COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA II DOMENICA DOPO L’EPIFANIA
Colletta
Dio Onnipotente
ed eterno, che governi tutte le cose nel Cielo e sulla terra; ascolta
misericordioso le suppliche del tuo popolo, e concedi la pace ai nostri giorni;
per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.
Letture
Rm 12,6-16; Mc 1,1-11
In queste settimane, dette “dopo l’Epifania”, che
ci separano dalla domenica di Septuagesima, la quale segnerà l’inizio di un
periodo pre-quaresimale, troviamo tre importanti episodi evangelici, che
rappresentano fin dall’antichità, i tre momenti più importanti della
manifestazione – “epifania”, appunto – del Signore all’umanità, al di fuori dei
confini di Israele, ovvero al di fuori dei confini del “popolo eletto”.
Il primo episodio è quello narrato nel Vangelo per
la messa del 6 gennaio, ovvero l’arrivo dei magi a Betlemme. I magi erano
appunto sacerdoti e maghi giunti dall’Oriente, i quali scrutando il cielo
avevano individuato la nascita del Figlio di Dio, che si recarono ad adorare.
Rappresentano i popoli non israelitici, le altre religioni, che riconoscono - o
riconosceranno - in Gesù il Salvatore.
Fin dai primi secoli cristiani però l’Epifania è
stata associata a due altri importanti eventi, narrati, rispettivamente, nel
vangelo di questa domenica e in quello che leggeremo domenica prossima. Questa
domenica il primo capitolo del Vangelo di Marco ci offre il racconto del
battesimo di Gesù al Giordano, da parte di Giovanni il Battista. Domenica
prossima troveremo invece il racconto del miracolo alle Nozze di Cana, dove Gesù
trasforma l’acqua in vino, manifestando la sua potenza mediante il suo primo
“miracolo pubblico”.
Entrambi gli episodi sono una manifestazione della
sua divinità. Al Giordano, infatti, dove egli si sottopone al battesimo
penitenziale di Giovanni - non perché avesse peccato, ma per discendere nelle
acque e santificarle - i cieli si aprono e la voce del Padre risuona per
attestare, anche mediante lo Spirito che appare in forma di colomba, che Gesù è
il Cristo, il Figlio prediletto, in cui Dio si è compiaciuto. Abbiamo qui non
solo una rivelazione della divinità di Gesù, ma al contempo la manifestazione
di Dio come Trinità, mistero alla cui vita siamo chiamati a partecipare. Se il
battesimo di Giovanni, infatti, rappresentava un rito sostanzialmente
penitenziale, che serviva a rimettere i peccati e a segnare una tappa importante
di conversione a Dio in vista della nuova èra messianica, il battesimo
cristiano ha una natura diversa e rappresenta una tappa più radicale: in esso
veniamo incorporati a Cristo e riceviamo al contempo il dono dello Spirito che
ci consente di chiamare Dio “Padre”.
Da qui l’indissolubilità dei riti di iniziazione
cristiana – battesimo, crismazione ed eucaristia-, che nell’antichità – e
ancora oggi nelle chiese orientali – vengono amministrati insieme e considerati
in stretta complemetarietà. Questa prassi risale alla tradizione evangelica
attestata da Gv 3, al dialogo in cui Gesù spiega al dotto israelita Nicodemo
che è necessario “rinascere dall’alto” per vedere il Regno di Dio, è necessario
“nascere da acqua e dallo Spirito”. La crismazione rappresenta proprio il
sigillo dello Spirito. È inimmaginabile, infatti, l’incorporazione al Figlio,
senza il dono dello Spirito che il Padre riversa su di lui e che il Figlio
restituisce al Padre, nella circolarità dell’amore divino. Al tempo stesso, una
iniziazione cristiana senza eucaristia sarebbe incompleta. Perché lo Spirito è
Colui che ci consente di riconoscerci membra di uno stesso corpo, nei diversi
carismi che ci sono stati donati. È ciò che afferma l’apostolo Paolo nel
capitolo 12 della lettera ai Romani che abbiamo letto oggi, ma anche nel
capitolo 12 della prima lettera ai Corinzi.
L’eucaristia realizza la comunione con il corpo di
Cristo, che si manifesta nella stessa Chiesa, e ci consente di partecipare del
dono dello Spirito con tutte le altre membra, di riceverlo e comunicarlo nella
fede. In tal modo l’iniziazione cristiana – il battesimo, la crismazione,
l’eucaristia – non sono mai fatti privati, che riguardano il singolo credente e
la sua stretta cerchia di famigliari, che prendono parte al rito. Sono il
mistero unico e tripartito, attraverso il quale la Chiesa ci è rivelata come
realtà soprannaturale - molto di più della semplice somma dei credenti -, Corpo
mistico di Cristo, edificata con pietre vive e vivificata dallo Spirito.
Nel cristianesimo non c’è spazio per una fede
vissuta in maniera puramente individualistica, seguendo il Culto in televisione
o meditando in privato qualche pagina della Bibbia. La fede autentica ci
trasforma nella nostra relazione con Dio e con il prossimo, perché attraverso
di essa il Signore ci rende causa efficiente ed efficace nell’edificazione del
suo Regno, per concedere all’umanità giorni di pace autentica, la sua pace, non
la pace come la dà il mondo, ma come soltanto lo Spirito di Dio può donare.
Allora ogni uomo riacquisterà dignità e l’umanità si scoprirà come qualcosa di
più della somma aritmetica dei singoli individui.
Rev. Luca Vona