Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

mercoledì 30 aprile 2025

Giuseppe Benedetto Cottolengo. Noi apparteniamo ai poveri

Nel calendario della chiesa ambrosiana si ricorda oggi Giuseppe Benedetto Cottolengo, presbitero e fondatore della Casa della Divina provvidenza. Nativo di Bra, nei pressi di Cuneo, Giuseppe Cottolengo, al pari di molti altri aspiranti al presbiterato del suo tempo, ebbe molte difficoltà nello studio per la chiusura dei seminari seguita alla Rivoluzione francese. Egli riuscì tuttavia a ricevere l'ordinazione presbiterale all'età di venticinque anni, nel 1811, nel seminario di Torino. Dapprima, si dedicò intensamente agli studi teologici, entrando a far parte di una congregazione torinese di preti teologi; ma la sua vera vocazione si rivelò essere un'altra.
Dedito già da tempo a un ripensamento silenzioso, anche difficile, della strada intrapresa, egli s'imbatté nella drammatica situazione di una malata che nessun ospedale, per diversi motivi, voleva o poteva accogliere. Cottolengo iniziò così nel 1827 a creare uno spazio di accoglienza per ogni sorta di malati «rifiutati» dalla società: poveri e orfani, malati di mente e invalidi. Nei restanti quindici anni della sua vita, Giuseppe Benedetto diede vita a una serie impressionante di iniziative caritatevoli, fondando la Casa della Divina provvidenza e avviando una congregazione di preti, suore e laici dediti al sostegno dei malati più emarginati della società. Vero e proprio «genio del bene», come lo definirà papa Pio IX, Cottolengo manifestò come la multiforme sapienza dell'uomo di fede possa trovare risposte a ogni appello rivolto dai bisogni lancinanti degli ultimi e degli abbandonati. Cottolengo morì dopo aver contratto il tifo, il 30 aprile del 1842. Al momento della sua morte, le sue case di accoglienza avevano curato più di 6.500 malati.

Tracce di lettura

Esercitate la carità, ma esercitatela con entusiasmo! Per far del bene ai poveri dovete, se occorre, insozzarvi fino al collo: questa è la carità che dovete esercitare.
Non fatevi chiamare due volte: siate solleciti! Interrompete qualunque altra occupazione, anche santissima, e volate in aiuto dei poveri.
E' una bella cosa sacrificare la salute e anche la vita per il bene dei nostri fratelli abbandonati o infermi. Essi sono i nostri padroni e i nostri fratelli, sono le perle della Piccola casa.
E non facciamo economia con i poveri, perché quanto abbiamo è tutto loro, e noi stessi apparteniamo a loro e non ad altri.
(G. B. Cottolengo)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. "Così"... ci ha amati

Lettura

Giovanni 3,16-21

16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. 17 Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. 18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. 19 E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. 20 Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. 21 Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.

Commento

Il "tanto", più precisamente il "così" (gr. outos), con cui è indicato l'amore di Dio per il mondo è un rafforzativo che indica la grandezza del dono del Figlio unigenito per i peccatori.

Il Padre ha inviato Gesù nel mondo per la salvezza, ma la sua venuta provoca il giudizio e alcuni si condannano da soli volgendo le spalle alla luce. Il giudizio futuro non determina ma conferma il destino che ciascuno si è scelto.

Il Padre ha mandato Cristo nel mondo per testimoniare quanto vale la nostra vita. Se il giudizio degli uomini o il nostro stesso giudizio ci considerassero un nulla, nel vangelo troviamo la verità sul valore inestimabile che Dio ci ha assegnato donandoci il suo Figlio unigenito.

Gesù è luce che viene nel mondo. Rifiutare Gesù significa chiudere gli occhi alla luce, perdersi fra le tenebre del mondo. Ma se anche ci rifiutiamo di guardarlo, il sole rimane lì dov'è, la verità di Cristo non cessa di splendere e di donarsi. Solo accogliendola troveremo la verità su noi stessi, la vera libertà, che è il progetto di Dio per la nostra santificazione.

Credere "nel nome" di Gesù implica più che un semplice assenso della ragione al suo vangelo o un trasporto sentimentalistico. Comporta una operosa devozione a Cristo come Signore e Salvatore, il lasciarsi rivestire da lui di una nuova natura.

Cristo è luce che non si compiace nel rivelare la nostra fragilità, ma che si dona per farci germogliare e prosperare nella sua grazia.

Preghiera

Alla tua luce, Signore, vediamo la luce; concedici di riconoscere la verità su noi stessi per aprirci all'azione della tua grazia , crescendo in santità e giustizia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 29 aprile 2025

Caterina da Siena. Una vita per la riconciliazione

Nel calendario romano e in quello anglicano ricorre oggi la memoria di Caterina da Siena, terziaria domenicana e maestra della fede. Caterina Benincasa nacque a Siena nel 1347, ventiquattresima di venticinque figli. Nutrendo fin da piccola una particolare propensione per la vita interiore, a quindici anni si fece terziaria domenicana, attratta dall'attività caritativa verso i poveri e i malati. Il suo amore per Cristo, alimentato da un costante dialogo interiore, e la radicale vita evangelica che conduceva, le attirarono un piccolo cenacolo di discepoli, che la seguiranno ovunque per partecipare dei suoi doni e del suo ministero. Caterina votò tutta la propria vita alla causa della pace e dell'unità, operando - fatto del tutto inusuale per una giovane donna del suo tempo - per la riconciliazione delle città in lotta e per la riforma della chiesa, afflitta dalla corruzione e dallo scisma. 
Caterina visitò i poveri per portare loro conforto e i potenti per indicare loro la via della riconciliazione esigita dal vangelo. Ebbe un'intensa corrispondenza, grazie alla quale elargiva consigli spirituali a tutti coloro che le chiedevano una parola, e lasciò un cantico d'amore di rara bellezza nel suo Dialogo sulla divina provvidenza. Caterina fu proclamata dottore della chiesa da Paolo VI nel 1968, titolo che le è riconosciuto anche dalla Chiesa d'Inghilterra. Essa morì in questo giorno, nel 1380, e pur avendo vissuto un lasso di tempo così breve ci ha lasciato con la sua vita una delle pagine più belle della spiritualità cristiana.

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Educati docilmente alla responsabilità

Lettura

Matteo 11,25-30

25 In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. 26 Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. 27 Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.
28 Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. 29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».

Commento

Esistono diversi paralleli tra queste parole di Gesù e alcuni passi della letteratura sapienziale dell'antichità giudaica. Solo il Padre conosce il Figlio così come solo Dio conosce la sapienza: "Ma la sapienza da dove si trae? E il luogo dell'intelligenza dov'è? Dio solo ne conosce la via, lui solo sa dove si trovi" (Gb 28,12.23). Il Figlio conosce il Padre, così come la sapienza conosce Dio: "Chi ha conosciuto il tuo pensiero, se tu non gli hai concesso la sapienza e non gli hai inviato il tuo santo spirito dall'alto?" (Sap 9,17).

La rivelazione di Dio e della sua sapienza, del Padre e del Figlio, è destinata non a coloro che si ritengono "sapienti" e "intelligenti", ma ai "piccoli" (v. 25). L'umiltà è la chiave che consente di accedere ai tesori di Dio.

La ricerca della sapienza è faticosa per l'uomo e nella misura in cui viene raggiunta accresce a sua volta le sofferenze rispetto a chi conduce una vita spensierata: "molta sapienza, molto affanno; chi accresce il sapere aumenta il dolore" (Qo 1,18) afferma l'Ecclesiaste.

Gesù chiama a sé gli affaticati e gli oppressi, con l'affermazione paradossale che questi troveranno ristoro prendendo su di sé il suo giogo. Come è possibile essere liberati dall'oppressione sottomettendosi e aggiogando se stessi?

Gesù ci libera dalla schiavitù dai beni impermanenti di questo mondo, ma anche dal peso di doverci salvare da soli, mediante il tentativo di portare i carichi che gli scribi e i farisei vogliono porre sulle nostre spalle (Lc 11,46). Il vangelo è più che una religione, un insieme di regole da seguire: è un'esperienza di comunione con Dio.

La pedagogia che Gesù adotta con i suoi discepoli è improntata alla mitezza. La grazia non fa violenza alla nostra natura, ma la educa docilmente. L'essere stati liberati dai lacci del mondo e da quelli di una religiosità legalistica deve tenerci lontano da due estremi: dal sentirci liberi di fare tutto ciò che vogliamo, dimenticando la responsabilità cui siamo stati chiamati; e dalla tentazione, sempre latente, di ricadere nel legalismo e nella precettistica "farisaica", seppur sotto una veste cristiana. 

Mettersi alla sequela di Cristo significa liberarsi da una religiosità opprimente e mortificante, per annunciare con gioia il suo messaggio di salvezza. La vera religione è un'esperienza di liberazione e di gioiosa partecipazione all'opera divina.

Preghiera

Liberaci dai lacci del mondo, Signore, e il tuo Spirito buono ci guidi in terra piana; affinché possiamo regnare con te, giustificati e santificati dalla grazia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 28 aprile 2025

Fermati 1 minuto. Dialogo nella notte

Lettura

Giovanni 3,1-8

1 C'era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei. 2 Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui». 3 Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio». 4 Gli disse Nicodèmo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». 5 Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. 6 Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. 7 Non ti meravigliare se t'ho detto: dovete rinascere dall'alto. 8 Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito».

Commento

Nicodemo era un membro del sinedrio (il consiglio composto da anziani, sommi sacerdoti e scribi) e rappresenta, in questo episodio del Vangelo di Giovanni, il "tipo" dei giudei disponibili a incontrare Gesù. Presso i farisei Gesù non era particolarmente popolare e forse per questa ostilità Nicodemo si reca da lui di notte.

Nicodemo si allontana dalle tenebre di una religiosità puramente esteriore per accogliere la luce di una autentica esperienza spirituale. Ciò si realizza attraverso l'incontro personale con Cristo; Nicodemo non si accontenta di ascoltare la predicazione pubblica di Gesù, ma lo va a cercare per poter discorrere con lui. La notte diventa così momento di pace, al riparo dai clamori del mondo, per crescere nella conoscenza del Signore, nell'attesa escatologica del "nuovo giorno", che vedrà l'instaurazione del regno di Dio.

Il "rinascere dall'alto" (v. 3) può essere tradotto anche come "nascere di nuovo"; questo il significato dell'avverbio greco anòthen. L'espressione "vedere il regno di Dio" (v. 3) utilizza il verbo horaò, che significa "sperimentare, partecipare". La rinascita avviene attraverso l'acqua, simbolo di purificazione ed elemento battesimale, ma anche mediante lo Spirito, il solo che "vivifica" (2 Cor 3,6).

Nascere di nuovo significa accogliere la radicale novità del vangelo; non costruire semplicemente su un edificio vecchio, ma gettare le fondamenta per una costruzione nuova. Questa rinascita è "dall'alto" perché ll modello dell'uomo nuovo è nei cieli, è infatti Cristo stesso, il Logos generato dal Padre.

Le parole di Gesù a Nicodemo ci rammentano da dove veniamo: le mani di Dio ci hanno fatto e plasmato (Sal 119,73) e sebbene la nostra carne, segnata dal peccato, sia soggetta alla debolezza e alla caducità, l'uomo che partecipa dello Spirito viene rigenerato per l'incorruttibilità.

Come non dubitiamo dell'esistenza del vento, nonostante sia invisibile agli occhi, così non possiamo dubitare dall'azione misteriosa dello Spirito, che può essere riconosciuta dalle sue opere. Siamo chiamati dalla parola del vangelo a liberarci da quelle zavorre che ci impediscono di spiccare il largo, guidati dal soffio dello Spirito.

Preghiera

Il tuo Spirito, Signore, ci rigeneri a vita nuova e ci conduca alla verità tutta intera; affinché crescendo nella conoscenza di te possiamo lodarti e professarti senza timore. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 27 aprile 2025

Il vostro cuore non sia turbato

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA PRIMA DOMENICA DOPO PASQUA

Colletta

Padre Onnipotente, che hai donato il tuo unico Figlio affinché morisse per i nostri peccati e risorgesse per la nostra giustificazione; concedici di essere liberi dal lievito della malizia e del peccato, per servirti sempre in verità e con cuore puro. Per i meriti del tuo stesso Figlio Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

1 Gv 5,4-12; Gv 20,19-23

Commento

Il mondo è nei vangeli quella forza che si oppone a Cristo e alla sua azione di salvezza. È una forza che risiede non solo fuori di noi, ma anche dentro di noi. È un ostacolo all'avvento del Regno di giustizia e di pace. La paura del mondo, la paura delle forze ostili che hanno messo a morte l'autore della vita è ben rappresentata dalle porte serrate, dietro le quali i discepoli si sono trincerati dopo il terribile epilogo della vicenda terrena di Gesù.

Ma il Risorto, che "si presentò là in mezzo" (Gv 20,19), è capace di entrare nei nostri cuori anche a porte chiuse, per donarci la sua pace; non come la dà il mondo, ma come dono dello Spirito, quella pace che è Dio stesso. Gesù ci invita a diventare noi stessi portatori di pace, innanzitutto attraverso il perdono: "a chi rimetterete i peccati saranno perdonati e a chi li riterrete saranno ritenuti" (Gv 20,23).

Dio è pace. Per questo Gesù ci esorta: "il vostro cuore non sia turbato e non si spaventi" (Gv 14,27). Tutto ciò che porta turbamento, in noi e fuori di noi, non è da Dio, anche se dovesse ammantarsi delle vestigia della pietà religiosa.

Il mondo ci fa versare in un continuo stato di agitazione con impegni, scadenze, sollecitazioni di ogni genere. Il più delle volte si tratta di cose distanti dalle necessità del Regno di Dio. Ma noi dobbiamo essere capaci di prenderne consapevolezza e di spostare il centro della nostra attenzione sulla quiete che Dio pone nelle profondità del nostro cuore.

Per contro, il mondo non deve turbarci al punto da voltargli le spalle chiudendo dietro di noi la porta della nostra stanza. Ad esso siamo stati inviati, per annunciare la buona notizia di Gesù Cristo (Gv 17,18). Non può essere considerato evangelico un atteggiamento di semplice “disprezzo del mondo”.

Il cristiano non appartiene al mondo ma è mandato nel mondo. Avere il Figlio, possedere Gesù, farlo nostro nell'ascolto della sua Parola e nella sequela del suo esempio, significa possedere la vita, vivere in pienezza, gustare il senso profondo della nostra esistenza. E noi siamo chiamati dal Risorto a condividere questa pienezza di vita, saldi nella nostra fede. Perchè "questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede" (1 Gv 5,4).

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 26 aprile 2025

Origene, una vita per la catechesi

Il martirologio luterano fa oggi memoria di Origene, Padre della Chiesa.
A seguito dei maltrattamenti subiti durante le persecuzioni di Decio, muore martire attorno al 254 Origene, presbitero della chiesa universale. Nativo di Alessandria d'Egitto, era stato profondamente segnato dal martirio subito dal padre Leonida quando egli aveva appena otto anni. Desideroso a sua volta di testimoniare la propria fedeltà a Cristo, Origene abbandonò non appena lo poté la sua professione di grammatico per dedicarsi totalmente alla catechesi. Egli visse una vita monastica ante litteram, nell'assiduità orante con le Scritture, che saranno il suo fondamentale nutrimento spirituale, e fu probabilmente il commentatore della Bibbia più profondo e originale dell'antichità cristiana. A lui attingeranno pressoché tutti i padri sia greci sia latini. Fu un apprezzato catecheta, e diversi vescovi gli chiesero di predicare sebbene fosse un laico. Questo gli provocò molti problemi con il vescovo di Alessandria, che lo mise al bando e non ne riconobbe l'ordinazione presbiterale conferitagli in Palestina. Origene, uomo di grande obbedienza alla chiesa oltre che al vangelo, accettò di buon grado e si ritirò finché la sua ordinazione non venne riconosciuta e gli fu consentito di tornare a predicare e a insegnare. Il suo ministero di maestro itinerante della fede terminò quando si scatenò la persecuzione dell'imperatore Decio. Arrestato, torturato, egli fu salvato dal martirio propriamente detto per l'improvvisa morte dell'imperatore, anche se per l'età ormai avanzata sopravvisse ben poco ai tormenti subiti. Alcune sue affermazioni, compiute sotto l'influsso della filosofia neoplatonica che dominava ad Alessandria, saranno condannate nei secoli successivi, ma più per gli eccessi di coloro che si rifaranno ai suoi insegnamenti che per la reale portata di quelle che, per Origene, non erano altro che ipotesi di lavoro.

Tracce di lettura

Vorrei essere un figlio della chiesa. Non essere conosciuto come l'iniziatore di una qualunque eresia, ma portare il nome di Cristo. Vorrei portare questo nome, che permane come una benedizione sulla terra. Desidero che il mio spirito come le mie opere mi diano il diritto di essere chiamato cristiano.
Se io, che agli occhi degli altri sono la tua mano destra, io che porto il nome di presbitero e ho come missione l'annuncio della Parola, se io arrivassi a commettere qualche errore contro l'insegnamento della chiesa o contro la regola dell'Evangelo fino a diventare di scandalo per la chiesa, che la chiesa tutta intera allora, con decisione unanime, mi tronchi via, proprio me, sua mano destra, e mi getti lontano.
(Origene, Preghiera)

Il Salvatore è disceso sulla terra mosso a pietà del genere umano, ha sofferto i nostri dolori prima ancora di patire la croce e degnarsi di assumere la nostra carne; se egli non avesse patito, non sarebbe venuto a trovarsi nella condizione della nostra vita di uomini. Prima ha patito, poi è disceso e si è mostrato. Qual è questa passione che per noi ha sofferto? È la passione dell'amore. Persino il Padre, Dio dell'universo, pietoso e clemente e di grande benignità, non soffre anche lui in certo qual modo? Nemmeno il Padre è impassibile. Se lo preghiamo, prova pietà e misericordia, soffre di amore e si immedesima nei sentimenti che di per sé non potrebbe avere, data la grandezza della sua natura.
(Origene, Omelie su Ezechiele 6,6)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Origene (ca 185-254)

Tertulliano, padre della teologia latina

Il martirologio luterano fa oggi memoria di Tertulliano, Padre della Chiesa. 

Vi sono uomini che annunciano il vangelo con la vita, e magari non sono in grado di verbalizzare la profonda esperienza di comunione con il Signore che hanno vissuto. Altri, invece, sono dotati di uno spirito profetico e sono capaci di letture profonde e originali del mistero di Dio, ma la loro vita ci appare segnata dalla contraddizione. È forse il caso di Tertulliano, teologo e autore spirituale tra i più profondi e decisivi tra il II e il III secolo, il quale tuttavia si chiuse sempre di più agli altri al punto di morire circondato da pochi adepti, lontano dalla comunione con la grande chiesa e lontano perfino dall'intesa con i profeti montanisti che pure aveva sostenuto con vigore. Membro di un'agiata famiglia pagana di Cartagine, Tertulliano era nato verso il 160 e aveva ricevuto una solida cultura classica. La sua passione per la speculazione si accompagnò sempre con una precisione di linguaggio propria degli ambienti giuridici romani. Questo gli consentì di essere il fondatore del linguaggio teologico che prevarrà nella teologia latina. I suoi scritti sul battesimo, sulla preghiera e sul martirio saranno ripresi abbondantemente da molti autori successivi. Ma il suo rigore intellettuale, unito a una verve da grande polemista e all'incontro con i movimenti profetici di forte ispirazione ascetica degli ambienti montanisti, portò Tertulliano a una progressiva intolleranza. La sua rottura con la grande chiesa si consumò nel 213, ma i dati storici sull'esito della sua vicenda ci restano in gran parte ignoti. Tertulliano ha lasciato un corpus di pregevoli insegnamenti. Forse non comprese pienamente la condiscendenza di Dio verso le debolezze degli uomini, ma certamente il Signore avrà purificato questa sua lacuna, mostrandogli infine la sua infinita e incompresa misericordia.

Tracce di  lettura

La carne risorgerà: tutta la carne, proprio la carne, e la carne tutta intera. Ovunque si trovi, essa è in deposito presso Dio, in virtù del fedelissimo mediatore tra Dio e gli uomini Gesù Cristo, che restituirà Dio all'uomo e l'uomo a Dio, lo spirito alla carne e la carne allo spirito, lui che in se stesso ha già sancito l'alleanza di entrambi, procurando la sposa allo sposo e lo sposo alla sposa. O anima, perché hai in odio la carne? Non hai nessuno da amare, dopo Dio, che sia così vicino a te: nessuno ti è più fratello di lei, che nasce insieme a te anche nella vita divina. Sei tu che avresti dovuto invocare, per lei, la resurrezione: è a causa tua che le è accaduto di peccare.
(Tertulliano, La resurrezione dei morti 63)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Tertulliano (155 ca-230 ca)

venerdì 25 aprile 2025

Marco evangelista e il mistero del Servo sofferente

Le chiese d'oriente e d'occidente celebrano oggi la festa di Marco evangelista.
Giovanni, detto anche Marco, era cugino di Barnaba, e nella casa di sua madre si radunavano i primi cristiani per pregare, secondo la testimonianza di Luca (At 12,12). Verso il 44 Marco accompagnò Paolo e Barnaba a Cipro e in Panfilia, nel loro primo viaggio missionario. Abbandonato Paolo, che lo rimproverò apertamente per il suo rifiuto di seguirlo, egli si riscatterà restando accanto all'Apostolo durante la prigionia romana di quest'ultimo. Marco fu anche discepolo di Pietro, che nella prima lettera lo chiama «mio figlio», e ne fu l'interprete. Acconsentendo alla richiesta dei cristiani di Roma egli fissò per iscritto la predicazione di Pietro, raccogliendo accuratamente tutto ciò che quegli ricordava delle cose dette o fatte dal Signore, e inaugurando così il genere letterario dei vangeli. Secondo alcuni egli è identificabile con il giovane che fugge via nudo dopo l'arresto di Gesù. La liturgia copta chiama Marco «il testimone delle sofferenze del Figlio unigenito». Nel suo vangelo infatti egli fissa lo sguardo sul mistero del Servo sofferente in cui è nascosta la gloria del Figlio dell'uomo, senza nascondere mai la grande incomprensione che Gesù incontrò in vita da parte degli stessi discepoli. Gli ultimi anni della vita di Marco sono parzialmente avvolti nel mistero. Eusebio riferisce che si recò in Egitto e fondò la chiesa di Alessandria. Ad Alessandria, Marco avrebbe subìto il martirio, in data sconosciuta. Il suo corpo, secondo la tradizione, fu trasferito nell'828 a Venezia. Una sua reliquia fu donata nel 1968 dal cardinale Urbani al papa di Alessandria Cirillo VI, segnando così l'avvio del dialogo fra chiesa copta e chiesa cattolica dopo secoli di ostilità e di incomprensione.

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Gettare le reti secondo la parola del Signore

Lettura

Giovanni 21,1-14

1 Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: 2 si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. 3 Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla.
4 Quando già era l'alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. 5 Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». 6 Allora disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci. 7 Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi la sopravveste, poiché era spogliato, e si gettò in mare. 8 Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri.
9 Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. 10 Disse loro Gesù: «Portate un po' del pesce che avete preso or ora». 11 Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. 12 Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», poiché sapevano bene che era il Signore.
13 Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro, e così pure il pesce. 14 Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti.

Commento

L'epilogo del Vangelo di Giovanni, che descrive la terza apparizione di Gesù risorto, rappresenta un incoraggiamento al lettore che ha creduto a intraprendere la missione di annunciare Cristo al mondo. L'episodio narrato mostra Pietro che ritorna alla sua vita di pescatore. I tragici eventi della passione e la tomba vuota, di cui è stato testimone con Giovanni, hanno generato in lui dubbi e sconcerto. 

Il manifestarsi di Gesù sulle sponde del lago di Tiberiade è espresso con il verbo greco phaneroo, che indica il venire alla luce; si tratta di una vera e propria epifania del Risorto, che emerge dalle tenebre del dubbio, della delusione e del timore che avvolgono i discepoli. La notte durante la quale i Sette si affaticano a pescare rappresenta un richiamo simbolico all'assenza di Gesù, luce del mondo (Gv 8,12).

Ai discepoli manca ancora la capacità di capire dove gettare le reti: è Gesù che indica loro il luogo più adatto alla pesca. Senza Gesù che li illumina e li guida lo sforzo dei discepoli è destinato a rimanere infecondo. Con lui, invece, tutto porta frutto in abbondanza. 

Giovanni, il discepolo che ha assistito da vicino alla passione di Gesù è colui che ha gli occhi più pronti a riconoscerlo; Pietro, che subito si getta in acqua per poter raggiungere più in fretta il Signore, dimostra che nonostante le sue debolezze non si è spento il suo amore per lui.

La precisazione del numero di pesci tirati su con le reti dagli apostoli sembra tesa a rafforzare il carattere di testimonianza oculare, ma potrebbe anche avere un valore simbolico indicando un mandato missionario universale. Tutto l'episodio viene così a simboleggiare il successo che otterrano gli apostoli come "pescatori di uomini" (Lc 5,10).

L'atteggiamento premuroso di Gesù, espresso dall'appellativo di "figlioli" (gr. paidia) che rivolge ai discepoli si manifesta anche nel fatto che quando questi giungono a riva egli ha già del pesce sul fuoco. Egli viene incontro alle necessità dei suoi, rinfrancandoli per le loro fatiche. Il tradimento di Pietro si era consumato mentre si scaldava intorno al fuoco nel cortile del sommo sacerdote, ora intorno al fuoco di un pasto preparato da Gesù si compie il ritorno alla piena comunione con lui. Gesù risorto non ha bisogno di cibo eppure sceglie di partecipare alla nostra quotidianità per renderla viva.

La pesca miracolosa che si realizza nel terzo incontro con il Risorto mostra il potere dell'obbedienza alla parola di Cristo. Pietro e i suoi compagni erano pescatori esperti e sapevano dove gettare le reti. Ma solo seguendo il consiglio di Gesù riescono nel loro intento, oltre ogni aspettativa. Solo sull'obbedienza al vangelo può fondarsi l'efficacia della nostra azione apostolica. Se getteremo le reti seguendo la parola del Signore il nostro sforzo non sarà invano e nulla andrà perduto.

Preghiera

Possano, Signore, tutte le genti essere radunate fra le trame della tua parola di salvezza; guida l'azione apostolica della tua Chiesa e benedici i nostri sforzi di evangelizzazione. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 24 aprile 2025

Il genocidio degli armeni (1915-1918)

Si celebra oggi "il giorno della memoria" dei martiri armeni del XX secolo. La notte fra il 23 e il 24 aprile del 1915 vengono arrestati in massa a Costantinopoli uomini politici, ecclesiastici, giornalisti, avvocati e letterati armeni, con il pretesto che sta per compiersi una rivolta premeditata di tutti gli armeni residenti in Turchia. È l'inizio di quello che sarà il secondo genocidio della storia in termini numerici, dopo quello degli ebrei compiuto dal regime nazista. Deportazioni massicce e trattamenti disumani porteranno tra il 1915 e il 1918 alla scomparsa sulla via dell'esilio e tra le sabbie della Siria di 1.500.000 armeni.
Quanti riescono a fuggire si rifugeranno nei campi profughi mediorientali oppure oltre le prime montagne del Caucaso. Sebbene non sia facile districare il complicato groviglio di fede, identità nazionale e azione politica volta all'indipendenza che portò al genocidio del loro popolo, gli armeni ricordano i loro fratelli morti durante la prima guerra mondiale come martiri, perseguitati in odio alla loro fede e alla loro diversità.
È comunque storicamente accertato che pochissimi furono coloro che, pur di salvarsi dalla furia distruttrice dei turchi, si convertirono all'islam rinnegando la fede dei loro padri.

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Martiri Armeni (1) – Risveglio Popolare

Fermati 1 minuto. «Sono proprio io!»

 Lettura


Luca 24,35-48

35 Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
36 Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 37 Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. 38 Ma egli disse: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39 Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho». 40 Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41 Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». 42 Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; 43 egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
44 Poi disse: «Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». 45 Allora aprì loro la mente all'intelligenza delle Scritture e disse: 46 «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno 47 e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48 Di questo voi siete testimoni.

Commento

I discepoli di Emmaus e gli apostoli stanno riportando gli uni agli altri la testimonianza dell'incontro con Gesù risorto, ma quando egli improvvisamente appare in mezzo a loro sono sorpresi e spaventati, credendo di vedere un fantasma. 

"Pace a voi!" (v. 36) sono le parole con cui Gesù saluta i discepoli, per dissipare i loro dubbi e le loro paure, per perdonare la loro debolezza, che li ha fatti fuggire nell'ora della sua passione. Nel descrivere Gesù che mostra i segni dei chiodi sulle mani e sui piedi e nell'atto di mangiare del pesce Luca enfatizza il carattere corporale del Risorto, sebbene questi mostri di avere un corpo capace di attraversare una porta chiusa o di apparire quasi simultaneamente in due luoghi differenti (mentre Gesù discorreva con i discepoli di Emmaus appariva anche a Simone a Gerusalemme). 

Nonostante queste prove i discepoli sono ancora increduli, finché il Signore non aprirà in maniera soprannaturale la loro mente, affinché comprendano la verità nascosta nelle Scritture. La Legge, i Profeti e i Salmi indicano le tre parti in cui viene tradizionalmente divisa la Bibbia ebraica. "Salmi" può indicare tutta la terza parte, cioé gli "Scritti" (tra cui Giobbe, Proverbi, Daniele) o solo i Salmi. La piena comprensione delle Scritture avviene mediante la fede che si fa esperienza dell'incontro con il Risorto. Solo così potremo sentire dietro quelle pagine la voce di Gesù che esclama "Sono proprio io!" (v. 39). 

La predicazione a tutte le genti della conversione e del perdono dei peccati (v. 47) corrisponde al grande mandato: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28,19-20) e "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15). La predicazione è dunque annuncio di salvezza, ma anche esortazione alla conversione. Gesù non solo rimette i nostri peccati ma ci invita a rinnovarci interiormente per diventare immagine della sua gloria. 

La predicazione è innanzitutto testimoniare in noi stessi la capacità del vangelo di trasfigurare la nostra esistenza. Quando parleremo con convinzione di Gesù egli verrà in mezzo a noi, per far toccare con mano la sua presenza. La predicazione non sarà allora proselitismo ma narrazione della nostra storia d'amore con Dio, capace di infiammare il cuore di chi ci ascolta, di chi vede la nostra vita trasformata dall'incontro con Cristo.

Preghiera

Donaci la tua pace, Signore, affinché il timore sia dissipato dall'amore e le nostre vite possano testimoniare il potere trasformante dell'incontro con te. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 23 aprile 2025

San Giorgio. Patrono della Chiesa d'Inghilterra

Il 23 di aprile nei calendari di tutte le chiese cristiane si celebra la memoria di Giorgio di Lidda, il martire più venerato di tutta la cristianità. Egli nacque probabilmente in Cappadocia. Suo padre, Geronzio, era un pagano di origine persiana, mentre la madre Policronia era cristiana. Avviato alla carriera militare, Giorgio si fece discepolo convinto del Signore, abbandonando le armi e dando ogni suo bene ai poveri. Quanto al suo martirio, i racconti sono talmente intrisi di dati leggendari da rendere difficile una ricostruzione dell'accaduto. Anche la data della sua morte è incerta, mentre sicuro è il luogo della sua sepoltura, nella città palestinese di Lidda, dove già nel 350 era sorta una basilica in suo onore. 
La sua antica Passio conobbe traduzioni e arricchimenti in ogni lingua d'oriente e d'occidente. Si tratta di un racconto traboccante di miracoli, alcuni dei quali davvero eclatanti. Famoso è l'episodio, immortalato in numerosissime varianti iconografiche e narrato da Jacopo da Varagine nella sua Leggenda aurea, in cui Giorgio uccide il drago che terrorizzava la città di Silene in Libia. Simbolo della lotta contro le potenze del male, Giorgio è patrono dell'Inghilterra, e il numero di chiese a lui dedicate in tutto il mondo è pressoché incalcolabile.

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

File:Saint George and the Dragon by August Kiss in Berlin.jpg ...
Statua di San Giorgio a Berlino, nel quartiere Nikolaviertel (1853)

Fermati 1 minuto. Egli entrò per rimanere con loro

Lettura

Luca 24,13-35

13 Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, 14 e conversavano di tutto quello che era accaduto. 15 Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. 16 Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. 17 Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Si fermarono, col volto triste; 18 uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19 Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20 come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. 21 Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22 Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro 23 e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24 Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l'hanno visto».
25 Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! 26 Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27 E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. 28 Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29 Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. 30 Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31 Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. 32 Ed essi si dissero l'un l'altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». 33 E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34 i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». 35 Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Commento

Pietro ha appena constatato che come gli avevano riferito Maria di Magdala e le altre donne il sepolcro di Gesù è vuoto. In quello stesso giorno (v. 13) due discepoli, che non fanno parte degli Undici, si stanno allontanando da Gerusalemme pieni di sconforto, quando vengono avvicinati da un uomo: Gesù è lì in carne e ossa, non è un fantasma, eppure i due discepoli non sono in grado di riconoscerlo perché il Risorto non ha ancora aperto i loro occhi mostrandogli il significato autentico del piano divino.

Rendendosi presente ai due discepoli che conversano sui tragici eventi recentemente accaduti Gesù mantiene la sua parola di essere là dove due o tre sono radunati nel suo nome (Mt 18,20). La risposta di Cleopa attesta la risonanza che la crocifissione di Gesù ebbe a Gerusalemme e nei suoi dintorni. Nelle sue parole c'è la delusione per la mancata instaurazione di un regno messianico di natura terrena ("Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele"; v. 21), sebbene le sue parole attestino la fede in Gesù come "profeta potente in opere e parole" (v. 19). 

Gli eventi accaduti al sepolcro e riportati dalle donne hanno suscitato la speranza nella risurrezione ma i discepoli, andati a verificare, non hanno visto Gesù (v 24). Riprendendo la loro incredulità Gesù si mostra come il perfetto esegeta, capace di dischiudere il senso profondo di tutte le Scritture alla luce dell'evento pasquale: il suo sacrificio diventa la chiave ermeneutica per comprendere gli eventi dell'Antico Testamento, la realtà ultima raffigurata dal culto levitico, la voce che parla nei Salmi, le profezie sul servo sofferente. 

I discepoli intanto giungono a destinazione e invitano "il forestiero" a condividere la cena con loro. Non si parla chiaramente della consacrazione eucaristica, ma il linguaggio utilizzato la richiama. Proprio quando Gesù spezza il pane sono resi capaci di riconoscerlo. Subito dopo Gesù scompare, ma da "tardi di cuore" (v. 25) i discepoli hanno adesso un cuore ardente (v. 32), pieno di fede. la gioia è tale che i due discepoli non restano a pernottare a Emmaus ma "partirono senz'indugio" (v. 33) per riferire agli Undici del loro incontro con Gesù risorto. Coloro ai quali Cristo si manifesta sono chiamati a confermare i propri fratelli. 

A Gerusalemme i due discepoli scoprono che Gesù è apparso lo stesso giorno a Simone e riferiscono ciò che è accaduto "lungo la via" e come avevano riconosciuto Gesù "nello spezzare del pane" (v. 35). La rivelazione del Risorto a Cleopa e al suo compagno di viaggio comprende due momenti, uno dinamico, mentre sono in cammino, e l'altro di riposo, mentre condividono il pasto; azione e contemplazione. 

Anche noi incontreremo Gesù se permetteremo alla sua parola di essere lampada per i nostri passi (Sal 118,105) e se condivideremo con lui il pane quotidiano dei nostri timori, delle nostre delusioni, delle nostre speranze. "Egli entrò per rimanere con loro" (v. 29). Allo stesso modo entrerà nella nostra esistenza per rimanere come fuoco che arde nel petto.

Preghiera

Raggiungici, Signore, nelle difficoltà della nostra vita, per illuminarci con la tua parola e confortarci con la tua presenza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 22 aprile 2025

Maria Gabriella Sagheddu. Un'offerta silenziosa per l'ecumenismo

Ricorre oggi la memoria di Maria Gabriella Sagheddu, monaca trappista spentasi il 23 aprile del 1939 a soli 25 anni di età. Maria Sagheddu era nata a Dorgali, in Sardegna, in una povera famiglia di pastori. Ragazza molto brillante, aveva dovuto tuttavia rinunciare agli studi secondari per aiutare la madre rimasta vedova a mantenere i suoi fratelli e le sue sorelle. Poco interessata ai problemi religiosi, Maria cambiò profondamente all'età di 18 anni: iniziata un'intensa vita di preghiera, la giovane si diede alla catechesi e all'apostolato, maturando a poco a poco una chiara vocazione alla vita monastica. Abbandonata la Sardegna, Maria entrò a 21 anni nella Trappa di Grottaferrata. 
Sotto la sapiente guida della badessa, madre Pia, essa scoprì l'ecumenismo spirituale di Paul Couturier, e decise sulla scia di altre sorelle della sua comunità di offrire la propria vita e le proprie sofferenze per la causa dell'unità fra i cristiani. Ammalatasi pochi mesi dopo di tubercolosi, Maria, divenuta nel frattempo suor Maria Gabriella, visse i restanti mesi di vita immersa nella preghiera di Gesù per l'unità dei credenti in lui. Sebbene la sua vicenda sia per certi versi assimilabile a quella di altri testimoni della passione per l'ecumenismo, la piccolezza e la semplicità di Maria apparve subito un segno importante per indicare la via verso la comunione fra le diverse confessioni cristiane. La sua vita ebbe un impatto enorme, soprattutto sul nascente ecumenismo della chiesa cattolica, e toccò i cuori di cristiani di ogni paese e confessione. Suor Maria Gabriella è stata beatificata da papa Giovanni Paolo II al termine della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani del 1983.

Tracce di lettura

Ho letto questa frase di Ruusbroec: «Con un cuore umile e generoso, offri e presenta Cristo come fosse la tua offerta, come un tesoro che libera e colma di ogni bene. Egli, a sua volta, ti offrirà al suo Padre celeste come frutto prezioso per il quale egli è morto, e il Padre ti abbraccerà con il suo amore». Mi sono fermata... mi è parso che il Signore volesse farmi capire: «Questa parola è per te». Gesù mi ha scelta come oggetto privilegiato del suo amore, dandomi da portare la sua sofferenza per essere sempre più conforme a lui... Penso che non capirò mai pienamente l'amore che Gesù mi ha mostrato offrendomi questa croce. (Maria Gabriella Sagheddu, Conversazioni con la sua badessa)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

BEATA SUOR MARIA GABRIELLA SAGHEDDU - SANTINO CON PREGHIERA | eBay
Maria Gabriella Sagheddu (1914-1939)

Fermati 1 minuto. L'incontro che si fa annuncio

Lettura

Giovanni 20,11-18

11 Maria invece stava all'esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12 e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13 Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto». 14 Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. 15 Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». 16 Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! 17 Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». 18 Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: «Ho visto il Signore» e anche ciò che le aveva detto.

Commento

Dopo aver constatato l'assenza del corpo di Gesù nella tomba i discepoli tornano a casa (Gv 20,10) ma Maria di Màgdala rimane lì a piangere il suo Maestro. Mentre piange si china verso il sepolcro, cercando con lo sguardo colui che le è stato strappato via dalla morte. Due angeli sono seduti uno dalla parte del capo l'altro dalla parte dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù (v. 12), come i due cherubini scolpiti erano posti uno di fronte all'altro sull'Arca dell'alleanza (Es 25,18). Gesù è la nuova alleanza tra Dio e gli uomini, suggellata nel suo sacrificio sulla croce. 

I messaggeri di Dio chiedono a Maria Maddalena le ragioni della sua afflizione e mentre lei spiega che le è stato sottratto il corpo del suo Signore, questi appare in piedi alle sue spalle. Così in un primo momento Maria non vede Gesù ma sente la sua voce. Poi si volta ma non lo riconosce. Egli è vivo, ma lei "non sapeva che era Gesù" (v. 14). Anche gli apostoli sul lago di Tiberiade (Gv 21,1-6) e i due discepoli sulla strada di Emmaus (Lc 24,31-35) non riconoscono immediatamente Gesù risorto. 

Gli apostoli che pescano sulle rive del lago di Tiberiade riconoscono Gesù dalle sue opere, nel momento in cui gli dice di gettare le reti e queste si riempiono di pesci; i discepoli di Emmaus lo riconoscono mentre egli spezza il pane; Maria Maddalena lo riconosce quando viene da lui chiamata per nome. Gesù, d'altra parte, aveva affermato "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono" (Gv 10,27). 

Maria di Màgdala cerca Cristo e si scopre essa stessa cercata da Cristo, sotto l'umile aspetto di una persona qualsiasi (un giardiniere). Anche noi lo cerchiamo nei vuoti che non possono riempire le creature. Il Signore mantiene la sua parola "mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il cuore" (Ger 29,13) e non solo si fa trovare ma viene a cercarci per primo. 

Maria vorrebbe trattenere Gesù per paura di perderlo un'altra volta, ma egli resterà solo per quaranta giorni, prima della sua ascensione (At 1,3-11). Quando se ne sarà andato manderà però il Consolatore, a insegnare ogni cosa e rammentare tutto ciò che egli ha detto (Gv 14,26). 

Per Giovanni la glorificazione di Gesù avviene con la sua risurrezione, ma si compie con il dono dello Spirito Santo e la sua ascensione. Gesù aveva chiamato i suoi discepoli "servi" e "amici" (Gv 15,15) ma qui li chiama "fratelli" e si riferisce a Dio come "Padre mio e Padre vostro" (v. 17) perché il sacrificio della croce ha creato una nuova relazione con loro e il dono dello Spirito li fa rinascere come figli di Dio.

Nella parole di Gesù, che definisce il Padre "Dio mio e Dio vostro" (v. 17) c'è la promessa della vita eterna: come egli è stato risuscitato anche noi abbiamo vinto la morte in lui. L'esempio di Maria Maddalena, apostola degli apostoli, dimostra che Gesù risorto si manifesta per costituire i suoi testimoni come annunciatori di salvezza. L'incontro con il Risorto non è un'esperienza destinata a rimanere privata, né una contemplazione infruttuosa ("non mi trattenere"; v. 17), ma come avverrà per Paolo sulla via di Damasco, rappresenta l'investitura di un mandato apostolico. Cristo cerca i nostri fratelli anche mediante la nostra testimonianza e il nostro annuncio.

Preghiera

Signore, tu ci cerchi chiamandoci per nome; le nostre orecchie riconoscano la tua voce, affinché possiamo essere consolati nelle nostre afflizioni diventando testimoni della tua salvezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 21 aprile 2025

I segni che accompagnano la fede

COMMENTO ALLA LITURGIA DEL LUNEDI DELL'ANGELO

Colletta

O Dio, il cui Figlio benedetto si è manifestato ai suoi discepoli nello spezzare del pane; apri, ti preghiamo, gli occhi della nostra fede affinché possiamo contemplarti in tutte le creature. Per lo stesso tuo Figlio, Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Lettura

At 10,34; Mc16,9-20

Commento

Dopo Pasqua, la Chiesa ci invita a meditare le apparizioni del Risorto, per accogliere la vittoria di Cristo sulla morte. Come i discepoli, anche noi ci chiediamo: come si riflette la risurrezione nelle nostre vite? Quanto della sua luce raggiunge i nostri giorni, pensieri, speranze?

Il Vangelo di Marco nella sua conclusione riflette una fede che vacilla nelle prove, come accadde agli apostoli dopo la Croce. Chiusi nel dolore, non credettero alle prime testimonianze (Mc 16,10-13), paralizzati dallo scandalo della morte. Anche noi, davanti alle turbolenze del mondo, possiamo sentirci smarriti. Ma proprio nell’oscurità, la fedeltà di Dio non si ferma: Gesù trasforma la morte in rinascita, affrontando la durezza del cuore umano.

Apparendo ai discepoli “mentre erano a tavola”, il Risorto sceglie la convivialità per riannodare i legami spezzati. Condividere il pane riapre la comunione e ridona un futuro: «Andate in tutto il mondo…». È lo stesso invito per noi oggi, nonostante le fragilità. Come scrive Giovanni, l’amore, modellato su Cristo, diventa lievito di vita nuova (1Gv 3,14), capace di vincere paure e disillusioni.

Ma come incarnare questa missione? Marco ricorda che i “segni” dei credenti (come “prendere i serpenti”, simbolo del male) non sono gesti di forza, ma frutto della fiducia in Dio. Affrontare il male, dentro e fuori di noi, richiede coraggio nell’abbandono alla misericordia di Gesù. Solo chi sperimenta il perdono può annunciarlo; solo chi si lascia amare da Dio può donare amore senza riserve.

La Pasqua non elimina le fatiche, ma vi apre una breccia: energie nuove irrompono dove c’era rassegnazione. Come i discepoli, siamo chiamati a un “passaggio” che trasforma, diventando testimoni gioiosi di una vita che vince la morte. Ciò avviene immedesimandoci nell’amore di Cristo, offrendo cura, mitezza, consolazione.

In un mondo fragile, la missione non è un peso, ma un affidarsi a chi ci rende strumenti del vangelo. Immersi nella storia, camminiamo verso la libertà del Risorto, portando ovunque l’amore che trasfigura il buio in luce.

- Rev. Dr. Luca Vona

Anselmo d'Aosta e le ragioni della fede

La Chiesa cattolica d'occidente, la Chiesa luterana e la Chiesa anglicana celebrano oggi la memoria di Anselmo di Aosta, monaco e Arcivescovo di Canterbury.

Anselmo nacque ad Aosta attorno al 1033. Poco dopo i vent'anni, egli lasciò la sua città e viaggiò per conoscere i monasteri e i centri spirituali del suo tempo. Giunto all'abbazia di Bec, in Normandia, fu profondamente colpito dall'incontro con l'abate Lanfranco, uomo di grande erudizione, che lo convinse a rimanere a Bec per farsi monaco. 
Anselmo, già da tempo cultore appassionato delle discipline filosofiche e teologiche, trovò nell'austera quiete della Normandia l'humus ideale per approfondire i propri studi. Alla ricerca di una migliore intelligenza della fede, Anselmo affrontò le questioni teologiche con un metodo nuovo, che troverà pieno sviluppo nella scolastica medievale.
Divenuto priore e abate di Bec, egli fu chiamato nel 1093 a succedere a Lanfranco anche come arcivescovo di Canterbury. Come primate della chiesa inglese, nonostante l'amicizia personale con il re d'Inghilterra, Anselmo si batté per la libertà della chiesa dalle ingerenze del potere politico e fu costretto due volte all'esilio. Malgrado le contraddizioni patite, la vita e l'insegnamento di Anselmo sono permeati di una pace e una gioia profonde, frutto della contemplazione di Dio e del suo mistero, e sono animati da quella dolce compassione per le sofferenze di Cristo che, diffusa in seguito dai cistercensi, darà vita a un nuovo e ricco filone nella storia della spiritualità occidentale. Anselmo morì a Canterbury il 21 aprile 1109.

Tracce di lettura

Veramente, o Signore, è inaccessibile questa luce in cui tu abiti; veramente non c'è altro che possa penetrare questa luce, allo scopo di investigarti. Proprio perciò io non la vedo, perché è eccessiva per me. Tuttavia, per mezzo suo vedo tutto quel che vedo, così come il debole occhio vede quel che vede per mezzo della luce del sole, luce che non può vedere nel sole stesso. Il mio intelletto non ha potere nei suoi confronti - troppo risplende -, non l'afferra, e l'occhio dell'anima mia non riesce a fissarsi in lei troppo a lungo. Ne è colpito dal fulgore, ne è sconfitto dall'ampiezza, ne è soffocato dall'immensità, ne è schiacciato dalla capacità.
O luce somma e inaccessibile! O completa e beata verità, quanto sei lontana da me, che ti sono tanto vicino! Quanto sei remota dalla mia vista, mentre io sono così presente alla tua! Dovunque sia, sei tutta presente, e io non ti vedo. In te mi muovo e sono in te, e non posso avvicinarmi a te. Tu sei dentro e attorno a me, e io non ti sento.
(Anselmo di Aosta, Proslogion 16)

- Dal martirologio ecumenico della Comunità monstica di Bose

sabato 19 aprile 2025

La risurrezione: una promessa di vita

In un mondo che sembra spesso avvolto da ombre di paura, incertezza e divisione, la Pasqua ci offre un messaggio di luce e speranza che risuona con una forza senza tempo. La risurrezione di Gesù non è solo un evento del passato, ma una realtà che continua a parlare ai nostri cuori, offrendo una prospettiva capace di trasformare il modo in cui affrontiamo le sfide di oggi. La risurrezione può diventare un faro di speranza per il nostro presente e un invito a vivere con coraggio e amore.

La risurrezione di Gesù è il cuore pulsante della fede cristiana. Non si tratta solo di credere in un miracolo accaduto duemila anni fa, ma di riconoscere che quell’evento ha cambiato per sempre il corso della storia. La vittoria di Cristo sulla morte ci ricorda che il male, la sofferenza e la paura non hanno l’ultima parola. C’è una promessa più grande: un mondo rinnovato, un regno di giustizia, pace e amore che Dio sta già costruendo, e di cui noi possiamo essere parte.

Viviamo in un’epoca segnata da crisi globali — dalle tensioni sociali alle incertezze economiche, fino alle sfide ambientali. È facile sentirsi sopraffatti, pensare che il caos abbia preso il sopravvento. Eppure, la risurrezione ci invita a sollevare lo sguardo. Non si tratta di ignorare le difficoltà, ma di affrontarle con la certezza che Dio è all’opera, anche nei momenti più bui. La risurrezione è un promemoria che la storia non finisce con la croce, ma con la tomba vuota — un simbolo di speranza che ci spinge a guardare al futuro con fiducia.

La paura è una compagna costante nella vita moderna. Paura del futuro, paura del fallimento, paura di ciò che non possiamo controllare. Ma la risurrezione ci offre una narrazione diversa. Quando Gesù è risorto, ha dimostrato che la morte, il simbolo ultimo della paura umana, non è la fine. “Dov’è, o morte, la tua vittoria?” (1 Corinzi 15,55) diventa un grido di trionfo che possiamo fare nostro.

Questa verità non elimina le nostre paure, ma le mette in prospettiva. La risurrezione ci ricorda che siamo parte di una storia più grande, una storia in cui il bene trionfa, in cui l’amore ha la meglio sull’odio, in cui la luce dissipa le tenebre. Questa speranza ci libera dalla paralisi della paura e ci dà il coraggio di vivere pienamente, sapendo che ogni passo che compiamo nel nome dell’amore e della giustizia è un riflesso del regno di Dio.

La risurrezione non è solo una dottrina da celebrare a Pasqua, ma una realtà da incarnare ogni giorno. Come cristiani, siamo chiamati a essere testimoni viventi della speranza che sgorga dalla tomba vuota. Questo significa portare luce nei luoghi oscuri, costruire ponti dove ci sono divisioni, offrire amore dove regna l’indifferenza. In un mondo che sembra sempre più frammentato, la risurrezione ci sfida a essere agenti di riconciliazione e rinnovamento.

Anche le piccole azioni quotidiane possono riflettere questa grande verità. Un gesto di gentilezza verso uno sconosciuto, un momento di ascolto per chi è ferito, un impegno per la giustizia nella nostra comunità, sono tutte espressioni della risurrezione. Ogni volta che scegliamo di amare, di perdonare, di costruire invece di distruggere, stiamo partecipando al progetto di Dio per un mondo migliore. La risurrezione ci ricorda che nulla di ciò che facciamo per amore è mai vano.

La risurrezione non è solo una consolazione per il futuro, ma una chiamata per il presente. Ci invita a vivere come persone trasformate, come portatori di speranza in un mondo che ne ha disperatamente bisogno. In un’epoca di polarizzazione e sfiducia, i cristiani hanno l’opportunità di mostrare un modo diverso di vivere: un modo radicato nella certezza che Dio sta riscrivendo la storia, e che noi siamo invitati a collaborare con Lui.

Questa chiamata mi sfida personalmente a chiedermi: come posso incarnare la speranza della risurrezione nella mia vita? Forse significa prendere posizione contro un’ingiustizia, o semplicemente essere più presente per le persone che amo. Forse significa pregare con più fiducia, o lavorare con più dedizione per un mondo che rifletta i valori del regno di Dio. Qualunque sia la risposta, la risurrezione mi ricorda che ogni passo conta, perché è parte di una storia più grande.

La risurrezione di Gesù è molto più di un evento storico: è una forza vitale che dà senso alla nostra esistenza. In un mondo segnato dalla paura e dall’incertezza, ci offre una speranza che non vacilla, un coraggio che non si spegne, un amore che non finisce. Come cristiani, siamo chiamati a vivere questa speranza in ogni aspetto della nostra vita, diventando riflessi della luce pasquale in un mondo che ha bisogno di redenzione.

Lasciamoci trasformare dalla potenza della risurrezione, vivendo con la certezza che il Dio che ha sconfitto la morte è all’opera anche oggi, invitandoci a partecipare al suo progetto di rinnovamento. Che la nostra vita sia una testimonianza di questa verità: Cristo è risorto, e con Lui risorge la nostra speranza.

- Rev Dr. Luca Vona

Il destino ultimo dell'uomo

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA DOMENICA DI PASQUA

Colletta

Dio Onnipotente, che attraverso il tuo Figlio unigenito Gesù Cristo hai vinto la morte, e hai aperto per noi la porta della vita eterna, ti chiediamo umilmente, così come la tua grazia speciale ci preserva, infondi nelle nostre menti buoni desideri, affinché mediante il tuo aiuto continuo possiamo portarli a buon effetto. Per lo stesso Gesù Cristo, nostro Signore, che vive e regna con te, e con lo Spirito Santo, sempre, unico Dio, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Letture

Col 3,1-3; Gv 20,1-9

Commento

Dopo la sepoltura di Gesù l'attenzione del Vangelo di Giovanni si sposta sul giorno che segue il sabato, quello che successivamente i cristiani eleggeranno come il giorno in cui fare memoria della risurrezione del Signore. Maria di Magdala si reca al mattino presto alla tomba, e fa una scoperta emozionante: la pietra che la chiudeva è ribaltata e sono rimasti solo i lini che avvolgevano il cadavere e il sudario che ne copriva il volto. Subito ne dà comunicazione a Pietro e al discepolo amato da Gesù, lo stesso evangelista Giovanni.

Maria di Magdala, una donna, colei alla quale molto è stato perdonato e per questo ha molto amato, è la prima annunciatrice del mistero della tomba vuota. Amata da Gesù con una particolare predilezione, la Maddalena diviene apostola degli apostoli. Lei che si reca alla tomba per cospargere di profumi il corpo del Signore, proprio come aveva fatto durante l'ultima cena, dimostrando che il suo amore va oltre la stessa morte.

Mentre Pietro e il discepolo che Gesù amava corrono verso la tomba il secondo arriva per primo. "L'amore di Cristo ci spinge" affermerà l'apostolo Paolo nella sua seconda Lettera ai Corinti. Ma il discepolo che corre più veloce si ferma davanti alla tomba vuota, forse per la paura di una contaminazione rituale - i più grandi sentimenti non sempre sono accompagnati da una grande risoluzione. Pietro, invece, di cui i Vangeli rappresentano a più riprese il carattere impulsivo, non è preso da una simile esitazione. Due forme diverse di amore: Il secondo discepolo si affretta nella corsa, ma poi si arresta davanti alla tomba, dentro cui entrerà solo dopo aver superato le razionalizzazioni legalistiche. Pietro si affatica nella corsa, ma il suo sentimento impulsivo gli fa superare ogni timore di violare le "leggi prestabilite".

Si ha una certa tensione tra fede e incomprensione nel racconto che riguarda i due apostoli. Entrato nel sepolcro dopo di Pietro, il discepolo che Gesù amava "vide e credette": è posta una relazione diretta e consequenziale tra i due verbi. Tuttavia, riferisce il testo, i due discepoli "non avevano ancora compreso la Scrittura". Nelle successive apparizioni del Risorto, egli aprirà gli occhi dei discepoli alla piena comprensione del mistero racchiuso nell'Antico Testamento: solo l'esperienza diretta dell'incontro con Cristo rende capaci di accogliere un evento così oltre la portata della nostra ragione, come la vittoria sulla morte, ciò che più spaventa l'uomo e che attende implacabilmente ogni creatura. La tomba vuota e il lenzuolo ordinatamente ripiegato sono indizi sufficienti a Giovanni per credere. All'amore bastano piccoli segni per captare ciò che gli altri non colgono.

Gesù, il Messia promesso, ha voluto che la sua morte fosse pubblica, alla luce del sole, che si oscura davanti a lui; ma la sua risurrezione è riservata ai più intimi amici. Accostiamoci a lui, nella consapevolezza che oggi Gesù Cristo ha vinto la morte, il peccato, la tristezza; e ci ha aperto le porte della vita nuova, colma della pace e della gioia che lo Spirito Santo ci dona per grazia e che non ci sarà mai tolta. Risorgendo, Cristo svela il destino ultimo dell'uomo, la sua vocazione, la sua intima natura. Lasciandoci guidare dall'amore entreremo nel mistero dell'immensità divina.

- Rev. Dr. Luca Vona

Chiese e salute mentale: fede, compassione e formazione

La salute mentale rappresenta una delle sfide più urgenti del nostro tempo, amplificata dall’instabilità economica e dalle tensioni sociali. Le comunità evangeliche, chiamate a essere “luce del mondo”, hanno l’opportunità di rispondere a questa crisi con un approccio che intrecci principi teologici e soluzioni pratiche, offrendo speranza e supporto a chi affronta ansia, depressione o stress post-traumatico. Questa riflessione esplora come la fede evangelica possa guidare un impegno concreto e compassionevole verso la salute mentale, senza cadere in semplificazioni o stigmatizzazioni.

Il contesto globale è allarmante: statistiche recenti indicano un aumento del 25% dei casi di ansia e depressione dal 2020, con un impatto significativo in paesi come Stati Uniti e Australia. Le chiese evangeliche registrano una crescente richiesta di supporto spirituale e psicologico, ponendo una domanda cruciale: come rispondere a questi bisogni senza ridurre i disturbi mentali a mere questioni di fede? Un fondamento biblico centrale è Filippesi 4,6-7, che invita a non essere ansiosi ma a presentare ogni cosa a Dio nella preghiera, ricevendo una pace che “supera ogni intelligenza”. Questo passaggio, però, non va inteso come una negazione dei problemi psicologici, ma come un invito a integrare la spiritualità con approcci terapeutici, riconoscendo la complessità dell’essere umano.

Un aspetto chiave per affrontare questa sfida è la formazione. I pastori dovrebbero ricevere un’educazione di base in consulenza psicologica, collaborando con professionisti della salute mentale. In alcune comunità, come quelle in California o Sydney, sono stati avviati programmi per formare leader religiosi a riconoscere i segnali di disturbi mentali e indirizzare i fedeli verso risorse adeguate. Un esempio pratico è l’istituzione di gruppi di supporto in alcune chiese, dove sessioni di preghiera si combinano con discussioni guidate da psicologi cristiani. Questo modello olistico rispetta sia la dimensione spirituale sia quella scientifica, creando spazi sicuri per chi soffre.

Dal punto di vista teologico, la sofferenza mentale può essere letta attraverso il concetto di “sofferenza redentiva”. Romani 5,3-5 ricorda che la perseveranza produce speranza, suggerendo che la fede non elimina il dolore, ma gli conferisce un significato. Le chiese sono chiamate a essere comunità accoglienti, dove le persone possano condividere le proprie lotte senza paura di giudizi o stigma, un rischio che in passato ha segnato alcune realtà evangeliche. Superare l’idea che i disturbi mentali siano solo una mancanza di fede è essenziale per costruire una pastorale autentica.

Questa riflessione non è esente da limiti. L’approccio potrebbe beneficiare di una maggiore attenzione alle differenze culturali nella percezione della salute mentale, spesso trascurate in contesti occidentali. Tuttavia, l’invito a un dialogo interdisciplinare tra teologia, psicologia e pastorale rappresenta un passo avanti. Le chiese evangeliche hanno la responsabilità di incarnare un messaggio di compassione, offrendo non solo consolazione spirituale, ma anche azioni concrete per affrontare la crisi della salute mentale, diventando così un faro di speranza in un mondo ferito.

- Rev. Dr. Luca Vona

Il sepolcro vuoto. L'ultima parola sulla storia

COMMENTO ALLA LITURGIA DEL SABATO SANTO

Colletta

Concedi, Signore, che come siamo stati battezzati nella morte del tuo Figlio benedetto, nostro Signore Gesù Cristo, mortificando continuamente le nostre affezioni corrotte possiamo essere sepolti con lui e che attraverso la tomba e le porte della morte possiamo giungere alla gioiosa risurrezione; per i meriti di lui che è morto, è stato sepolto ed è risorto per noi, il tuo stesso Figlio Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Lettura

Matteo 27,62-66

Commento

Oggi, Sabato Santo, è un giorno sospeso nel silenzio e nell’attesa, accanto al sepolcro di Gesù. La liturgia narra la vigilanza dei sacerdoti sul sepolcro, temendo un furto del corpo per negare la risurrezione. Questo sottolinea come il mistero pasquale, fin dall’inizio, sia stato contrastato da menzogne.

Gesù, deposto nella tomba, discende agli inferi, simbolo della sua solidarietà totale con l’umanità. Nella morte, tocca il fondo dell’esistenza, prendendo per mano Adamo ed Eva per condurli alla luce. Così, la morte non è vittoria: Dio trasforma il sepolcro in grembo di rinascita, ridonando vita attraverso il Figlio. La risurrezione, attesa nella notte, è l’ultima parola sulla storia: il male non prevale, il dolore è redento.

Il silenzio odierno ci invita a interiorizzare questo mistero: Cristo, entrato nei nostri “inferi”, spezza le catene che imprigionano il cuore. Affidiamoci a Lui, Signore della vita, che rigenera le nostre esistenze e promette luce oltre ogni tenebra. Credere nella risurrezione è abbandonarsi alla forza che vince la morte, sperando nella salvezza totale del mondo.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 18 aprile 2025

L'amore che si abbassa a toccare le nostre ferite

COMMENTO ALLA LITURGIA DEL VENERDI SANTO

Colletta

Dio Onnipotente e misericordioso, ti supplichiamo di custodire questa tua famiglia, per la quale il nostro Signore Gesù Cristo ha accettato di essere tradito e di consegnarsi nelle mani degli uomini malvagi, soffrendo la morte sulla croce; lui che vive e regna con te e con lo Spirito Santo, unico Dio, nei secoli dei secoli. Amen.

Lettura

Giovanni 18,1-19,42

Commento

Oggi celebriamo il primo giorno del Triduo Pasquale, un momento sacro in cui riflettere sulla Croce Vittoriosa, il luogo in cui Gesù ha offerto tutto se stesso. Da quel legno prezioso, ci ha donato Maria come Madre, il perdono anche per coloro che lo hanno condannato, e la totale fiducia in Dio nostro Padre.

La lettura della Passione ci trasporta sul Calvario, accanto a Giovanni, Maria e le altre donne. Questa narrazione è carica di simbolismo, ogni dettaglio ha un significato profondo.

Di fronte a questo mistero così grande, siamo chiamati anzitutto a guardare. La nostra fede non è un rapporto con un Dio lontano e astratto, ma con una persona, Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. L'invisibile si è reso visibile, assumendo la nostra umanità fino alla morte sulla croce. Coloro che erano presenti ci hanno trasmesso questi eventi, rivelando il significato più profondo di quel sacrificio.

Dinanzi a tutto questo, proviamo gratitudine e ammirazione. Conosciamo il valore dell'amore: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la propria vita per i propri amici" (Gv 15,13).

La nostra preghiera non è solo richiesta, ma soprattutto ammirazione e riconoscenza.

Gesù è per noi un modello da imitare, invitandoci a vivere secondo i suoi insegnamenti, amando fino al dono totale e confidando sempre nel Padre, anche nelle avversità.

La croce è l'abbassamento più profondo del Divino verso l'umano. La croce è come un tocco dell’amore eterno di Dio sulle ferite più dolorose dell'esistenza terrena dell'uomo.

Iniziamo questo Triduo Pasquale consapevoli de prezzo che Dio ha pagato per il nostro riscatto.

- Rev. Dr. Luca Vona