Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

giovedì 31 luglio 2025

Fermati 1 minuto. Tutti presi nella stessa rete

Lettura

Matteo 13,47-53

47 Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. 48 Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. 49 Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni 50 e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
51 Avete capito tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». 52 Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».
53 Terminate queste parabole, Gesù partì di là

Commento

Fino al tempo del giudizio il regno dei cieli è aperto a ogni uomo, è anzi simile a una rete, alla quale nessuno può sottrarsi. Sappiamo infatti che i tempi non saranno compiuti finché il vangelo non sarà annunciato ad ogni creatura (Mc 16,15), in tutto il mondo (Mt 24,14). Di fronte a questo annuncio non è concesso assumere un atteggiamento neutrale: «Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde», afferma Gesù (Mt 12,30). 

Siamo tutti presi nella rete della grazia, dunque. Per questo il giudizio definitivo tra ciò che è buono e ciò che è malvagio non spetta a noi, ma sarà compiuto dagli angeli di Dio, con accurato discernimento: sedutisi, (gr. katisantes) - raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Come nella parabola della zizzania, il destino ultimo dei malvagi è la fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. 

All'apertura del messaggio di salvezza, come rete gettata verso ogni uomo, corrisponde la possibilità di una radicale chiusura del cuore, la "bestemmia contro lo Spirito Santo" (Mc 3,29); possibilità che determina il perimetro di azione della libertà umana.

La delega a Dio del giudizio sui salvati non porta certo a una mancanza di responsabilità e a un atteggiamento di attesa passiva del compimento dei tempi. Gesù conclude questa ultima parabola del regno sottolineando la novità dell'era messianica da lui inaugurata. La saggezza degli scribi, esperti della legge antica, non è rinnegata ma arricchita di linfa vitale dalla nuova notizia del vangelo. Da questi tesori, il padrone di casa, ovvero il discepolo, attinge per elargire la Parola e dischiuderne i preziosi significati.

Preghiera

Aiutaci a scoprire i tesori della tua parola, Signore, per riformare la nostra vita e discernere in noi e nel mondo ciò che è buono e ciò che è contrario dalla tua volontà; in una attesa operosa del tuo glorioso ritorno. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Ignazio di Loyola, soldato di Cristo

La chiesa cattolica d'occidente e la chiesa anglicana celebrano oggi la memoria di Ignazio di Loyola.
Nel 1556 muore a Roma Ignazio di Loyola, presbitero e fondatore della Compagnia di Gesù (Gesuiti).
Nato nel 1491 da una nobile famiglia basca, Iñigo Lopez de Loyola ricevette un'educazione cavalleresca e adatta a una vita di corte. Ferito a una gamba a trent'anni nell'assedio della città di Pamplona e costretto a una lunga convalescenza, egli rimase conquistato dalla lettura della Vita di Gesù Cristo del certosino Ludolfo di Sassonia e della Leggenda aurea di Jacopo da Varagine. Decise allora di iniziare un lungo cammino per discernere la volontà di Dio sulla sua vita.
Frutto di queste sue prime esperienze e dell'anno di solitudine e preghiera passato a Manresa sarà il libro degli Esercizi spirituali, grazie al quale Ignazio renderà accessibile ad altri l'itinerario di discernimento che per primo aveva percorso.
Illuminato da una profonda vita interiore, egli volle intraprendere un cammino di spoliazione e di povertà per amore di Cristo, itinerario che iniziò assieme a una piccola comunità di fratelli destinata all'annuncio del vangelo e al servizio del bene spirituale degli uomini.
Uomo sempre teso ad armonizzare il divino e l'umano, l'invocazione dello Spirito nella preghiera e la concreta fatica della carità, Ignazio diede vita nel 1540, assieme ai primi compagni, alla Compagnia di Gesù: «poveri preti pellegrini», disposti ad andare in tutto il mondo a diffondere la chiamata alla santità che Dio rivolge a ogni uomo. La sua forma di vita religiosa si è rivelata nei secoli tra le più feconde e lungimiranti della chiesa d'occidente.

Tracce di lettura

Con l'espressione «esercizi spirituali» si intende ogni modo di esaminare la coscienza, meditare, contemplare, pregare vocalmente e mentalmente, e altre operazioni spirituali. Come infatti il passeggiare, il camminare e il correre sono esercizi corporali, così si chiamano «esercizi spirituali» tutti i modi di preparare e disporre l'anima a liberarsi di tutti gli affetti disordinati e, una volta eliminati, a cercare e trovare la volontà divina nell'organizzazione della propria vita per la salvezza dell'anima.
(Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, Prima annotazione).

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

mercoledì 30 luglio 2025

William Penn. Quacchero e fondatore della Pennsylvania

Il 30 luglio del 1718 muore William Penn, una delle massime figure del quaccherismo inglese.
William era nato nel 1644 a Wanstead, nel Sussex, in ambiente marcatamente puritano. Dopo aver conosciuto la «Società degli amici» (i quaccheri) attraverso la predicazione di Thomas Loe, egli subì diverse peripezie per il desiderio che manifestava di aggregarsi al loro movimento, testimone di una Parola capace di contestare in modo radicale, sebbene con mezzi pacifici, la vita sociale della nascente società industriale nonché delle istituzioni ecclesiastiche dell'epoca.
Divenuto quacchero con convinzione, grazie alla sua cultura Penn seppe dare un impulso profondo a quel ricentramento sul kerygma evangelico di cui il quaccherismo aveva avuto bisogno sin dai suoi inizi.
Uomo di grande pace interiore perché reso mite dalle umiliazioni sopportate nella fede, difensore estremo della libertà di coscienza e dell'uguaglianza fra gli uomini, William Penn coronò almeno in parte il suo sogno di una società più libera e solidale acquistando, popolando e organizzando in America del Nord quello che sarà chiamato lo stato della Pennsylvania, che significativamente avrà come capitale Filadelfia. Egli lo volle sprovvisto di esercito e aperto al dialogo con le tribù indiane presenti nei suoi confini.
William Penn morì all'età di settantaquattro anni.

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

William Penn - Wikiquote
William Penn (1644-1718)

Fermati 1 minuto. Arricchire davanti a Dio

Lettura

Matteo 13,44-46

44 Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
45 Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; 46 trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.

Commento

Queste due parabole riportate da Matteo hanno il medesimo significato. Entrambe rappresentano la salvezza come qualcosa di nascosto alla maggior parte degli uomini, ma di tale valore che vale la pena abbandonare tutto per possederla.

La parabola del tesoro nascosto si inscrive nella tradizione sapienziale ebraica, come attestata dal libro dei Proverbi: "Se la ricercherai come l'argento e per essa scaverai come per i tesori, allora comprenderai il timore del Signore e troverai la scienza di Dio" (Pr 2,4-5)

Nella parabola della perla preziosa il verbo greco zetèo - cercare - è un termine-chiave. Infatti, solo coloro che cercano il regno di Dio lo troveranno.

Gli ebrei che rifiutano Gesù non hanno cercato con sincerità. Il che non esclude l'applicazione esortativa del significato di queste parabole agli stessi cristiani.

Le Scritture sono il terreno in cui il tesoro della salvezza è nascosto. Non si trova in un giardino chiuso, ma in un campo aperto, così che chiunque possa scoprirlo. Occorre però investigarle in profondità e non fermarsi alla superficie per trovare il tesoro che è Cristo, la perla di grande valore; colui che ci fa arricchire davanti a Dio.

Preghiera

Lasciati trovare da noi Signore, perché siamo poveri finché non abbiamo conosciuto te, che sei il bene di quanti accumulano tesori in cielo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 29 luglio 2025

Dizionario della Musica Anglicana. Robert Cooke

Robert Cooke (1768-1814) fu un compositore e organista inglese della fine del XVIII e inizio XIX secolo. Nato a Westminster, mostrò fin da giovane talento musicale e ricevette la sua formazione presso la Chapel Royal.

La sua carriera si sviluppò principalmente come organista di chiesa. Nel 1802 fu nominato organista della cattedrale di Westminster Abbey, una delle posizioni più prestigiose nel panorama musicale inglese dell'epoca. Questa nomina rappresentò il culmine della sua carriera professionale e gli permise di lavorare in uno dei centri musicali più importanti di Londra.

Come compositore, Cooke si dedicò prevalentemente alla musica sacra, scrivendo anthems, inni e altre composizioni liturgiche adatte al contesto ecclesiastico in cui operava. Le sue opere riflettevano lo stile musicale del periodo georgiano, caratterizzato da eleganza formale e chiarezza melodica.

Cooke fu anche attivo come insegnante di musica, contribuendo alla formazione di una nuova generazione di musicisti inglesi. La sua influenza si estese oltre le sue composizioni attraverso l'attività didattica e il ruolo istituzionale che ricoprì.

Opere principali:

  • Evening Service in C (1806)
  • Una raccolta di chants per il coro dell'Abbey
  • Magnificat and Nunc dimittis in C per coro a quattro voci (SATB)
  • "Ode to Friendship"
  • Una collezione di otto songs e glees pubblicata nel 1805

Morì relativamente giovane nel 1814, lasciando un corpus di opere che, pur non raggiungendo la fama internazionale, rappresentarono un contributo significativo alla tradizione musicale inglese del suo tempo. La sua figura rimane emblematica del musicista ecclesiastico inglese tra Settecento e Ottocento.


Marta, Maria e Lazzaro. Amici del Signore

Nel calendario monastico occidentale si ricordano oggi Marta, Maria e Lazzaro, «amici e ospiti del Signore».
«Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro» (Gv 11,5): accanto agli uomini e alle donne che lo avevano seguito nella sua predicazione, gli evangelisti ricordano questi amici del Signore che lo accolsero nella loro casa e furono particolarmente associati al mistero della sua morte e resurrezione.
Marta accoglie Gesù e si mette a servire colui che era venuto nel mondo per servire e dare l'esempio di un amore «fino alla fine».
Maria di Betania è presentata dai vangeli come preoccupata solo di accogliere la presenza del Signore e di custodirne la Parola; secondo Giovanni è lei a cospargere di olio profumato il Cristo e ad asciugargli i piedi con i propri capelli, anticipando profeticamente l'unzione del corpo di Gesù per la sepoltura.
Lazzaro è l'amico che Gesù tanto amava e che richiama in vita proprio mentre si accinge a deporre la propria vita, offrendo così in quest'ultimo segno una profezia della resurrezione.
Marta, Maria e Lazzaro diedero il conforto dell'amicizia e un luogo di riposo al Figlio dell'uomo che non aveva una pietra su cui posare il capo. I monaci, da sempre attenti a riconoscere e servire il Cristo presente nell'ospite, festeggiano in loro gli ascoltatori della Parola che hanno saputo vivere l'intimità e la comunione con il Signore, fino a scorgere in quel Gesù che bussava alla loro porta il Messia che li avrebbe accolti nella dimora del Padre.

Tracce di lettura

Forse ai padri è sfuggito qualcosa: l'umanità così semplice di Gesù. Ripensiamo al vangelo di Marta e di Maria: «Ora, Gesù amava Marta, e sua sorella, e Lazzaro». Gli piaceva andarsi a riposare presso i suoi amici.
Scoprire l'amicizia di Cristo per noi significa anche scoprirci fratelli. Ma che Cristo abbia avuto amici speciali, che abbia manifestato delle predilezioni, non significa che ami meno qualcun altro. E' per ognuno di noi, in segreto, che ha una predilezione. Da ciò deriva, mi sembra, un principio fondamentale della vita spirituale: non bisogna fare paragoni. Ogni uomo è fuori misura. Chi può misurare l'uomo se non l'amore, che per l'appunto non misura mai? L'uomo non è suscettibile di confronti. Cristo non fa paragoni, ama ciascuno senza misura. Ricordiamolo bene, quando ci accostiamo agli uomini.
(Athenagoras, Dialoghi con Olivier Clément)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Icona dipinta a mano in stile bizantino, cm 32x40
Marta, Maria e Lazzaro insieme a Gesù, icona di Bose

Fermati 1 minuto. Gesù consacra il tempo della sosta

Lettura

Luca 10,38-42

38 Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. 39 Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; 40 Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41 Ma Gesù le rispose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, 42 ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta».

Commento

Lungo il cammino Gesù decide di fare una sosta a casa di Marta e Maria, sorelle del suo amico Lazzaro. Le due donne mostrano atteggiamenti contrapposti, ma entrambi importanti nella Chiesa: Marta, con il suo servizio attivo mostra la diakonìa, il prendersi cura del Signore, presente in ogni persona bisognosa; Maria è l'esemplare della discepola dedita all'ascolto di Dio. Degna di nota è la posizione assunta da quest'ultima, seduta davanti a Gesù, tipica del discepolo e a quei tempi del tutto inusuale per una donna. 

Il Signore non rimprovera a Marta il suo servizio, ma il suo essere "tutta presa"; letteralmente "assorbita" (gr. periestàto) per il grande servizio. Gesù consacra il tempo della sosta, dedicato al suo ascolto. Se non esita di compiere miracoli e guarigioni in giorno di sabato, al tempo stesso porta la sacralità del riposo sabbatico nel quotidiano. Non c'è attività così importante che possa distoglierci da una pausa per ascoltare la sua parola. 

Gesù rimprovera a Marta di preoccuparsi e agitarsi per troppe cose. Innanzitutto, qualsiasi opera di servizio deve essere da noi svolta con una azione quieta: con le mani dobbiamo servire, ma con le orecchie dobbiamo ascoltare la voce del Cristo.

Quando Gesù vuole essere accolto nelle nostre vite non ci chiede di "strafare". L'apostolato, il servizio di Cristo nel nostro prossimo, non può schiacciare e annullare lo spazio indispensabile riservato alla contemplazione, e alla lode di Dio, vero nutrimento e ristoro dell'anima.

Cammino e sosta, scandiscono la vita di Gesù, come una melodia in cui le pause sono importanti quanto le note. Egli ci esorta alla semplificazione della nostra vita esteriore ed interiore; ci libera dagli affanni chiamandoci alla semplicità e alla gioia del discepolato, che è sapiente equilibrio tra il fare e l'ascoltare, il servizio e l'adorazione: faremo così una cosa senza trascurare l'altra, compiendo "la giustizia e l'amore di Dio" (Lc 11,42).

Preghiera

Signore, noi ti adoriamo, in ascolto, seduti ai tuoi piedi. La tua parola alimenti in noi l'amore contemplativo e l'ardore per la vita apostolica; senza che mai perdiamo l'attenzione verso la tua presenza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 28 luglio 2025

Johann Sebastian Bach, la vita interiore in musica

Il 28 luglio 1750 moriva a Lipsia Johann Sebastian Bach.
Vi sono cristiani che hanno reso una profonda testimonianza a Cristo con la vita, altri attraverso gli scritti e gli insegnamenti che hanno lasciato ai posteri. Johann Sebastian Bach lo ha fatto con la musica, in modo costante, per tutto l'arco della sua parabola terrena.
Bach nacque ad Eisenach, in Turingia, nel 1685, ultimo figlio di una famiglia di musicisti. Rimasto orfano a nove anni della madre e a dieci del padre, egli ebbe tuttavia un'esistenza serena, ritmata dalla propria intensa vita familiare - fu padre di venti figli - e dalla professione di organista. Dopo il liceo Johann Sebastian fu infatti organista prima ad Arnstadt, poi alla corte del duca di Weimar, e infine a Lipsia.
In vita egli fu ammirato soprattutto come esecutore, mentre le sue più grandi opere religiose, come ad esempio la Passione secondo Matteo, passarono per lo più inosservate. Nella musica Bach traspose tutti gli affetti domestici e le esperienze religiose, riuscendo a narrare in modo straordinario la bellezza della quotidianità, da lui sempre avvertita alla luce dello sguardo misericordioso del Signore.
Bach morì a Lipsia, il 28 luglio del 1750, e a poco a poco emerse la sua grandiosa e originale produzione musicale, che fu una vera e propria trasposizione musicale della vita interiore che il musicista era riuscito a coltivare nonostante la gran mole di impegni a cui mai si era sottratto.

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

domenica 27 luglio 2025

Salvezza a caro prezzo o a buon mercato?

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA SESTA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

O Dio, che hai preparato per coloro che ti amano dei beni che sorpassano l'umana comprensione, infondi nei nostri cuori un amore per te tale che, amandoti sopra ogni altra cosa, possiamo ottenere le promesse che superano ogni nostro desiderio; per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Rm 6,3-11; Mt 5,20-26

Commento

Nella sua lettera ai Romani Paolo ci offre una profonda riflessione teologica sul significato del battesimo. Questi non è un semplice rito di purificazione e un richiamo alla conversione, come accadeva in alcuni rituali di abluzione ebraici o come nel caso del battesimo di Giovanni. Il battesimo cristiano è un evento unico e irripetibile, è un battesimo "in Cristo Gesù", "nella sua morte", quale prefigurazione e promessa della risurrezione con lui. 

In Cristo, nel nostro battesimo, moriamo al peccato "una volta e per sempre", per vivere in Dio. Ora, questo si realizza al di là dei nostri presunti "meriti", è operato gratuitamente ed è ottenuto per i meriti della morte di Gesù; ciò è messo ancor più in evidenza nel battesimo dei bambini, espressione della grazia che ci viene incontro e che previene la nostra stessa richiesta di salvezza.

In un certo senso, dunque, la salvezza "è a buon mercato", perché ci è data per grazia e non per meriti. Ma proprio per questo, dobbiamo considerarla "a caro prezzo". Non siamo stati noi a pagare, ma Cristo l'ha acquistata per mezzo del suo sangue. Come poter accogliere con superficialità un tale dono?

Per questa ragione è richiesta una radicalità, nel vivere secondo Cristo, che dona inaspettata profondità e ampiezza ai precetti dell'antica legge. "Se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete affatto nel regno dei cieli" afferma Gesù. E nella serie di esempi che egli fa seguire al suo discorso della montagna e alla proclamazione delle beatitudini evangeliche, vediamo che non si tratta di cadere nel legalismo e nella precettistica dei dottori della legge, contro i quali Gesù si trova spesso a scontrarsi. Siamo invitati a cogliere e amplificare il precetto della carità, sottostante l'intera legge. Così "non uccidere" diventa un richiamo a non ferire il prossimo neanche con le parole e la riconciliazione con il fratello diventa una condizione preliminare indispensabile per poter presentare le proprie offerte a Dio: il culto nel tempio, senza essere abolito, è subordinato al culto in Spirito e verità, che riconosce nel prossimo una creatura redenta da Cristo con il suo sacrificio.

Presentiamo, dunque, le nostre membra "come strumenti di giustizia a Dio", secondo l'invito che l'apostolo Paolo ci rivolge nella sua lettera. Ricordiamo la grandezza del debito che ci è stato condonato e non comportiamoci come quell'uomo che ottenuta misericordia dal suo creditore si comportò da aguzzino con i propri debitori. Cristo ha pagato il prezzo del nostro riscatto, ma saremo giudicati secondo giustizia e ci verrà chiesto conto fino all'ultimo centesimo della carità che Dio ci ha donato, chiamandoci a condividerla con ogni uomo.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 25 luglio 2025

Fermati 1 minuto. Il Figlio dell'uomo è venuto per servire

Lettura

Matteo 20,20-28

20 Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. 21 Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di' che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». 22 Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». 23 Ed egli soggiunse: «Il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio».
24 Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono con i due fratelli; 25 ma Gesù, chiamatili a sé, disse: «I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. 26 Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, 27 e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; 28 appunto come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti».

Commento

Nel Vangelo di Marco assistiamo alla richiesta fatta a Gesù da parte di Giacomo e Giovanni di poter sedere l'uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra nel regno dei cieli, mentre nel Vangelo di Matteo la stessa richiesta è avanzata dalla madre, forse per il timore di risultare poco umili nei confronti degli altri apostoli. In ogni caso gli altri dieci esprimono il loro sdegno, mostrando con ciò di porsi più o meno sullo stesso piano; la risposta di Gesù, infatti, suona come una ammonizione verso tutti loro.

Chi di noi non vorrebbe la garanzia di un posto privilegiato accanto a Gesù? Forse saremmo anche disposti ad accettare le tribolazioni di questa vita, a "bere il calice" del Signore, come Giacomo e Giovanni professano di essere disposti a fare. Allora la beatitudine eterna ci appare come un "premio" che ci spetta di diritto, magari a scapito di altri, che riteniamo meno "meritevoli". 

In tal modo sfugge il senso profondo della salvezza: il suo essere un dono gratuito da parte del Padre, in virtù del riscatto operato dal Figlio. Se noi partiamo da questo presupposto, allora l'atteggiamento che ne consegue non può che essere di profonda umiltà: innanzitutto verso Dio, che ci ha sciolti dalle catene di questo mondo, affrancandoci dal peccato e dalla morte.

Le catene di questo mondo sono l'asservimento a una logica di prevaricazione l'uno sull'altro, un continuo sentirsi in competizione che ci angustia, ci affanna, ci rende schiavi delle nostre ambizioni disordinate. 

Ma l'atteggiamento di umiltà che scaturisce dal sentirsi salvati per grazia deve caratterizzare anche le relazioni con il nostro prossimo. Che cosa meritiamo più di lui davanti a colui che ci ha riscattato a prezzo del suo sangue? 

La risposta di Gesù alla richiesta di un posto privilegiato nel regno a venire crea così un singolare paradosso: tra la schiavitù alle logiche del mondo e lo spirito di servizio, il farci "servi" - per utilizzare le parole stesse di Gesù - dei nostri fratelli e delle nostre sorelle. 

Nella Chiesa non c'è spazio per la volontà di dominio; ogni autorità va esercitata sul modello di Gesù, come servizio agli altri e non per interesse personale. Il vangelo ci chiama a conformarci al Figlio prediletto, nel quale il Padre si è compiaciuto (Mt 3,17), il Figlio che è venuto nel mondo per servire e non per essere servito (Mt 20,28).

Preghiera

Aiutaci a comprendere, Signore, che regnare con te è porci al servizio della tua Parola, che proclama la libertà dai lacci della morte e del peccato; affinché possiamo condividere sulla terra e celebrare in cielo la gioia della tua salvezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 24 luglio 2025

Fermati 1 minuto. Beati gli occhi che vedono

Oggi ricordiamo l'elogio di Gesù: "Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono!" (Mt 13,16). Queste parole ci interpellano: sono rivolte solo ai discepoli che Lo seguivano fisicamente, o anche a noi? A prima vista, potremmo pensare che i veri fortunati siano stati loro, avendo avuto il privilegio di camminare accanto al Messia, di ascoltare direttamente la sua voce, di toccare con mano i suoi miracoli.

Eppure, Gesù stesso ci aiuta a comprendere la profondità di questa beatitudine quando aggiunge: "In verità vi dico: molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non lo videro" (Mt 13,17). Qui sta il punto cruciale: quei profeti dell'Antico Testamento aspettavano il Messia come una promessa futura, mentre noi oggi viviamo nella pienezza dei tempi, nell'era della salvezza compiuta.

Sì, è vero che noi non abbiamo visto Gesù con i nostri occhi fisici, ma la fede ci dona una visione più profonda. Non abbiamo udito la sua voce materiale, ma ascoltiamo ogni giorno la sua Parola che risuona nella Chiesa. Come dice sant'Agostino: "Quelli Lo videro presente nella carne, ma noi Lo contempliamo presente nella fede". La nostra conoscenza di Cristo, sebbene diversa da quella degli apostoli, non è meno reale o meno potente.

Anzi, in un certo senso, la nostra condizione è ancora più beata, perché mentre i discepoli spesso faticavano a comprendere (pensiamo a Pietro che rinnega o a Tommaso che dubita), a noi è dato di contemplare l'intero mistero pasquale nella luce della Risurrezione.

Come vivere allora questa beatitudine? Attraverso un incontro vivo e personale con Cristo nella preghiera, nell'ascolto della Scrittura, nei sacramenti. Non siamo chiamati a rimpiangere un passato irraggiungibile, ma a vivere un presente glorioso: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20).

Sant'Agostino ci esorta: "Ricevi l'immagine di Dio che avevi perduto". Questo è il nostro privilegio più grande: non solo conoscere Cristo, ma diventare simili a Lui. La vera beatitudine non sta nell'avere visto, ma nel lasciarsi trasformare da ciò che abbiamo contemplato con gli occhi della fede.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 23 luglio 2025

Fermati 1 minuto. La lunga attesa di Anna

Lettura

Luca 2,36-40

36 C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, 37 era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. 38 Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. 39 Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. 40 Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.

Commento

Il Vangelo di Luca si apre con un coro di profezie sul bambino Gesù, prima di accennare alla sua vita nascosta a Nazaret e farlo ricomparire dodicenne a discutere con i dottori nel Tempio. L'ultima di queste profezie vede protagonista Anna, un'anziana vedova che conduce una vita ascetica senza allontarsi mai dal Tempio. La sua età avanzata non le impedisce di servire Dio e il servizio che gli rende è fatto di digiuno e di preghiera. 

Esaltando la devozione di Anna, l'Evangelista testimonia che la fede non può rinchiudersi in una dimensione puramente "orizzontale", relegando nell'ambito dell'inutilità coloro che non possono esercitare un ministero attivo per l'età avanzata o per altre limitazioni. 

La preghiera di Anna, il suo digiuno, protratti per così tanti anni dalla sua vedovanza, sono un segno profetico della superiorità di Dio in relazione con qualsiasi altra cosa; testimoniano la perseveranza nell'attesa e nell'invocazione del Messia, una implorazione che si trasforma in lode e annuncio nel momento in cui si realizza il sospirato incontro: "lodava Dio e parlava del bambino a tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme" (v. 38). 

Come Giovanni il Battista, Anna si fa interprete delle profezie dell'Antico Testamento, fa da "ponte" tra esse e la nuova alleanza in Cristo; ricordandoci con le sue veglie e i suoi digiuni, l'unico necessario, "la parte migliore" (Lc 18,41-42) che si rivela agli umili, ai "poveri di spirito", perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3).

Preghiera

Risveglia in noi, Signore, il desiderio di trascendere le cose di questo mondo, per annunciare, con le nostre vite e con la nostra parola, l'avvento del tuo regno. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Brigida di Svezia. Sposa, pellegrina, fondatrice

Il 23 luglio 1373 muore a Roma Brigida di Svezia, ricordata in questo giorno da cattolici, anglicani, luterani e veterocattolici.
Appartenente all'alta aristocrazia svedese, sposa e madre di otto figli, Brigida era una donna colta, dal temperamento forte, profondamente religiosa e ricca di carità. Essa amava le Scritture, che considerava il suo tesoro più prezioso e la medicina più idonea per la cura delle anime; si soffermava spesso sul mistero della passione del Signore e, con il marito, si dedicava alla cura dei malati e all'aiuto dei bisognosi.
Dopo un pellegrinaggio a Santiago di Compostela, i due coniugi decisero di abbracciare la vita religiosa, e qualche anno più tardi Brigida, spinta a ciò anche dalla propria esperienza mistica, pensò alla creazione di un nuovo ordine ispirato a un grande radicalismo evangelico, sull'esempio di quello di Fontevraud fondato da Roberto d'Arbrissel nel 1100.
Visitò molti luoghi italiani, come Milano, Pavia, Assisi, Bari, Ortona, Benevento, Arielli, Pozzuoli, Napoli, Salerno, Amalfi e il santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano. L'ultimo pellegrinaggio la portò in Terra Santa tra il 1371 e il 1372, permettendole di recarsi negli stessi luoghi in cui predicò Gesù.
L'Ordine del Santo Salvatore che ebbe origine da Brigida fu un ordine misto, prevalentemente femminile, che riservava un culto particolare alla passione del Signore e alla compassione di Maria. Brigida trascorse l'ultima parte della sua vita a Roma, dove morì nel 1373.
Nel 1999 papa Giovanni Paolo II l'ha proclamata compatrona d'Europa.

Tracce di lettura

Signore Gesù Cristo, fonte di dolcezza inestinguibile, che mosso da intimo affetto di amore dicesti in croce: «Ho sete», cioè: «Desidero sommamente la salvezza del genere umano», accendi in noi, ti preghiamo, il desiderio di operare in modo pienamente conforme alla tua volontà, spegnendo del tutto la sete delle concupiscenze del peccato e il fervore dei piaceri mondani.
O Gesù, Figlio di Dio, nato da Maria vergine, crocifisso per la salvezza degli uomini, regnante ora in cielo, abbi pietà di noi. (Brigida di Svezia, Orazione 7)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

martedì 22 luglio 2025

Fermati 1 minuto. "Non trattenermi... ma va' dai miei fratelli"

Lettura

Giovanni 20,1-18

1 Il primo giorno della settimana, la mattina presto, mentre era ancora buio, Maria Maddalena andò al sepolcro e vide la pietra tolta dal sepolcro. 2 Allora corse verso Simon Pietro e l'altro discepolo che Gesù amava e disse loro: «Hanno tolto il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'abbiano messo».
3 Pietro e l'altro discepolo uscirono dunque e si avviarono al sepolcro. 4 I due correvano assieme, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse primo al sepolcro; 5 e, chinatosi, vide le fasce per terra, ma non entrò. 6 Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro, e vide le fasce per terra, 7 e il sudario che era stato sul capo di Gesù, non per terra con le fasce, ma piegato in un luogo a parte. 8 Allora entrò anche l'altro discepolo che era giunto per primo al sepolcro, e vide, e credette. 9 Perché non avevano ancora capito la Scrittura, secondo la quale egli doveva risuscitare dai morti. 10 I discepoli dunque se ne tornarono a casa.
11 Maria, invece, se ne stava fuori vicino al sepolcro a piangere. Mentre piangeva, si chinò a guardare dentro il sepolcro, 12 ed ecco, vide due angeli, vestiti di bianco, seduti uno a capo e l'altro ai piedi, lì dov'era stato il corpo di Gesù. 13 Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?» Ella rispose loro: «Perché hanno tolto il mio Signore e non so dove l'abbiano deposto». 14 Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. 15 Gesù le disse: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» Ella, pensando che fosse l'ortolano, gli disse: «Signore, se tu l'hai portato via, dimmi dove l'hai deposto, e io lo prenderò». 16 Gesù le disse: «Maria!» Ella, voltatasi, gli disse in ebraico: «Rabbunì!» che vuol dire: «Maestro!» 17 Gesù le disse: «Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli, e di' loro: "Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro"». 18 Maria Maddalena andò ad annunciare ai discepoli che aveva visto il Signore, e che egli le aveva detto queste cose.

Commento

Sono passate poche ore dal tragico epilogo della vita terrena di Gesù, "è ancora buio", i suoi discepoli e i suoi amici sono ancora sconvolti per quanto accaduto. Maria Maddalena, dalla quale Gesù aveva scacciato sette demòni, si reca di buon mattino dove hanno sepolto il suo Maestro. È ancora in quella fase del lutto in cui non si riesce ad accettare la separazione fisica da chi se n'è andato. Ma trova qualcosa di inaspettato: la pietra è stata rotolata via dal sepolcro. 

La prima reazione è di panico: Maria si reca dai discepoli e li avvisa dell'accaduto. Tutti corrono verso il sepolcro e, mentre i discepoli entrano per constatare che sono rimaste solo le fasce che avvolgevano il Signore, per poi tornarsene a casa lei resta lì, proprio come era rimasta sotto la croce. Piange perché le è stato tolto anche il conforto del corpo del Signore. Ma la sua umiltà, la sua fede, il suo coraggio, la fanno chinare per guardare dentro il sepolcro, per "guardare in faccia" la desolazione creata dalla morte.

La Maddalena trova prima il conforto della visione di due figure angeliche e poi, "si voltò indietro", quasi a ripercorrere con la mente e con il cuore tutto ciò che il suo Maestro aveva detto e fatto durante la sua predicazione; ed è allora che vede Gesù. Ma lo riconosce solo quando viene chiamata per nome. L'incontro con il Risorto è infatti una esperienza personale e unica per ognuno di noi. Senza questa esperienza personale il Gesù della Scrittura resta lettera morta e non ci è possibile riconoscerlo. 

La "chiamata" per nome di Gesù a Maria Maddalena corrisponde anche all'assegnazione di una missione particolare: essere la prima a predicare la sua risurrezione, ai discepoli stessi, ancora increduli. "Non trattenermi", afferma Gesù; perché non possiamo tenere per noi l'esperienza di questo incontro, ma dobbiamo condividerla come annunciatori di colui che ha vinto la morte.

Preghiera

L'amore di Cristo ci spinge, o Padre, facci annunciatori del Risorto, per contemplarlo accanto a te nell'eterna gloria. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Maria Maddalena, colei che ha conosciuto il molto peccare e il molto amare

La chiesa cattolica d'Occidente, ortodossi, anglicani, luterani e veterocattolici celebrano oggi la memoria di Maria Maddalena.
Originaria della città di Magdala, sul lago di Tiberiade, Maria Maddalena fu liberata per la parola di Gesù dai sette demoni che la possedevano e seguì ovunque il Signore, servendolo fedelmente fino alla passione. Essa fu perciò testimone della sua morte e sepoltura.
Passato il sabato, Maria si recò con le altre donne al sepolcro portando aromi, e per questo è ricordata come mirrofora. A lei, per prima, apparve il Signore risorto, chiamandola per nome mentre piangeva nel giardino. Allora la Maddalena corse a portare l'annuncio ai discepoli, «apostola degli apostoli» come la chiama la tradizione.
In occidente, a partire da Gregorio Magno, Maria Maddalena è stata identificata con la peccatrice perdonata di cui parla il Vangelo di Luca, perdonata perché aveva molto amato. È divenuta perciò colei che ha conosciuto il molto peccare e il molto amare, colei che piange sui propri peccati e piange per la morte del Maestro, rimanendo fedele nell'amore per lui.
Esempio per chi si pente e per chi rivolge il suo amore al Signore, Maria Maddalena è stata una figura di riferimento importante in ogni movimento di riforma della chiesa, in particolare per i movimenti di riforma monastica d'occidente fioriti nell'XI secolo.

Tracce di lettura

Signore,
tu le accendesti nel cuore
il fuoco di un immenso amore per Cristo,
che le aveva ridonato la libertà dello spirito,
e le infondesti il coraggio di seguirlo
fedelmente fino al Calvario.
E anche dopo la morte di croce
essa cercò il suo Maestro con tanta passione,
che giunse a incontrare il Signore risorto
e ad annunziare per prima agli apostoli
la gioia pasquale.
(dalla Liturgia romana)

- Dal martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Tempera all’uovo su tavola telata e gessata (particolare) - stile italico

lunedì 21 luglio 2025

Simeone il Folle. «Nella forza di Cristo vado a prendermi gioco del mondo»

Le chiese d'oriente e d'occidente ricordano oggi Simeone e Giovanni, monaci del VI sec. originari della Siria.
Recatisi in pellegrinaggio a Gerusalemme, essi decisero di non far ritorno in patria, ma di diventare monaci. Ricevuto l'abito nel monastero di San Gerasimo, Giovanni e Simeone vissero per molti anni nel deserto pregando e seguendo un regime di vita austero. Giovanni rimase nella solitudine fino alla fine della sua vita, mentre Simeone decise di far ritorno tra gli uomini per diffondere il vangelo della salvezza, spinto dalle parole della Scrittura: «Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ogni creatura».
«Nella forza di Cristo», disse Simeone a Giovanni, «vado a prendermi gioco del mondo», e stabilitosi a Emesa in Siria, simulò la follia per poter smascherare le opere vane di tutti quelli che incontrava e indurli così al bene. Solo alla sua morte fu compresa la sua grandezza e la sua profonda carità.

Tracce di lettura

Simeone prendeva ogni sorta di atteggiamenti folli e indecorosi, ma non è possibile a parole dare un'idea di quel che faceva. A volte, infatti, si fingeva sciancato, a volte storpio, a volte fingeva di trascinarsi su una sedia, a volte di fare lo sgambetto a qualcuno che correva e di gettarlo a terra. E ancora, quando c'era la luna nuova, fingeva di guardare in cielo e di cadere a terra in preda a convulsioni. A volte poi fingeva di essere un oratore; diceva, infatti, che tra tutti gli atteggiamenti che si potevano assumere, questo conveniva più di ogni altro ed era il più utile per chi voleva fingersi pazzo per amore di Cristo. In questi modi spesso rimproverava i peccati e faceva desistere i peccatori, inviava su qualcuno un castigo a sua correzione, profetizzava e faceva tutto quello che voleva, mutando però ogni volta voce e aspetto.
(Leonzio di Neapolis, Vita di Simeone il Folle 22)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Qui c'è di più!

Lettura

Matteo 12,38-42

38 Allora alcuni scribi e farisei presero a dirgli: «Maestro, noi vorremmo vederti fare un segno». 39 Ma egli rispose loro: «Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno; e segno non le sarà dato, tranne il segno del profeta Giona. 40 Poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre giorni e tre notti, così il Figlio dell'uomo starà nel cuore della terra tre giorni e tre notti. 41 I Niniviti compariranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco, qui c'è più che Giona! 42 La regina del mezzogiorno comparirà nel giudizio con questa generazione e la condannerà; perché ella venne dalle estremità della terra per udire la sapienza di Salomone; ed ecco, qui c'è più che Salomone!

Commento

A questo punto del Vangelo di Matteo Gesù ha operato numerosi miracoli di guarigione dalle malattie e di liberazione da spiriti maligni, ma gli scribi e farisei che si accostano a lui, adulandolo con il titolo di "Maestro", non sono ancora persuasi da quanto hanno visto e udito e gli chiedono "un segno dal cielo".

Poco prima, infatti, lo avevano accusato di compiere i suoi esorcismi per opera del principe dei demòni (Mt 12,22-32) e per tale ragione chiedono una testimonianza "dall'alto" della provenienza divina sul suo operato. Gesù risponde definendo i suoi interlocutori come appartenenti a una "generazione adultera", termine con cui i profeti dell'Antico Testamento si rivolgenvano spesso a Israele, riferendosi chiaramente a quell'adulterio spirituale che consiste nella violazione del Patto con Dio e nell'allontanamento dalla sua Legge.

Mentre i Niniviti, popolo pagano, di fronte al "segno di Giona", il quale stette tre giorni e tre notti nel ventre del grande pesce, si convertirono per la sua predicazione (Gio 2,1-3,10) gli scribi e i farisei dal cuore indurito, pur appartenenti al popolo eletto, non si convertiranno neanche di fronte alla morte e risurrezione di Gesù, qui da lui predetta con l'immagine del riposo "tre giorni e tre notti" nel cuore della terra. Anche la regina di Saba, che venne ad ascoltare Salomone "dalle estremità della terra" (1 Re 10,1-13) prefigura i pagani che saranno più pronti ad accogliere il messaggio di Gesù di quanto lo sarà il suo popolo.

Dio opera nelle nostre vite manifestando grazia su grazia; noi dobbiamo essere capaci di riconoscere queste meraviglie da lui compiute, per evitare di cadere nella tentazione di chiedergli "un segno"  eclatante, quando ne abbiamo ricevuti tanti, ma non abbiamo saputo prestarvi attenzione, perché troppo presi dal frastuono del mondo e dai nostri piccoli interessi personali. A volte chiediamo a Dio qualcosa e ci rattristiamo perché non ci viene concessa, quando Egli in realtà, nel suo Figlio non ci ha dato "qualcosa", ma ci ha dato "tutto". In un certo senso non è degno di Dio, chi chiede a Dio qualcosa di più piccolo di Dio. Se noi conoscessimo il dono di Dio! (Gv 1,10)

Se abbiamo fame e sete di Cristo e la nostra fede sarà ancorata al mistero della sua morte e risurrezione, stoltezza per il mondo ma sapienza di Dio (1 Cor 1,17,25), comprenderemo che "Qui c'è di più!" (v. 41).

Preghiera

Il tuo Spirito, Signore, apra i nostri occhi alle tue meraviglie; affinché possiamo riconoscerti e lodare la grandezza del tuo Nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 19 luglio 2025

La rete dalle maglie ben salde

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUINTA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

Concedi, O Signore, ti supplichiamo, che il corso di questo mondo possa essere pacificamente ordinato dalla tua provvidenza, affinché la tua Chiesa possa servirti con gioia. Per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

Letture

1 Pt 3,8-15; Lc 5,1-11

Commento

La fama di Gesù come maestro si diffonde, al punto tale che una grande folla, nei pressi del lago di Genèsaret, gli si stringe attorno. La gente trova in lui qualcosa di più rispetto a ciò che potevano offrire i dottori della legge. Così testimonia anche Pietro che lo chiama "Maestro", termine che qui nel Vangelo di Luca è restituito non con il termine didaskalos, ma con espistàtes, cioè colui che non si limita a impartire lezioni e insegnamenti, ma che testimonia e si fa guida con la propria vita.

Pietro mette davanti a Gesù le proprie mani vuote, dopo la lunga notte in cui si è affaticato con i propri compagni nella pesca. Gesù accoglie questa professione di impotenza e al contempo di fede - «sulla tua parola getterò le reti» - trasformando la povertà in abbondanza ("presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano").

Lo stupore di Simon Pietro e dei suoi compagni, Giacomo e Giovanni, è tale da portarli immediatamente a lasciare tutto per seguire Gesù. La nuova missione cui il Signore li chiama non annulla la loro identità, ma la perfeziona e ne espande la portata: da pescatori di pesci diventeranno pescatori di uomini.

Così anche quando agisce in noi, la grazia, rispetta ciò che siamo, le nostre capacità, le nostre attitudini; ma ci chiama a mettere tutto al servizio di una missione più ampia, quella dell'evangelizzazione.

Le caratteristiche di questa rete sono spiegate nella prima lettera di Pietro che evidenzia la necessità della concordia - affinché le maglie siano ben salde tra loro - e della partecipazione alle gioie e ai dolori gli uni degli altri, della compassione, del patire insieme, come un unico corpo. Ferventi nel bene, saremo capaci di raccogliere gli uomini intorno a Cristo.

La lettera di Pietro cita poi il salmo 34, di carattere sapienziale, che esorta alla custodia delle labbra - trattenendole da parole di malvagità e inganno - e a perseguire il bene cercando la pace, al fine di "vedere giorni felici". Nella nuova prospettiva evangelica questa promessa si allarga dall'individuo alla Chiesa e al mondo intero, assumendo un tono escatologico, rinviando cioè agli "ultimi tempi", quando i semi del regno germoglieranno frutti di giustizia, nell'attesa del compimento della storia.

L'orizzonte di un mondo finalmente restaurato può apparire difficile da scorgere. I tentativi umani di affrettarne la venuta sono sempre stati disastrosi. Il suo continuo sottrarsi alla nostra portata ci chiama a coltivare una fede come quella di Pietro dopo la lunga notte di infruttuosa fatica, animata dalla speranza e da una carità operosa. Lo Spirito di Dio ci guida con il suo soffio; a noi è chiesto soltanto di confidare nella parola del Signore, spiegando le vele, per prendere il largo e gettare le reti.

- Rev. Dr. Luca Vona

Macrina e la nascita del monachesimo in Cappadocia

Le chiese d'oriente e d'occidente ricordano oggi Macrina, monaca della Cappadocia.
Sorella maggiore di Basilio di Cesarea, di Gregorio di Nissa e Pietro di Sebaste, Macrina decise a dodici anni di non contrarre matrimonio, onde potersi dedicare a una vita di lavoro umile e di preghiera, tesa all'unificazione del cuore. Il fratello Gregorio, suo biografo, non a torto la presenta come l'ispiratrice della vita monastica alla quale attirò in seguito la madre e le domestiche, e quindi anche il fratello Basilio.
La ricerca di Macrina e delle sue compagne condusse alla creazione di un monastero doppio, dove risiedevano a breve distanza uomini e donne, il cui unico intento era quello di vivere il Vangelo nel celibato e nella vita comune, svolgendo lavori poveri e praticando in modo intenso verso tutti l'ospitalità e la condivisione.
Macrina morì all'età di 53 anni, dopo aver guidato per tutta la vita come una madre la sua comunità; prima di morire ringraziò Dio per aver aperto agli uomini la via della resurrezione, e lo pregò di accogliere la sua vita come un'offerta, «come incenso davanti al suo volto» (Sal 142,2).

Tracce di lettura

Signore, tu hai dissolto per noi la paura della morte, tu dai in deposito alla terra la terra che noi siamo, quella che tu stesso hai plasmato con le tue mani, e fai rivivere ciò che hai donato all'uomo, trasformando mediante l'immortalità e la bellezza quello che in noi è mortale e deforme.
Sei tu che ci hai strappati alla maledizione e al peccato, facendoti per noi l'una e l'altro.
Dio eterno, verso cui mi sono protesa fin dal seno di mia madre, te che la mia anima ha amato con tutte le sue forze, poni al mio fianco un angelo luminoso che mi conduca per mano dove si trova l'acqua del riposo, nel seno dei santi patriarchi!
Tu che hai spezzato la fiamma della spada di fuoco e hai restituito al paradiso l'uomo crocifisso con te e che si era affidato alla tua misericordia, ricordati anche di me nel tuo regno.
(Preghiera di Macrina in Gregorio di Nissa, Vita di santa Macrina 24)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Macrina (327-380)

venerdì 18 luglio 2025

Fermati 1 minuto. Più grande del tempio

Lettura

Matteo 12,1-8

1 In quel tempo Gesù passò tra le messi in giorno di sabato, e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere spighe e le mangiavano. 2 Ciò vedendo, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare in giorno di sabato». 3 Ed egli rispose: «Non avete letto quello che fece Davide quando ebbe fame insieme ai suoi compagni? 4 Come entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell'offerta, che non era lecito mangiare né a lui né ai suoi compagni, ma solo ai sacerdoti? 5 O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio infrangono il sabato e tuttavia sono senza colpa? 6 Ora io vi dico che qui c'è qualcosa più grande del tempio. 7 Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa. 8 Perché il Figlio dell'uomo è signore del sabato».

Commento

Gesù aveva promesso un giogo dolce e un carico leggero per chi lo avrebbe seguito; l'esatto contrario dell'atteggiamento dei farisei riportato da questo brano evangelico. I discepoli cercano di soddisfare il naturale bisogno della fame raccogliendo le spighe cadute per terra durante il raccolto, azione consentita secondo il libro del Deuteronomio (Dt 23,25); il libro del Levitico, anzi, comandava: "Quando mieterai la messe non raccoglierai ciò che resta del tuo raccolto; lo lascerai per il povero e il forestiero" (Lv 23,22; 19,9). 

In questo precetto veterotestamentario è espressa la misericordia di Dio, che è alla base della legge e ne determina il senso. Di fronte ai dottori delle Scritture, che le impiegano in maniera parziale e tendenziosa, Gesù risponde con le Scritture stesse, citando un episodio tratto dal primo libro di Samuele (1 Sam, 21,1-6) in cui Davide in fuga da Saul si rifugia con i suoi compagni nel tempio e viene sfamato dal sommo sacerdote Achimelec con i pani della presenza, dodici pani offerti al Signore ogni sabato, che solo i sacerdoti potevano mangiare (Es 25,30; Lv 24,5-9). 

Gesù poi cita i leviti, che anche in giorno di sabato, svolgevano il proprio lavoro nel tempio, sostituendo i pani della presenza e raddoppiando i sacrifici (Lv 24,8; Num 28,9-10). I farisei mostrano di voler applicare agli altri un rigore di giudizio che non mostrano nei confronti della casta regale e sacerdotale.  

Se i sacerdoti possono violare la legge, per il servizio del sabato, anche Gesù, che è più grande del tempio (v. 6) può violare il sabato. Gesù rammenta anche l'invito delle Scritture all'esercizio della compassione (Os 6,6), dandogli precedenza sul sacrificio (v. 7). Più grandi del tempio sono, infatti, anche quei poveri prediletti dal Signore, verso i quali egli vuole sia indirizzata la misericordia del suo popolo.

Proclamandosi "signore del sabato" Gesù afferma la sua sovranità, in quanto Figlio di Dio incarnato, superiore alla presenza di Dio nell'edificio cultuale. Egli ci chiama a partecipare del suo sacerdozio eterno (Eb 1,4) per dispensare la misericordia infinita di Dio, come sacrificio perfetto e a lui gradito.

Preghiera

Signore, che offri un rifugio agli uccelli del cielo presso la tua casa; donaci di essere saziati dalla tua grazia e di vivere al riparo della tua misericordia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 17 luglio 2025

Andrej Rublev e la Trinità che viene incontro all'uomo

Le chiese ortodosse ricordano oggi Andrej Rublev, monaco e iconografo.
Nato intorno al 1360, Rublev fu iniziato all'arte dell'iconografia da Teofane il Greco. Divenuto, secondo la tradizione, monaco in una data imprecisata tra il 1380 e il 1405, egli risiedette dapprima presso il monastero del Salvatore Misericordioso a Mosca, fondato da un discepolo di Sergio di Radonež. La sua esistenza fu profondamente segnata dal desiderio di tradurre nelle icone che dipingeva una profonda vita interiore di comunione con Dio Padre, Figlio e Spirito santo.
Alla Lavra della Trinità di San Sergio, dove passerà gran parte dei suoi anni, Andrej lasciò quello che unanimemente è ritenuto il suo capolavoro: l'icona della Trinità, oggi conservata presso la Galleria Tretjakov di Mosca. In essa, a partire dalla scena biblica dell'ospitalità offerta da Abramo ai tre angeli del Signore, Rublev esprime l'amore che lega le tre persone divine grazie al movimento circolare suggerito dai volti inclinati dei tre angeli; al tempo stesso, mediante l'impiego della prospettiva inversa, convergente al cuore di colui che osserva l'icona, la Trinità di Rublev ricorda a chi la contempla come ogni uomo sia chiamato a partecipare al mistero della comunione divina, al banchetto nuziale dell'Agnello.
Andrej Rublev morì nel 1427, e nel 1551 il concilio dei Cento capitoli proclamò la sua Trinità «modello di ogni icona ortodossa».

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose


Andrej Rublev (ca 1360-1427) con la sua celebre icona trinitaria

Fermati 1 minuto. Una gioiosa partecipazione all'opera divina

Lettura

Matteo 11,28-30

28 Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. 29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».

Commento

Dopo aver proclamato la beatitudine degli umili, ai quali vengono rivelati il Cristo e il suo Regno, Gesù esorta gli affaticati e gli oppressi ad andare a lui. Costoro, paradossalmente, troveranno ristoro ponendo su di sé il giogo del Signore. Ma come è possibile essere liberati dall'oppressione sottomettendosi e vincolandosi?

Questa, purtroppo, è l'impressione che al giorno d'oggi molti hanno della fede: semplicemente una religione, ovvero un insieme di norme da rispettare, spesso con fatica. Il rischio di un cristianesimo legalista è di replicare l'oppressione generata dal modo di spiegare la legge degli scribi e dei farisei, dei quali Gesù afferma: «Legano pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito» (Mt 23,4). 

Gesù invita all'obbedienza alla sua parola, che dà ristoro perché dona la salvezza, mediante la giustificazione e la santificazione. La vita del credente è più che una religione: è un'esperienza di comunione con Dio. E poiché  Dio è il creatore di tutto e colui che governa tutto, essere "sottomessi a lui" significa regnare con lui, in lui. 

La vera religione è lontana tanto dall'arbitrio individualistico quanto dalla sterile precettistica; è un'esperienza di liberazione e di gioiosa partecipazione all'opera divina.

Gesù ci libera da tutto ciò che ci appesantisce lungo la via della salvezza; anche da quei pesi inutili che spesso noi stessi ci siamo caricati sulle spalle. Come ai suoi apostoli egli ci dice: «Venite... riposatevi un po'» (Mc 6,31).

Preghiera

Guidaci, Signore, verso la libertà dei figli di Dio; affinché attraverso la mitezza e l'umiltà possiamo regnare con te e trovare ristoro. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 16 luglio 2025

Fermati 1 minuto. La teologia guidata dall'umiltà e dall'amore

Lettura

Matteo 11,25-27

25 In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. 26 Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. 27 Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.

Commento

Vi è un certo sarcasmo nelle parole di Gesù, che contrappongono i dottori della legge, considerati saggi e sapienti, ai suoi discepoli, uomini semplici, che qui vengono paragonati ai bambini (gr. nèpios). Gli uni e gli altri assistono agli stessi miracoli e ascoltano le stesse parole, ma solo a chi si pone con atteggiamento umile Dio - che "resiste ai superbi" (Gc 4,6) - rivela la verità sul Messia e il suo vangelo.

Nella prima lettera dell'apostolo Pietro siamo esortati a rispondere consapevolmente a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi (1 Pt 3,15); diversi secoli più tardi Anselmo d'Aosta si faceva portatore di quell'impostazione teologica secondo la quale la fede ci conduce a riflettere su di essa e ogni genuina riflessione sull'uomo e sul creato ci predispone ad accogliere la fede. 

La benedizione di Gesù al Padre perché ha tenuto nascoste le cose del Regno ai sapienti e agli intelligenti non rappresenta una mortificazione della ragione, ma il ridimensionamento di ogni teologia, nella consapevolezza del suo essere niente più che un balbettare di fronte Dio. 

Questo fu l'atteggiamento di Tommaso d'Aquino, quando al termine della sua vita, dopo aver completato la monumentale Somma Teologica affermò che tutte le sue speculazioni non gli sembravano che "paglia"; e questa è stata l'impressione del teologo protestante Karl Barth, quando, dopo aver pubblicato l'incompleto tredicesimo volume della sua Teologia Dogmatica, affermava: "Quando verrà il giorno in cui dovrò apparire alla presenza del mio Signore, allora io non giungerò con le mie azioni, con i volumi della mia Dogmatica nella sporta sulle spalle. Tutti gli angeli ne riderebbero".

La ricerca autentica di Dio muove dall'umiltà e conduce a un'umiltà ancora più grande. "Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli". (Mt 18,3) afferma Gesù. Solo la consapevolezza della propria piccolezza, del proprio nulla, solo una completa kènosis, una totale spoliazione di sé, può condurre alla theosis, alla divinizzazione, alla conoscenza di Dio in Dio

Preghiera

Signore Gesù Cristo, tu sei la Sapienza che sola conosce il Padre; donaci un cuore umile, affinché possiamo conoscere i segreti divini e innalzare la nostra preghiera di lode. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 14 luglio 2025

Nicodemo Aghiorita. L'ascesi, tra preghiera contemplativa e riscoperta dei Padri

Nel 1809 muore Nicodemo Aghiorita, monaco ed editore delle più importanti collezioni di spiritualità patristica dell'oriente cristiano.
Nicola Kalliboutzes, questo il suo nome di battesimo, era nato nel 1749 sull'isola di Naxos. A ventisei anni si recò al monte Athos per farsi monaco presso il monastero di Dionysiou. Iniziava così il suo itinerario monastico, che saprà compaginare in armonia la tradizione esicasta (un metodo di preghiera contemplativa del periodo bizantino) con lo studio e la divulgazione delle opere dei padri.
Uomo di grande preghiera, dotato per di più di una memoria eccezionale e di una grande apertura alla sapienza cristiana sia d'oriente che d'occidente, Nicodemo riuscì a dare all'esicasmo, incentrato sulla pratica della preghiera di Gesù, un solido radicamento biblico e patristico; nel contempo, seppe trasmettere in modo vitale il messaggio dei padri in opere che rimangono ancor oggi il riferimento fondamentale per la vita spirituale di ogni cristiano ortodosso, come la celebre Filocalia redatta su invito di Macario di Corinto. Ciò gli fu possibile per la sua personale esperienza di Dio nella solitudine e nella preghiera, e per l'appassionata ricerca nelle tradizioni del passato, comprese quelle d'occidente come gli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola. Nicodemo seppe fare di tali tradizioni un messaggio vivo e autentico da trasmettere all'intera comunità ecclesiale per vivificarla.
L'Aghiorita visse gran parte della sua vita in piccoli kellia della Santa Montagna, che costituivano l'ambiente ideale per la sua duplice attività di studio e di preghiera.

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Nicodemo Aghiorita (1749-1809)

Fermati 1 minuto. Sono venuto a portare la spada

Lettura

Matteo 10,34-11,1

10,34 Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. 35 Sono venuto infatti a separare
il figlio dal padre, la figlia dalla madre,
la nuora dalla suocera:
36 e i nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa.
37 Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; 38 chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. 39 Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà.
40 Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. 41 Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto. 42 E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».
11,1 Quando Gesù ebbe terminato di dare queste istruzioni ai suoi dodici discepoli, partì di là per insegnare e predicare nelle loro città.

Commento

Il tempo di Gesù e della sua Chiesa non è ancora l'era messianica di pace (1 Cor 4,8-13), il risultato immediato dell'annuncio evangelico è il conflitto. 

Il vangelo è di una tale radicalità da scuotere le fondamenta della vita quotidiana e delle relazioni familiari; è come una spada che discrimina chi lo accoglie da chi non lo accoglie, relativizzando i legami di sangue e di parentela, perché "i nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa" (Mt 10,36).

Gesù, Figlio di Dio, chiede un primato assoluto nell'amore, proprio come il Dio di Israele aveva chiesto un primato assoluto nell'alleanza con il suo popolo. Tale primato implica la disponibilità, da parte del credente, di donare non qualcosa, ma tutta la propria vita al Signore. 

La fedeltà a Cristo si esprime innanzitutto nell'accoglienza, fin dai gesti più piccoli: chi avrà dato un solo bicchiere d'acqua a un discepolo non perderà la sua ricompensa. Offrire un bicchiere d'acqua ai viandanti faceva parte delle regole fondamentali dell'ospitalità orientale e non implicava alcun compenso. L'esempio utilizzato da Gesù sta a significare che la grazia di Dio va oltre i meriti degli uomini.

Prendendosi cura dei missionari itineranti, anche chi non è chiamato direttamente alla missione può condividere la ricompensa di chi è in prima linea. Infatti, i discepoli sono inviati nel nome di Gesù come suo ambasciatori e il trattamento riservato loro è come se fosse riservato a colui che li ha mandati.

Se la gloria della risurrezione è la mèta finale di chi annuncia e di chi accoglie Gesù, il percorso è faticoso e chiede un'amore capace di "perdersi" nel dono totale di sé. Preannunciando le ostilità che incontreranno i suoi discepoli, Gesù proclama che chi non porterà la sua croce non sarà degno di lui. Fatta questa premessa, solo allora, invia i suoi discepoli a predicare il vangelo.

Preghiera

Aiutaci, Signore, a testimoniarti con genorsità e coraggio, per superare ogni difficoltà e affrettare l'avvento del tuo regno di pace. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 13 luglio 2025

Tutto il mondo creato è in travaglio

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUARTA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

O Dio, protezione di tutti coloro che confidano in te, senza il quale non c’è nulla di forte, nulla di santo; accresci e moltiplica su di noi la tua misericordia; affinché con te come guida e governatore, possiamo passare attraverso le cose temporali senza perdere le cose eterne. Concedici questo, o Padre celeste, per l’amore di Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

Letture

Rm 8,18-23; Lc 6,36-42

Commento

Gesù ci comanda di essere misericordiosi come il Padre (Lc 6,36) e di perdonare il nostro prossimo, perché noi per primi siamo stati perdonati. Nessuno di noi può pensare di non avere avuto bisogno e di non avere continuamente bisogno del perdono di Dio.

Come afferma San Paolo nella Lettera ai Romani, citando i Salmi (Sal 14,3 e 53,1-3): “non c’è alcun giusto, neppure uno” (Rm 3,10). Per questo nella preghiera che ci ha insegnato Gesù chiediamo al Padre di rimetere i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori.

Il comandamento della misericordia scandalizza, perché ci è più facile pensare a una giustizia di Dio strettamente retributiva, che punisce i peccatori e premia i giusti. È più facile pensare di esserci meritati un premio da parte di Dio, piuttosto che pensare alla gratuità della salvezza. Una gratuità che lungi dall’istigarci all’irresponsabilità ci esorta alla riconoscenza e dunque alla rettitudine come risposta al bene che Dio ci ha mostrato per primo e come imitazione del suo agire nel mondo.

Fu proprio nel predicare la misericordia di Dio che Gesù incontrò le maggiori contestazioni e ostilità. Anche perché la sua predicazione non si fermava alle parole, ma si concretizzava in gesti che determinavano una rottura con le pratiche legalistiche del tempo: egli guarisce di sabato, tocca i lebbrosi mosso da compassione, mangia con le prostitute e i pubblici peccatori.

Siamo tutti feriti dal peccato; e anche il nostro occhio è ferito dal peccato, per questo spesso non sappiamo vedere le cose come le vede Dio. Nella misura in cui saremo in grado di comprendere quanto siamo noi per primi bisognosi del perdono del Padre saremo capaci di donare perdono e misericordia al nostro prossimo e mostrarci compassionevoli verso l’intera creazione, che geme attendendo la manifestazione dei figli di Dio (Rm 8,19). 

La perfezione non è solo qualcosa da cui siamo decaduti e che ricordiamo con nostalgia, ma una mèta cui la coscienza tende come in una visione profetica, animata dalla speranza e guidata dallo Spirito.

Il messaggio evangelico ci dona la buona notizia che il Signore fa nuove tutte le cose, restaurando in noi la sua immagine e chiamandoci a curare le ferite di ogni uomo.

Cristo ci chiede di operare attivamente per riportare nel mondo pace e riconciliazione, tra l'uomo e Dio, tra uomo e uomo e tra l'uomo e l'intera realtà creata.

- Rev. Dr. Luca Vona