Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

giovedì 30 settembre 2021

Fermati 1 minuto. Invitati a predicare con un bagaglio leggero

Lettura

Luca 10,1-12

1 Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2 Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. 3 Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4 non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. 5 In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. 6 Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7 Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa. 8 Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, 9 curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio. 10 Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: 11 Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino. 12 Io vi dico che in quel giorno Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città.

Commento

La sequela di Gesù è strettamente legata alla missione evangelizzatrice. Essere scelti da lui significa essere scelti per preparare il terreno alla sua stessa azione salvifica. Egli "designò" i settanta, verbo che indica una formula solenne con cui Gesù, in veste messianica e regale conferisce il mandato ai discepoli. 

In alcuni manoscritti i discepoli sono settanta, in altri, pure autorevoli, sono settantadue. Il numero settanta può essere un richiamo ai settanta uomini radunati da Mosè, sui quali scese lo Spirito di Dio (Num 11,24-25); settanta erano anche i membri del sinedrio. Il numero settantadue è invece il numero delle nazioni dell'umanità secondo il libro della Genesi (Gen 10, nella versione greca dei LXX).

I discepoli sono inviati a due a due; così l'uno può essere di conforto all'altro e forse anche per maggior sicurezza lungo il viaggio. L'annuncio portato da una coppia di discepoli richiama anche il dovere deuteronomico di stabilire il giudizio sulla base di due o tre testimoni (Dt 19,15; richiamato in Mt 18,16; 2 Cor 13,1; Eb 10,28). L'immagine dell'agnello contrapposto al lupo è indice di una predicazione fatta con mitezza, che esporrà i discepoli alla malvagità degli empi. 

L'urgenza della predicazione è testimoniata dalla necessità di pregare affinché altri "operai" possano essere mandati nella "messe". Inoltre i discepoli dovranno viaggiare senza bagaglio - niente borsa, né un secondo paio di sandali - e non fermarsi lungo la strada, neppure per salutare (il saluto comportava nel mondo semitico l'intrattenersi nella conversazione con la persona salutata).

I discepoli sono chiamati a non girovagare di casa in casa e la richiesta di "stabilità" è superiore alle stesse prescrizioni della legge sui cibi puri e impuri: potranno mangiare qualsiasi cosa gli sarà messa davanti. Compito dei discepoli è anche quello di prendersi cura dei malati e di predicare la prossimità del regno di Dio.

Gesù chiede di invocare la pace in qualunque casa i discepoli entreranno: chi accoglierà loro accoglierà egli stesso (Lc 10,16). Chi non li accoglie si espone a un giudizio peggiore a quello di Sodoma - che era il simbolo della città inospitale per quanto descritto nel libro della Genesi (Gen 19,4-5). Se vi sarà "un figlio della pace" la pace resterà su di lui, altrimenti tornerà sui discepoli. 

Nella misura in cui la Chiesa si allontana dal modello di discepolato richiesto da Gesù la messe diventa sterile, la predicazione inefficace, i discepoli vegono più facilmente rifiutati, perché agli occhi del mondo risultano incoerenti con quanto predicato.

Per questo il discepolato, che il vangelo impronta alla sobrietà e al totale affidamento alla provvidenza, deve mettersi al riparo da quella forza "addomesticatrice" che costituisce un pericolo sempre in agguato. Una continua opera di vigilanza e di riforma è necessaria affinché i discepoli operino in conformità al dettato evangelico.

Preghiera

Donaci Signore il tuo Spirito, affinché possiamo annunciare con semplicità e schiettezza la parola del vangelo, nell'attesa della tua manifestazione a tutte le genti. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 29 settembre 2021

Fermati 1 minuto. Un ordine meraviglioso

Lettura

Giovanni 1,47-51

47 Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità». 48 Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico». 49 Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!». 50 Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!». 51 Poi gli disse: «In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo».

Commento

Gli angeli, "messaggeri" (gr. anghelos; ebr. malak) celesti, sono presenti in diverse pagine dell'Antico testamento e li troviamo anche in alcuni momenti cruciali della vita di Gesù; in particolare, nel deserto, dopo che egli ha vinto le tentazioni del demonio - "gli angeli lo servivano" (Mc 1,13) - e prima della sua passione, durante la preghiera nell'orto degli ulivi - "gli apparve un angelo dal cielo a confortarlo"(Lc 22,43). Successivamente, fanno da custodi alla sua tomba, annunciando alle donne del seguito di Gesù la sua risurrezione. 

Nel passo evangelico in cui Giovanni riporta il dialogo tra Gesù e Natanaèle viene richiamata la visione della scala di Giacobbe (Gen 28,10-22). In quel frangente il patriarca stava fuggendo dal fratello Esaù, per andarsi a rifugiare dallo zio Labano; Giacobbe sognò una scala che dalla terra si protendeva fino al cielo e gli angeli salivano e scendevano sopra di essa; Dio gli parlava, promettendogli la terra sulla quale stava dormendo, una discendenza numerosa come la sabbia del mare, la benedizione in lui di tutte le famiglie della terra. Tale benedizione si realizza in Cristo, il quale è il vero mediatore tra Dio e gli uomini, egli stesso "scala" attraverso la quale gli angeli discendono ad amministrare la grazia di Dio sulla terra e risalgono a Dio, portando le suppliche della Chiesa. 

Gli angeli nelle Scritture sono esseri spirituali creati da Dio, posti al suo servizio e a servizio dell'uomo. La loro azione di messaggeri è attestata nel Nuovo testamento nel racconto dell'annunciazione a Maria, nell'invito ai pastori ad andare ad adorare il Messia appena nato a Betlemme, nell'avvertimento in sogno a Giuseppe di fuggire in Egitto per salvare il bambino Gesù da Erode. Negli Atti degli apostoli assistiamo alla liberazione di Pietro dalla prigione per opera di un angelo. 

Il culto ebraico e quello cristiano della chiesa primitiva non prevede l'adorazione degli angeli, come leggiamo nel libro dell'Apocalisse: "Udite e vedute che le ebbi, mi prostrai in adorazione ai piedi dell'angelo che me le aveva mostrate. Ma egli mi disse: «Guardati dal farlo! Io sono un servo di Dio come te e i tuoi fratelli, i profeti, e come coloro che custodiscono le parole di questo libro. È Dio che devi adorare»" (Ap 22,8-9). Ma nel momento in cui ci affidiamo a Dio siamo certi che egli ci assiste mediante intelligenze e potenze spirituali, che lo servono e gli danno lode in cielo e ci soccorrono e difendono sulla terra, nel nome di Gesù Cristo. Per questo, con il salmista, innalziamo a lui la nostra lode: "Lodatelo, voi tutti, suoi angeli, lodatelo, voi tutte, sue schiere" (Sal 148, 2).

Preghiera

Dio onnipotente, che hai ordinato e stabilito il servizio degli angeli e degli uomini in un ordine meraviglioso; concedi misericordioso che così come gli angeli ti servono sempre in Cielo, possano, per tuo incarico, soccorrerci e difenderci sulla terra. Per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Festa di San Michele arcangelo e di tutti gli angeli

Le chiese d'occidente fanno oggi memoria di Michele arcangelo e di tutti gli angeli, messaggeri del Signore.
Gli angeli, secondo tutta la tradizione biblica, riassunta nella Lettera agli Ebrei, «sono spiriti inviati da Dio al servizio di coloro che devono ereditare la salvezza» (Eb 1,14). A loro, nella prima come nella nuova alleanza, Dio affida il compito di trasmettere la sua volontà al popolo d'Israele o a uomini da lui prescelti per una missione particolare. Certo, Paolo ricorda che «uno solo è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini: l'uomo Cristo Gesù» (1Tm 2,5), tuttavia le chiese cristiane hanno fin da principio riconosciuto un ruolo ai messaggeri di Dio nell'economia del Verbo: nel Nuovo Testamento è agli angeli che viene affidato l'incarico di annunciare l'incarnazione del Figlio di Dio, di custodirne il cammino terreno, di proclamarne la resurrezione, di spiegame l'ascensione, di accompagnarne il ritorno glorioso. Secondo la testimonianza degli antichi testi eucaristici d'oriente e d'occidente, i messaggeri di Dio celebrano alla presenza del Signore un'ininterrotta liturgia celeste, alla quale la liturgia della chiesa sulla terra non fa che unirsi per proclamare Dio tre volte Santo.

Tracce di lettura

La mediazione non è sostanzialmente più necessaria, là dove il Figlio ha il Padre presso di sé e dimora anzi nel seno del Padre e agisce a partire dal proprio vedere, ascoltare e toccare il Padre, in forza della propria potestà ricevuta direttamente dal Padre. E tuttavia gli angeli non possono mancare, in primo luogo perché fanno parte della gloria celeste del Figlio dell'uomo, ma in secondo luogo e soprattutto perché devono rendere visibile il carattere sociale del regno dei cieli, nel quale il cosmo dev'essere trasformato. Non deve sorgere l'impressione che il regno che il Figlio è venuto a fondare e che certamente incarna nella sua totalità (come autobasileía), sia un luogo solitario nell'assoluto. Piuttosto questo luogo in Dio, al quale devono essere condotti i redenti della terra, è fin dall'inizio «la città del Dio vivente, la Gerusalemme celeste», con le sue innumerevoli schiere di angeli, la comunità festosa dei primi nati. (H. U. von Balthasar,  Gloria I. La percezione della forma)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Preghiera

Dio onnipotente ed eterno che hai e costituito il servizio degli angeli e degli uomini in un ordine meraviglioso, concedici, ti supplichiamo, che come gli Angeli santi ti offrono un perpetuo servizio nei cieli, allo stesso, modo, secondo l'incarico che gli hai affidato, possano soccorrerci e difenderci sulla terra. Per Gesù Cristo, nostro Signore. (The Book of Common prayer)




Chiesa di San Michele arcangelo, Amburgo

martedì 28 settembre 2021

Dizionario della Musica Anglicana. Hugh Blair

Hugh Blair (Worcester, 25 maggio 1864 – Worthing, 22 luglio 1932) è stato un musicista, compositore e organista inglese.

Nato a Worcester, Hugh Blair era figlio del reverendo Robert Hugh Blair, che fondò il Collegio per ciechi di Worcester nel 1866.

Hugh Blair (1864-1932)

Corista alla Cattedrale di Worcester (sotto William Done) e allievo alla King's School di Worcester, Blair fu successivamente studente d'organo (1883) e organista (1884-1886) al Christ's College di Cambridge

Blair tornò alla cattedrale di Worcester come assistente organista (1887-1889), organista in carica (1889-1895) e organista (1895-1897). Si dimise da organista nella cattedrale di Worcester nel giugno 1897. Fu nominato organista presso la Holy Trinity Church, Marylebone nel 1898.

Blair lavorò anche per la casa editrice Novello & Co, co-curando il Church Hymnal for the Christian Year, pubblicato nel 1917.

La Biblioteca della Cattedrale di Worcester contiene copie delle sue composizioni. Il suo Magnificat e Nunc Dimittis in si minore per doppio coro è tuttora eseguito nelle chiese anglicane. Kevin Allen elenca sette serie di Cantici, una breve Sonata in sol maggiore per organo (1903) e un Trio con pianoforte in re minore tra le sue composizioni.


Fermati 1 minuto. Sottrarsi alle logiche del mondo

Lettura

Luca 9,51-56

51 Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme 52 e mandò avanti dei messaggeri. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per fare i preparativi per lui. 53 Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme. 54 Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». 55 Ma Gesù si voltò e li rimproverò. 56 E si avviarono verso un altro villaggio.

Commento

Come già all'inizio del ministero in Galilea, anche il viaggio di Gesù verso Gerusalemme, che conclude la sua parabola terrena, comincia con un rifiuto, da parte dei Samaritani.

Ma si tratta solo in apparenza di una parabola discendente, perché il rifiuto, la passione e la morte di Gesù segnano il principio della sua "assunzione", come suggerisce il verbo greco analèmpis (sollevamento, innalzamento), utilizzato per indicare il suo "essere tolto" dal mondo.

La risolutezza con cui Gesù si dirige verso Gerusalemme, letteralmente "indurendo il suo volto" (gr. prosòpon estèrisen) richiama la stessa espressione semitica utilizzata nel libro di Isaia per descrivere l'atteggiamento del servo sofferente: "rendo la mia faccia dura come pietra" (Is 50,7).

I messaggeri inviati da Gesù hanno il compito di trovare un posto per dormire e qualcosa da mangiare a Gerusalemme, dove Gesù celebrerà la Pasqua. Il rifiuto espresso dai samaritani è motivato dal fatto che Gesù "era diretto verso Gerusalemme", città per la quale essi nutrivano un'antica ostilità. I samaritani, abitanti di una regione centrale della Palestina, si erano mescolati in tempi lontani con le popolazioni importate in quella terra dagli assiri e avevano elaborato un culto ibrido tra giudaismo e paganesimo, con un suo tempio nel monte Gerizim; per questo, al ritorno degli ebrei dall'esilio babilonese (VI sec. a. C.) furono da questi respinti come "impuri".

Il linguaggio di Giacomo e Giovanni (v. 55) richiama il secondo libro dei Re, in cui Elia per due volte invoca il fuodo dal cielo per distruggere i suoi avversari (2 Re 1,10.12). Il rimprovero di Gesù è reso con la parola greca epitìmesen, che indica il "vincere con un comando", minacciare, richiamando i suoi esorcismi, in quanto i due discepoli si oppongono al suo cammino verso la croce proponendogli una visione trionfalistica del messianismo. 

Di fronte al rifiuto dei samaritani Gesù sceglie semplicemente di cambiare strada. A volte la migliore testimonianza nei confronti dell'ostilità del mondo al messaggio evangelico è di sottrarsi alle sue logiche, alla sua influenza - evèrtere, più che sovvertire -, perseverando sulla via che conduce al compimento della volontà del Padre.

Preghiera

Guidaci, Signore, sulle vie della mitezza, affinché anche i tuoi nemici possano diventare per noi campo di missione, mediante la predicazione del tuo vangelo con le parole e con la testimonianza di vita. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 27 settembre 2021

Fermati 1 minuto. Accogliere un Dio che si fa bambino

Lettura

Luca 9,46-50

46 Frattanto sorse una discussione tra loro, chi di essi fosse il più grande. 47 Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un fanciullo, se lo mise vicino e disse: 48 «Chi accoglie questo fanciullo nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Poiché chi è il più piccolo tra tutti voi, questi è grande». 49 Giovanni prese la parola dicendo: «Maestro, abbiamo visto un tale che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non è con noi tra i tuoi seguaci». 50 Ma Gesù gli rispose: «Non glielo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi».

Commento

Gesù ha appena annunciato l'approssimarsi della sua passione, ma i discepoli non hanno compreso e sono impauriti. (Lc 9,44-45); non riescono a cogliere la grandezza del sacrificio che si sta per compiere e si mettono a discutere tra di loro su chi sia il più grande. 

Capita anche a noi credenti, come individui, e forse ancor più alle chiese, come istituzioni religiose: una tendenza all'autoreferenzialità, a sentirsi depositari della vera ortodossia e ortoprassi. Così l'unica Chiesa di Cristo si è frammentata nei secoli in numerose denominazioni, lacerando il suo Corpo mistico e rinnovando nella storia la sua passione. 

Proprio Giovanni, l'evangelista che più di tutti insiste sulla natura di Dio come amore, pone a Gesù il quesito se sia giusto che uno "che non è con noi tra i tuoi seguaci" scacci i demòni nel nome di Gesù. Ma il Signore, che aveva invitato a giudicare l'albero dai frutti, respinge ogni settarismo. 

Gesù prende un bambino, se lo mette vicino (v. 47) e lo addita come esempio per chi vuole essere grande tra i discepoli. Un bambino è totalmente dipendente dai genitori e così il vero discepolo deve tenere a mente che nulla può fare senza la grazia che opera in lui. 

Gesù, che non considerando un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio si è fatto obbediente fino alla morte (Fil 2,6-8), rivela lo stretto legame tra l'incarnazione e la passione, tra la culla e la croce. 

Il parallelo che egli pone tra la sua natura e quella di un fanciullo mostra un Dio che si fa bisognoso delle nostre cure, per non "scomparire" tra le malvagità del mondo e che ci chiama a custodire il dono fragile e prezioso che abbiamo ricevuto.

Preghiera

Donaci l'umiltà, Signore, per superare le divisioni e operare nel tuo nome contro il male. La tua grazia ci trovi sempre docili all'azione dello Spirito, affinché possiamo crescere in santità e giustizia davanti ai tuoi occhi. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 26 settembre 2021

Prigionieri della legge e prigionieri... nel Signore

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA DICIASSETTESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

Signore, ti supplichiamo affinché la tua grazia possa sempre prevenirci e sostenerci, rendendoci costantemente dediti a ogni opera buona. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Ef 4,1-6; Lc 14,1-11

Commento

Guarendo l’idropico in giorno di sabato Gesù mette al centro del suo messaggio il primato della carità verso il prossimo, come legge suprema. Egli non controbatte ai farisei negando o sminuendo la legge mosaica. Chiede infatti loro di citare un passo della legge che vieti di guarire in giorno di sabato e domanda se non si affaticherebbero in giorno di sabato per salvare un asino o un bue, ovvero per proteggere le proprie ricchezze.

L'illusione che l'amore di Dio possa essere fatto coincidere semplicemente con l'amore della legge è una forma di riduzionismo idolatra: non si adorano delle divinità straniere, ma si cade nell'errore di credere che lo scrupoloso rispetto delle norme religiose possa di per sé costituire una garanzia di salvezza. Questa tentazione, molto diffusa nel giudaismo contemporaneo a Gesù, può costituire una minaccia anche per il cristianesimo, laddove si affermi la convinzione di potere accumulare meriti attraverso opere buone e preghiere. 

Si tratta di un atteggiamento spiritualmente egocentrico, lontano dall'amore disinteressato per Dio e per il prossimo, da quel senso di gratitudine verso il nostro Creatore e Salvatore, che da solo dovrebbe essere sufficiente per farci agire rettamente.

La seconda parte del racconto evangelico, in cui assistiamo alla disputa tra gli invitati per chi avrebbe dovuto occupare i posti più prestigiosi a tavola, testimonia proprio la difficoltà di superare l'accentramento su di sé, che dovrebbe invece caratterizzare la vera esperienza religiosa.

Paolo, dal canto suo, nella lettera agli Efesini, sottolinea il profondo legame tra la carità fraterna e la necessità di dare una risposta adeguata all'azione salvifica di Dio nei nostri confronti. Noi siamo stati amati e salvati per primi; è nostro dovere amare il prossimo come Dio ci ha amato. E questo dovere è ancora più vincolante nei confronti dei fratelli nella fede, con i quali condividiamo i doni che l'unico Cristo ha distribuito tra il suo popolo. Per questo l'apostolo ci esorta a mantenere la pace nella comunità cristiana.

Per rafforzare le sue parole Paolo fa leva sul suo essere "prigioniero nel Signore". Non vuole essere compatito, ma vuole sottolineare fino a che punto lo abbia spinto la sua abnegazione per la causa del vangelo. Il credente è capace di individuare anche nelle grandi prove della vita la mano di Dio, per questo Paolo è prigioniero, ma "nel Signore". Nulla accade per circostanze fortuite, e anche laddove ci trovassimo tra le mani di forze malvagie, possiamo avere la certezza che ogni causa seconda agisce perché Dio, la causa prima, glielo consente. 

E ancor più, dobbiamo essere assolutamente certi che qualsiasi cosa ci accada è assolutamente la più perfetta, la più profittevole, la migliore, qui ed ora, per noi, che possa accadere, secondo la sapienza imperscrutabile di Dio. Possiamo dunque ripetere col salmista, in ogni circostanza della nostra vita: "Nelle sue mani sono le profondità della terra e sue sono le alte vette dei monti" (Sal 95,4).

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 24 settembre 2021

Silvano del Monte Athos e la docilità all'azione dello Spirito

Nel 1938 muore al monte Athos lo starec Silvano. Semën (Simeone) Ivanovič Antonov era nato nel 1866 a Šovsk, in Russia, da una famiglia di poveri contadini, ed era entrato nel 1892 nel monastero athonita di San Panteleimon. La sua parabola monastica fu una straordinaria ricerca di docilità all'azione dello Spirito santo. Silvano aveva infatti cominciato ad avvertire da giovane la presenza dello Spirito nel suo cuore, e aveva deciso di dedicarsi interamente a custodire mediante la preghiera il dono ricevuto. Nominato economo del monastero, egli continuò a riservare ogni giorno un tempo ragguardevole per la preghiera, pur avendo ormai più di 200 monaci a cui provvedere. Ammaestrato dallo Spirito a riconoscere Gesù e in Gesù la misericordia del Padre, Silvano intraprese un cammino di assimilazione al suo Signore. Egli capì che solo nell'umiltà, nel riconoscersi «terra desolata», «carne di peccato», avrebbe potuto raggiungere la piena comunione con Cristo disceso agli inferi per amore di tutti gli uomini. Ebbe la grazia della preghiera continua ed ebbe la visione del Cristo oltre a soffrire molto da parte di demoni. Ma l'esperienza mistica che più lo marcò, avvenne attorno all'anno 1906, quando in preda a grande sconforto per non riuscire a estirpare i suoi sentimenti di orgoglio, così si rivolse a Dio: «Signore, tu vedi che cerco di pregarti con spirito puro, ma il demonio me lo impedisce.» Ricevette allora nel suo cuore questa risposta: «Gli orgogliosi devono sempre soffrire da parte dei demoni.» Silvano rispose: «Allora, Signore, dimmi cosa devo fare perché la mia anima diventi pura.» Di nuovo ricevette la risposta: «Tieni il tuo spirito in inferno e non disperare mai». In realtà, proprio per essersi accusato, lui stesso di essere un orgoglioso, e aver pregato Dio di estirpargli questo sentimento, ha mostrato un grande spirito di umiltà. Nonostante non avesse ricevuto una istruzione superiore, assunse grande fama presso i pellegrini che lo cercavano per i suoi utili consigli, tra essi anche altri prelati, vescovi e cattedratici. Passò gli ultimi anni della sua vita a ricevere migliaia di persone che venivano dai luoghi più lontani per chiedere una parola o una preghiera : colui che ormai era noto a tutti semplicemente come lo «starec Silvano».

Tracce di lettura

Spirito santo, non abbandonarci! Quando tu sei in noi, l'anima avverte la tua presenza, trova in Dio la sua beatitudine: tu ci doni l'amore ardente per Dio. Spirito santo, non mi abbandonare! Quando ti allontani da me, i pensieri malvagi assalgono il mio cuore: l'anima mia piange lacrime amare. 

(dagli Scritti di Silvano dell'Athos).

Abba Paisio pregava per un proprio discepolo che aveva rinnegato Cristo. Mentre pregava, gli apparve Cristo e gli disse: « Paisio, per chi stai pregando? Non mi ha forse rinnegato?». Ma il santo continuò ad aver compassione del proprio discepolo. Allora il Signore gli disse: «Paisio, tu mi sei divenuto simile mediante l'amore»

(Detto dei padri che Silvano amava ripetere)

- Fonti: Martirologio ecumenico della Comunità monstica di Bose; Wikipedia

Silvano del Monte Athos (1866-1938)

Fermati 1 minuto. L'alterità e la prossimità di Cristo

Lettura

Luca 9,18-22

18 Un giorno, mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui, pose loro questa domanda: «Chi sono io secondo la gente?». 19 Essi risposero: «Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto». 20 Allora domandò: «Ma voi chi dite che io sia?». Pietro, prendendo la parola, rispose: «Il Cristo di Dio». 21 Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno. 22 «Il Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno».

Meditazione

Gesù cerca la solitudine per pregare, ma pur trovando "un luogo appartato" (v. 18) è con i suoi discepoli. Questa contemporanea distanza e prossimità sembra testimoniare la necessità di una ricerca personale e intima con il Padre e al contempo la dimensione comunitaria, "ecclesiale" della preghiera.

Poco prima nel suo Vangelo, Luca ci ha riferito la curiosità di Erode di vedere Gesù, ma sappiamo dal racconto della passione che il tetrarca lo considerava niente di più che un uomo capace di compiere prodigi, ricercandolo per soddisfare la propria curiosità.

Gesù termina questo suo momento di preghiera ponendo una domanda ai discepoli, forse afflitto dalle incomprensioni trovate durante la sua predicazione e richiedendo un'aperta attestazione di fede. I discepoli gli riferiscono chi pensa la gente che egli sia: Giovanni il Battista, Elia, uno degli antichi profeti. Insomma, "nulla di nuovo". Le folle - contrapposte a pochi uomini e donne che venono guariti e lo riconosco per chi egli è - relegano la sua identità a un retaggio del passato, non riescono a cogliere la totale alterità della sua persona rispetto all'uomo, in quanto Figlio di Dio, e al contempo la sua totale prossimità al genere umano in quanto Dio incarnato. 

A rispondere a nome dei discepoli è Pietro, che riconosce in Gesù il Cristo di Dio (v. 20), il Messia atteso da Israele. Questa affermazione non gli viene da una deduzione intellettuale ma gli è rivelata dal Padre, messa in bocca dallo Spirito. 

Matteo nel suo Vangelo riporta la risposta di Gesù alla professione di fede di Pietro: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli» (Mt 16,17), evidenziando che la fede stessa è un dono della grazia. Gesù ordina di non riferire ciò a nessuno. Egli si aspetta una risposta personale da ciascuno di noi alla sua domanda: «Chi sono io?»: nessuna autorità religiosa potrà costringere la nostra coscienza a professare ciò che Dio chiede da noi come un atto di libertà, capace di accogliere la luce della grazia. 

Ma Gesù dice anche che egli "deve soffrire molto" (v. 22); si tratta di un imperativo: egli sa che il suo destino è la croce e gli va incontro senza esitazioni, perché sarà proprio la croce a rivelare pienamente chi egli veramente è: colui che dona la sua vita per i peccatori, con un atto di espiazione che è al contempo totale abbassamento della propria divinità, per prendere su di sé la condizione umana, innalzandola fino a quella divina. La croce sarà lo scandalo più grande, ma al contempo anche la più alta rivelazione di Dio all'umanità. Su questa verrà posto il sigillo della resurrezione.

Preghiera

Noi ti confessiamo, Signore, come il Cristo, salvatore dell'umanità e di ciascuno di noi individualmente. La preghiera, rivolta al Padre, vicino a te, ci aiuti a comprendere sempre più a fondo la tua natura divina e lo Spirito santo ci conforti nelle prove della vita presente. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 23 settembre 2021

Regno Unito, bambini transgender: i minori di 16 anni avranno accesso ai bloccanti della pubertà senza il consenso dei genitori

La Corte d'Appello del Regno Unito ha stabilito che da ora in poi i medici decideranno se ai bambini possono essere prescritti farmaci bloccanti della pubertà. L'ex paziente transgender Keira Bell mette in guardia contro "il danno significativo a cui sono esposti i bambini".

Bambino transgender

La Corte d'Appello ha stabilito che spetterà ai medici decidere se ai bambini sotto i 16 anni possono essere prescritti bloccanti della pubertà senza il consenso dei genitori.

Questa decisione ribalta la sentenza dell'Alta Corte dello scorso anno, che affermava che "un bambino sotto i 16 anni può acconsentire all'uso di farmaci destinati a sopprimere la pubertà solo se comprende le conseguenze immediate e a lungo termine del trattamento, le prove limitate disponibili sugli effetti collaterali e le potenziali conseguenze sulla propria vita”.

Tale sentenza è stata impugnata dal Tavistock e dal Portman NHS Foundation Trust, che gestisce l'unica clinica nel Regno Unito per il trattamento dei giovani con disforia di genere.

L'Alta Corte “non è in grado” di decidere

L'Alta Corte ha inoltre concluso che "è altamente improbabile che un bambino di età pari o inferiore a 13 anni sia competente a dare il consenso alla somministrazione di bloccanti della pubertà" e che "è dubbio che un bambino di età pari o inferiore a 14 anni possa comprendere e valutare i rischi a lungo termine"

Tuttavia, la nuova sentenza affermava che “la Corte non era in grado di generalizzare sulla capacità delle persone di età diverse di comprendere ciò che è necessario per loro ed essere competenti ad acconsentire alla somministrazione di bloccanti della pubertà”.

Ha anche riconosciuto “le difficoltà e le complessità” del problema, che “ha posto pazienti, genitori e medici in una posizione molto difficile”.

La Corte chiede “ai medici di esercitare il loro giudizio sapendo quanto sia importante che il consenso sia ottenuto correttamente in base alle particolari circostanze individuali”.

Tavistock: "Afferma che è per i medici, non per i giudici"

Il portavoce della clinica Tavistock ha accolto con favore la decisione, sottolineando che "la sentenza sostiene i principi legali stabiliti che rispettano la capacità dei nostri medici di impegnarsi attivamente e premurosamente con i nostri pazienti nelle decisioni sulla loro cura e sul loro futuro".

"Afferma che spetta ai medici, non ai giudici, decidere sulla capacità dei minori di 16 anni di acconsentire alle cure mediche", ha aggiunto il rappresentante della clinica.

Bell: La sentenza non "ha affrontato il danno significativo a cui sono esposti i bambini"

L'ex paziente transgender, Keira Bell, insieme alla madre di una quindicenne con autismo e l'ex infermiera psichiatrica Susan Evans, hanno portato il caso per la prima volta nel gennaio 2020, quando hanno citato in giudizio Tavistock.

Bell ha poi sottolineato che “il trattamento ha urgente bisogno di cambiare, in modo che non metta i giovani, come me, su un percorso tortuoso e inutile che sia permanente e cambia la vita”.

In una dichiarazione dopo la sentenza della Corte d'Appello, ha affermato di essere "sorpresa e delusa" dalla decisione della corte, principalmente perché "non prende in considerazione il rischio significativo di danni a cui i bambini sono esposti dalla somministrazione di potenti farmaci sperimentali".

Ha anche denunciato che “la corte non era preoccupata che bambini di appena 10 anni fossero stati messi in un percorso di sterilizzazione”.

“Non ho rimpianti nel portare questo caso. Ha fatto luce negli angoli bui di uno scandalo medico che sta danneggiando i bambini e ha ferito me. Ha agito da catalizzatore per il cambiamento”, ha concluso Bell.

Gli effetti del blocco della pubertà ancora sconosciuti

Lo scorso marzo, una sentenza separata della Divisione Famiglia del tribunale ha consentito ai genitori di dare il consenso ai propri figli minorenni ad assumere bloccanti della pubertà come parte dei servizi di identità di genere senza prima acquisire l'approvazione di un giudice.

Da giugno la politica del Servizio sanitario nazionale (NHS) sui bloccanti della pubertà afferma che "si sa poco degli effetti collaterali a lungo termine degli ormoni o dei bloccanti della pubertà nei bambini" e "non è nemmeno noto se i bloccanti ormonali influenzino lo sviluppo del cervello degli adolescenti". o delle ossa dei bambini”.

Inoltre, il Sistema sanitario nazionale ha rimosso dalla polizza l'affermazione che i farmaci sperimentali prescritti ai giovani che si identificano transgender sono "completamente reversibili".

- Evangelical Focus, 23 settembre 2021

Fermati 1 minuto. Vediamo quel che cerchiamo

Lettura

Luca 9,7-9

7 Intanto il tetrarca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risuscitato dai morti», 8 altri: «È apparso Elia», e altri ancora: «È risorto uno degli antichi profeti». 9 Ma Erode diceva: «Giovanni l'ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire tali cose?». E cercava di vederlo.

Commento

La fama di Gesù si è diffusa dai suoi giorni terreni a oggi fino a ogni angolo della terra, ma quanti riescono davvero a riconoscerlo per quello che egli è? L'interesse di Erode verso Gesù narrato dall'evangelista Luca prepara quello che il tetrarca mostrerà durante la passione. Egli, che ha ucciso Giovanni il Battista, cercherà in seguito di uccidere anche Gesù (Lc 31,33), e quando questi verrà a lui inviato da Pilato per essere giudicato, Erode si rallegrerà "perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui" (Lc 23,8). 

Di fronte al silenzio di Gesù, che non accondiscende a tale richiesta, Erode reagirà facendolo insultare e schernire dai suoi soldati e rimandandolo da Pilato. Erode è confuso in merito all'identità di Gesù, perché la sua curiosità lo fa restare a un livello superficiale di comprensione; cerca di vederlo, ma unicamente per appagare il desiderio di assistere a qualche prodigio. 

A Erode non interessa niente della ricerca della verità, della bontà, della giustizia di Dio. Per questo la verità incarnata si sottrae a lui, non disvelando la propria natura e la propria potenza. Il rapporto tra Gesù ed Erode attesta il fatto che ciò che troveremo in Gesù dipende da ciò che stiamo cercando. 

Così Nicodemo trova in lui la verità che cercava nelle Scritture; gli scribi e i farisei che gli sono ostili credono di avere di fronte un impostore e un bestemmiatore; Pilato vede in lui un uomo innocente ma non riesce ad andare oltre; mentre il centurione che assiste alla sua morte escalama «Davvero costui era Figlio di Dio!» (Mt 27,54). 

L'idea che abbiamo di Gesù è fondamentale nella relazione che stabiliamo con lui, per questo egli domanda rivolto ai Dodici: «Ma voi chi dite che io sia?»; «Il Cristo di Dio» (Lc 9,20), risponde Pietro, prendendo la parola a nome dei discepoli, e di tutti coloro i cui occhi si aprono alla comprensione mediante la fede.

Preghiera

La conoscenza di te, Signore, possa appagare il nostro desiderio di verità e giustizia, per essere tuoi discepoli nel mondo, testimoniando il Figlio di Dio che si è incarnato, è morto e risorto per noi. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 22 settembre 2021

Dizionario della Musica Anglicana. Elway Bevin

Elway Bevin (c.1554-1638) è stato un organista e compositore gallese.

Per un breve periodo vicario corale presso la Cattedrale di Wells, nel 1585 fu nominato Maestro dei Coristi presso la Cattedrale di Bristol. Prestò giuramento come gentiluomo straordinario della Cappella Reale il 3 giugno 1605 e probabilmente fu allievo di Thomas Tallis.

Nel 1631 Bevin pubblicò l'opera con cui è meglio conosciuto, A Briefe and Short Instruction of the Art of Musicke e il Virginal Book di Benjamin Cosyn ha un suo Service incluso tra sei della raccolta Six Services for the King's Royall Chappell.


Fermati 1 minuto. Come riconoscere il vero apostolo di Cristo

Lettura

Luca 9,1-6

1 Egli allora chiamò a sé i Dodici e diede loro potere e autorità su tutti i demòni e di curare le malattie. 2 E li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi. 3 Disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno. 4 In qualunque casa entriate, là rimanete e di là poi riprendete il cammino. 5 Quanto a coloro che non vi accolgono, nell'uscire dalla loro città, scuotete la polvere dai vostri piedi, a testimonianza contro di essi». 6 Allora essi partirono e giravano di villaggio in villaggio, annunziando dovunque la buona novella e operando guarigioni.

Commento

Gesù comunica la sua stessa potenza ai dodici apostoli che si è scelto e li manda - questo il significato del termine apostoli: "inviati" - ad annunciare il regno di Dio, a cacciare i demòni e a curare tutte le malattie. Non c'è altro di cui debba occuparsi un apostolo: annunciare il vangelo e confortare gli infermi nell'anima e nel corpo. L'instaurazione del regno di Dio non è opera umana, per questo Gesù chiede ai Dodici di non preoccuparsi di nulla, neanche di ciò che sembra indispensabile, come il pane o un cambio di vestiti.

All'apostolo è richiesta una radicale semplicità di vita e un totale affidamento alla provvidenza di Dio. Da ciò deriva anche il dovere della "stabilità": lungi dal girare di casa in casa, magari per cercare beni e ricompense, gli apostoli dovranno stabilirsi presso una sola casa in ogni città; ma tale stabilità non deve portare a un attaccamento contrario al dovere della predicazione itinerante. 

Essi, dunque, ripartiranno di là, dopo aver proclamato il vangelo a quella città, e andranno altrove a portare il lieto annuncio, liberare e sanare. Se non saranno accolti andranno oltre, rifiutando di portare con sé persino la polvere di quella città; non pronunceranno maledizioni ma compiranno il gesto di una rottura completa con coloro che non credono. 

Da tutti questi segni riconosceremo il vero apostolo: l'annuncio fedele del vangelo, la sobrietà di vita, il disinteresse verso qualsiasi ricompensa per il suo ministero, il sedersi alla mensa di chiunque lo accolga (come fece Gesù anche con i pubblicani e i peccatori), la capacità di un distacco per andare oltre ad annunciare la parola di Dio, la mitezza e al contempo la radicalità di fronte al rifiuto della sua missione.

Preghiera

Donaci, Signore, la gioia dell'anuncio del vangelo, la coerenza espressa nella semplicità di vita e una salda fiducia nella tua misericordia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 21 settembre 2021

Fermati 1 minuto. Gesù, medico e medicina per le nostre anime

Lettura

Matteo 9,9-13

9 Andando via di là, Gesù vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. 10 Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. 11 Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». 12 Gesù li udì e disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. 13 Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».

Commento

Tra le persone più disprezzate nella società ebraica ai tempi di Gesù vi erano gli esattori delle imposte, perché non solo trattenevano per sé parte delle somme riscosse, ma lavoravano direttamente per i dominatori romani. 

Gesù chiama Matteo (Marco e Luca si riferiscono a questo pubblicano con il nome Levi) mentre egli è ancora nel peccato. Quella pronunciata da Gesù è un'unica parola, declinata all'imperativo: «Seguimi». La risposta di Matteo è istantanea, "si alzò e lo seguì". Non c'è alcun artificio retorico nella chiamata di Gesù: una sola parola è capace di persuadere e di trasformare la realtà, come vediamo in molte sue guarigioni, liberazioni da demoni e nei miracoli di resurrezione (Lazzaro e la figlia di Giairo). 

La sua parola è parola efficace. La risposta del vero discepolo è altresì incondizionata: Matteo non discute né se ne va rattristato come il giovane che aveva chiesto a Gesù cosa avrebbe dovuto fare per ottenere la vita eterna ma non se la sentiva di dare via le proprie ricchezze (Mt 19,22). Forse Matteo aveva ascoltato la predicazione del Battista o aveva sentito parlare di Gesù, ma quando questi passa di persona davanti a lui e lo chiama egli resta immediatamente affascinato. 

Segue nel Vangelo l'immagine del banchetto, probabilmente preparato a casa di Matteo stesso, insieme ad altri pubblicani. Il banchetto nell'antico oriente era simbolo di una condivisione d'animi profonda tra i commensali. Per questo i farisei mormorano e si scandalizzano per la familiarità che Gesù mostra verso i peccatori. E qui il Signore definisce il peccato come una malattia, una realtà che non può essere semplicemente condannata ma che va guarita; e implicitamente presenta se stesso come medico e medicina. 

A noi chiede un atteggimento simile, richiamando le parole del profeta Osea: "misericordia io voglio e non sacrificio" (Os 6,6). Il banchetto che segue la conversione di Matteo rammenta quello che segue il ritorno del figliol prodigo nella parabola a lui dedicata. Gesù ha promesso per chi lo ama di cenare con lui (Ap 3,20) e prendere dimora presso di lui (Gv 14,23); la sua parola catturerà il nostro cuore oppure lo troverà chiuso alla sua misericordia?

Preghiera

Signore Gesù Cristo che ci hai chiamato dalla morte del peccato alla vita nella grazia, concedici di gioire con te e di condividere con ogni uomo il dono della tua salvezza. Amen

- Rev. Dr. Luca Vona



Fermati 1 minuto. La luce che si fa dono

Lettura

Luca 8,16-18

16 Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la pone sotto un letto; la pone invece su un lampadario, perché chi entra veda la luce. 17 Non c'è nulla di nascosto che non debba essere manifestato, nulla di segreto che non debba essere conosciuto e venire in piena luce. 18 Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto anche ciò che crede di avere».

Commento

La conoscenza dei misteri del regno non è esoterica o gnostica, riservata cioé solo ad una setta, ma dev'essere condivisa con gli altri. Cristo, infatti, è venuto nel mondo per far conoscere la verità, non per nasconderla.

Il fine per cui la luce deve farsi dono è spiegato nel passo parallelo del Vangelo di Matteo: "risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5,16).

L'efficacia della Parola non dipende esclusivamente dal suo valore intrinseco, ma anche dal modo in cui viene accolta. Dio dà maggiore intelligenza a chi accetta il mistero rivelato; mentre la toglie a quelli che non l'accolgono.

Proiettare la luce del vangelo sul mondo significa superare la distinzione fra "temporale" e "spirituale", consentire all'amore di Cristo di incarnarsi nella società. In questi termini, e non secondo la crescita meramente economica o tecnologica, si può parlare di reale sviluppo dell'umanità.

Preghiera

Illumina, Signore, l'umanità in attesa dell'alba del tuo regno, portatore di giustizia e di verità. Amen.

Matteo evangelista e Gesù come nuovo Mosè

Oggi le chiese d'oriente e d'occidente ricordano Matteo, apostolo ed evangelista.
Levi-Matteo, figlio di Alfeo, era un esattore delle tasse a Cafarnao. Chiamato da Gesù alla sua sequela, egli fu tra coloro che lasciarono tutto - casa, fratelli e sorelle, padre e madre, amici, lavoro e beni - per andare dietro al Signore. Gli evangeli raccontano che Matteo il pubblicano diede un banchetto d'addio per i suoi amici, pubblicani e peccatori come lui, e che Gesù si recò a casa sua e pranzò con loro, mostrando così di essere venuto nel mondo non per i giusti ma per i peccatori. Matteo, secondo la tradizione, è l'autore del Vangelo che porta il suo nome, destinato ai credenti in Gesù Messia venuti dall'ebraismo, e probabilmente scritto a qualche anno di distanza dalla redazione del Vangelo secondo Marco. Quale scriba divenuto discepolo del regno dei cieli, egli fu capace di trarre dal proprio tesoro cose nuove e cose antiche, per rispondere ai problemi posti ai suoi interlocutori dalla distruzione del Tempio di Gerusalemme. Gesù, nell'opera matteana, è presentato come il nuovo Mosè che, con autorità divina, risale alla volontà stessa del Legislatore e porta così a compimento la rivelazione data da Dio sul Sinai. Non sappiamo con certezza in quali regioni Matteo abbia predicato il vangelo. Secondo la tradizione, in Siria o in Etiopia.

Tracce di lettura

Nel chiamare qualcuno, Gesù gli diceva che ormai gli restava una sola possibilità di credere in lui, cioè quella di abbandonare tutto e di andare con il Figlio di Dio fatto uomo. Con questo primo passo colui che si pone alla sequela è messo nella situazione di poter credere. Se non si mette a seguire, se resta indietro, non impara a credere. Colui che è chiamato deve uscire dalla propria situazione, in cui non gli è possibile credere, per entrare nella sola situazione in cui è possibile credere. Questo passo non ha in sé un valore programmatico, è giustificato solo dalla comunione con Gesù Cristo che così viene raggiunta. Finché Levi resta alla dogana o Pietro attende alle reti, essi possono esercitare onestamente la propria professione, possono avere antiche o nuove conoscenze di Dio, ma se vogliono imparare a credere in Dio, devono seguire il Figlio di Dio fatto uomo, devono andare con lui. (D. Bonhoeffer, Sequela)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Caravaggio, San Matteo e l'angelo, Chiesa di San Luigi dei Francesi, 1602

domenica 19 settembre 2021

Per mezzo della fede, radicati nell'amore

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA SEDICESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

Signore, ti supplichiamo, possa la tua continua pietà purificare e difendere la tua Chiesa; e poiché essa non può essere al sicuro senza il tuo soccorso, preservala sempre con il tuo aiuto e la tua bontà. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Ef 3,13-21; Lc 7,11-17

Commento

Due folle si incontrano: l'una è quella dei discepoli di Gesù e del suo vasto seguito, l'altra quella del funerale dell'unico figlio di una vedova. Nella società patriarcale di quel contesto storico-geografico le vedove erano una categoria particolarmente vulnerabile; possiamo immaginare, dunque, la tragedia per questa donna, di aver perso l'unico figlio maschio. 

Gesù "ne ebbe compassione"; con una traduzione più accurata del verbo greco splanchnizomai, possiamo dire "ne fu commosso nelle viscere". Lo stesso verbo è utilizzato da Luca nella parabola del buon samaritano e in quella del figliol prodigo. Gesù, che si commosse fino a prorompere in pianto davanti alla tomba dell'amico Lazzaro, comprende la nostra miseria di creature soggette alla morte a causa del peccato (cfr. Rm 5,12-14) e compie in questa occasione un gesto che per la legge ebraica rendeva impuri. 

Egli non solo non contrae alcuna impurità ma è anche in grado di ridonare la vita a ciò che si è avviato verso la corruzione. Un gesto semplice e una parola efficace: "Giovinetto, dico a te, alzati!" - quell'"alzati" che nel verbo originale greco egheiro descriverà nello stesso Vangelo di Luca il mistero pasquale. 

Gesù non teme di toccare con mano la nostra miseria. Troppe volte la religione inculca un senso di impurità in chi vorrebbe avvicinarsi ad essa, provocandone il rifiuto. Per paura di perdere consensi, d'altra parte, alcune chiese rimuovono la parola "peccato" dal proprio lessico, disconoscendo che nell'uomo vi è una tendenza al male, all'egoismo, alla prevaricazione. 

Il vangelo ci istruisce sul fatto che tutti abbiamo peccato ma la fede in Cristo ci consente di morire al peccato per risorgere nella grazia. Come i testimoni del giovane riportato in vita possiamo veramente dire "Dio ha visitato il suo popolo". 

"Per mezzo della fede... radicati nell'amore" conosceremo, afferma Paolo (Ef 3,17-19), la misura dell'amore di Cristo, e saremo "ripieni della pienezza di Dio". Dio che può fare molto di più di quel che possiamo immaginare (Ef 3,20) ha mandato il suo Figlio a restaurare l'immagine divina nell'uomo. Non ci concede solo di vincere la morte, ma di partecipare alla sua vita trinitaria.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 17 settembre 2021

Ildegarda di Bingen e il fuoco del Paraclito

Nel 1179 muore nel monastero di Rupertsberg, presso Bingen, Ildegarda, monaca e mistica.

Nata ottantun anni prima a Bermersheim, nella Renania, Ildegarda fu affidata a otto anni a Jutta di Sponheim, un'anacoreta che viveva legata alle benedettine di Disibodenberg. Intorno alle due donne la comunità crebbe, e alla morte di Jutta, Ildegarda ne assunse la responsabilità.

Essa seppe fare tesoro della propria estrema sensibilità e fragilità fisica per comprendere in profondità le forze fisiche e biologiche della natura e per affinare la propria arte farmacologica e medica, da cui molti trassero grandi benefici.

Attenta lettrice e ruminatrice delle Scritture, fu una donna di temperamento straordinario: predicò il vangelo in modo itinerante, quasi un secolo prima di Francesco d'Assisi, seguendo unicamente la voce interiore che la spingeva a farlo; promosse il rinnovamento spirituale nel monachesimo del suo tempo, e fu sempre pronta a servire i malati e a lenire le loro sofferenze.

In tutto questo, Ildegarda non dimenticò mai le proprie figlie spirituali, ma continuò sino alla fine a seguire a una a una tutte le monache dei monasteri che aveva fondato, con una dolcezza e una sensibilità pari alla forza e alla fermezza che aveva saputo mostrare quando si era trovata ad ammonire e a consigliare i potenti del suo tempo.

Su indicazione di Bernardo di Clairvaux, Ildegarda mise per iscritto il frutto della sua contemplazione visionaria del mondo, lasciando così ai posteri almeno un poco della sapienza che aveva saputo vivere e incarnare nel suo lungo itinerario umano e monastico.

Tracce di lettura

O fuoco dello Spirito Paraclito, vita della vita di ogni creatura, sei santo, tu che vivifichi le forme.

Sei santo, tu che copri con balsami le fratture doloranti, santo, tu che fasci le ferite incancrenite. Soffio di santità, fuoco di amore, dolce gusto nei cuori e pioggia nelle anime, profumato di virtù.

Fontana purissima nella quale si vede Dio, intento a radunare gli stranieri e a cercare gli smarriti.

Corazza della vita, speranza dell'unione di tutti gli uomini, crogiolo della bellezza, salva le tue creature!

Grazie a te le nubi corrono, l'aria plana, le pietre si coprono di umidità, le acque diventano ruscelli e la terra trasuda la linfa verdeggiante.

E sei ancora tu a guidare incessantemente i dotti e a colmarli di gioia mediante l'ispirazione della tua sapienza.

Lode dunque a te, che fai risuonare le lodi e rallegri la via: a te la speranza, l'onore e la forza.

Lode a te che porti a noi la luce. (Ildegarda di Bingen, O fuoco dello Spirito Paraclito)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Ildegarda di Bingen (1098-1179)

Fermati 1 minuto. Gesù non ha paura delle donne

Lettura

Luca 8,1-3

1 In seguito egli se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunziando la buona novella del regno di Dio. 2 C'erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demòni, 3 Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni.

Commento

La predicazione del regno di Dio è un'attività itinerante, che Gesù non compie da solo, ma insieme ai suoi discepoli. Egli si sposta di città in città, perché «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8,20). Insieme a lui troviamo i Dodici, ma anche un piccolo gruppo di donne, cosa del tutto inconsueta per la cultura religiosa dell'epoca. I rabbini, infatti, non avevano donne come discepoli. Questa ritrosia è evidente nel racconto giovanneo dell'incontro tra Gesù e la samaritana, dove appunto i discepoli di Gesù si stupirono nel vederlo discorrere con una donna presso il pozzo (Gv 4,27). 

«Signore, gli disse la donna, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete» (Gv 4,15) esclama la samaritana al pozzo; e di quell'acqua sembrano essersi dissetate le tre discepole che seguono Gesù nel suo ministero. Maria, proveniente dalla città di Màgdala, è identificata da una tradizione senza alcun riscontro oggettivo con la donna che in un passo precedente versa il profumo sui piedi di Gesù e ne versa sul suo capo prima della passione; qui si dice semplicemente che fu liberata da sette demòni, ma un'altra tradizione, sempre senza alcun fondamento, ne fa una prostituta. Giovanna e Susanna sono menzionate solo qui. 

Saranno delle donne a seguire Gesù nella sua passione e a sostare sotto la croce, con Maria, la madre di Gesù e Giovanni, il discepolo che egli amava. E sempre delle donne sono le prime testimoni della risurrezione, annunciatrici della lieta notizia ai Dodici stessi. 

Le Scritture presentano un atteggiamento ambivalente sulla donna, a partire dalla progenitrice Eva, mediante la quale il peccato è entrato nel mondo, ai numerosi ammonimenti contenuti nel libro dei Proverbi, in cui l'uomo viene messo in guardia dalla capacità femminile di circuire e far cadere nel peccato. 

Eppure, tutta la storia della salvezza è costellata da figure di donne esemplari e benedette da Dio, a partire da Sara, che concepisce Isacco nella sua vecchiaia e diviene partecipe della promessa, fatta da Dio ad Abramo, di una discendenza più numerosa della sabbia del mare e, dunque, di una redenzione che si estende oltre i confini stessi di Israele; e poi Rachele, sposa di Giacobbe e madre di Giuseppe, che "piange i suoi figli", figura di colei che per Israele intercede presso Dio (Ger 31,15, ripreso da Mt 2,18). Per mezzo di una donna il Verbo incarnato decide di venire in mezzo a noi: Maria, nuova Eva, è lo strumento mediante il quale giungono a compimento le promesse messianiche. 

Sono figure per lo più silenziose le donne dell'Antico e del Nuovo Testamento, ma significative nella storia della salvezza. Il loro silenzio è sempre fecondo.

Preghiera

Concedicci Signore, di essere associati a te nella predicazione della salvezza e il nostro agire, guidato dal tuo Spirito, sia sempre più eloquente delle nostre parole. Amen.

giovedì 16 settembre 2021

Cipriano e Cornelio. La difesa dell'autonomia e dell'unità della Chiesa

Nel 258 nel corso delle persecuzioni dell'imperatore Valeriano, muore martire a Cartagine il vescovo Cipriano. Nato intorno al 210, Cipriano era un retore pagano che si convertì al cristianesimo dopo aver distribuito tutti i suoi beni ai poveri. A tre anni soltanto dalla conversione fu eletto vescovo di Cartagine. Vissuto in un periodo di grandi divisioni nella chiesa, suscitate dalle diverse posizioni assunte dai cristiani di fronte alla pressione ad apostatare esercitata su di loro dai persecutori, Cipriano optò sempre per un atteggiamento misericordioso verso chi era caduto nell'apostasia. Convinto infatti che il ministero episcopale fosse uno e indivisibile, e che fosse stato lasciato da Cristo alla chiesa per custodirne l'unità attraverso la remissione dei peccati, egli difese l'autorità episcopale sia contro le intromissioni dell'impero sia contro quei cristiani che minavano l'unità della chiesa pretendendo di costituire delle chiese parallele di uomini impeccabili. Anche per questo motivo, Cipriano sostenne contro l'antipapa Novaziano, eletto dalla fazione più rigorista del clero romano, il legittimo papa di Roma Cornelio. Il comune atteggiamento di Cornelio e Cipriano verso chi aveva ceduto di fronte alle violenze dei persecutori e la loro comune morte nel martirio, hanno fatto sì che la chiesa d'occidente li ricordi assieme in questo giorno.

Tracce di lettura

Fratelli, vi sono alcuni che invece di proporre la speranza, insinuano la disperazione e la mancanza di fede sotto il pretesto di offrire la fede. Ma il Signore dice a Pietro: «Io ti dico che tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell'inferno non la vinceranno. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato anche nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto anche nei cieli».
Il Signore edifica la sua chiesa sopra uno solo; anche se dopo la sua resurrezione egli conferisce un'eguale potestà a tutti gli apostoli: «Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi. Ricevete lo Spirito santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi; saranno ritenuti a chi li riterrete». Tuttavia per evidenziare l'unità dispose che l'origine della medesima procedesse da uno solo. Come può credere allora di possedere la fede chi non mantiene l'unità della chiesa?
(Cipriano, L'unità della chiesa cattolica 3-4)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Cipriano e Cornelio (+258), Catacombe di san Callisto


Fermati 1 minuto. Un grande perdono genera un grande amore

Lettura

Luca 7,36-50

36 Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. 37 Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; 38 e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato. 39 A quella vista il fariseo che l'aveva invitato pensò tra sé. «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice». 40 Gesù allora gli disse: «Simone, ho una cosa da dirti». Ed egli: «Maestro, di' pure». 41 «Un creditore aveva due debitori: l'uno gli doveva cinquecento denari, l'altro cinquanta. 42 Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?». 43 Simone rispose: «Suppongo quello a cui ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». 44 E volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m'hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. 45 Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. 46 Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi. 47 Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco». 48 Poi disse a lei: «Ti sono perdonati i tuoi peccati». 49 Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è quest'uomo che perdona anche i peccati?». 50 Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va' in pace!».

Commento

Siamo davanti a un fariseo che mostra verso Gesù un importante gesto di accoglienza, invitandolo a condividere un pasto. L'ingresso in casa della donna durante il convito attesta che si trattava di un grande banchetto, perché in questo caso era consentito, in oriente entrare in casa a curiosare. 

Questo racconto è più un dipinto che una narrazione, per il suo svolgersi quasi completamente in silenzio. Dipinto dai colori contrastanti se confrontiamo il fariseo, che siede a mensa con Gesù e si pone dunque sul suo stesso piano e la donna, accovacciata dietro i suoi piedi; questa non dice una parola, ma mette in atto una serie di gesti, che richiamano le antiche usanze orientali verso gli ospiti: accogliere l'invitato con un bacio, lavargli i piedi, ungergli il capo con olio profumato. 

La tradizione che identifica questa donna con Maria di Magdala è tardiva e priva di fondamento, così come quella secondo la quale si tratterebbe di una prostituta. Il termine usato (gr. hamartolos) indica infatti semplicemente una condizione di peccato sia al maschile che al femminile. Il "lasciar fare" di Gesù nei confronti della donna è occasione di scandalo per il fariseo, che dentro di sé dubita di avere di fronte a sé un profeta: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice» (v. 39). 

Chiaramente il fariseo si considera di "una specie" del tutto differente, degno di stare a tavola con un profeta. La sua sicurezza di sé è in pieno contrasto con l'atteggiamento della peccatrice, che non smette di piangere. 

Contrariamente a quel che pensa il fariseo, Gesù sa benissimo chi è quella donna e sebbene quell'uomo, che si sentiva giusto per la pratica della legge, non abbia il coraggio di esprimere ad alta voce le proprie perplessità, lo anticipa facendogli una domanda. Chi sarà più felice: un uomo a cui vengono condonati cinquanta denari o uno a cui ne vengono condonati cinquecento? Il fariseo dà la risposta giusta, ma la sua giustizia rimane su un piano puramente teorico, legalistico; è lui a non sapere chi ha di fronte, scandalizzandosi, insieme ai commensali, di colui che riconosce semplicemente come Maestro, ma che dichiara di poter rimettere i peccati (v. 49).

La grande fede e l'amore della peccatrice hanno generato il perdono e questo, a sua volta, ha generato un grande amore. Il fariseo si pone al di fuori di questo circolo di fede e di amore, considerandosi giusto davanti a Gesù.

Senza l'umiltà la nostra religiosità è una pratica sterile. Non importa quanto "intimo" possiamo considerare il nostro rapporto con Dio. Chi si mette a tavola con il Signore aspettandosi di essere lodato come giusto o per vantarsi di aver familiarità con lui ne rimarrà deluso, perché non saprà comprendere la vera natura di colui che è venuto a salvare i peccatori e che afferma alla nostra anima «La tua fede ti ha salvata; va' in pace!».


Preghiera

Signore, donaci la pace che il mondo non conosce; noi non confidiamo nella nostra giustizia ma nella tua grande misericordia e ti adoriamo come il Figlio di Dio, venuto nel mondo per salvare i peccatori. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 15 settembre 2021

Fermati 1 minuto. La Chiesa, generata sotto la croce

Lettura

Giovanni 19,25-34

25 Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. 26 Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». 27 Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.
28 Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: «Ho sete». 29 Vi era lì un vaso pieno d'aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. 30 E dopo aver ricevuto l'aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, spirò.
31 Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. 32 Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all'altro che era stato crocifisso insieme con lui. 33 Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, 34 ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua.

Commento

La figura di Maria, che appare in maniera discreta nei Vangeli e solo in quello di Giovanni figura sotto la croce, era stata presente durante il primo miracolo di Gesù alle nozze in Cana di Galilea. In quella occasione aveva portato all'attenzione del figlio la mancanza di vino per i commensali, ricevendo l'enigmatica risposta: "'Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora'" (Gv 2,4). 

La trasformazione dell'acqua in vino non è un miracolo di guarigione o liberazione, ma con esso Gesù sembra prefigurare in maniera incruenta il dono del suo sangue per la vita dei peccatori riconciliati.

Quell'"ora" che è un "non ancora" a Cana, scocca nel momento culminante della passione, in cui Maria diventa madre dei credenti - personificati da Giovanni - e al tempo stesso oggetto di sollecitudine del discepolo.

Maria sotto la croce è stata assurta a simbolo della Chiesa e come colei che intercede per gli uomini presso il Figlio; eppure nella loro semplicità le parole evangeliche ci mostrano il Figlio che intercede per Maria e la affida al discepolo che egli amava. 

Una madre è degna senz'altro di essere onorata - "Onora tuo padre e tua madre" (Es 20,12) - e al tempo stesso un figlio, quale viene definito Giovanni in rapporto a Maria, è oggetto delle sollecitudini materne. 

Se Maria rappresenta la Chiesa, questa è affidata ai credenti, affinché se ne prendano cura. Ma al tempo stesso essi sono figli della Chiesa, dalla quale hanno ricevuto la dottrina degli apostoli, per mezzo del vangelo. 

La Chiesa non è una istituzione umana, ma la comunità dei redenti dalla sete di anime di Cristo.

Preghiera

Noi ti lodiamo, Padre celeste, per averci donato la tua Parola vivente, rivestita di un vero corpo nel grembo di Maria; il tuo Spirito ci guidi sempre nell'amore alla tua Chiesa, generata dal sangue del tuo Figlio. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 14 settembre 2021

Fermati 1 minuto. Guardate a lui e sarete salvi

Lettura

Giovanni 3,13-17

13 Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo. 14 E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, 15 perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».
16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. 17 Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui.

Meditazione

Colui che schioderà Cristo dalla Croce, Nicodemo, riceve anticipatamente da Gesù, in un intimo colloquio notturno, la rivelzzione che è il cuore del Vangelo: Dio ha mandato il suo Figlio nel mondo non perché il mondo venga giudicato, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui.

Nicodemo aveva riconosciuto in Gesù un profeta, ma ora gli viene fatto comprendere che nessun profeta è al pari di Gesù, il Figlio di Dio disceso dal cielo. Mosé ascese sul monte Sinai, ma Cristo è asceso a Padre, per questo è capace di rivelare i misteri di Dio e la sua volontà. Nelle parole di Gesù abbiamo una descrizione della sua duplice natura e del mistero dell'incarnazione: la natura divina, discesa nella carne e quella umana assunta dalla sua divinità.

Il libro dei Numeri (Nm 21,4-9) narra che Mosè, su ordine di Dio, mise un serpente di rame sopra un asta per guarire gli israeliti dal morso dei serpenti, che erano stati inviati come castigo per le mormorazioni del popolo durante l'esodo nel deserto. Servendosi del verbo greco hypsoo, "sollevare", che implica la glorificazione, Giovanni richiama l'esaltazione di Gesù nella gloria della sua morte e resurrezione.

Vi è un parallelo tra le parole dette da Dio a Mosè, relativamentee al serpente di rame, "Chiunque, dopo eserestato morso, lo guarderà resterà in vita" (Nm 21,8) e le parole di Gesù "bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna" (vv. 14-15). Guardre a Cristo con fede conduce alla salvezza. 

Questo è il primo di diciassette riferimenti alla vita eterna presenti nel Vangelo di Giovanni. L'eternità della vita donata da Cristo non è un riferimento meramente quantitativo ma soprattutto qualitativo, indicando la contemplazione di Dio e la piena santificazione; una realtà che chi crede in Cristo comincia a sperimentare già prima della morte.

Credere nel nome di Gesù (v. 16) implica non solo una adesione intellettuale ma un fiducioso abbandono a Cristo per essere rigenerati da lui. Gesù rivela che l'amore di Dio per il mondo non include solo Israele ma tutti gli esseri umani. Quello di Dio non è un amore in senso puramente sentimentalistico, ma un amore che si fa dono di quanto egli ha di più prezioso, il suo Figlio unigenito.

Il cristiano adora la croce non di per sé, perché adorare la croce senza il redentore sarebbe insensato. Noi siamo chiamati ad adorare colui che ha trasformato uno strumento di supplizio nell'albero della vita, rendendo Dio presente nell'umanità ferita, umiliata, disprezzata, fattasi carico del peccato. Allora la croce, stoletezza per i sapienti di questo mondo, può essere compresa come sapienza e potenza di Dio (1 Cor 1,18).

Preghiera

Attiraci a te, o Cristo, affinché liberi dai rivolgimenti di questo mondo possiamo restare saldi nella tua parola di salvezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona