi siamo folli per l'amore di Dio», decise di dedicarsi totalmente ad una vita ascetica.

Le sue Vite narrano che un giorno, mandato dal suo padrone a prendere l'acqua da un pozzo, preso da frenesia, fu visto spogliarsi dei suoi vestiti e farli a pezzi. Riferita questa vicenda a Teognosto, questi decise di ridurlo in catene e trasportarlo fino alla Chiesa di Sant'Anastasia perché venisse curato dalle preghiere del clero. Non portando tale condotta a nessun risultato concreto e anzi continuando Andrea a dimenarsi e a strapparsi di dosso le vesti (secondo le agiografie del Santo incoraggiato in questo da una visione di Sant'Anastasia stessa), fu considerato pazzo dal suo padrone e, poiché non era più di nessuna utilità, fu lasciato libero di andarsene dalla casa padronale.
Trascorse così la sua vita simulando la pazzia di giorno e trascorrendo notti intere in preghiera senza un tetto e senza dormire, vivendo dell'elemosina che gli era concessa. Fonti agiografiche narrano che dividesse poi quest'ultima con gli altri postulanti, riservando per sé stesso solo un misero pezzo di pane.
Ritenuto santo già in vita dalla popolazione di Costantinopoli, poiché lo si riteneva capace di visioni mistiche e profetiche, morì dopo una vita trascorsa nel più rigoroso ascetismo.
È venerato come santo dalle Chiese ortodosse che lo ricordano il 15 ottobre (2 ottobre per il calendario giuliano).
Le sue Vite furono portate fino in Russia dove ebbero un ruolo importante nell'affermazione del movimento dei "folli in Cristo" che in quel paese perdurerà fino in epoca moderna.
È venerato come santo dalle Chiese ortodosse che lo ricordano il 15 ottobre (2 ottobre per il calendario giuliano).

Isacco di Pečerska

Isacco di Pečerska, al secolo Čern (... – Monastero delle grotte di Kiev, 1090), è stato un monaco cristiano ucraino. È venerato come santo dalla Chiesa ortodossa russa che lo ricorda il 14 febbraio.
Le sue agiografie, in larga parte rielaborazione dei testi tramandatici da Nestor di Pečerska, raccontano provenisse da una famiglia agiata di Pskov e che, prima di dedicarsi alla vita monastica, fosse stato un ricco mercante. Lasciati tutti i suoi beni ai poveri si recò a Kiev, nel neo-costituito Monastero delle grotte di Kiev, ove fu ordinato monaco da Antonio di Pečerska.

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Scelse la via monastica dell'eremita, installandosi in una grotta lontana da quella degli altri monaci e avendo pochissimi contatti con gli stessi. Rimanendo sempre in reclusione, mangiava solo un piccolo pezzo di pane alla fine della giornata, centellinando anche l'acqua. Dopo sette anni di eremitismo le sue agiografie raccontano che fu tentato dal diavolo il quale lo trasse in inganno presentandosi ai suoi occhi come Gesù Cristo. Scoperto l'inganno si ammalò gravemente e sopravvisse solo grazie alle cure costanti che Antonio e Teodosio di Pečerska prodigavano verso di lui. Solo dopo tre anni tornò a parlare e a camminare. Durante la sua guarigione, resosi conto dell'errore che aveva commesso fidandosi del maligno, espresse più volte il desiderio di non presenziare alle funzioni religiose per vergogna, ma fu trasportato a queste con la forza dagli altri monaci.

Una volta rimessosi in forze iniziò la vita di "Stolto in Cristo", così com'erano chiamati coloro i quali simulando pazzia, vivendo in povertà e pregando incessantemente ritenevano di poter prendere parte alla Passione di Gesù. Viene a tal proposito ritenuto il primo rappresentante di questo movimento in Russia e l'unico nella Rus' di Kiev. Secondo le agiografie del santo i suoi comportamenti mutarono profondamente rispetto a prima della malattia: iniziò a vagare per il monastero parodiando e ingiuriando le persone che incontrava e, più di una volta, tali comportamenti causarono l'ira dell'egumeno e degli altri monaci, che non esitavano a punirlo picchiandolo duramente. Alla morte di Antonio andò a rifugiarsi nella grotta di quest'ultimo, dove, secondo il materiale agiografico pervenutoci, fu di nuovo tentato dal maligno, a cui sfuggì grazie alla continua preghiera e alla nuova consapevolezza della sua fede. Si spense nel 1090.

Basilio il Benedetto

Basilio il Benedetto, noto anche come Vasily Blazhenny, o "Basilio stolto in Cristo", in russo: Василий Блаженный (Elochovo, dicembre 1468 – Mosca, 2 agosto 1552 o 1557) fu uno Stolto in Cristo ed è venerato dalla Chiesa ortodossa russa.

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Nato in un villaggio di contadini vicino a Mosca, fu affidato fin dall'infanzia come apprendista a un calzolaio, adottò già in gioventù un modello di vita eccentrico che lo spingeva a rubare nei negozi donando poi la refurtiva ai poveri di Mosca. Iniziò quindi a girare per le strade nudo e legato a delle catene, passando la notte in preghiera sotto i portici delle chiese, pur accettando alle volte l'ospitalità della vedova boiara Stefanida Jurlova.
Sentiva come propria la missione di aiutare i poveri e ricondurli alla fede: per questo preferiva la compagnia dei mendicanti e degli esclusi, arrivando a visitare periodicamente i reclusi di una prigione per ubriachi presente a Mosca per parlare con loro e cercare di convincerli a cambiar vita.
A chi lo interpellava si fingeva muto o, nel migliore dei casi, balbettante ma, come ci raccontano le descrizioni della sua vita contenute nei sinassari, non esitava a rimproverare ad alta voce i boiari ingiusti quando lo riteneva opportuno. Le numerose tradizioni sul suo conto, quali, ad esempio, quelle contenute nel Sinassario dei santi ortodossi, ci raccontano molti episodi riguardo alla sua vita: durante il giorno passava la maggior parte del suo tempo a tirare sassi sui muri delle case dove vivevano persone pie, perché abbracciati ad esse vedeva diavoli che cercavano di entrare, e ad abbracciare invece le case dove vivevano i boiardi e le persone malvagie, perché sosteneva che presso i loro muri rimanessero gli angeli che i peccatori avevano cacciato dalle proprie vite.

Si spense il 2 agosto 1552, attorniato dalla famiglia reale che gli aveva in vita manifestato una devozione così profonda che, come narrano le biografie di Ivan il Terribile, il giorno del suo funerale lo zar volle trasportare per una parte del tragitto la bara del santo, nonostante quest'ultimo lo avesse sempre rimproverato apertamente in vita per la sua politica sanguinaria.
È sepolto nella cattedrale di San Basilio a Mosca, commissionata da Ivan il Terribile. Ulteriore testimonianza della venerazione della famiglia reale che in passato, il 2 agosto, aveva come usanza quella di partecipare alla messa in sua commemorazione.
Tra i numerosi miracoli che vengono attribuiti al santo dai sinassari e dalle numerose Vitae a lui dedicate vi sono i seguenti:

Si narra che a sedici anni, mentre ancora svolgeva il compito di apprendista da un calzolaio, alla richiesta di un ricco cliente che aveva ordinato un gran quantitativo di scarpe fosse d'un tratto scoppiato a ridere. Alla dura reprimenda del proprio datore di lavoro, che gli chiedeva la causa del suo comportamento inqualificabile, rispose che gli era sembrato buffo che un uomo che sarebbe morto il giorno dopo avesse ordinato una quantità di scarpe sufficiente per svariati anni: quando la profezia si avverò Basilio abbandonò il proprio lavoro e iniziò la sua vita di "Stolto in Cristo". La vicenda ispirò peraltro il racconto Cosa fa vivere gli uomini di Lev Tolstoj.
Durante la sua vita pose in essere comportamenti che potevano essere scambiati per quelli di un pazzo ma che in realtà, secondo le tradizioni pervenuteci, avevano tutti una ragione di fondo, suggerita dal suo istinto profetico: una volta rovesciò le bancarelle del mercato di tutti gli alimenti accettando poi con gioia le violenze dei venditori. Si scoprì in seguito che sia il cibo che il Kvas venduto da quelle bancarelle erano adulterati. Un'altra volta si scagliò contro l'immagine della Madonna portata in processione presso la porta di Santa Barbara scrostandola e scoprendo sotto di essa la raffigurazione di un demonio;
Lo zar Ivan il Terribile, venuto a conoscenza della presenza di Basilio per le strade di Mosca volle tentarlo donandogli una discreta quantità d'oro per poi farlo seguire e verificare che lo donasse effettivamente ai poveri: le guardie che lo avevano pedinato riferirono invece allo zar che le aveva regalate a un boiaro vestito con abiti sontuosi. Chiese allora di persona a Basilio il perché di tale comportamento e questi gli rispose che il boiaro in questione aveva perso tutte le sue ricchezze nel naufragio di una nave, che quei vestiti erano le uniche cose che gli rimanevano e che si vergognava a chiedere in prestito ad altri;
Invitato a corte lo zar lo sorprese a gettare vino dalla finestra: chieste spiegazioni Basilio rispose che stava spegnendo un incendio a Novgorod. Tempo dopo lo zar venne a sapere che un focolaio di incendio si era effettivamente manifestato quel giorno ma che non si era potuto propagare perché un uomo nudo, che gli emissari del sovrano riconobbero in Basilio, era passato in mezzo alle case a gettarvi acque e estinguerlo;
Durante una funzione religiosa rimproverò Ivan il terribile di non prestare la dovuta attenzione essendo troppo impegnato a pensare al nuovo palazzo che aveva intenzione di erigere sul monte dei Passeri: si narra che da quell'episodio il sovrano iniziò a temere il santo, che era stato capace di leggergli nella mente, e a manifestare verso di lui un rispetto ancora più grande;
Nel 1547 Basilio fu visto disperarsi nei pressi della Chiesa del Monastero dell'Esaltazione della Santa Croce, punto da cui, alcuni giorni dopo, ebbe inizio un incendio che devastò Mosca.

Ksenija di Pietroburgo

Ksenija Grigor'evna Petrova, Святая блаженная Ксения Петербургская (1719/1730 – 1803), è stata una religiosa russa, "Stolta in Cristo" vissuta nel XVIII secolo a San Pietroburgo (allora Pietroburgo) durante il regno delle imperatrici Elisabetta e Caterina e venerata come santa dalla Chiesa ortodossa russa.

«Qui giace la serva di Dio Ksenija Grigorievna, moglie del colonnello Andrea Fedorovič, cantore del coro imperiale. Rimasta senza marito all'età di 26 anni ha vagabondato per 45 anni. È vissuta 71 anni e si faceva chiamare Andrea Fedorovič» (Iscrizione commemorativa sul sepolcro di Ksenija , San Pietroburgo)

La sua vita viene narrata con dovizia di particolari nell'opera Raba Božia Ksenija, agiografia della santa redatta nel 1895 da Dimitrij Bulgakovskij. Poco si sa sulle sue origini e sui primi anni della sua vita. Sposata con un ufficiale dell'esercito, il Maggiore Andrej Fëdorovič Petrov, rimase vedova all'età di 26 anni dopo la morte di quest'ultimo, stroncato in una festa dall'eccessivo alcool assunto. Le sue agiografie ci narrano che, sconvolta dal dolore per la prematura perdita e dal fatto che il marito fosse morto repentinamente senza aver avuto il tempo di confessarsi e comunicarsi, perse ogni interesse per la vita materiale e decise di seguire il cammino degli "Stolti in Cristo", così come erano chiamati coloro che, seguendo la lettera evangelica (Prima lettera ai Corinti 1:18-24, 2:14, 3:18-19) vivevano di carità vagabondando per le strade e disprezzando il proprio corpo, credendo in tal modo di prendere parte alla Passione di Cristo.

Iniziò così a vestirsi con gli abiti del marito, insistendo nel farsi chiamare Andrej Fëdorovič e ripetendo a chi incontrava che era Ksenija ad essere deceduta e non suo marito. Quando iniziò a distribuire le proprie case e i propri possedimenti ai poveri i suoi parenti si rivolsero alle autorità le quali la giudicarono tuttavia capace di intendere e di volere e di disporre come meglio gradiva dei propri averi, permettendo quindi alla stessa di regalare tutto quello che aveva. Iniziò in tal modo a vagabondare sola per le strade di San Pietroburgo, senza avere un posto dove ripararsi dal freddo e dalle intemperie e rifiutando sdegnosamente ogni offerta di aiuto da parte dei parenti che avevano cercato di farla interdire.

Quando l'uniforme rosso-verde di suo marito iniziò ad andare in pezzi, si vestì con degli stracci dello stesso colore. Poco dopo l'inizio della sua nuova vita lasciò Pietroburgo per 8 anni, viaggiando per la Russia al fine di ottenere istruzioni su come meglio indirizzare la propria vita spirituale dagli eremiti e dagli asceti cui faceva visita. Pare che un giorno, incontrando Teodoro di Sanaxar (commemorato il 19 febbraio), questi le avesse rivelato come la sua decisione di lasciare la vita militare (era infatti anch'egli un ufficiale dell'esercito russo) fosse dovuta allo shock di avere assistito alla morte, durante una festa a Pietroburgo, di un militare, che Ksenija credette dalla sua descrizione fosse stato il marito. Tale evento è descritto nelle agiografie di entrambi i santi.

Ritornata a Pietroburgo dovette sopportare inizialmente il disprezzo e gli insulti dei suoi concittadini per i suoi strani comportamenti. Il poco che riceveva di carità lo donava agli altri poveri e ogni notte la passava in veglia e in preghiera in un campo poco distante dalla città. Tale sua abitudine attirò ben presto le attenzioni della polizia zarista la quale, allarmata dal comportamento di Ksenija, investigò sulle sue occupazioni, permettendo infine alla stessa di continuare a vivere come meglio riteneva opportuno.

Presto la sua vita virtuosa iniziò tuttavia ad essere notata dagli abitanti della città che cominciarono a considerarla, seppur contro la sua volontà, una donna pia e capace di miracoli. Profetizzò alcuni eventi riguardanti la vita della città e persino della stessa famiglia reale e, all'avverarsi di queste profezie, iniziò ad essere visitata da un gran numero di persone.

Ksenija sopravvisse circa 45 anni dopo la morte del marito e spirò, probabilmente intorno al 1803, all'età di 71 anni. Fu sepolta nel cimitero pietroburghese di Smolensk.

Negli anni venti del XIX secolo la fama della santa aveva raggiunto picchi così alti che centinaia di persone arrivavano giornalmente a pregare sulla sua tomba, sopra cui, verso la metà del secolo, fu costruita una cappella.

Credenza popolare vuole che chi preghi in questa cappella possa ricevere guarigioni miracolose e possa essere liberato dalle proprie afflizioni. In Russia è inoltre patrona di coloro che cercano lavoro, degli sposi, dei vagabondi e dei bambini sperduti. Viene anche invocata contro gli incendi[2]. Glorificata dalla Chiesa ortodossa russa il 6 febbraio 1988, considerata una dei santi patroni della città di San Pietroburgo, è ricordata il 24 gennaio del calendario giuliano (6 febbraio di quello gregoriano).

Numerose leggende devozionali sono attribuite alla santa dalla Raba Božia Ksenija, di cui di seguito si elencano le più significative.

Dopo la morte della santa le sue apparizioni e i miracoli a lei attribuiti dalla devozione popolare, lungi dal diminuire, si fecero sempre più frequenti, come dimostrano gli aneddoti di seguito elencati, tratti dall'agiografia precedentemente citata e dal Russkaja Starina, periodico russo redatto alla fine del XIX secolo.

Una proprietaria fondiaria di Pskov, venuta a conoscenza da un'amica della capitale della vita di Ksenija e dei miracoli che a lei erano attribuiti, pregava tutte le sere la santa affinché la proteggesse. Una notte sognò quest'ultima che, vestita dei suoi tipici stracci rosso-verdi, girava intorno alla sua casa aspergendola d'acqua. La mattina dopo un fienile si incendiò a pochi metri dall'abitazione: proprio quando il fuoco aveva iniziato a lambire la casa questo si estinse senza l'intervento di nessuno.
Una pia nonché facoltosa donna della capitale, rimasta vedova, commissionò la costruzione di una cappella votiva sopra la tomba della santa, all'interno della quale era solita pregare affinché la sua unica figlia trovasse marito. Un giorno i suoi desideri sembrarono avverarsi poiché un colonnello dell'esercito imperiale, giunto in città, si era invaghito della giovane donna e l'aveva chiesta in sposa alla madre che vi aveva acconsentito. La giovane non aveva tuttavia intenzione di sposarsi con il militare ma, poiché era stata costretta dalla madre ad accettarne la corte, passava le giornate piangendo presso la cappella votiva e pregando disperata Ksenija. La vigilia delle nozze, essendosi recato alla tesoreria statale per ritirare dei rubli che gli spettavano per il servizio militare, il colonnello incontrò una guardia che, dopo averlo osservato riconobbe in lui un forzato fuggito dalla deportazione in Siberia. Arrestato il finto colonnello raccontò di come aveva preso il posto del vero graduato, uccidendolo dopo che questi si era offerto di trasportarlo sulla propria carrozza. L'evaso fu giustiziato mentre le due donne ringraziarono con ferventi preghiere Ksenija per averle liberate da tale individuo.
A proposito della venerazione della santa come patrona di chi cerca lavoro, sono innumerevoli le leggende agiografiche che raccontano di come persone giovani e anziane giunte a Pietroburgo alla ricerca di un impiego come dottori o funzionari statali, avessero ottenuto il posto agognato dopo aver pregato fervidamente presso le spoglie della santa e, a volte, dopo aver fatto celebrare una messa in suffragio per la stessa.
La granduchessa Ksenija Romanof, ultima della famiglia degli zar, fu chiamata Ksenija in onore della santa. La leggenda racconta infatti che, quando suo padre, lo zar Alessandro III, era gravemente malato, santa Ksenija apparve in sogno alla moglie dello zar, annunciandole la guarigione di Alessandro e la nascita di una bambina. Quando la profezia del sogno si avverò, alla bambina fu posto il nome di Xenia. Fu poi l'unica della famiglia a sfuggire alla condanna a morte da parte dei comunisti, rifugiandosi alla corte reale di Londra.

Viene narrato che Ksenija fosse di una mansuetudine proverbiale: niente riusciva a farle perdere la calma. Una sola volta i cittadini di San Pietroburgo la videro infuriarsi dopo che un gruppo di ragazzini avevano approfittato della condizione della santa per farle un pesante scherzo. In quell'occasione Ksenija perse le staffe e si mise ad inseguire la banda di ragazzi brandendo il suo bastone a mo' di minaccia e gridando loro contro "Caini, Giuda!". La venerazione degli abitanti della città per Ksenija fu tale che tutti i ragazzini che quel giorno l'avevano ingiuriata furono processati e puniti a vergate davanti alla stessa.
Le doti di chiaroveggente della santa si palesarono innumerevoli volte. L'aneddoto più famoso è forse è quello che la vede apostrofare la figlia di una sua conoscente con le parole "Tu, qua, stai bevendo il caffè, mentre tuo marito nell'Otha sta seppellendo sua moglie". Spaventate ma incuriosite dalle parole della Stolta, la ragazza e la madre si recarono nel quartiere di Pietroburgo indicato loro dalla santa, dove assistettero alla conclusione del funerale di una giovane donna. Poche settimane dopo la ragazza a cui Ksenija aveva rivolto tali parole sibilline, ne avrebbe sposato il vedovo.
Secondo la leggenda, Ksenija ebbe prima di morire la visione di suo marito insieme a lei per sempre in paradiso. Con questo si voleva mostrare che la vita di sacrificio di Ksenija per amore del marito morto fosse stata davvero efficace per la salvezza dell'anima di entrambi.

Matrona la Cieca

Matrona (1885 – 1952) è una santa moscovita venerata dalla Chiesa ortodossa russa che la ricorda il 19 aprile.

Le fonti sulla sua vita sono state raccolte nel 2002 nell'opera Matrona Moskovskaja. Provest'. La sua Vita racconta che Matrona nacque con gravi deformazioni fisiche da una famiglia di contadini dell'Oblast' di Tula. Venne infatti al mondo senza occhi, con le cavità orbitali chiuse strettamente dalle palpebre. Fin da piccola evitò il contatto con i suoi coetanei, che più di una volta la maltrattarono picchiandola e buttandola dentro a una fossa per il solo divertimento di vedere come riusciva a uscire; parlava invece volentieri con le persone adulte, in particolar modo con la madre. Dopo che compì gli otto anni venne reputata capace di chiaroveggenza e di guarigioni miracolose. In giovinezza compì, insieme a una propria amica che l'aveva cara e che era figlia di un ricco proprietario terriero, un pellegrinaggio per i luoghi sacri della Russia.

Durante la Rivoluzione russa i fratelli di Matrona diventarono bolscevichi e furono tra i più attivi nella campagna di collettivizzazione delle terre e di lotta contro la chiesa ortodossa russa, tanto che Matrona, scacciata dagli stessi e nonostante l'aggravarsi delle condizioni di salute che l'avevano resa incapace di muoversi autonomamente, fu costretta ad abbandonare la casa dove era nata. Trasferitasi nel 1925 a Mosca, continuò in quella città la vita ascetica che aveva intrapreso, decidendo di diventare Stolta in Cristo - così erano chiamati coloro che, seguendo la lettera evangelica (Prima lettera ai Corinti 1:18-24, 2:14, 3:18-19), vivevano di carità simulando pazzia, disprezzando il proprio corpo e credendo in tal modo di prendere parte alla Passione di Cristo. Fu costretta dal regime comunista, a causa della fede che testimoniava e della mancanza di documenti di registrazione validi, a spostarsi molto spesso per sfuggire all'arresto.

Durante il soggiorno di Mosca le vennero attribuiti molti miracoli, tanto che si rivolgevano a Matrona persone di tutti i ceti. Morì il 2 maggio 1952. Dopo la sua morte la sua tomba, nel monastero di San Daniele, fu meta di pellegrinaggi devozionali. Canonizzata nel 1999, le sue reliquie riposano oggi nella Chiesa dell'Intercessione.

La Vita della santa contiene un numero innumerevole di leggende e miracoli, dei quali segue una breve lista:

Si narra che la madre di Matrona, dopo la nascita di quest'ultima si fosse opposta ai vicini che pensavano che la nascitura avrebbe dovuto essere abbandonata in un orfanotrofio, reputandola non in grado di sopravvivere a lungo. La genitrice decise di non attuare tale proposito dopo aver sognato una colomba con il volto della figlia che le si posava sul braccio destro;
si racconta che dei prodigi si fossero verificati durante il battesimo della santa quando i presenti e il prete officiante osservarono un raggio di luce che, filtrando dalle vetrate della chiesa, si spostò rapidamente all'interno della stessa fino colpire con intensità il corpo della bambina;
Matrona sarebbe stata dotata del dono della chiaroveggenza. Una volta mentre stava spennando una gallina con la propria madre esclamò "Così spenneranno il nostro zar!" prevedendo così la rivoluzione d'Ottobre e l'esecuzione della famiglia reale. In un altro episodio viene raccontato come alcuni mesi prima dell'invasione nazista della Russia abbia così predetto: "Mentre voi continuate a litigare la guerra è prossima a scoppiare. Un gran numero di uomini morirà, ma alla fine a prevalere sarà il popolo russo;
La persecuzione del regime sovietico nei confronti di coloro che testimoniavano attivamente la propria fede religiosa o erano dei cittadini "irregolari" è testimoniata in due aneddoti relativi ai miracoli della santa. Nel primo una guardia, scoperto il nascondiglio di Matrona e avendola trovata senza documenti validi e quindi passibile di essere incriminata in base alle leggi russe del tempo, fu convinto dalla stessa a tornare nella propria abitazione, poiché gli era stata paventata una grave disgrazia. Il poliziotto, rassicurato anche dal fatto che nelle condizioni in cui era Matrona non sarebbe mai riuscita a fuggire, prese la propria vettura e corse a casa, arrivando poco dopo l'esplosione del fornello a petrolio che usava per scaldare i cibi. Trovando la propria moglie priva di sensi la portò speditamente in ospedale. Qui medici lo rincuorarono sulle condizioni della consorte, avvisandolo tuttavia che questa sarebbe di certo deceduta se solo non fosse riuscito a soccorrerla così velocemente. Grato a Matrona il poliziotto non solo desistette dall'arrestarla di persona ma convinse addirittura il capo della polizia a non provvedere all'incriminazione. Un secondo aneddoto, sempre relativo al periodo moscovita della santa, narra di come questa avesse senza giustificazione alcuna rifiutato l'ospitalità di una sua conoscente. Solamente dopo che questa fu arrestata e deportata in Siberia, rivelò che la sua presenza nella casa di questa non avrebbe fatto altro che aggravare la pena tanto da non permetterle più di ritornare dal confino viva, come invece fece in quell'occasione.
Durante il suo pellegrinaggio ebbe luogo di visitare la cittadina di Kronstadt e di assistere ad una funzione officiata dal sacerdote Giovanni parroco della cattedrale di Sant'Andrea. Questi nel bel mezzo del servizio liturgico, scese dall'altare, si avvicinò a Matrona e la indicò come "l'ottava colonna dell'Ortodossia in Russia" volendo sottolineare in tal modo i servizi che la santa avrebbe reso alla comunità dei fedeli durante il regime sovietico. Si narra che, mentre Matrona si trovava a Mosca, si fosse rivolta a lei una nobildonna del luogo la quale le aveva chiesto aiuto per curare suo figlio, malato di una malattia mentale e rinchiuso in un ospedale psichiatrico. La santa allora, dopo aver preso un'ampolla d'acqua ed aver pregato ad alta voce, ordinò alla donna di bagnare con quell'acqua gli occhi e il viso del figlio. Una volta entrata in manicomio il figlio le gridò di buttare l'ampolla che la madre teneva celata in tasca ma questa fece tuttavia quello che Matrona le aveva prescritto, ottenendo la rapida guarigione del ragazzo.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 30 ottobre 2023

Giovanni Colobos. L'umiltà di Dio alla radice dell'umiltà umana

La Chiesa copta fa oggi memoria di Giovanni, monaco di Scete, detto Colobos, il « piccolo», a motivo della sua bassa statura. Di lui fu detto, in un breve apoftegma che ne sintetizza mirabilmente la figura spirituale: «Ma chi è questo abba Giovanni, che con la sua umiltà fa pendere dal suo dito mignolo tutta Scete?». Giovanni nacque attorno al 339 a Bahnasā, in Egitto, e si recò a Scete quando non aveva ancora diciott'anni. Alla scuola dei padri del deserto egli apprese anzitutto l'obbedienza, unica via salvifica per un cristiano. Fu proprio grazie all'obbedienza e alla sottomissione per amore di Dio e dei fratelli a ogni sorta di umiliazione che Giovanni divenne uno dei più grandi maestri di umiltà dell'antichità cristiana. Egli aveva infatti capito che alla radice dell'umiltà umana vi è l'umiltà di Dio, la forza del suo amore, che è irresistibile proprio perché lascia liberi e rende veramente liberi coloro ai quali si rivolge. All'età di 70 anni, Giovanni fu avvertito in sogno da Antonio, da Macario e dal suo padre spirituale Amoe che stava per morire. Mandato il suo discepolo a fare commissioni, egli si preparò da solo al faccia a faccia definitvo con quel Dio che aveva tanto colmato la sua vita. Di lui ci è pervenuta una lunga serie di Detti che sono un piccolo compendio di vita spirituale per il cristiano di ogni tempo.

Tracce di lettura

Raccontavano del padre Giovanni Colobos che, ritiratosi a Scete presso un anziano della Tebaide, visse nel deserto. Il suo abba, preso un legno secco, lo piantò e gli disse di innaffiarlo ogni giorno con un secchio d'acqua, finché non desse frutto. L'acqua era tanto lontana che doveva partire alla sera per essere di ritorno al mattino. Dopo tre anni il legno cominciò a vivere e a dare frutti. L'anziano li colse e li portò ai fratelli radunati insieme, dicendo: «Prendete, mangiate il frutto dell'obbedienza». Uno dei padri disse di lui: «Ma chi è questo abba Giovanni, che con la sua umiltà fa pendere dal suo dito mignolo tutta Scete?»
(Giovanni Colobos, Detti dei padri del deserto 1 e 36)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Giovanni Colobos (ca 339-409)

Fermati 1 minuto. La parola che scioglie i nostri lacci

Lettura

Luca 13,10-17

10 Una volta stava insegnando in una sinagoga il giorno di sabato. 11 C'era là una donna che aveva da diciotto anni uno spirito che la teneva inferma; era curva e non poteva drizzarsi in nessun modo. 12 Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei libera dalla tua infermità», 13 e le impose le mani. Subito quella si raddrizzò e glorificava Dio. 14 Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, rivolgendosi alla folla disse: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi curare e non in giorno di sabato». 15 Il Signore replicò: «Ipocriti, non scioglie forse, di sabato, ciascuno di voi il bue o l'asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? 16 E questa figlia di Abramo, che satana ha tenuto legata diciott'anni, non doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato?». 17 Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.

Commento

Siamo nella sinagoga, in giorno di sabato. Gesù sta insegnando ma si interrompe. Ha notato una donna sofferente. Da diciotto anni è curva e non può raddrizzarsi in alcun modo. Eppure non ha smesso di comportarsi da "figlia di Abramo", recandosi alla sinagoga per osservare il giorno del Signore. Non chiede nulla. È Gesù a prendere l'iniziativa, e anche lui non chiede nulla alla donna. Luca ci informa che l'infermità è provocata da Satana ("posseduta da uno spirito di infermità", gr. pneuma echousa asthenias). Sappiamo dal libro di Giobbe che ciò è possibile perché anche questi patì una malattia causata dall'angelo accusatore. 

Gesù agisce in maniera diversa rispetto ai suoi esorcismi. Non sgrida alcun demone, ma si limita a imporre le mani e pronunciare la sua parola di liberazione. La parola di Dio, come afferma la Lettera agli ebrei, "è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla" (Eb 4,12). Così la parola di Dio penetra nell'anima e nel corpo di questa donna e scioglie la sua schiena ricurva. 

Il miracolo compiuto da Gesù suscita la riprovazione da parte dei capi della sinagoga. Non hanno il coraggio di attaccarlo direttamente ma si rivolgono ai presenti. Il Signore, che conosce i cuori, li accusa di ipocrisia, perché le loro critiche non prendono le mosse dallo zelo per l'amore di Dio ma dall'invidia. Gesù evidenzia il modo in cui hanno pervertito la legge, piegandola al proprio egoismo. In giorno di sabato infatti, non trascurano di occuparsi del proprio bestiame, ma vorrebbero rifiutare a questa donna, sorella della loro stessa stirpe, figlia di Dio, creata a sua immagine e somiglianza, di riacquistare quella posizione eretta che distingue l'essere umano dagli animali. 

La chiamata di Gesù scioglie l'uomo dalla casistica delle norme religiose per collocarlo nel vero sabato di Dio, che è manifestazione della sua gloria e della sua azione salvifica.

Preghiera

Signore, tu rialzi dalla polvere il misero e  manifesti la tua gloria nella nostra debolezza. Ti benediciamo e ti glorifichiamo perché hai liberato le nostre anime dai lacci del peccato e ci hai donato la promessa della risurrezione. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 29 ottobre 2023

Il nostro combattimento non è contro carne e sangue

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA VENTUNESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

Concedi, ti supplichiamo Dio misericordioso, ai tuoi fedeli, pace e perdono, affinché possano essere purificati da ogni peccato e servirti con mente serena. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Ef 6,10-20; Gv 4,46-54

Commento

"Fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza" (Ef 6,10), afferma l'apostolo Paolo. Se cerchiamo di farci forti in noi stessi, o nel nostro prossimo, cadiamo. Se cerchiamo la forza nel Signore, restiamo saldi e non abbiamo nulla da temere, perché l'Onnipotente si prende cura di noi.

La nostra lotta non è soltanto contro la nostra umanità decaduta e vulnerabile, non è soltanto una battaglia contro le insidie che provengono da dentro e fuori di noi. "Il nostro combattimento non è contro carne e sangue" (Ef 6,12). Paolo parla di una battaglia contro forze spirituali, "contro le insidie del diavolo" (Ef 6,11) e "contro i dominatori del mondo di tenebre di questa età, contro gli spiriti malvagi nei luoghi celesti" (Ef 6,12). 

Queste parole sottolineano il carattere spirituale della nostra battaglia, ma anche la compresenza, nello stesso campo, nella stessa Chiesa, delle forze del bene e del male: fino alla fine dei tempi, il grano e la zizzania cresceranno insieme (Mt 13,30), gli angeli ci assisteranno nella lotta come assistettero Cristo nel deserto e nell'orto degli ulivi, ma gli uccelli rapaci, i demoni, cercheranno di rubare il buon seme - la parola di Dio - che è stato seminato in noi (Mt 13,1-23; Mc 4,1-20; Lc 8,4-15).

Per vincere contro le potenze malvagie dobbiamo rivestire "L'intera armatura di Dio" (Ef 6,13). Quali sono dunque queste difese per una lotta che non è semplicemente contro l'uomo carnale, come troppo ha insistito un certo moralismo, riducendo l'etica cristiana a un'etica della purezza sessuale? Queste armi, l'Apostolo, le elenca una ad una: verità e giustizia (Ef 6,14), pace (Ef 6,15); ma, soprattutto, lo scudo della fede, "con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno" (Ef, 6,16). 

Perché la tentazione, quando colpisce nel segno di una coscienza disarmata, non solo la ferisce procurando una grave emorragia, ma scatena un incendio che divampa, cercando di contagiare e consumare tutto intorno. Paolo invita anche a rivestire il nostro capo con "l'elmo della salvezza" e a impugnare "la spada dello Spirito che è la parola di Dio" (Ef 6,17). La meditazione della parola di Dio protegge la nostra mente dai pensieri di sconforto, ricordandoci che Dio ci ha salvato e che egli è fedele alle sue promesse.

L'Apostolo ci esorta a perseverare "pregando in ogni tempo con ogni sorta di preghiera e di supplica" (Ef 6,18) - vegliando a questo scopo. Parole simili a quelle di Gesù nel Getsemani: "vegliate e pregate per non cadere in tentazione" (Mt 26,41); e a quelle di Pietro nella sua Prima lettera: "Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli stando fermi nella fede" (1Pt 5,8-9). 

Siamo esortati anche a intercedere per i nostri fratelli e le nostre sorelle nella fede: "pregando... per tutti i santi" (Ef 6,18), cioè per tutti coloro che sono stati santificati dallo Spirito di Dio. La lotta, l'ascesi, è lotta individuale, a tu per tu contro il maligno; ma il cristiano non è un'entità a se stante; siamo tutti membra gli uni degli altri e membra di un corpo unico che è il Corpo mistico di Cristo. La caduta di uno può condurre alla caduta di un altro e forse di molti; la vittoria di uno può tenere molti altri lontani dal pericolo di cadere.

Nella guarigione del figlio di un funzionario regio, narrata da Giovanni nel suo Vangelo assistiamo a un miracolo di Gesù in favore di un uomo di alto rango, la cui fede lo porta, però, a sottomettersi alla regalità del Messia. Potrebbe trattarsi di un ufficiale civile o militare, giudeo o romano. Gesù lo riprende, dicendo che la fede non dovrebbe dipendere dai miracoli: "Se non vedete segni e prodigi, voi non credete" (Gv 4,48). Ma Gesù lo esaudisce, dimostrando che la sua parola è in grado di strappare al potere della morte.

Il funzionario regio riconosce l'intervento di Dio facendo memoria degli eventi e scandagliandoli alla luce della fede e della ragione. I miracoli non sono necessari alla fede, ma se proprio vogliamo chiederli dobbiamo essere in grado di riconoscerli per mostrare a Dio la nostra gratitudine: "Allora il padre riconobbe che era proprio in quell'ora in cui Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive»; e credette lui con tutta la sua casa” (Gv 4,53). Il vangelo ci esorta a vivere con consapevolezza, con gli occhi ben aperti di fronte a quanto Dio compie nelle nostre vite.

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 28 ottobre 2023

Simone e Giuda. «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi?»

Il 28 di ottobre la Chiesa d'Occidente (Anglicani, Cattolici, Luterani, Veterocattolici) e i cristiani siro-orientali celebrano la festa liturgica degli Apostoli Simone e Giuda.

Simone e Giuda appaiono agli ultimi posti nelle liste degli apostoli e per questo assomigliano agli operai chiamati all'ultima ora, che hanno tuttavia portato a termine la loro missione di testimoni del vangelo fino al martirio. Ma, come spesso capita nella storia della salvezza testimoniata dalle Scritture, è proprio agli ultimi e ai più marginali fra gli uomini che Dio sceglie di rivelarsi. 

San Simone

Simone, da Luca soprannominato Zelota (Lc 6, 15; At 1, 13), forse perché aveva militato nel gruppo antiromano degli Zeloti, che utilizzava anche la violenza come pratica politica, da Matteo e Marco è chiamato Cananeo (Mt 10, 4; Mc 3, 18).

San Giuda "Taddeo"

Giuda è detto Taddeo (Mt 10, 3; Mc 3, 18) o Giuda di Giacomo (Lc 16, 16; At 1, 13). Nell’ultima cena rivolse a Gesù la domanda: «Signore come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?». Gesù gli rispose che l’autentica manifestazione di Dio è riservata a chi lo ama e osserva la sua parola: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Una lettera del Nuovo Testamento porta il suo nome.

La loro festa il 28 ottobre è ricordata dal calendario geronimiano (sec. VI). In questo stesso giorno si celebra a Roma fin dal sec. IX.

Tracce di lettura

«Simone, l'uomo che è la pietra, Matteo il pubblicano, Simone lo zelota, zelante nel cercare il diritto e la legge contro l'oppressione pagana, Giovanni, che Gesù aveva caro e che si appoggiò al suo petto, e gli altri, dei quali abbiamo solo il nome, e infine Giuda Iscariota, che lo tradì: nessuna ragione al mondo avrebbe potuto collegare questi uomini alla stessa opera al di fuori della chiamata di Gesù. Qui fu superata ogni precedente divisione e fu fondata la nuova, salda comunità in Gesù».

- D. Bonhoeffer, Sequela

giovedì 26 ottobre 2023

Fermati 1 minuto. Come fuoco sulla terra

Lettura

Luca 12,49-53

49 Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! 50 C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto! 51 Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. 52 D'ora innanzi in una casa di cinque persone 53 si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Commento

Gesù, come uomo, è pienamente consapevole delle sofferenze che lo attendono nella sua passione, ma la sua volontà umana è intimamente unita a quella della sua natura divina e a quella del Padre, così l'attesa del "battesimo" che dovrà ricevere diviene angoscia finché non sia compiuto. 

Il baptismós, propriamente l'“immersione” nei dolori della passione, sarà segno di scandalo per molti (Rm 9,33) e gli stessi discepoli, in un primo momento, non coglieranno il significato profondo di quell'evento. In esso Gesù si rivela segno di contraddizione «per la rovina e la resurrezione di molti» (Lc 2,34). 

L'atteggiamento di accoglienza o di rifiuto verso il mistero pasquale determina il nostro essere o non essere partecipi della morte e resurrezione del Cristo. A stabilire l'appartenenza al suo "popolo" non è più una discendenza o comunanza di sangue, ma la fede nel suo sangue redentore. 

Adempimento del giudizio di Dio verso l'umanità, la croce, sulla quale sono stati inchiodati i nostri peccati, è il luogo di riconciliazione di tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra (Col 1,20).

Le parole di Gesù, che vorrebbe già vedere il mondo bruciare della sua carità (v. 49) costituiscono un esempio per ogni discepolo, un invito ad aspirare ai carismi più grandi (1 Cor 12,31), a desiderare quella perfezione che si compie nell'adempimento della volontà di Dio, del suo progetto sulla nostra vita.

Preghiera

Signore Gesù Cristo, noi riconosciamo in te il Figlio di Dio, che si è fatto pietra di scandalo nella morte di croce. Concedici di essere edificati su di te come tempio del Dio vivente. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 25 ottobre 2023

Fermati 1 minuto. L'amministratore fedele e saggio

Lettura

Luca 12,39-48

39 Sappiate bene questo: se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40 Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate». 41 Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». 42 Il Signore rispose: «Qual è dunque l'amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà a capo della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo? 43 Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro. 44 In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 45 Ma se quel servo dicesse in cuor suo: Il padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, 46 il padrone di quel servo arriverà nel giorno in cui meno se l'aspetta e in un'ora che non sa, e lo punirà con rigore assegnandogli il posto fra gli infedeli. 47 Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; 48 quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più.

Meditazione

Tenersi pronti, ma in maniera operosa. Questo il senso dell'ammonizione di Gesù. A chi sono rivolte le sue parole? A noi, suoi servi, che abbiamo ricevuto ogni bene da lui, ma non per trattenerlo, quanto per amministrarlo e condividerlo con gli altri servi. 

L'attesa diventa allora un tendere all'altro da sé, un tempo di sollecitudine verso il nostro prossimo. Il servo fedele sarà beato e verrà chiamato a regnare con Cristo.

Il "ritardo del padrone" (v. 45) indica il mutare delle aspettative dei primi cristiani riguardo la venuta imminente di Gesù. Luca si serve della copia di termini greci pais paidiske, servi e serve, non trascurando l'elemento femminile presente nella comunità cristiana. Luca diffida i suoi lettori dall'interpretare in maniera erronea questo ritardo, che rappresenta il tempo della paziente misericordia del Signore.

La ricompensa del Signore per il servo fedele è un lavoro maggiore, una maggiore responsabilità (v. 44). Infatti, chi è il più grande tra i discepoli si farà servitore (Mc 10,43): è in questa capacità di donarsi che si trova la vera beatitudine, perché "vi è più gioia nel dare che nel ricevere" (At 20,35).

Il servo che attende irresponsabilmente il ritardo del padrone sarà sorpreso come da un ladro nella notte e verrà spogliato di ogni bene: «Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha» (Mt 25,29). Ciascuno dovrà rendere conto a Dio in proporzione ai doni ricevuti (v. 48).

Gesù invita ogni discepolo a esercitare una speranza operosa, nel riconoscimento delle potenzialità che ogni vita, visitata dalla grazia, racchiude in sé. Ciascuno è chiamato a interrogare la propria coscienza, per ricercare nella quotidianità la volontà di Dio, Signore del tempo, e per offrire una risposta generosa verso di lui e verso l'umanità.

Preghiera

Noi invochiamo il tuo ritorno Signore, ti attendiamo come la sentinella attende l'aurora. Il tuo spirito ci renda operosi nella tua vigna, nella consapevoleza che sei esigente con gli amministratori dei tuoi beni.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 24 ottobre 2023

Fermati 1 minuto. Un'attesa laboriosa

Lettura

Luca 12,35-38

35 Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; 36 siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa. 37 Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38 E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell'alba, li troverà così, beati loro!

Commento

Parlando della fine dei tempi e del ritorno di Gesù, Luca sottolinea per i suoi lettori l'importanza di seguire fedelmente le sue istruzioni nel periodo che precede la parusìa (il ritorno glorioso di Cristo).

Essendo le vesti degli ebrei molto ampie, quando si mettevano in viaggio, lavoravano o andavano in guerra usavano portare cinture per muoversi più liberamente. La cintura ai fianchi (v. 35) diventa così simbolo dell'operosità del discepolo di Gesù. 

La veste stretta ai fianchi era anche l'abbigliamento prescritto per la cena pasquale, in previsione dell'esodo nel deserto, verso il quale il popolo di Dio stava per partire (Es 12,11). Non a caso Gesù pronuncia queste parole nell'imminenza della sua passione, dopo aver indurito il suo volto per cammianare verso Gerusalemme (Lc 9,51). Siamo chiamati anche noi ad attraversare il deserto delle prove che attendono ogni credente in questa vita, ad essere associati all'evento pasquale rappresentato dalla passione di Cristo, perchè «certa è questa parola: Se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo» (2 Tim 2,11-12).

Le vesti cinte ai fianchi ci consentono di procedere speditamente, senza sostare nelle nostre fragili sicurezze, e ci impediscono di inciampare nel peccato. Mediante la fede possiamo così superare gli intralci delle nostre barriere mentali.

Le lampade accese rappresentano l'essere in vigile attesa, mediante la fede e la custodia del cuore. Attendere svegli, nelle notti della prova, costa fatica, occorre pazienza, per evitare l'intorpidimento.

Gesù bussa alla nostra porta ogni giorno («Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me»; Ap 3,20) e ogni giorno va da noi accolto con gratitudine, stupore e un'esistenza laboriosa. Il tempo dell'attesa diventa così tempo fecondo e gravido di speranza.

Le parole di Gesù evidenziano la nostra responsabilità personale nell'accoglierlo o nel rifiutarlo. Non è lui ad aprire la porta ma il servo stesso sceglie se aprirgli o rifiutarlo, quand'egli arriva e bussa. Siamo chiamati ad aprire «subito» (v. 36) al Signore quando viene a visitarci, nel corso della nostra vita o al momento della nostra morte.

Gesù annuncia una beatitudine per coloro che lo troveranno svegli al suo ritorno (v. 37). Il padrone che si cinge le vesti è immagine di Dio che si fa servo dell'uomo (cfr. Lc 22,27; Gv 13,1-20; Fil 2,6-8; Ap 19,9). Gesù afferma che «il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti» (Mt 20,28). Ma quando tornerà troverà la fede sulla terra? (Lc 18,8).

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 23 ottobre 2023

Fermati 1 minuto. Solo l'amore resta

Lettura

Luca 12,13-21

13 Uno della folla gli disse: «Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità». 14 Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15 E disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni». 16 Disse poi una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. 17 Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? 18 E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19 Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. 20 Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? 21 Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio».

Commento

Essendo considerato un "maestro" Gesù è chiamato a dirimere non solo questioni religiose, ma anche civili. Egli rifiuta questo ruolo, non perché non abbia il potere di giudicare ma perché rifiuta di essere arbitro di dispute meramente terrene. 

Gesù va alla radice del problema condannado la cupidigia e presentando una parabola. Il protagonista di quest'ultima è un uomo il cui lavoro è stato benedetto da Dio con un abbondante raccolto. Il suo desiderio è un po' quello che abbiamo tutti: godersi il prorpio benessere con una vita gioiosa e tranquilla. Ciò che gli viene rimproverato non è il modo in cui si è arricchito, del tutto onesto, ma la totale assenza di Dio e dei bisogni del prossimo dalla sua prospettiva esistenziale. 

Ogni interesse dell'uomo della parabola è rivolto a sé e ai suoi beni; ha accumulato ricchezze in terra ma non è arricchito davanti a Dio. La povertà della sua vita interiore, incapace di innalzare uno sguardo di gratitudine al cielo e di gioire nella condivisione della sua ricchezza materiale, sarà palesata dal sopraggiungere improvviso della morte, che lo separerà definitivamente da quanto ha accumulato nel granaio. 

Gesù condanna ogni forma di cupidigia «perché anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni» (v. 15). L'uomo descritto da Gesù fa dipendere la propria sicurezza e felicità dalle ricchezze terrene, ne diventa schiavo, incapace di arricchirle di senso nella condivisione. Ma la carità necessita di un "altro" come destinatario del proprio amore, mentre l'uomo arricchito è chiuso in un monologo con se stesso. Di lui possiamo dire con il salmista: "come ombra è l'uomo che passa; solo un soffio che si agita, accumula ricchezze e non sa chi le raccolga" (Sal 39,7). 

I nostri beni, di qualsiasi natura, possono diventare una barriera verso Dio e verso il prossimo, ma liberati dalla nostra cupidigia possono essere messi al servizio di ciò che è forte come la morte (Ct 8,6): l'amore.

Preghiera

Il tuo Spirito, Signore, riempia i nostri cuori di gratitudine per i beni che ci elargisci e ci renda generosi nel condividerli con il nostro prossimo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Ambrogio di Optina. Un abisso di carità

Le chiese ortodosse ricordano oggi Ambrogio, forse il più grande degli starcy di Optina.

Uomo di vivo ingegno, Aleksandr Michajlovič Grenkov (nome di battesimo del futuro starec) era stato costretto fin dalla giovinezza a ridurre notevolmente le attività a cui pure si sentiva portato, a causa dell'estrema instabilità della sua salute. Indirizzato dal proprio padre spirituale alla vita monastica nell'eremo di Optina, Ambrogio fece conoscenza degli altri due grandi starcy di quel monastero: Leonida (1763-1841) e Macario (1788-1860), dei quali divenne discepolo. 

Inizialmente fu monaco addetto alla cucina e, in seguito, Lettore di sacre scritture. Pochi anni più tardi fu consacrato ierodiacono con il nome di Ambrosius, in onore di Sant'Ambrogio, vescovo di Milano. Successivamente alla sua consacrazione si ammalò gravemente, tanto che, anche una volta guarito, rimase infermo e impossibilitato per la debolezza che lo perseguitava a celebrare la liturgia. Da allora si dedicò alla preghiera interiore e alla traduzione dei testi patristici. Quando il reverendo Macario morì nel settembre del 1860 Ambrogio diventò monaco superiore del monastero.

Attraverso la sofferenza assunta nella preghiera, Ambrogio imparò a conoscere se stesso e a scoprire nel profondo del suo cuore i segreti della natura umana e il cammino verso la riconciliazione con Dio. Convinto che la potenza di Dio si rivela soprattutto nella debolezza, egli divenne un padre spirituale di grande dolcezza, e impiegò il proprio discernimento non per giudicare gli altri, ma per con-soffrire con loro. Amava ripetere, parafrasando l'apostolo Paolo: «È la bontà di Dio che ci spinge alla conversione».

Divenuto padre spirituale del monastero alla morte di Macario, Ambrogio si adoperò per promuovere l'impegno di tutti i cristiani a sostegno degli ultimi e degli emarginati del suo tempo. La sua figura ispirò ampiamente la letteratura russa, da Dostoevskij a Tolstoj, e di lui fu detto: «Da Ambrogio un insondabile abisso di carità si effonde su ogni uomo». Morì la sera del 10 ottobre 1891, e sulla sua lapide i discepoli posero a suggello della sua vita: «Mi sono fatto debole con i deboli per guadagnare i deboli. Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ogni uomo».

Tracce di lettura

Tu preghi sempre il Signore perché ti dia l'umiltà. Ma come si può ottenere l'umiltà conducendo una vita così comoda? Se nessuno ti toccasse e tu restassi tranquilla, come potresti riconoscere la tua cattiveria? Come potresti vedere i tuoi vizi? Ti affliggi perché, secondo te, tutti cercano di umiliarti. Se cercano di abbassarti, significa che vogliono renderti umile: e sei tu stessa che chiedi a Dio l'umiltà. Perché allora affliggerti per le persone? Ti lamenti per l'ingiustizia della gente che ti circonda, per il loro atteggiamento verso di te. Ma se aspiri a regnare con Gesù Cristo, allora guarda a lui, come si è comportato con i nemici che lo circondavano: Giuda, Anna, Caifa, gli scribi e i farisei che volevano la sua morte. Egli non si lamentò dei nemici che agivano ingiustamente verso di lui, ma in tutte le terribili sofferenze inflittegli vedeva solamente la volontà del Padre, che aveva deciso di seguire e che seguì fino all'ultimo respiro. Egli vedeva che questi agivano ciecamente, per ignoranza, e perciò non li odiava ma pregava: «Signore, perdonali perché non sanno quello che fanno».
(Ambrogio di Optina, Lettere)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

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Ambrogio di Optina (1812-1891)