Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

venerdì 30 dicembre 2022

Fermati 1 minuto. Uno sguardo inquieto finché non si posa in lui

Lettura

Luca 2,22-35

22 Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, 23 come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; 24 e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore. 25 Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele; 26 lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. 27 Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, 28 lo prese tra le braccia e benedisse Dio:

29 «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola;
30 perché i miei occhi han visto la tua salvezza,
31 preparata da te davanti a tutti i popoli,
32 luce per illuminare le genti
e gloria del tuo popolo Israele».

33 Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. 34 Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione 35 perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima».

Commento

Secondo la legge mosaica (Lv 12,2-8) la donna che partoriva un figlio maschio non doveva toccare niente di sacro né entrare nel tempio per quaranta giorni, a motivo della sua impurità rituale. Al termine di questo periodo doveva offrire un agnello di un anno come sacrificio da bruciare e una tortora o un giovane colombo in espiazione dei suoi peccati. Le donne che non potevano permettersi un agnello dovevano offrire, come fece la madre di Gesù, due giovani colombi. Ciò attesta la povertà di Maria e Giuseppe. La Legge prevedeva, la consacrazione al Signore di ogni primogenito (Es 13,2.12). 

La nascita di Gesù porta a compimento le speranze degli ebrei devoti, che attendevano il Messia annunciato a Israele, in particolare dal profeta Isaia e nel libro di Daniele. Il cantico di Simeone, chiamato Nunc dimittis dalle sue due prime parole nella versione in latino, sembra provenire dall'ambiente giudeo-cristiano, come anche il Magnificat e il Benedictus

L'inno si trova perfettamente in sintonia con l'annuncio del carattere universale della salvezza che attraversa il vangelo di Luca. Il vangelo sarà predicato a uomini di ogni lingua popolo e nazione (Ap 5,9), non solo a Israele, dunque, ma anche ai gentili. Per tutti e tre i cantici viene specificato da Luca che chi li pronuncia è mosso dallo Spirito Santo. 

I primi a riconoscere l'avvento del Messia sono persone umili, povere, senza posizioni di particolare rilievo: Maria e Giuseppe, fidanzati di modeste condizioni del paesino di Nazaret; Elisabetta, anche lei una donna, che profetizza mentre il precursore sussulta nel suo grembo; e Simeone, "uomo giusto e timorato di Dio" (v. 25) che non sarà più menzionato nei Vangeli. 

Nel prendere tra le braccia Gesù, Simeone trova la gioia e la pace che non solo gli fanno sentire compiute le aspettative di Israele ma danno compimento e significato alla sua stessa esistenza: "Ora lascia, O Signore, che il tuo servo vada in pace..." (v. 29). 

Nell'incontro con il Figlio di Dio incarnato scopriamo una pace che pervade la nostra vita e che ci conforta anche di fronte alla morte, non più considerata con terrore. L'incontro con Gesù colma le aspettative più profonde della nostra anima; questo il senso etimologico della "salvezza" cantata da Simeone: "fare integro", aggiungere all'edificio della nostra esistenza quella pietra angolare (Mt 21,42) che gli dona stabilità e perfezione. 

"Ogni cosa è in travaglio, più di quel che l'uomo possa dire; l'occhio non si sazia mai di vedere" (Eccl 1,8). Finché non vede Cristo. Come Simeone, tenendo quel bambino tra le braccia, posando il nostro sguardo su di lui, possiamo trovare nella sua tenerezza il volto misericordioso di Dio.

Preghiera

Donaci, Signore, la pace che scaturisce dall'incontro con te; affinché possiamo cantare il mistero della grazia compiutosi nella tua incarnazione. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 28 dicembre 2022

La strage degli innocenti. L'odio del mondo verso una regalità disarmante

Le chiese d'occidente ricordano in questo giorno la «strage degli innocenti», perpetrata dal re Erode, secondo l'evangelista Matteo, a danno di tutti i bambini di Betlemme e dei dintorni al di sotto dei due anni, mentre Gesù aveva trovato riparo in Egitto con la sua famiglia. Vittime innocenti della naturale ostilità dei potenti di questo mondo verso la disarmante e mite regalità del Cristo manifestata da Gesù di Nazaret, i bambini ebrei uccisi da Erode costituiscono la primizia di quell'immenso nugolo di martiri che accompagnano le nozze dell'Agnello. Sebbene il loro involontario sacrificio preceda cronologicamente la passione, morte e resurrezione di Cristo, nondimeno il loro drammatico coinvolgimento nel mistero dell'incarnazione è la conseguenza della piena integrazione di Israele nel corpo di Gesù, Messia e Servo sofferente di JHWH. Questa memoria, come altre ricorrenze dell'ottava di Natale, nelle chiese ortodosse e in quelle orientali viene celebrata un giorno dopo rispetto alle chiese occidentali.

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Adrian Willaert (1490-1562), Laudate pueri Dominum

Massacre of the Innocents - Maestà by Duccio - Museo dell'Opera del Duomo - Siena 2016.jpg
Duccio di Buoninsegna (1255-1318/1319),
La strage degli innocenti,
Museo dell'Opera del Duomo, Siena

Fermati 1 minuto. Il sangue dei giusti

Lettura

Matteo 2,13-18

13 Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo». 14 Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, 15 dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio. 16 Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s'infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi. 17 Allora si adempì quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: 18 Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più.

Commento

La mancanza di tracce storiche sulla strage degli innocenti, al di fuori di quanto riportato da Matteo  è dovuta probabilmente all'"irrilevanza" del fatto rispetto ad altri massacri di ben più vaste proporzioni.  Betlemme era un villaggio di circa mille abitanti e il numero di maschi sotto i due anni fatti uccidere da Erode non poteva essere stato che di qualche decina. 

In questo episodio del Vangelo di Luca vediamo ancora una volta Giuseppe avvertito in sogno da un angelo. Giuseppe ubbidisce prontamente all'ordine impartitogli dal messaggero di Dio; quella stessa notte intraprende un viaggio rischioso e con scarsità di mezzi. La sua obbedienza coraggiosa e incondizionata ricorda quella di Abramo. 

La "sacra famiglia" soggiornerà in Egitto fino alla morte di Erode. Sarà costretta a dimorare lontana dal Tempio, in mezzo alle genti che non conoscono il Dio d'Israele. Anche noi siamo chiamati a preservare la nostra fede in un mondo ostile e incredulo, a prenderci cura del nostro Dio, che ha accettato di farsi creatura sotto la custodia di un uomo e di una donna.

Israele, "figlio" di Dio, era stato chiamato dall'Egitto al tempo di Mosè (Os 11,1); allo stesso modo Gesù, il Figlio di Dio, dovrà essere nascosto in questa terra straniera, dalla quale sarà chiamato per un nuovo esodo. Rama è una città che si trova sette chilomentri a nord di Gerusalemme. Il lamento di Rachele, che morì dando alla luce Beniamino, diviene espressione di un dolore così forte da poter essere udito a grande distanza. I profeti dell'Antico Testamento nominano Rama in diverse occasioni legate alla tristezza e al lutto (Is 10,29; Ger 31,15; Os 5,8), facendo della città un luogo-simbolo dell'afflizione. 

La fuga in Egitto rappresenta una prova per Maria e Giuseppe, i quali mostrano umiltà e obbedienza nei confronti della volontà di Dio e accettano l'invito al nascondimento in terra straniera. 

A volte vorremmo difendere la nostra causa "a spada tratta", quando Dio ci chiede semplicemente di riporre la nostra fiducia in lui, disarmando la nostra volontà di potenza e attendendo la sua chiamata nell'ora che avrà stabilito. 

L'episodio della fuga in Egitto mostra che la persecuzione verso Cristo comincia fin dalla sua nascita e così la testimonianza passiva, involontaria, di questi infanti, diventa prefigurazione della passione di Gesù, alla quale vengono associati: hanno sparso il loro sangue per lui, e lui lo verserà per loro. 

Non si tratta di una morte "inutile" perché il sangue dei martiri innocenti si innalza verso il cielo gridando giustizia verso Dio; come il sangue del giusto Abele, e quello di tante vittime di guerre, persecuzioni, povertà. Una storia di violenza e ingiustizia dove si manifesta il rifiuto dei potenti nei confronti della regalità di Cristo, nascosta nella fragilità di un bambino. In questa piccola creatura è riposta la speranza per un cielo nuovo e una terra nuova (Ap 21,1).

Preghiera

Ascolta, Signore, il grido degli innocenti che dalla terra si innalza a te; liberaci dall'oppressione dell'uomo violento e rendici capaci di accogliere la grazia che si manifesta nella debolezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 27 dicembre 2022

Giovanni, l'aquila di Dio

Il 27 dicembre cattolici, anglicani e luterani celebrano la memoria di Giovanni, evangelista ed apostolo.
Giovanni era figlio di Zebedeo e di Salome. Egli fu dapprima discepolo del Battista, ma prese a seguire Gesù quando il suo primo maestro gli indicò nel Nazareno l'agnello di Dio venuto a prendere su di sé il peccato del mondo. Chiamato da Gesù a comprendere in profondità il comandamento nuovo dell'amore, Giovanni accolse l'invito a dimorare assiduamente con il suo Maestro e Signore, e imparò ad amare vivendo nell'intimità con lui. Per questo fu chiamato «il discepolo amato». Assieme al fratello Giacomo e a Pietro, Giovanni fu il testimone privilegiato di alcuni episodi decisivi della vita di Gesù: la resurrezione della figlia di Giairo, la trasfigurazione sul monte, l'agonia del Getsemani. E nel momento più cruciale, la passione e morte di Gesù, egli fu l'unico discepolo che rimase a condividere da vicino, con Maria, gli ultimi istanti della vita terrena del Signore. Dall'alba della resurrezione Giovanni sarà spesso presentato in compagnia di Pietro, quasi a significare che l'ossatura della chiesa è costituita dalla compresenza del discepolo che ama perché conosce e contempla da vicino l'amore del Signore e di quello che ama perché molto gli è stato perdonato. Dopo la Pentecoste, lasciata Gerusalemme, secondo la tradizione Giovanni risiedette dapprima in Samaria e poi a Efeso, dove attorno a lui si formarono delle comunità cristiane di cui testimoniano gli scritti che portano il suo nome: il quarto vangelo, le tre Lettere e l'Apocalisse. La memoria di Giovanni, giustamente posta accanto alla memoria della nascita del suo Amato, invita la chiesa a guardare al mondo con gli occhi trasformati dalla contemplazione dell'amore.

Tracce di lettura

Occorre avere l'ardire di affermare da una parte che i vangeli sono primizia di tutta la Scrittura, dall'altra che primizia dei vangeli è quello secondo Giovanni, la cui intelligenza non può cogliere chi non abbia poggiato il capo sul petto di Gesù e non abbia ricevuto da lui Maria come propria madre. Colui che sarà un altro Giovanni deve diventare tale da essere indicato da Gesù, per così dire, come Gesù stesso: è ciò che accadde a Giovanni. Sebbene infatti non ci sia alcun figlio di Maria, se non Gesù, ciò nonostante Gesù dice a sua madre: «Ecco il tuo figlio» (e non già: «Ecco, anche questo è tuo figlio»); ciò equivale a dire: «Questi è Gesù che tu hai partorito». Infatti, chi è giunto alla piena maturità «non vive più», ma in lui «vive Cristo»; e poiché in lui vive Cristo, quando si parla di lui a Maria si dice: «Ecco il tuo figlio». (Origene, Commento all'Evangelo secondo Giovanni 1,23 )

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

sabato 24 dicembre 2022

Prendersi cura di Dio

COMMENTO ALLA LITURGIA DEL NATALE

Colletta

Dio Onnipotente, che ci hai donato il tuo unico Figlio, affinché prendesse la nostra natura su di sé e nascesse in questo tempo da una vergine pura; concedici di essere rigenerati e resi tuoi figli per adozione nella grazia, rinnovati ogni giorno dal tuo Spirito Santo; per lo stesso Gesù Cristo nostro Signore, che vive e regna con te e con lo Spirito Santo, unico Dio, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Letture

Eb 1,1-12; Gv 1,1-14

«No, Dio non cerca l'adorazione, il capo chino, lo spirito che l'invoca, che lo interroga, nemmeno il grido della rivolta. Cerca, soltanto, di vedere, come vede il fanciullo, una pietra, un albero, un frutto, la pergola sotto il tetto, l'uccello che s'è posato su un grappolo maturo». Quali parole più appropriate di queste del poeta Yves Bonnefoy potrebbero descrivere il mistero dell'incarnazione? Il mistero di un Dio che ci salva amando e condividendo la nostra condizione umana in tutte le sue sfumature, quelle più delicate, come la contemplazione delle bellezze del creato, ma anche quelle più cupe: il freddo della stalla, le fatiche del lavoro quotidiano, una vita di stenti e peregrinazioni «Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi; ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo» (Lc 9,58).

Con la sua nascita, con la sua intera vita e con la sua passione, Cristo si è spogliato della propria natura divina affinché Dio potesse essere presente anche nell'ultimo, nel più disprezzato e nel più sofferente degli uomini. Non c'è condizione umana che non sia toccata da Dio.
E se Dio si è spogliato della propria gloria, quanto più noi dovremmo spogliarci dei nostri orpelli, delle maschere che indossiamo per esorcizzare il nostro nulla e nascondere a noi stessi il nostro destino mortale?

La parola eterna, abbandonando ogni perfezione e condividendo la nostra natura umana, senza perdere la distinzione tra essa e la propria natura divina, ha dimostrato la dignità assoluta di ogni vita.

Cristo non è soltanto uno tra i grandi profeti di cui Dio si è servito nel corso dei secoli per far conoscere all'uomo i suoi disegni; egli è il rivelatore ultimo e definitivo della verità divina e lo è in virtù della sua natura stessa e della posizione eccelsa che egli occupa. Egli, che pur si abbassò facendosi scandalo nella sua passione, siede ora alla destra di Dio investito di podestà regale su tutte le creature.

Non c'è pietra d'inciampo più grande di questa per la nostra ragione e persino per ogni altra religione: un Dio onnipotente che si fa assoluta debolezza, che sceglie di nascere come un bambino, fragile e bisognoso delle nostre cure. Lui, che si prende cura di noi, avendoci donato tutto quello che abbiamo, a cominciare dalla nostra stessa esistenza. Prendiamoci anche noi cura di Dio, affinché egli possa crescere e noi diminuire.

- Rev. Dr. Luca Vona

Fermati 1 minuto. Liberati dalla paura

Lettura

Luca 1,67-79

67 Zaccaria, suo padre, fu pieno di Spirito Santo, e profetò dicendo:
68 «Benedetto il Signore Dio d'Israele,
perché ha visitato e redento il suo popolo,
69 e ha suscitato per noi una salvezza potente
nella casa di Davide, suo servo,
70 come aveva promesso
per bocca dei suoi santi profeti d'un tempo:
71 salvezza dai nostri nemici,
e dalle mani di quanti ci odiano.
72 Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri
e si è ricordato della sua santa alleanza,
73 del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre,
74 di concederci, liberati dalle mani dei nemici,
di servirlo senza timore, 75 in santità e giustizia
al suo cospetto, per tutti i nostri giorni.
76 E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell'Altissimo
perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade,
77 per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza
nella remissione dei suoi peccati,
78 grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio,
per cui verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge
79 per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre
e nell'ombra della morte
e dirigere i nostri passi sulla via della pace».

Meditazione

Appenza a Zaccaria "si scioglie la lingua" (Lc ,64), pieno di Spirito santo, innalza a Dio un canto di lode, noto come Benedictus, dalla traduzione in latino della sua prima parola. Come il Magnificat anche il cantico di Zaccaria è largamente composto di frasi tratte dall'Antico testamento greco e può essere stato un inno giudaico-cristiano in ambito liturgico.

La salvezza potente (v. 69) suscitata da Dio, letteralmente il "corno di salvezza" - figura ricorrente nell'Antico testamento per rappresentare la forza salvifica di Dio - è riferita non a Giovanni ma a Cristo, come indica l'attribuzione alla casa di Davide. Elisabetta e Zaccaria erano infatti discendenti di Levi. Il corno di salvezza menzionato nell'inno è ricolmo per noi di beni spirituali, della grazia giustificante e santificante. 

Dio, che è apparso a Mosè nel roveto ardente e ha parlato tante volte per mezzo dei profeti, è venuto ora a visitare il suo popolo, ad abitare con lui, ad assumere su di sé la nostra umanità, per trascendere i confini stessi di Israele. Giovanni andrà innanzi al Signore, cioè a Gesù, come precursore mandato ad annunciare la salvezza attraverso il perdono dei peccati. 

La possibilità di servire Dio senza timore - nel testo greco aphobos - è il cuore della grande promessa cantata nel Benedictus. Liberati da Satana e dal potere del peccato non serviamo più con la paura dello schiavo, ma con amore filiale, in virtù dello spirito di adozione. 

La visita del sole che viene a rischiarare coloro che stanno nelle tenebre è una immagine presente nell'Antico testamento e ripresa anche nel Nuovo. Così profetizza Isaia: "Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce" (Is 9,2) e "Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere" (Is 60,3); e Malachia: "Ma per voi che avete timore del mio nome spunterà il sole della giustizia" (Mal 4,2). La metafora della luce è utilizzata anche da Pietro: "abbiamo conferma migliore della parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l'attenzione, come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori" (2 Pt 1,19). Gesù stesso nell'Apocalisse si definisce "'la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino'" (Ap 22,16). 

Salutiamo dunque la luce del vangelo. In queste prime pagine del racconto di Luca è ancora una piccola fiamma, un bambino di nome Giovanni. Ma la voce del precursore risuonerà presto nel deserto, per riempire i burroni e alzare i colli (Lc 3,5); per colmare di consolazione i vuoti della nostra coscienza e richiamarci all'umiltà nella conversione a Dio. Affinchè possa sorgere sulle distese aperte della nostra anima colui che è venuto a portare il fuoco sulla terra (Lc 12,49), lo Spirito che Cristo effonde su chi crede nella sua parola di salvezza.

Preghiera

Sorgi, Signore, e disperdi le tenebre che avvolgono i nostri cuori; ricolmaci della grazia che il tuo servo Giovanni ha preannunciato, affinché possiamo benedire il tuo Nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 23 dicembre 2022

Le Antifone maggiori dell'Avvento - O Emmanuel


O Emmanuel,
nostro re e legislatore,
speranza delle genti,
e loro Salvatore:
vieni e salvaci,
Signore, nostro Dio.

O Emmanuel,
Rex et legifer noster,
expectatio gentium,
et Salvator earum:
veni ad salvandum nos,
Domine, Deus noster.



Advent Antiphons No. 7 - O Emmanuel - Queen's College



Antifona di Avvento No. 7 - O Emmanuel - Canto gregoriano

Fermati 1 minuto. La migliore versione di noi stessi

Lettura

Luca 1,57-66.80

57 Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. 58 I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei. 59 All'ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. 60 Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». 61 Le dissero: «Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». 62 Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. 63 Egli chiese una tavoletta, e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. 64 In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. 65 Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. 66 Coloro che le udivano, le serbavano in cuor loro: «Che sarà mai questo bambino?» si dicevano. Davvero la mano del Signore stava con lui. 80 Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

Commento

Il più grande conforto che possiamo avere dai nostri figli è di metterli nelle mani di Dio. Per questo la circoncisione, che è stata sostituita, nella nuova alleanza, dal battesimo cristiano, diviene occasione di gioia più grande della stessa nascita. 

L'usanza giudaica era quella di dare nome al bambino proprio in occasione della circoncisione, così come Abramo ricevette un nome nuovo dopo aver sancito l'alleanza con Dio mediante questo segno esteriore. Il Signore, infatti, chiama per nome coloro che sono affidati a lui, il che significa che non è solo genericamente il Dio del popolo dei salvati, ma il Padre di ciascuno di noi, che così possiamo chiamarlo in virtù del rapporto personale e filiale che abbiamo con lui. 

Questo rapporto, insito in un "nome nuovo", unico, che ci viene attribuito è ben rappresentato dal contenzioso tra Elisabbetta e gli amici e parenti giunti per assistere alla circoncisione di Giovanni. Questi suggeriscono di chiamarlo Zaccaria, come il padre, ma lei si oppone e mossa dallo Spirito Santo afferma risolutamente che si chiamerà Giovanni.

Comunicando con Zaccaria mediante segni, i vicini e parenti ottengono anche da lui la risposta scritta che il bambino dovrà chiamarsi Giovanni. Muto e sordo, Zaccaria non può fare a meno di esprimere la volontà di Dio. Quando lo Spirito parla sa come farsi sentire. Così affermerà Gesù, quando i farisei rimprovereranno la folla esultante al suo ingresso a Gerusalemme: "se questi taceranno, grideranno le pietre" (Lc 19,40). 

Compiuta la volontà di Dio sul bambino la lingua di Zaccaria si scioglie in un canto di lode. Giovanni susciterà meraviglia e la sua fama si spargerà per le regioni circostanti fin dall'infanzia, anticipando quella che otterrà con l'inizio del suo ministero profetico, quando folle di peccatori verranno a lui in cerca di conversione. Ci si sarebbe aspettato di vedere Giovanni sacerdote come suo padre. Ma i piani di Dio per lui erano altri. Egli sarebbe diventato un profeta. Il più grande dei profeti.

Dio ci ama nella nostra specificità e ha un piano di salvezza e di santità particolari per ognuno di noi. Chiediamogli la grazia per imparare ad essere la migliore versione di noi stessi, piuttosto che la brutta copia di qualche santo.

Preghiera

O Dio, che ci chiami per nome, rivelaci la tua volontà ed effondi su di noi il tuo Spirito, affinché possiamo portarla a compimento a lode del tuo Nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 22 dicembre 2022

Assidui e concordi nella preghiera. Commento al Salterio - Salmo 17,1-16

Lettura

Salmi 17,1-16

1 Al maestro del coro. Di Davide, servo del Signore, che rivolse al Signore le parole di questo canto, quando il Signore lo liberò dal potere di tutti i suoi nemici, 2 e dalla mano di Saul. Disse dunque:
Ti amo, Signore, mia forza,
3 Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore;
mio Dio, mia rupe, in cui trovo riparo;
mio scudo e baluardo, mia potente salvezza.
4 Invoco il Signore, degno di lode,
e sarò salvato dai miei nemici.
5 Mi circondavano flutti di morte,
mi travolgevano torrenti impetuosi;
6 già mi avvolgevano i lacci degli inferi,
già mi stringevano agguati mortali.
7 Nel mio affanno invocai il Signore,
nell'angoscia gridai al mio Dio:
dal suo tempio ascoltò la mia voce,
al suo orecchio pervenne il mio grido.
8 La terra tremò e si scosse;
vacillarono le fondamenta dei monti,
si scossero perché egli era sdegnato.
9 Dalle sue narici saliva fumo,
dalla sua bocca un fuoco divorante;
da lui sprizzavano carboni ardenti.
10 Abbassò i cieli e discese,
fosca caligine sotto i suoi piedi.
11 Cavalcava un cherubino e volava,
si librava sulle ali del vento.
12 Si avvolgeva di tenebre come di velo,
acque oscure e dense nubi lo coprivano.
13 Davanti al suo fulgore si dissipavano le nubi
con grandine e carboni ardenti.
14 Il Signore tuonò dal cielo,
l'Altissimo fece udire la sua voce:
grandine e carboni ardenti.
15 Scagliò saette e li disperse,
fulminò con folgori e li sconfisse.
16 Allora apparve il fondo del mare,
si scoprirono le fondamenta del mondo,
per la tua minaccia, Signore,
per lo spirare del tuo furore.

Commento

I generi letterari e le tonalità del Salmo 17 - canto di ringraziamento, con carattere messianico - mutano ripetutamente. Le parole riecheggiano il cantico di gioia innalzato da Davide, riconoscente verso il Signore, che lo ha liberato dalle insidie mortali tesegli da Saul (2 Sam 22). L'inno regale di vittoria è la dominante del Salmo, ma non mancano gli accenti delle suppliche (vv. 5-7). Nella scena della teofania (manifestazione di Dio) attraverso perturbazioni cosmiche il tono è innico e contemplativo.

Il componimento si apre con una proclamazione di amore del salmista nei confronti del Signore. Il termine ebraico impiegato (erhamekha), indica un amore fatto di compassione e di tenerezza, di cui Dio è soggetto nella Bibbia, mentre qui abbiamo l'unico caso nei salmi in cui diventa oggetto dell'amore dell'uomo devoto, che offre a Dio non un semplice rispetto formale ma un sentimento di attaccamento personale e un impegno di vita, come richiesto nel Decalogo (Dt. 6,5).

Dio è invocato dal salmista con titoli simbolici di impronta militare: "mia forza, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore, mia rupe... riparo, mio scudo e baluardo... potente salvezza" (vv. 2-3). L'espressione "mia potente salvezza" (v. 3) va letteralmente tradotta "corno di salvezza" (cfr. 1 Sam 2,10; Sal 131,17) ed è impiegata in tutta la sua caratterizzazione messianica dall'evangelista Luca nel cantico di Zaccaria (Lc 1,69). 

Il salmista presenta il Signore come cavaliere, avvolto nella cappa nera delle nubi (cfr. Is 19,1; Sal 67,5), a cavallo di un cherubino (vv. 11-12). Cherùb è il toro alato con volto d'uomo che l'arte assira collocava all'ingresso dei templi e dei palazzi reali; nella Bibbia la sua figura ricorre più volte; vanno ricordati in proposito le due sculture lignee ricoperte d'oro raffiguranti cherubini collocate all'una e all'altra parte de propiziatorio nel tempipo di Gerusalemme.

Le tenebre di cui il Signore si avvolge come di un velo esprimono la caratteristica trascendente del Dio d'Israele quale deus absconditus (cfr. Es 19,16.18; Ez 1,4). La roccia e la rupe (17,3.32) sono simbolo della fedeltà di Dio, su cui poggia la fede dell'uomo. 

L'autore si ferma un momento a descrivere, con il linguaggio convenzionale delle lamentazioni individuali, il grave pericolo in cui si è trovato. L'immagine delle acque travolgenti è presente anche nelle parole del profeta Giona che nella sua preghiera al Signore così si esprime: "Mi hai gettato nell'abisso, nel cuore del mare e le correnti mi hanno circondato; tutti i tuoi flutti e le tue onde sono passati sopra di me." (Gion 2,4). L'acqua rappresenta nei miti orientali della creazione la forza travoglente e distruttrice del caos primordiale, mentre nel Nuovo Testamento è simbolo di vita, fecondità e grazia.

I "lacci degli inferi" (v. 6) indicano generalmente nei salmi le trappole mortali tese dai nemici. La voce disperata del salmista sale fino al cielo, dove Dio tende l'orecchio ad ascoltare il grido d'aiuto di quanti lo invocano; e non c'è lontananza tale da impedirgli di udire le loro voci. Il tempio indica la dimora celeste di Dio, senza peraltro escludere quella terrena, il tempio di Gerusalemme.

Le immagini della teofania provengono dall'esperienza del Sinai (Es 19,16-18), dove il popolo assiste ai piedi del monte al rendersi presente del Signore mediante fumo, fuoco e il tremare della terra.

Secondo una prospettiva cristiana il Salmo 17 prefigura la preghiera riconoscente del Cristo risorto e della Chiesa partecipe delle sofferenze e della risurrezione del suo Capo. Il grido nell'angoscia richiama la passione del Signore, liberato dai lacci della morte a causa della sua innocenza La rivincita e la vittoria di Cristo non si fermano al fatto storico della risurrezione, ma si dilatano nella prospettiva pasquale dei popoli, della discendenza generata al Padre dal grembo materno della Chiesa.

- Rev. Dr. Luca Vona


Le Antifone maggiori dell'Avvento - O Rex Gentium


O Re delle Genti,
da loro bramato,
e pietra angolare,
che riunisci tutti in uno:
vieni, e salva l'uomo,
che hai plasmato dal fango.

O Rex Gentium,
et desideratus earum,
lapisque angularis,
qui facis utraque unum:
veni, et salva hominem,
quem de limo formasti.



Advent Antiphon No. 6 - O Rex Gentium - Queen's College



Antifona di Avvento No. 6 - O Rex Gentium - Canto gregoriano 

In the Shadow of Mercy. Commentary on the Magnificat

Reading

Lk 1:46-56

Mary said: “My soul proclaims the greatness of the Lord; my spirit rejoices in God my savior. For he has looked upon his lowly servant. From this day all generations will call me blessed: the Almighty has done great things for me, and holy is his Name. He has mercy on those who fear him in every generation. He has shown the strength of his arm, and has scattered the proud in their conceit. He has cast down the mighty from their thrones and has lifted up the lowly. He has filled the hungry with good things, and the rich he has sent away empty. He has come to the help of his servant Israel for he remembered his promise of mercy, the promise he made to our fathers, to Abraham and his children forever.”
Mary remained with Elizabeth about three months and then returned to her home.

Comment

Known since ancient times as "Canticle of Mary" and probably used in the liturgy of the early church, this composition is modeled on the "Canticle of Anna" (1 Sam 2:10), to which "the Lord had closed the womb", but which for his prolonged prayer in the temple obtained the birth of Samuel, consecrated to the Lord.

Luke chooses this hymn probably because he considers it to be in harmony with other motifs found in his Gospel: the joy in the Lord, the election of the poor by God, the reversed fate of human fortune, and the fulfillment of the messianic promises.

Mercy is a characteristic theme of Luke's Gospel: God, through the Son, puts himself at the service of man. God's love saves the sinner by asking him only to let himself be loved. The humble of the canticle are the poor in goods and the last for the social position, who place their trust in the Lord; those whom Jesus proclaims blessed in his sermon on the mountain (Mt 5: 3).

Paul too affirms that "But God chose the foolish things of the world to shame the wise; God chose the weak things of the world to shame the strong" (1 Cor 1:27). Elizabeth proclaimed Mary blessed on the occasion of her visitation. Still, here Mary, aware of the extraordinary favor that has been granted to her, that is, of virginally conceiving the savior of humanity, proclaims that all generations, Jews and gentiles, will call her "blessed".

The Canticle of Mary, "blessed among women" (Lk 1:42) for the virginal conception of the Messiah of Israel, expresses the gratitude towards God that springs from a careful and prolonged meditation on the Scriptures.

The Magnficat presents Mary in her humble creatural nature, but at the same time also as the one who gave her flesh to the Son of God; she is the temple of God and the new Ark of the Covenant. For this reason, Mary assumes a prominent role in the human race: she is the "new Eve" who, giving her life to the Savior, redeemed us from sin, repairing with her total openness to God's grace and his will, the disobedience of her progenitor seduced by the serpent.

Mary rejoices in God, recognizing herself not only as the Savior's mother, but herself saved by God, our sister in faith, through which she was touched by grace.

God is glorified in the Magnificat for his promises as if these had already been fulfilled. He shows the power of his arm not to subjugate humanity but to reach her with his love. We can trust in God's firm hold, which helps us with her mercy.

Prayer

O God, we rejoice in your salvation; as a shadow your mercy covers our sins and your hand comes to our aid. Glorified be your Son, who comes to fulfill the ancient promises. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

All'ombra della misericordia. Commento al Magnificat

Lettura

Luca 1,46-55

Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».

Commento

Conosciuta fin dall'antichità come "cantico di Maria" e utilizzata probabilmente nella liturgia della chiesa primitiva, questa composizione ricalca il "cantico di Anna" (1 Sam 2,10), alla quale "il Signore aveva chiuso il grembo", ma che per la sua preghiera prolungata nel tempio ottenne la nascita di Samuele, consacrato al Signore.

Luca sceglie questo inno probabilmente perché lo ritiene in sintonia con altri motivi reperibili nel suo Vangelo: la gioia nel Signore, la scelta dei poveri, le sorti rovesciate della fortuna umana, il compimento delle promesse messianiche. 

La misericordia è un tema caratteristico del Vangelo di Luca: Dio, per mezzo del Figlio si mette al servizio dell'uomo. L'amore di Dio salva il peccatore chiedendogli soltanto di lasciarsi amare. Gli umili del cantico (v. 52) sono i poveri di beni e posizione sociale, che ripongono la propria fiducia nel Signore, coloro che Gesù proclama beati nel suo discorso sul monte (Mt 5,3). 

Anche Paolo afferma che "quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti" (1 Cor 1,27). Elisabetta ha proclamato benedetta Maria in occasione della visitazione; ma qui Maria, consapevole del favore straordinario che le è stato concesso, cioè di concepire verginalmente il salvatore dell'umanità, proclama che tutte le generazioni, i giudei e le genti, la chiameranno "beata".

Il cantico di Maria, "benedetta fra le donne" (Lc 1,42) per il concepimento verginale del Messia di Israele, esprime la riconoscenza verso Dio che scaturisce da una attenta e prolungata meditazione delle Scritture.

Il Magnficat presenta Maria nella sua umile creaturalità, ma al contempo anche come colei che ha dato la carne al Figlio di Dio, tempio di Dio e nuova arca dell'alleanza. Per questo Maria assume un ruolo preminente nel genere umano, "nuova Eva" che dando la vita al Salvatore, ci ha riscattati dal peccato, riparando, con la sua totale apertura alla grazia di Dio e alla sua volontà, la disobbedienza della progenitrice sedotta dal serpente. 

Maria esulta in Dio, riconoscendosi non solo madre del Salvatore (questo il significato del nome "Gesù": "Dio salva"), ma essa stessa salvata da Dio, nostra sorella nella fede, mediante la quale è stata toccata dalla grazia.

Dio è glorificato nel Magnificat per le sue promesse come se queste si fossero già compiute. Egli spiega la potenza del suo braccio non per soggiogare l'umanità ma per raggiungerla con il suo amore. Possiamo confidare nella salda presa di Dio che ci soccorre con la sua misericordia.

Preghiera

O Dio, noi esultiamo per la tua salvezza; come ombra la tua misericordia copre i nostri peccati e la tua mano viene in nostro aiuto. Sia glorificato il tuo Figlio, che viene a compiere le promesse antiche. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 21 dicembre 2022

Le Antifone maggiori dell'Avvento - O Oriens


O (astro) Sorgente
splendore di luce eterna,
e sole di giustizia:
vieni ed illumina
chi è nelle tenebre,
e nell'ombra della morte.

O Oriens,
splendor lucis aeternae,
et sol justitiae:
veni, et illumina
sedentes in tenebris,
et umbra mortis.




Advent Antiphon No. 5 - O Oriens - Queen's College



Antifona di Avvento No. 5 - O Oriens - Canto gregoriano

Fermati 1 minuto. L'arca della nuova alleanza

Lettura

Luca 1,39-45

39 In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. 40 Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41 Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo 42 ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43 A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? 44 Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. 45 E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore».

Commento

Ricevuto l'annuncio dell'angelo Maria si mette in viaggio "in fretta" (v. 39) verso la casa delle cugina Elisabetta. La "fretta" di Maria indica la sua pronta disponibilità al disegno di Dio e il suo farsi annunciatrice di salvezza, lei che per prima ha ricevuto l'annuncio dall'angelo. 

Maria, divenuta dimora di Dio, compie un viaggio verso la montagna che ricorda quello dell'arca dell'alleanza (2 Sam 6,1-15) e le parole che Davide pronunciò davanti a questa riecheggiano in quelle di Elisabetta: "A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?" (v. 43). La cugina di Maria riconosce Gesù come Signore prima ancora della sua nascita, sorpresa dal sussulto del bambino che porta nel grembo alla voce del saluto di Maria. 

Maria appare qui come vera teòfora, portatrice di Dio, capace di raggiungere coloro che attendono la salvezza e di comunicare il Cristo. Elisabetta è invece il modello, tra i figli di Israele, di chi sa scorgere l'adempimento delle promesse messianiche. Così, dopo il saluto di Maria, Elisabetta viene colmata dallo Spirito Santo e benedice la cugina e il frutto del suo grembo. 

La comprensione, da parte di Elisabetta, degli eventi divini che si stanno compiendo, è straordinaria e solo la grazia illuminante può permetterle di oltrepassare la cortina di mistero che li custodisce. La sua dichiarazione di umiltà dimostra che coloro che sono ricolmi dello Spirito non hanno considerazione dei propri "meriti", ma una grande stima del favore ricevuto da Dio. 

Il viaggio di Maria ci insegna che quando la grazia opera nei nostri cuori desideriamo prontamente condividerla. La missionarietà del credente può assumere svariate forme, ma è sempre il segno di una fede autentica. Nell'attesa del Signore che viene siamo chiamati dallo Spirito a farci annunciatori della grazia, solerti, anche quando il viaggio verso la montagna è faticoso.

Preghiera

Il tuo Spirito signore, ci aiuti a scorgere il tuo piano di salvezza nelle nostre vite e infiammi i nostri cuori, affinche possiamo esultare in eterno per la tua gloria. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 20 dicembre 2022

Le Antifone maggiori dell'Avvento - O Clavis David

O Chiave di David,
e scettro della casa di Israele,
che apri e nessuno chiude,
chiudi e nessuno apre:
vieni e libera lo schiavo
dal carcere,
che è nelle tenebre,
e nell'ombra della morte.

O Clavis David,
et sceptrum domus Israël,
qui aperis, et nemo claudit,
claudis, et nemo aperit:
veni, et educ vinctum
de domo carceris,
sedentem in tenebris,
et umbra mortis.




Advent Antiphon No. 4 - O Clavis David - Queen's College



Antifona di Avvento No. 4 - O Clavis David - Canto gregoriano

1 Minute Gospel. The privilege of grace

Reading

Luke 1:26-38

In the sixth month, the angel Gabriel was sent from God to a town of Galilee called Nazareth, to a virgin betrothed to a man named Joseph, of the house of David, and the virgin’s name was Mary. And coming to her, he said, “Hail, favored one! The Lord is with you.”
But she was greatly troubled at what was said and pondered what sort of greeting this might be. Then the angel said to her, “Do not be afraid, Mary, for you have found favor with God. Behold, you will conceive in your womb and bear a son, and you shall name him Jesus. He will be great and will be called Son of the Most High, and the Lord God will give him the throne of David his father, and he will rule over the house of Jacob forever, and of his kingdom there will be no end.”
But Mary said to the angel, “How can this be, since I have no relations with a man?” And the angel said to her in reply, “The Holy Spirit will come upon you, and the power of the Most High will overshadow you. Therefore the child to be born will be called holy, the Son of God. And behold, Elizabeth, your relative, has also conceived a son in her old age, and this is the sixth month for her who was called barren; for nothing will be impossible for God.” Mary said, “Behold, I am the handmaid of the Lord. May it be done to me according to your word.” Then the angel departed from her.

Meditation

Mary is the first creature to be evangelized, receiving the word of salvation on the advent of the Messiah expected by Israel. If the announcement of the birth of John the Baptist had taken place in Jerusalem - the center of Judaism - to a priest, in the midst of divine worship, here the angel appears to a humble woman, in a small village in Galilee, a region that gave birth to the prophets Jonah and Nahum but was held in little account in the country.

The woman is called Mary, a Latin transposition of the Hebrew name Miriam - the same as the sister of Moses and Aaron - whose meaning is "exalted" (by God). The virgin is betrothed to a man, Joseph, whose genealogy attests to a descent from David. We are not sure, however, of Mary's Davidic descent; however, the attribution to Jesus of the title "Son of David" even though he was born of Mary without her having been united with Joseph, suggest that Mary herself is Davidic descent.

Jesus is presented, therefore, as the legitimate king of Israel, although the kingdom which he inaugurates "is not of this world" (Jn 18:36) and will have no end. Jesus is the "Son of the Most High" (v. 32), a title that will be recognized on several occasions: by the Father, during his baptism in the Jordan (Lk 3:22), by Peter ("You are the Christ, the Son of the living God "; Mt 16:16), from the possessed Gadarenus ("What is there between you and me, Jesus, Son of the Most High God?"; Mk 5: 7); from the centurion near the cross ("Truly, this was the Son of God"; Mt 27:54).

The angel's greeting does not have the usual Hebrew formula Shalom (Peace) but is indicated with the Greek chàire, or "rejoice", which seems to allude to several messianic passages of the Old Testament. The following word, kecharitoméne literally means "favored by grace", indicating the particular privilege to which Mary is raised. Hence his upset, in the awareness of his creatural limit, the recipient of a surprising plan from God. The words "the Lord is with you" (v. 28) also recall an expression that often recurs in the Ancient testament, to indicate God's assistance in a mission.

Mary's answer-question "how is this possible?" does not indicate a doubt about God's ability to make her conceive without knowing man, but rather the surprise for a choice of election of what is humble and hidden. The shadow that will spread over her represents the mystery of God's extraordinary operations and at the same time recalls the cloud that accompanied Israel in her exodus from Egypt to the promised land. The Annunciation thus takes on a paschal connotation, of "new exodus", since the birth of the Messiah will mark the passage from the slavery of sin to the freedom of grace.

The shadow that extends over Mary is the image of the Holy Spirit, who acts in believers in listening to and ruminating on the word of God: "Mary, on her part, kept all these things, pondering them in her heart" (Lk 2:19). The event of the Annunciation and Mary's response constitute for every believer an invitation to accept God's will, in the certainty of the efficacy of grace: "Here I am, I am the handmaid of the Lord, let what you said happen to me". The "yes" that Mary pronounces conditions her whole life and the fate of the entire human race. The willingness to fulfill radical and definitive decisions like that of Mary will shape in our lives the great plans that God has for us.

Prayer

We rejoice, Lord, at hearing your word of salvation. May it generate in our souls, through the action of your Spirit, the eternal Word; so that we can sing of your mercy. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Fermati 1 minuto. Il privilegio della grazia

Lettura

Luca 1,26-38

26 Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, 27 a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28 Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». 29 A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. 30 L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32 Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33 e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
34 Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». 35 Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. 36 Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: 37 nulla è impossibile a Dio». 38 Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.

Commento

Maria è la prima creatura ad essere evangelizzata, ricevendo la parola di salvezza sull'avvento del Messia atteso da Israele. Se l'annuncio della nascita di Giovanni il Battista era avvenuto a Gerusalemme - centro del giudaismo - a un sacerdote, nel mezzo del culto divino, qui l'angelo appare a un'umile donna, in un piccolo villaggio della Galilea, regione che a parte aver dato i natali ai profeti Giona e Nahum, era tenuta in poco conto nel Paese. 

La donna si chiama Maria, trasposizione latina del nome ebraico Miriam - lo stesso della sorella di Mosè e Aronne - il cui significato è "esaltata" (da Dio). La vergine è promessa sposa di un uomo, Giuseppe, la cui genealogia ne attesta la discendenza da Davide. Non siamo certi, invece, della discendenza davidica di Maria; tuttavia, l'attribuzione a Gesù del titolo "Figlio di Davide" pur essendo nato da Maria senza che vi sia stata un'unione di questa con Giuseppe, fanno propendere per la discendenza davidica di Maria stessa. 

Gesù è presentato, dunque, come il legittimo re di Israele, sebbene il regno che egli inaugura "non è di questo mondo" (Gv 18,36) e non avrà fine (v. 33). Gesù è il "Figlio dell'Altissimo" (v. 32), titolo che gli sarà riconosciuto a più riprese: dal Padre, durante il battesimo al Giordano (Lc 3,22), da Pietro («Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»; Mt 16,16), dall'indemoniato gadareno («Che c'è fra me e te, Gesù, Figlio del Dio altissimo?»; Mc 5,7); dal centurione presso la croce («Veramente, costui era Figlio di Dio»; Mt 27,54). 

Il saluto dell'angelo non presenta l'abituale formula ebraica Shalom (pace) ma è indicato con il greco chàire, ovvero "rallegrati", che sembra alludere a diversi passi messianici dell'Antico Testamento. La parola che segue, kecharitoméne significa letteralmente "favorita dalla grazia", a indicare il particolare privilegio cui è innalzata Maria. Da qui il suo turbamento, nella consapevolezza del proprio limite creaturale, destinatario di un disegno sorprendente da parte di Dio. Le parole "il Signore è con te" (v. 28) richiamano anch'esse un'espressione che ricorre spesso nell'Antico Testamento, per indicare l'assistenza di Dio in una missione.

La risposta-domanda di Maria "come è possibile?" (v. 34) non indica un dubitare sulla capacità di Dio di farla concepire senza conoscere uomo, quanto invece la sorpresa per una scelta di elezione di ciò che è umile e nascosto. L'ombra che si stenderà su di lei rappresenta il mistero delle operazioni straordinarie di Dio e al contempo richiama la nube che accompagnava Israele nel suo esodo dall'Egitto alla terra promessa. L'annunciazione assume così una connotazione pasquale, di "nuovo esodo", in quanto la nascita del Messia segnerà il passaggio dalla schiavitù del peccato alla libertà della grazia. 

L'ombra che si stende su Maria è immagine dello Spirito Santo, che agisce nei credenti nell'ascolto e nella ruminazione della parola di Dio: "Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (Lc 2,19). L'evento dell'annunciazione e la risposta di Maria costituiscono per ogni credente un invito ad accogliere la volontà di Dio, nella certezza dell'efficacia della grazia: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (v. 38). Il "sì" che Maria pronuncia condiziona tutta la sua vita e le sorti dell'intero genere umano. La capacità di compiere decisioni radicali e definitive come quella di Maria potrà dare forma nelle nostre vite ai grandi progetti che Dio ha per noi.

Preghiera

Noi ci rallegriamo, Signore, all'ascolto della tua parola di salvezza. Che essa possa generare nelle nostre anime, per l'azione del tuo Spirito, il Verbo eterno; affinché possiamo cantare la tua misericordia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 19 dicembre 2022

Fermati 1 minuto. Docile fiducia

Lettura

Luca 1,5-25

5 Al tempo di Erode, re della Giudea, c'era un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abìa, e aveva in moglie una discendente di Aronne chiamata Elisabetta. 6 Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. 7 Ma non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni.
8 Mentre Zaccaria officiava davanti al Signore nel turno della sua classe, 9 secondo l'usanza del servizio sacerdotale, gli toccò in sorte di entrare nel tempio per fare l'offerta dell'incenso. 10 Tutta l'assemblea del popolo pregava fuori nell'ora dell'incenso. 11 Allora gli apparve un angelo del Signore, ritto alla destra dell'altare dell'incenso. 12 Quando lo vide, Zaccaria si turbò e fu preso da timore. 13 Ma l'angelo gli disse: «Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni. 14 Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita, 15 poiché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre 16 e ricondurrà molti figli d'Israele al Signore loro Dio. 17 Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto». 18 Zaccaria disse all'angelo: «Come posso conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni». 19 L'angelo gli rispose: «Io sono Gabriele che sto al cospetto di Dio e sono stato mandato a portarti questo lieto annunzio. 20 Ed ecco, sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, le quali si adempiranno a loro tempo».
21 Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria, e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio. 22 Quando poi uscì e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto.
23 Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa. 24 Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: 25 «Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna tra gli uomini».

Commento

Dopo un prologo in cui Luca delinea il metodo con cui ha composto il proprio libro, vengono dedicati due capitoli al cosiddetto "vangelo dell'infanzia", in cui l'autore stabilisce una serie di paralleli tra la nascita di Giovanni il Battista e quella di Gesù.

La sterilità, di cui soffre Elisabetta, era considerata un segno della mancanza della benevolenza divina, ma Luca ci tiene a sottolineare che lei e Zaccaria "Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore" (v. 6); la loro fede e la loro speranza è attestata anche dal fatto che continuano a pregare per ottenere il figlio desiderato (v. 13). Anche noi, quando non vediamo segni "tangibili" del favore divino, siamo chiamati a restare fedeli al Signore e a non abbandonare l'orazione. La contraddizione tra l'irreprensibilità di Zaccaria e di Elisabetta e il grembo vuoto di quest'ultima ci invita a uscire da una relazione "contrattualistica" con Dio, riconoscendo che nulla è dovuto, ma tutto è dono.

L'annuncio della nascita di Giovanni avviene mentre il sacerdote Zaccaria sta celebrando l'offerta dell'incenso nel Tempio di Gerusalemme. Quando Davide assegnò ai sacerdoti il servizio del tempio dividendoli in sorte ad Abia toccò l'ottava (1 Cr 24,5.10) delle ventiquattro classi sacerdotali stabilite (1 Cr 24,18). Per una settimana, due volte l'anno, la classe di Abia serviva nel tempio di Gerusalemme. Dato il gran numero di sacerdoti (circa diciottomila), l'incarico di offrire l'incenso (v. 9) poteva essere conferito una sola volta nella vita; si trattava quindi di un evento di grande importanza.

Giovanni (letteralmente "Dio ha mostrato la sua grazia"), il figlio annunciato dall'angelo, non berrà vino né altre bevande inebrianti (v. 15): come Sansone (Gdc 13,4-5) e Samuele (1 Sam 1,11) viene consacrato a Dio come nazireo (Nm 6,2-3) al servizio del Signore. A Giovanni viene conferito il ruolo del profeta Elia che, secondo quanto detto da Malachia, è inviato "prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore" (Ml 3,23).

Gabriele è l'angelo che nel libro di Daniele proclama le settanta settimane di anni e la venuta del Messia (Dn 9,20-25), e che annuncia la sua nascita a Maria nello stesso Vangelo di Luca (Lc 1,26-38). Il rimprovero dell'angelo evidenzia che non dobbiamo preoccuparci dell'umana realizzazione delle promesse di Dio, ma che dobbiamo tener conto di colui che fa la promessa, la cui parola non può venire a mancare. Vi è così un parallelo tra la parola irremovibile di Dio e la temporanea perdita della parola di Zaccaria.

Il mutismo di Zaccaria è conseguenza della sua incredulità. Quando Maria porrà una domanda simile sarà invece rassicurata; il mistero del concepimento verginale del Figlio di Dio, è ben più grande della liberazione dalla sterilità e supera infinitamente le capacità dell'umana comprensione. Il piano di Dio giungerà a effetto nonostante l'incredulità iniziale di Zaccaria e la lingua di questi si scioglierà in un canto di lode (Lc 2,67-79).

Il racconto della nascita di Giovanni ci invita a non avere un concetto eccessivamente umano delle cose di Dio, a mantenere una docilità fiduciosa per credere ai suoi progetti, che sono sempre più grandi dei nostri.

Preghiera

Accresci la nostra fede Signore, affinché possiamo pregustare le promesse della tua grazia, fonte di vita che supplisce ai limiti della nostra umanità. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Le Antifone maggiori dell'Avvento - O Radix Jesse

O Radice di Jesse,
che sei un segno per i popoli,
innanzi a te i re della terra non parlano,
e le nazioni ti acclamano:
vieni e liberaci,
non fare tardi.

O Radix Jesse,
qui stas in signum populorum,
super quem continebunt reges os suum,
quem gentes deprecabuntur:
veni ad liberandum nos,
jam noli tardare.





Advent Antiphons No. 3 - O Radix Jesse- Queen's College Cambridge





Antifona di Avvento No. 3 - O Radix Jesse - Canto gregoriano


domenica 18 dicembre 2022

Ridestiamoci dal sonno

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUARTA DOMENICA DI AVVENTO

Colletta

Dio Onnipotente, donaci la grazia di allontanare da noi le opere delle tenebre e rivestirci dell’armatura della luce, ora nel tempo di questa vita mortale, in cui il tuo figlio Gesù Cristo è venuto a visitarci in grande umiltà; affinché nell’ultimo giorno, quando ritornerà nella sua gloriosa maestà, per giudicare i vivi e i morti, possiamo risorgere alla vita immortale, per lui che vive e regna, con te e con lo Spirito santo, nei secoli dei secoli. Amen.

Ti supplichiamo Signore, solleva la tua potenza e vieni in nostro soccorso; affinché mentre corriamo, affaticati e ostacolati, tra il peccato e la debolezza, sul percorso che ci hai posto dinanzi, la tua grazia e la tua misericordia, possano soccorrerci prontamente. Per Gesù Cristo, nostro Signore, al quale, con te e con lo Spirito Santo, va ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Letture

Fil 4,4-7; Gv 1,19-28

Commento

«Egli è colui che viene dopo di me e che mi ha preceduto» (Gv 1,27). In queste parole di Giovanni Battista è racchiusa la ragione della nostra speranza. Dio ci precede nel donarci la sua salvezza. 

La colletta della quarta settimana di Avvento richiama la seconda lettera di San Paolo a Timoteo, scritta dalla prigionia, nella consapevolezza della morte imminente: "Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservato la fede. Ormai mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno" (2 Tim 4,7-8). Ma come ci ricorda questa preghiera liturgica la corsa può risultare estremamente faticosa, e può essere non priva di inciampi, a volte di rovinose cadute, a causa del peccato e della nostra debolezza. Il Signore ci viene incontro, con la sua grazia e la sua misericordia.

Fin dal primo atto di allontanamento dal Creatore vediamo nel libro della Genesi un Dio che cerca la sua creatura, chiamandola per il giardino: «Dove sei?» (Gen 3,9). Anche dopo l'allontanamento dell'uomo dall'Eden, Dio parla ai patriarchi, come a Giacobbe, nel sogno della scala mediante la quale gli angeli salgono e scendono dal cielo. Qui Dio gli promette «Io sono con te e ti proteggerò dovunque andrai... non ti abbandonerò» (Gen 28,15).

L'Avvento e il tempo di Natale sono il momento in cui maggiormente siamo chiamati a riconoscere la presenza di Dio tra noi. La lettera di Paolo ai Filippesi descrive il mirabile scambio di nature che si realizza nel mistero dell'incarnazione. Una dinamica circolare ascendente e discendente, proprio come quella degli angeli sulla scala di Giacobbe. Per questo la letteratura cristiana antica, in Oriente, parla di theosis kenosis, divinizzazione e spoliazione: divinizzazione dell'uomo, mediante la spoliazione di Dio. L'apostolo Paolo lo afferma con parole eloquenti: "Cristo Gesù... essendo in forma di Dio, non considerò qualcosa a cui aggrapparsi tenacemente l'essere uguale a Dio, ma svuotò se stesso, prendendo la forma di servo, divenendo simile agli uomini; e, trovato nell'esteriore simile ad un uomo, abbassò se stesso, divenendo ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,6). Vi è un profondo legame tra l'incarnazione e la passione.

Dio ha spogliato se stesso, assumendo la nostra natura, la nostra miseria, affinché non vi potesse essere più alcuna regione dell'umano classificabile come terra straniera, "senza Dio". Affinché saltassero tutte le distinzioni tra "sacro" e "profano". Affinché ciascuno di noi potesse esclamare, come Giacobbe, ridestatosi dal suo sogno profetico in terra straniera: «Certamente l'Eterno è in questo luogo, e io non lo sapevo» (Gen 28,16). Ridestiamoci dal sonno, dunque, e riconosciamo il Dio che è venuto ad abitare in mezzo a noi.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 16 dicembre 2022

Fermati 1 minuto. Cristo, il tesoro nascosto nelle Scritture

Lettura

Giovanni 5,31-47

31 Se fossi io a render testimonianza a me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera; 32 ma c'è un altro che mi rende testimonianza, e so che la testimonianza che egli mi rende è verace. 33 Voi avete inviato messaggeri da Giovanni ed egli ha reso testimonianza alla verità. 34 Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché possiate salvarvi. 35 Egli era una lampada che arde e risplende, e voi avete voluto solo per un momento rallegrarvi alla sua luce.
36 Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. 37 E anche il Padre, che mi ha mandato, ha reso testimonianza di me. Ma voi non avete mai udito la sua voce, né avete visto il suo volto, 38 e non avete la sua parola che dimora in voi, perché non credete a colui che egli ha mandato. 39 Voi scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono testimonianza. 40 Ma voi non volete venire a me per avere la vita.
41 Io non ricevo gloria dagli uomini. 42 Ma io vi conosco e so che non avete in voi l'amore di Dio. 43 Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste. 44 E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo? 45 Non crediate che sia io ad accusarvi davanti al Padre; c'è già chi vi accusa, Mosè, nel quale avete riposto la vostra speranza. 46 Se credeste infatti a Mosè, credereste anche a me; perché di me egli ha scritto. 47 Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?».

Commento

Secondo la legge mosaica i giudici non potevano affidarsi a un unico testimone, ma era necessaria la testimonianza di due o tre persone (Dt 17,6; 19,15; Nm 35,30). L'identità messianica di Gesù è confermata in questo passo del Vangelo di Giovanni da quattro testimoni: il ministero di Giovanni il Battista (vv. 32-35); le opere compiute da Gesù; il Padre, che ha parlato nel battesimo al Giordano e che si rivolge direttamente alle coscienze (vv. 37-38); le Scritture (vv. 39-40) e in paticolare Mosè (i libri del Pentateuco). 

Affermando che le Scritture gli rendono testimonianza Gesù si svela come il mistero racchiuso in esse e ci offre una chiave per interpretare il loro senso più autentico. Così riconobbe Filippo, quando affermò "Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti (Gv 1,45); e lo stesso evangelista Giovanni, al termine del prologo del suo Vangelo: "La legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo" (Gv 1,16-18). 

Gesù è il tesoro nascosto nel campo delle Scritture, per il quale vale la pena vendere tutti i nostri beni; chi conosce lui infatti ha la vita eterna (1 Gv 5,11). Egli è però un Messia diverso da quello che si sono rappresentati i dottori di Israele, non è un liberatore politico perché non riceve gloria dagli uomini (v. 41); la sua volontà è unicamente quella di compiacere il Padre. 

L'errore dei farisei è di credere che la mera conoscenza delle Scritture possa guadagnare loro la vita eterna, ma non riescono a riconoscere il Messia da esse annunciato. Anche noi possiamo essere sviati dal sentirci depositari di una sapienza millenaria. L'assenza di rettitudine di intenzione - ovvero la ricerca della gloria umana - e l'interpretazione tendenziosa delle Scritture, guidati dai preconcetti che cercano solo conferme alle proprie convinzioni, ci tengono lontani dalla Verità. 

Ma se la parola di Dio penetra in profondità nelle nostre anime, se la assimiliamo meditandola frequentemente, consultandola in ogni occasione, conformandoci ad essa nelle parole e nelle azioni, allora darà testimonianza a Cristo, rendendo noi stessi testimoni di Cristo. Venire a lui - che è la Verità fattasi uomo - significa porsi all'ombra della grazia; egli infatti non è venuto per accusare, perché è la legge che accusa l'uomo di peccato. 

Gesù è venuto come nostro avvocato per la nostra giustificazione, portatore di quella grazia che non annulla le Scritture antiche ma le porta a perfezione. La sua persona le rende vive, capaci di interpellarci qui ed ora, se siamo capaci di metterci in ascolto con umiltà.

Preghiera

Suscita in noi, Signore, un desiderio ardente di conoscerti; affinché meditando e custodendo la tua parola possiamo far risplendere la tua luce fra gli uomini. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 15 dicembre 2022

1 Minute Gospel. What did we go to see?

Reading

Luke 7:24-30

24 After John’s messengers left, Jesus began to speak to the crowd about John: “What did you go out into the wilderness to see? A reed swayed by the wind? 25 If not, what did you go out to see? A man dressed in fine clothes? No, those who wear expensive clothes and indulge in luxury are in palaces. 26 But what did you go out to see? A prophet? Yes, I tell you, and more than a prophet. 27 This is the one about whom it is written:
“‘I will send my messenger ahead of you,
    who will prepare your way before you.’
28 I tell you, among those born of women there is no one greater than John; yet the one who is least in the kingdom of God is greater than he.”
29 (All the people, even the tax collectors, when they heard Jesus’ words, acknowledged that God’s way was right, because they had been baptized by John. 30 But the Pharisees and the experts in the law rejected God’s purpose for themselves, because they had not been baptized by John.)

Comment

Three times Jesus asks those who follow him the same question, some with sincerity of heart, others with curiosity or malice: «What did you go to see?» (Lk 7,24.25.26).

The desert, a place of penance and a place of temptation, has converted tax collectors and sinners but has hardened the hearts of the doctors of the law. The latter despised God's plan (v. 30), refusing John's baptism of conversion. Anyone who does not recognize the forgiveness offered by God cannot renew his life in Christ.

Jesus identifies John the Baptist with Elijah, whose return to prepare the way for the day of the Lord had been announced by the prophet Malachi (Ml 3:1-23). The voice of the forerunner urges us: «The time has come,” he said. “The kingdom of God has come near. Repent and believe the good news!» (Mk 1:15). Converting involves turning our gaze away from our little "ego" to turn it to God. "Those who look to him are radiant" says the Psalmist (Ps 34:5). In the rediscovered communion with God, we can receive life in abundance (Jn 10:10).

The old covenant, which finds its greatest fulfillment in John, is superseded by the new covenant (v. 28). The baptism of purification in the Jordan is a first step towards the total purification brought about by the passion and death of Christ.

Going into the desert means becoming aware of ourselves, not refusing to face our limits. A prophetic voice resounds in the deserts of our existence, solitudes, failure, hunger, and thirst for justice. This can become an opportunity to encounter God's love for us.

Prayer

Awaken our consciences, o Lord, so that we may recognize the voice of your Spirit and quench our thirst at the fount of your mercy, which flows like a spring in the desert.

- Rev. Dr. Luca Vona