Lettura
Giovanni 10,11-18
11 Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. 12 Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; 13 egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. 14 Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15 come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. 16 E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. 17 Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18 Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio».
Commento
La definizione che Gesù dà di se stesso, "io sono il buon pastore", può essere collocata tra le "formule di rivelazione", che il Vangelo di Giovanni introduce sempre con l'espressione "Io sono" (presente sette volte nel suo Vangelo). Il termine "buono" non indica semplicemente qualcuno abile a fare qualcosa, ma una persona nobile, esemplare. Cristo è il pastore più esperto, fedele e premuroso nel custodire le anime dei suoi fedeli.
L'immagine del pastore è radicata nella Bibbia e nel mondo antico, dove i re erano chiamati "pastori di popoli". Tuttavia nei libri biblici sono pochi i testi in cui a Dio viene dato questo titolo; è più frequente l'uso di verbi e di espressioni che applicano a Dio le prerogative del pastore: "guidare", "condurre", "radunare", "difendere", "dissetare" (vedi Sal 23; Ger 23,3-4; Ez 34; Zac 11,4-7).
Gesù ha acquistato le pecore con il proprio sangue, diversamente dai mercenari, ai quali le pecore non appartengono (v. 12) e che fuggono davanti al pericolo, perché amano il proprio guadagno più del proprio lavoro, la propria sicurezza più del proprio dovere. Gesù infatti "offre la vita" per le pecore, espressione tipicamente giovannea (Gv 13,37; 15,13; 1 Gv 3,16), corrispondente al "dare la vita" del Vangelo di Marco (Mc 10,45). Diversamente dai vangeli sinottici, in cui il Padre "consegna" il Figlio, in Giovanni è il Figlio stesso che si dona. Allo stesso modo, mentre nel libro degli Atti (At 2,24; 4,10) e nella Lettera ai Romani (Rm 1,4; 4,24) viene affermato che il Padre ha restituito la vita a Gesù qui è il Figlio stesso che ha il potere di riprenderla (v. 18). L'opera della redenzione è realizzata dalla trinità delle Persone divine.
Conoscere (gr. ginosko) le pecore (v. 14) significa qui curarsi di loro, amarle. Le "altre pecore" sono da intendersi come i pagani, ma è probabile una allusione anche alle "pecore perdute della casa di Israele" (Mt 15,24), riunite con i pagani convertiti in un'unica nazione: la Chiesa, corpo mistico dei salvati in Cristo.
Gesù non si accontenta di guidare il suo gregge con la voce, dà letteralmente la vita per i suoi, nella piena libertà dell'amore. In un paradosso che solo la fede in un amore senza misura può spiegare, Cristo da pastore si fa agnello sacrificale, mentre sul suo esempio, riunite in un solo gregge, le sue pecore si fanno sacramento di salvezza per il mondo.
Preghiera
Rendici docili alla tua parola, Signore, affinché possiamo venire a te; e se siamo troppo lontani vienici a cercare nel nostro errare per il mondo, affinché possiamo riposare in te Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona