Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

lunedì 1 settembre 2025

L'induismo è politeista?

L'induismo rappresenta una delle tradizioni spirituali più complesse e stratificate della storia umana, caratterizzata da una visione del divino che sfida le categorie occidentali convenzionali di monoteismo e politeismo. La sua peculiare concezione teologica rivela una sofisticata sintesi filosofica che unisce la trascendenza assoluta del divino con la sua presenza immanente in ogni aspetto della realtà fenomenica.

Il paradosso della trascendenza-immanenza

Al cuore della spiritualità hindu si trova un apparente paradosso: la divinità è simultaneamente nirguna (senza attributi) e saguna (con attributi), infinitamente distante eppure intimamente presente. Questo concetto, elaborato nelle Upanishad e sviluppato da filosofi come Shankara, risolve la tensione tra l'Assoluto indifferenziato (Brahman) e le sue manifestazioni concrete nel mondo.

Molti hindu credono in un dio che trascende l'universo ma che al tempo stesso dimora in tutti gli esseri viventi, e che può essere venerato in molte forme diverse: come giovane o anziano, come donna o uomo, persino come una pietra. Questa visione non rappresenta una contraddizione logica, ma piuttosto un'intuizione profonda sulla natura multidimensionale della realtà spirituale. Il divino, pur mantenendo la sua essenza trascendente, si manifesta attraverso infinite forme per rendere possibile l'esperienza religiosa umana, limitata dalla sua natura finita.

La molteplicità delle manifestazioni divine

La ricchezza iconografica dell'induismo - dai grandi deva come Vishnu, Shiva e Devi alle divinità locali, dagli avatar ai fenomeni naturali sacri - non costituisce un pantheon disorganizzato, ma un sistema coerente di mediazioni tra l'umano e il divino. Questo dio trascendente si rende accessibile attraverso immagini templari, fenomeni naturali, santi e maestri viventi, creando una rete di connessioni spirituali che permea ogni aspetto dell'esistenza.

Le murti (statue divine) nei templi non sono mere rappresentazioni artistiche, ma veicoli attraverso cui la divinità sceglie di manifestarsi. Allo stesso modo, i fenomeni naturali - fiumi come il Gange, montagne come il Kailash, alberi sacri - vengono riconosciuti come teofanie, manifestazioni dirette del sacro nel mondo naturale. I guru e i santi viventi (jivanmukta) rappresentano poi la possibilità della realizzazione spirituale umana, incarnando la presenza divina in forma umana.

Oltre il politeismo: l'unità nella diversità

Per questo l'induismo, pur essendo talvolta definito politeista, in realtà concepisce le molte divinità come manifestazioni di una medesima realtà sacra. Questa comprensione riflette una sofisticata epistemologia religiosa che riconosce i limiti della percezione umana e la necessità di multiple vie di accesso al divino. Il concetto di ishta-devata (divinità elettiva) illustra come ogni devoto possa scegliere la forma divina più congeniale al proprio temperamento spirituale, senza per questo negare la validità di altre forme.

La formula vedica "Ekam sat vipra bahudha vadanti" ("La verità è una, i saggi la chiamano con molti nomi") sintetizza questa visione inclusiva. Non si tratta di relativismo religioso, ma del riconoscimento che l'Infinito può essere approcciato attraverso infinite vie, ciascuna valida nel suo contesto specifico.

La dimensione soteriologica: devozione e liberazione

La pratica devozionale (bhakti) rappresenta il ponte tra la molteplicità delle forme divine e l'unità dell'esperienza spirituale. A cui il devoto si rivolge con pratiche di devozione che offrono conforto e possono condurre alla liberazione dal ciclo delle rinascite (moksha). La bhakti non è semplicemente adorazione emotiva, ma una disciplina spirituale completa che trasforma gradualmente la coscienza del praticante.

Le pratiche devozionali - dal canto (kirtan) alla meditazione sulle forme divine (dhyana), dai pellegrinaggi (yatra) ai rituali quotidiani (puja) - creano un continuum di esperienza sacra che permea la vita ordinaria. Attraverso la costante rimembranza del divino (smarana), il devoto sviluppa quella che i testi chiamano bhava, uno stato di coscienza trasformato caratterizzato dalla percezione diretta della presenza divina.

Il ciclo delle rinascite e la liberazione

La concezione hindu del samsara (ciclo delle rinascite) fornisce il contesto soteriologico entro cui si inscrive la pratica devozionale. Il karma - non semplicemente come legge di causa-effetto morale, ma come principio cosmico di continuità della coscienza - lega gli esseri al mondo fenomenico attraverso l'identificazione con l'ego limitato (ahamkara).

La liberazione (moksha) non rappresenta un'evasione dal mondo, ma la realizzazione della propria natura divina già presente. Le pratiche devozionali facilitano questo riconoscimento dissolvendo gradualmente l'illusione della separazione (maya) e rivelando l'identità fondamentale tra il Sé individuale (Atman) e l'Assoluto universale (Brahman).

Implicazioni filosofiche e contemporanee

Questa visione hindu del divino offre prospettive illuminanti per il dialogo interreligioso contemporaneo e per la comprensione della pluralità spirituale. La sua capacità di mantenere l'unità nella diversità, di affermare simultaneamente la trascendenza e l'immanenza del sacro, suggerisce modelli di inclusività religiosa che potrebbero contribuire al superamento dei conflitti confessionali.

Inoltre, l'idea che il divino possa manifestarsi attraverso la natura e gli esseri viventi anticipa sensibilità ecologiche e bioetiche contemporanee, offrendo basi teologiche per un rapporto più armonioso con l'ambiente naturale.

Conclusione

L'induismo presenta così una visione del divino che trascende le dicotomie occidentali tra monoteismo e politeismo, tra trascendenza e immanenza, tra via mistica e pratica devozionale. La sua concezione di una realtà sacra unica che si manifesta attraverso infinite forme rappresenta un contributo originale alla riflessione teologica universale, suggerendo che la ricchezza della diversità religiosa possa essere compresa non come frammentazione, ma come espressione della ricchezza inesauribile del sacro stesso.

In un'epoca di crescente pluralismo religioso, il modello hindu di unità nella diversità offre strumenti concettuali preziosi per pensare l'identità spirituale in termini non esclusivi, aprendo spazi di dialogo e di mutua comprensione tra tradizioni apparentemente divergenti.

- Rev. Dr. Luca Vona