COMMENTO ALLA LITURGIA DEL GIOVEDI SANTO
Colletta
Padre
Onnipotente, il cui Figlio diletto, nella notte in cui fu tradito, istituì il
sacramento del suo Corpo e del suo Sangue; concedici, per la tua misericordia,
di riceverlo con gratitudine, in memoria di lui, che in questi sacri misteri,
ci ha dato la promessa della vita eterna. Te lo chiediamo per il tuo stesso
Figlio Gesù Cristo nostro Signore, che vive e regna con te e con lo Spirito
Santo, unico Dio, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Letture:
1 Cor 11,23-26; Lc 23,1-48
Per tanti secoli gli uomini di chiesa si sono
affaccendati e spesso scontrati tra loro nel cercare una definizione razionale
della presenza del Signore nel mistero eucaristico. La chiesa anglicana,
fermamente convinta nella reale presenza del Corpo e del Sangue di Cristo nelle
specie consacrate, la riconosce come un "sacro mistero"; espressione
utilizzata anche dalle Chiese orientali, che attesta un atteggiamento di timore
e devozione verso l'eucaristia, e la volontà di non rinchiuderla in categorie
umane.
Il velo del tempio che si squarcia nel momento in
cui Gesù restituisce al Padre lo spirito è il segno del compiersi della più
alta rivelazione di Dio, come un Dio di amore e compassione. Un Dio che non è
più proiezione e ampificazione delle virtù - e a volte dei capricci -
dell'uomo, ma il Verbo di Dio incarnato, che non potremmo immaginare a noi più
prossimo. Tale rivelazione sconvolge le forze della natura e suscita la
conversione del centurione sotto la Croce.
Il velo del Tempio il "Santo dei Santi"
che separava l'uomo da Dio è stato dunque squarciato. Di lì a una quarantina
d'anni, come profetizzato da Gesù, il Tempio sarà definitivamente distrutto.
Ma il nuovo culto è "in spirto è verità"
(Gv 4,24), il nuovo tempio è Cristo stesso: vittima, altare e sacerdote. E il
nuovo culto non ci consente di mercanteggiare con la Grazia di Dio, che ci è
donata gratuitamente e in abbondanza, ma al tempo stesso richiede una
conversione radicale delle nostre vite e un dono altrettanto generoso.
San Bernardo di Chiaravalle ha scritto " Il
motivo di amare Dio è Dio stesso; la misura amarlo senza misura".
Noi dobbiamo amare Dio come giusta risposta al suo
amore, che Egli ci ha manifestato per primo, donandoci tutto se stesso.
Chiedere a Dio qualcosa di diverso da Dio è un
torto che facciamo non solo a lui ma anche a noi stessi.
Nel suo sacrificio Gesù porta Dio fino nel fondo
più scuro della sofferenza umana, e in tal modo ci dà la certezza che anche nei
nostri momenti peggiori Dio è presente. È questo il senso del fare memoria del
suo sacrificio. È questa la rivelazione più alta e inedita, di un Dio forte
nella sua debolezza, forte perché vicino all'uomo in ogni situazione, anche la
più dolorosa.
Teniamo sempre davanti agli occhi la memoria del
suo sacrificio per noi, come ci esorta egli stesso con le parole riportate da
San Paolo e ripetute nella liturgia eucaristica: "Fate questo in memoria
di me" (1 Cor 11,24-25). Ma chiediamo anche al Signore di ricordarsi di
noi quando entrerà nel suo regno, come fece il malfattore pentito sulla croce.
"In Verità", risponde Gesù, "oggi tu sarai con me in
paradiso" (Lc 23,43).
Questo è il vero senso del mistero della Croce,
della Passione e morte del Signore, oltre l’eresia del dolorismo, di una
esaltazione della sofferenza fine a se stessa o dell'idea distorta che la
sofferenza autoinflitta possa procurarci dei meriti.
La Passione di Cristo è la conclusione di quel
movimento discendente di Dio verso l'uomo cominciato con l'Incarnazione a
Betlemme e conclusosi sul Calvario, dove Dio decide di condividere la nostra
natura fino in fondo, fino alla fine.
Il nostro non è un Dio lontano e impassibile, ma
neanche un Dio che semplicemente si china sull'uomo; è un Dio che prende su di
sé la stessa natura umana, condividendo la nostra carne, il nostro sangue, la
vulnerabilità del nostro corpo, l'esperienza angosciante della morte.
L'altra faccia di questa medaglia è il movimento
ascendente che innalza la natura umana verso Dio. La spoliazione, del Logos -
che pur " essendo in forma di Dio, non considerò qualcosa a cui
aggrapparsi tenacemente l'essere uguale a Dio, ma svuotò se stesso, prendendo
la forma di servo, divenendo simile agli uomini" (Fil 2,6) - comporta la
parallela divinizzazione (theosis) dell'uomo.
Per questo il Signore non solo ha condiviso la
nostra carne e il nostro sangue, ma ci chiede di prendere parte al suo Corpo e
al suo Sangue nel Sacramento dell'altare, e dunque alla sua natura divina,
intimamente legata alla sua natura umana.
Questo è il dono di Dio! Ricordiamoci di lui e se
la nostra attenzione viene menno, chiediamogli di ricordarsi lui di noi.
Rev. Luca Vona
Missione Anglicana Tradizionalista Carlo I Stuart
Chiesa Anglicana Tradizionalista Carlo I Stuart
Rettore Rev. Luca Vona
Venerabile Arcidiacono per l'Italia - Diocesi Anglicana Cattolica di Cristo Redentore
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