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Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto
Ministro della Christian Universalist Association
Ministro della Christian Universalist Association
mercoledì 31 maggio 2023
Fermati 1 minuto. Beata colei che ha creduto
martedì 30 maggio 2023
Fermati 1 minuto. Un cuore libero per ricevere il centuplo
domenica 28 maggio 2023
Se uno mi ama... noi verremo a lui
sabato 27 maggio 2023
Agostino di Canterbury e l'evangelizzazione degli Angli
Statua di Agostino, Cattedrale di Canterbury |
venerdì 26 maggio 2023
Fermati 1 minuto. Dal voler bene al dono di sé
Lettura
Giovanni 21,15-19
15 Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti amo». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16 Gli disse di nuovo: «Simone di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti amo». Gli disse: «Pasci le mie pecorelle». 17 Gli disse per la terza volta: «Simone di Giovanni, mi ami?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami?, e gli disse: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecorelle. 18 In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». 19 Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: «Seguimi».
Commento
Nell'epilogo del Vangelo di Giovanni assistiamo alla riabilitazione della figura di Pietro. Gesù gli chiede una triplice professione di amore, a riparazione del suo triplice rinnegamento. La sezione presenta l'utilizzo di due sinonimi del verbo "amare": filéo e agapáo; la prima indica il voler bene di Pietro a Gesù; la seconda esprime il dono totale di sé.
Il nome che Gesù utilizza per riferirsi a Pietro non è Cefa ("roccia") ma «Simone, figlio di Giona»; l'attenzione è posta non sul carisma che gli era stato affidato, ma sulla sua fallibile umanità. Gesù interpella la nostra debolezza perché l'umiltà è il primo passo per trovare la riconciliazione.
Gesù non chiede a Pietro quanto ha pianto il suo rinnegamento, quanto ha fatto penitenza, ma quanto egli lo ama. Solo l'amore rende accettabile ogni espressione di pentimento. A chi ha molto amato sarà molto perdonato (Lc 7,47).
Gesù accompagna la triplice domanda a Pietro con l'esortazione a occuparsi dei suoi agnelli e delle sue pecore.
Il ruolo di nutrire il gregge era affidato usualmente a un sottoposto del pastore, in questo caso viene a indicare la devozione nel servizio al Signore. Il primo dovere di coloro che Gesù pone a guida della sua Chiesa è di insegnare la parola di Dio. L'amore verso Cristo si dimostra prendendosi cura del popolo che egli si è acquistato per mezzo del suo sangue.
Due volte Gesù chiede a Pietro se lo ama (con il verbo agapáo), se è capace del dono totale di sé. Ma egli, memore della sua caduta, non se la sente di promettere qualcosa che va oltre le proprie capacità e professa semplicemente la sua filìa, il suo umano voler bene a Gesù. La terza volta Gesù si pone al suo livello e gli chiede proprio se gli vuole bene (con il verbo filéo ); è allora che lo accoglie per quello che egli è, con i suoi limiti, le sue fragilità confessate apertamente. Proprio su di queste si innesterà la grazia soprannaturale rendendo capace Pietro di compiere il suo ministero, fino alla testimonianza estrema con il dono della vita.
Gesù rinnova a Pietro l'esortazione che fu rivolta agli apostoli al principio della loro chiamata: «Seguimi!» (v. 19). Pietro non è respinto per essere venuto meno alla sua fedeltà durante la passione, ma è riconfermato nella fede e nell'amore, affinché anch'egli possa confermare a sua volta i suoi fratelli. Solo l'umile consapevolezza di essere peccatori riconciliati può renderci buoni ministri del vangelo.
Preghiera
Vieni in soccorso, Signore, alla fragilità del nostro amore, per renderci capaci di donare generosamente le nostre vite nella testimonianza del vangelo. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona
giovedì 25 maggio 2023
Fermati 1 minuto. "Voglio che siano con me"
mercoledì 24 maggio 2023
Fermati 1 minuto. Consacrati nella verità
martedì 23 maggio 2023
Vincent Van Gogh. "Ora vorrei tornare. Perché creare ci difende dal male."
Fermati 1 minuto. Riflesso della comunione divina
domenica 21 maggio 2023
Eccellere nella carità
venerdì 19 maggio 2023
Dunstan di Canterbury e la bellezza di Dio
La Chiesa anglicana celebra oggi la memoria di Dunstan di Canterbury, monaco e arcivescovo primate della chiesa d'Inghilterra. Dunstan era nato nei pressi di Glastonbury, forse nel 910. Dalle sue biografie non traspare in modo del tutto chiaro se la sua famiglia fosse nobile, o se invece egli sia entrato dopo la sua nascita a far parte dell'importante casata del vescovo di Winchester. Ad ogni modo, fu quest'ultimo ad avviarlo alla vita monastica, spingendolo a entrare nell'abbazia benedettina di Glastonbury. Uomo di grande cultura e amante della bellezza, Dunstan si dedicò da monaco a diverse attività artistiche come la decorazione di manoscritti, la composizione di musica sacra e la lavorazione dei metalli preziosi. Nel 943 il nuovo re del Wessex lo nominò abate di Glastonbury e si avvalse della sua grande cultura per avviare la rinascita del monachesimo in tutto il paese. Da abate Dunstan promosse lo studio e l'amore per l'arte in diversi monasteri, organizzando una riforma che sarà portata a compimento quando egli verrà eletto arcivescovo di Canterbury sotto il re Edgardo. Anche se a partire dal 970 Dunstan perderà l'appoggio del re, non verrà comunque meno il suo impegno di predicatore, di maestro e di animatore del monachesimo, ed egli è ricordato dagli agiografi per il discernimento e l'energia con cui guidò sino alla fine la diocesi di cui era stato fatto pastore.
Dunstan di Canterbury (ca 910-988) |
Fermati 1 minuto. L'ora che genera la vita
giovedì 18 maggio 2023
Fermati 1 minuto. Ancora un poco
domenica 14 maggio 2023
Siate facitori della parola
domenica 7 maggio 2023
Ricevete con mansuetudine la parola che è stata piantata in voi
venerdì 5 maggio 2023
Fermati 1 minuto. La verità è un cammino
giovedì 4 maggio 2023
I martiri inglesi dell'epoca della Riforma (XIV-XVII sec.)
Fermati 1 minuto. Un cuore grande per donare e ricevere
martedì 2 maggio 2023
Fermati 1 minuto. La cadenza perfetta
Lettura
Giovanni 10,22-30
22 Ricorreva in quei giorni a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d'inverno. 23 Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone. 24 Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». 25 Gesù rispose loro: «Ve l'ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza; 26 ma voi non credete, perché non siete mie pecore. 27 Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28 Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. 29 Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. 30 Io e il Padre siamo una cosa sola».
Commento
"Era d'inverno" (v. 22). C'è qualcosa di malinconico in questa immagine ritratta da Giovanni nel suo Vangelo. Gesù passeggia solitario sotto il portico del Tempio cercando riparo dal vento freddo che proveniva dal deserto.
Sono i giorni della festa della dedicazione (ebr. Hanukkah), all'incirca i primi di dicembre. Mancano circa tre mesi alla crocifissione.
La festa della dedicazione dura otto giorni e si celebra per ricordare la nuova dedicazione dell'altare e la purificazione del tempio da parte del condottiero Giuda Maccabeo nel 164 a.C., in seguito alla sconsacrazione operata dal dominatore siriano Antioco Epifane (Dn 8,13; 9,27), il quale nel 170 a.C. aveva conquistato Gerusalemme e posto un altare pagano al posto dell'altare di Dio.
Simbolicamente Gesù è colui che instaura il nuovo tempio e la vera guida di Israele. Eppure, quasi al termine della sua missione terrena l'incomprensione sulla sua persona è ancora diffusa tra i giudei.
Un gruppo di questi si avvicina e gli chiede "Fino a quando terrai l'animo nostro sospeso?" (v. 24). Vogliono che egli affermi o neghi apertamente se è il Cristo o no, come fece Giovanni Battista.
I giudei che interrogano Gesù non sono mossi da un sincero desiderio di conoscere chi egli sia, ma si attendono una sua professione messianica per contestarla e condannarlo.
Per la loro incredulità Gesù li annovera tra coloro che non fanno parte del suo gregge - "voi non credete, perché non siete mie pecore" ( 26), ma rivolgerà loro un ulteriore appello alla fede poco più avanti: "Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre»" (Gv 10,37-38).
La domanda dei giudei che si sentivano con l'animo sospeso di fronte alla figura di Gesù può attraversare anche le nostre coscienze. Egli ci invita a guardare le sue opere, ma siamo circondati dall'iniquità, dall'ingiustizia, dalla sofferenza. Eppure il vangelo ci annuncia una presenza di vita e di salvezza. La fede è capace di generare Dio nella nostra anima e nel mondo, come un fiore di loto che risplende immacolato su uno stagno.
Credere alle opere di Dio significa farsi presenza di Cristo nel mondo. Credere, riconoscere le opere di Dio, non è una attività meramente intellettiva, ma implica il potere fecondo, generativo, della fede, che trova conferma nelle opere stesse che è capace di produrre.
Come il Padre ci ha posto nelle mani di Cristo facendo dipendere la nostra salvezza dal potere sovrano di Dio, al contempo si è messo nelle nostre mani, nella misura in cui, rinati in Cristo, condividiamo con lui la responsabilità per l'intero gregge.
Il termine utilizzato per proclamare l'unità di Gesù con il Padre è neutro e non al maschile: lui e il Padre non sono "uno", ma "una cosa sola". Gesù è pienamente Dio, ma una persona divina distinta dal Padre. L'unità di Gesù con il Padre è rappresentanta dalla perfetta sinergia nella parola e nell'azione.
Anche noi siamo chiamati a non restare con l'animo sospeso ma a entrare nel flusso benedetto di questa sinergia, trovando in Cristo la cadenza perfetta nella sinfonia della nostra vita.
Preghiera
Purifica il tempio del nostro cuore, Signore; affinché possiamo dedicarci al vero culto in spirito e verità, magnificando le tue opere e riconoscendoti come il nostro pastore. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona