Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

venerdì 28 febbraio 2025

Martin Bucer. Il riformatore di Strasburgo

Il 28 febbraio 1551 muore esule a Cambridge Martin Bucer, riformatore della chiesa di Strasburgo.
Era nato a Sélestat, in Alsazia, da una famiglia umile. Essendo un giovane con spiccate qualità intellettuali, l'unica via possibile nella sua povertà per poter studiare era entrare in convento, e così avvenne nel 1506, quando Martin fu accolto dai domenicani della sua città natale.
I suoi superiori lo mandarono dieci anni dopo ad affinare la sua conoscenza teologica presso i domenicani di Heidelberg; fu nell'università di quella città che Bucer conobbe Martin Lutero e fu conquistato alla causa riformatrice. Uscito dapprima dall'Ordine, ma rimasto prete secolare, Bucer fu tuttavia scomunicato quando si sposò con Elisabeth Silbereisen. Perseguitato per le sue idee luterane, egli si rifugiò nel 1523 a Strasburgo, dove divenne il principale protagonista della riforma nel capoluogo alsaziano. Nei venticinque anni dedicati alla riforma, Bucer fu un predicatore convinto del ritorno al vangelo in tutti gli aspetti della vita ecclesiale. Egli organizzò il sinodo locale, grazie al quale tentò poi di creare una rete di piccole «comunità cristiane» confessanti, che dovevano costituire nei suoi intenti le unità evangeliche di base della chiesa, secondo il modello degli Atti degli Apostoli.
Ma Bucer fu anche un sincero uomo di pace. Egli si adoperò in tutti i modi per tenere unite le varie anime della Riforma, per reintegrare gli anabattisti e per giungere a un'intesa con i teologi romani.
La posizione di Bucer riguardo al sacramento dell'eucaristia era simile a quella di Zwingli ma, prevalendo il suo desiderio di mantenere l'unità con i luterani, si impegnò costantemente – specie dopo la morte di Zwingli – nella formulazione di una professione di fede che potesse essere accettata sia dai luterani sia dai riformatori svizzeri e della Germania meridionale. Questi tentativi di conciliazione - che si concretizzarono nella sua partecipazione a molti incontri, fra i quali quello di Basilea del 1536 da cui uscì la prima delle due Confessiones Helveticae - furono all'origine dell'accusa di oscurità che gli venne mossa. Esiliato nel 1549 su ordine di Carlo V, fu felice di accettare l'invito di Cranmer a stabilirsi in Inghilterra. Al suo arrivo, nel 1549, fu nominato regius professor of Divinity all'Università di Cambridge. Egli fu consultato quando si decise di rivedere il Book of Common Prayer (Libro delle preghiere comuni), testo base della comunione anglicana; fondamentale fu il suo contributo, insieme a quello di Pietro Martire Vermigli, per l'edizione del 1552. Bucer terminò la sua vita a Cambridge il 28 febbraio 1551 e fu sepolto con tutti gli onori nella chiesa dell'Università. Nel 1557 i commissari della regina Maria esumarono e bruciarono il suo corpo e ne demolirono la tomba, che fu poi ripristinata dalla regina Elisabetta I.

Tracce di lettura

Fratelli, per quanto riguarda il primo punto della nostra riforma, cioè la predicazione della parola di Dio, dobbiamo ringraziare incessantemente l'onnipotente ed eterno Dio per la sua immensa grazia e misericordia, perché in questi ultimi tempi egli ha mediante la sua sovrabbondante grazia riacceso in noi a tal punto la luce del suo santo vangelo e ci ha salvati e liberati da errori e idolatrie orrendi e perniciosi. E così anche l'insegnamento è talmente radicato nella parola di Dio che non abbiamo coscienza di alcun errore in nessun articolo di fede, ma abbiamo predicato, sul fondamento della santa Scrittura, secondo le nostre capacità, in modo limpido e chiaro, il puro vangelo, dal momento in cui Dio ci ha portati a questa vera conoscenza.
La questione, tuttavia, non è solo che la parola sia predicata fedelmente, ma soprattutto che la gente orienti la propria vita conformemente ad essa, perché non sono gli uditori della parola, ma i facitori di essa che saranno beati. Cristo stesso dice per questo: «Insegnate loro a osservare tutte le cose che vi ho comandate»; in altre parole la gente, attraverso una tale predicazione, sia indotta a cambiare vita, a convertirsi a Dio col cuore. (Martin Bucero, Le carenze e i difetti delle chiese 2,1)

- Fonti: Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose e Enciclopedia Treccani


Fermati 1 minuto. Un'alleanza benedetta da Dio

Lettura

Marco 10,1-12

1 Partito di là, si recò nel territorio della Giudea e oltre il Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli l'ammaestrava, come era solito fare. 2 E avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: «È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?». 3 Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». 4 Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla». 5 Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. 6 Ma all'inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; 7 per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. 8 Sicché non sono più due, ma una sola carne. 9 L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto». 10 Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse: 11 «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; 12 se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio».

Commento

In tutti e tre i Vangeli sinottici questo è il primo contatto di Gesù con la "folla" della Giudea. La folla gli va incontro spontaneamente come in Galilea (Mc 4,1; 5,24).

Il dibattito tra Gesù e i farisei sull'abolizione del divorzio, indica la volontà di questi ultimi di screditarlo pubblicamente e sarà un motivo di controversia tra giudei e cristiani nel primo secolo. La legge mosaica consentiva il ripudio della moglie nel caso fosse intervenuto "qualcosa di vergognoso" (Dt 24,1), ma doveva avvenire tramite il rilascio di un attestato scritto, per salvaguardare la donna dall'accusa di adulterio. 

Gesù dichiara che la legge mosaica permette il divorzio solo "per la durezza del vostro cuore" (v. 5), indicata con il termine greco sklerokardia, che indica nel Nuovo testamento l'incapacità dell'essere umano di comprendere e attuare il piano di Dio (cfr. Mt 19,8; Mc 16,14). 

Nel Vangelo di Matteo Gesù fa un'eccezione al divieto assoluto di divorzio, indicata con il termine greco pornéia; questo è stato intepretato da alcuni come "concubinato", che indica i rapporti illegittimi tra consanguinei; altri intepretano il termine con il significato di "adulterio".

Citando il libro della Genesi (1,27; 2,24) Gesù proclama che fin dall'inizio il matrimonio è stabilito come patto eterno (vv. 6-8) e continua in questo senso con l'ammonizione "l'uomo non separi ciò che Dio ha congiunto" (v. 9). L'uomo e la donna diventano "una carne sola" agli occhi di Dio. Il matrimonio non è presentato come un'invenzione umana, ma come un'istituzione divina.

Il Signore è paziente e misericordioso nei confronti delle nostre fragilità e nel custodire il patto con il suo popolo. La sua clemenza deve essere presa a modello dell'alleanza tra l'uomo e la donna, benedetta da Dio. Siamo chiamati a superare una visione consumistica delle relazioni, coltivando la libertà nella responsabilità. La fede e la piena adesione a Cristo ci otterrano la fedeltà, dono di Dio.

Preghiera

Santifica e vivifica con il tuo Spirito, Signore, le nostre relazioni; affinché possiamo imparare da te, che sei mite e umile di cuore, a essere fedeli al piano che hai stabilito dai tempi antichi. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 26 febbraio 2025

Fermati 1 minuto. Uniti e operosi sotto lo stesso nome

Lettura

Marco 9,38-40

38 Giovanni gli disse: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri». 39 Ma Gesù disse: «Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. 40 Chi non è contro di noi è per noi.

Commento

Presi dalla discussione su chi sia il più grande (Mc 9,33-37) i discepoli, che poco prima si sono mostrati incapaci di esorcizzare l'epilettico indemoniato (Mc 9,14-29), per bocca di Giovanni pongono a Gesù una domanda che manifesta un atteggiamento escludente nei confronti di un uomo che scaccia efficacemente i demoni nel nome di Gesù, pur non essendo "dei loro" (v. 38).

L'episodio riportato da Marco è probabilmente anche un'eco delle questioni che si pongono i primi cristiani in circostanze simili, in relazione al riconoscimento della vera identità degli inviati di Dio.

Gesù esorta i discepoli a non ostacolare chi opera nel suo nome. Se un albero si riconosce dai frutti (Mt 7,16-20) il vero discepolo accoglie l'amore ovunque esso fiorisca. Anche le chiese particolari sono chiamate a superare gli atteggiamenti settari, coltivando piuttosto il senso di comunione tra coloro che operano nel nome di Gesù. 

L'unica chiesa di Cristo supera i confini visibili stabiliti dalle reciproche scomuniche. L'apostolo Paolo saprà cogliere questo mistero: "Purché in ogni maniera, per ipocrisia o per sincerità, Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene" (Fil 1,18).

La risposta data da Gesù a Giovanni si completa con l'affermazione speculare riportata dal Vangelo di Matteo: "Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde" (Mt 12,30). Non c'è spazio per posizioni di neutralità nei confronti di Gesù.

Soltanto non illudiamoci di poter costringere nei rivoli angusti di una religiosità elitaria l'infinita grandezza e libertà dello Spirito di Cristo.

Preghiera

Dona alla tua chiesa, Signore, lo spirito di unità e concordia; affinché possiamo essere radunati nel tuo nome e portare frutti di salvezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 25 febbraio 2025

Roberto d'Arbissel e i fratelli e le sorelle di Fontevraud

Nel 1116, in Francia, muore Roberto d'Arbrissel, eremita, predicatore itinerante e fondatore dell'Ordine di Fontevraud.
Nato ad Arbrissel, nella diocesi bretone di Rennes, verso la metà dell'XI secolo, Roberto era pienamente partecipe delle contraddizioni al vangelo che caratterizzavano la chiesa del suo tempo. 
Recatosi a Parigi per compiere gli studi, egli fu toccato dall'esigenza di riforma che si andava profilando nella chiesa, e iniziò un autentico cammino di conversione. Fece ritorno in diocesi, ma il suo cambiamento non fu gradito, e fu costretto a ritirarsi in solitudine. Teologo erudito, dotato di un'eloquenza straordinaria, egli visse un tempo di deserto, durante il quale si radunarono attorno a lui numerosi discepoli. Fra essi vi furono soprattutto gli emarginati dalla società e dalla chiesa, come i lebbrosi o le mogli dei parroci abbandonate agli inizi della riforma gregoriana. Roberto diede quindi inizio al suo ministero di predicatore itinerante, trascinando al proprio seguito una folla di uomini e donne di ogni condizione, che accettarono di farsi poveri per Cristo.
Nel 1101 Roberto, ritenuto folle dai vescovi e dai potenti del suo tempo, stimò opportuno dare ai suoi discepoli una dimora permanente, che stabilì nella foresta di Fontevraud, dove suddivise la nuova comunità in quattro nuclei: le donne, i monaci, i penitenti e i lebbrosi. L'Ordine misto che ne scaturì fu un ordine prevalentemente femminile: gli uomini avevano il compito di proteggere le donne, ma la direzione delle comunità era affidata a queste ultime.
Roberto trascorse gli ultimi anni della sua vita continuando a predicare e difendendo ovunque quanti erano vittime di sfruttamento e di sopraffazione.

Tracce di lettura

Roberto fece chiamare l'arcivescovo di Bourges e gli disse: «Signore, tu sei il mio caro padre, il mio arcivescovo. Sai come sempre ti ho amato e ti ho obbedito. Sai anche come, per amor tuo, io sia venuto a stabilirmi in questa regione. Desidero manifestarti la volontà del mio cuore. Non desidero essere sepolto né a Betlemme, né a Gerusalemme, né a Cluny. Non desidero altro luogo che il cimitero di Fontevraud. Ma non ti chiedo affatto di essere sepolto in monastero o nei chiostri, ma in mezzo ai miei fratelli poveri, nel cimitero. Là sono sepolti, infatti, i miei buoni presbiteri e chierici, i miei amati laici e le mie sante vergini. Là riposano i miei poveri lebbrosi, là i compagni del mio pellegrinaggio terreno, coloro che mi hanno seguito per amore di Dio, quanti hanno portato assieme a me stenti e fatiche, miserie e calamità, disfacendosi di ogni loro bene all'udire la mia predicazione. Se sarò sepolto in tale luogo, i viventi lo ameranno di più e su di esso verranno a invocare la misericordia del Signore. (Vita di Roberto d'Arbrissel )

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Robert d'Arbrissel, miniatura del Graduale di Fontevraud, XIII sec.

Fermati 1 minuto. Abbassarsi per ascendere

Lettura

Marco 9,30-37

30 Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31 Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà». 32 Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni.
33 Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?». 34 Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. 35 Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti». 36 E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro:
37 «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Commento

Gesù è in viaggio verso Gerusalemme, un itinerario non solo geografico ma spirituale come dichiara il secondo annuncio della passione. Le sue parole attestano che è Dio stesso che lo consegna nelle mani di coloro che lo uccideranno. Perciò tutto ciò che accadrà al "Figlio dell'uomo" (la morte e la risurrezione) rientra nel piano provvidenziale stabilito da Dio per il bene di tutti.

I discepoli continuano a non capire la dimensione di sofferenza cui è destinato il Cristo (v. 32) e non osano fare domande, forse per il precedente rimprovero rivolto da Gesù a Pietro che cercava di dissuaderlo dalla sua missione redentrice (Mc 8,33). Marco, dopo ognuno dei tre annunci della passione fa rilevare questa incapacità a comprendere (cfr. Mc 8,31-33; 10,32-34.35-44).

Proprio mentre Gesù parla del suo apparente fallimento i discepoli iniziano a fare progetti di grandezza, discutendo su chi fosse il più grande tra loro (v. 34). Questa è la logica del mondo, che fin dall'infanzia ci insegna a sgomitare per essere migliori, anche prevaricando sugli altri.

I bambini - grandi nell'affidamento, nella gioia, nella spontaneità - sono il simbolo di cui Gesù si serve per sottolineare che i discepoli sono chiamati a svolgere con umiltà la loro missione (v. 35), sull'esempio di Gesù che non è venuto per essere servito ma per servire (Mc 10,45). La volontà di mettersi al servizio del prossimo determina la posizione assunta nel regno di Dio. La nostra ascesa verso il cielo avviene nella misura in cui ci abbassiamo nell'esercizio della carità.

La consacrazione di Gesù nel suo abbassamento fino alla morte di croce dimostra l'amore assoluto di Dio, che si fa prossimo a ogni uomo, anche nelle pagine più buie dell'esistenza, per accompagnarlo verso la gloria della risurrezione.

Preghiera

Donaci lo spirito di umiltà, Signore, affinché possiamo fare spazio al nostro prossimo e renderci simili a te nel dono gratuito di noi stessi. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 24 febbraio 2025

Il re Etelberto e la diffusione del cristianesimo tra gli Angli orientali

Gregorio Magno e Agostino di Canterbury vengono ricordati come gli apostoli degli Angli. Al loro fianco bisogna ricordare anche re Etelberto.
Nato verso il 552, Etelberto ancora in giovane età divenne il più potente sovrano anglo dell’epoca. Verso il 588 sposò Berta, la figlia cattolica del re franco Cariberto. Dando prova di tolleranza, permise alla sua sposa di continuare a professare la sua fede. Ancora più magnanimo egli si mostrò nel 597 quando accolse la delegazione di monaci inviata da papa Gregorio e guidata da Agostino. Egli ascoltò i missionari e concesse loro di stabilirsi presso Canterbury con facoltà di predicare e convertire. Lo stesso Etelberto ricevette il battesimo nel giorno di Pentecoste del 597. Saggio e prudente, non costrinse i sudditi a seguire la sua scelta, ma certo favorì quanti si facevano battezzare. La svolta favorevole al cristianesimo venne consolidata dalla costruzione, non lontano da Canterbury, di un monastero dedicato ai santi Pietro e Paolo. Inoltre il re concesse ad Agostino dei terreni per edificare la sede episcopale di Canterbury e lo sostenne nell’organizzazione di un sinodo cui parteciparono vescovi e dottori dalla vicina regione dei Britanni. 
Nel 601 arrivò in Inghilterra una nuova spedizione di monaci. Tra di loro vi erano Paolino, Mellito e Giusto. Con l’aiuto di Etelberto, diverranno vescovi rispettivamente di York, Londra e Rochester.  Favorevole al cristianesimo, Etelberto rimase un sovrano saggio ed equilibrato che procurò benefici a tutta la sua nazione. Morì il 24 febbraio del 616 dopo un regno di più di 50 anni e venne sepolto accanto alla moglie Berta, anch’ella venerata come santa.


Re Etelberto (560-6161)

Fermati 1 minuto. Come attraverso l'acqua e il fuoco

Lettura

Marco 9,14-29

14 E giunti presso i discepoli, li videro circondati da molta folla e da scribi che discutevano con loro. 15 Tutta la folla, al vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo. 16 Ed egli li interrogò: «Di che cosa discutete con loro?». 17 Gli rispose uno della folla: «Maestro, ho portato da te mio figlio, posseduto da uno spirito muto. 18 Quando lo afferra, lo getta al suolo ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti». 19 Egli allora in risposta, disse loro: «O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me». 20 E glielo portarono. Alla vista di Gesù lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava spumando. 21 Gesù interrogò il padre: «Da quanto tempo gli accade questo?». Ed egli rispose: «Dall'infanzia; 22 anzi, spesso lo ha buttato persino nel fuoco e nell'acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». 23 Gesù gli disse: «Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede». 24 Il padre del fanciullo rispose ad alta voce: «Credo, aiutami nella mia incredulità». 25 Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito immondo dicendo: «Spirito muto e sordo, io te l'ordino, esci da lui e non vi rientrare più». 26 E gridando e scuotendolo fortemente, se ne uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: «È morto». 27 Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò ed egli si alzò in piedi.
28 Entrò poi in una casa e i discepoli gli chiesero in privato: «Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?». 29 Ed egli disse loro: «Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera».

Commento

Il racconto della guarigione dell'epilettico indemoniato segue immediatamente quello della trasfigurazine di Gesù, avvenuta davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni. Anche se abita nella gloria, Cristo non trascura di abbassarsi umilmente per prendersi cura delle necessità del suo popolo.

Il verbo greco ekthambeomai, con cui Marco descrive i sentimenti della folla alla vista di Gesù, è associato a paura e stupore. Sembra richiamare il timore del popolo di fronte al volto splendente di Mosè dopo la sua discesa dal Monte Sinai, dove aveva ricevuto da Dio le tavole della legge (Es 34,30).

Gesù trova gli altri nove discepoli che discutono con gli scribi, perché non sono riusciti a liberare un giovane che uno spirito maligno ha reso incapace di parlare. Egli è sorpreso dall'incapacità dei discepoli, avendo conferito loro ogni potere, ma anche dall'incredulità degli scribi e del popolo, che riflette la scarsa accoglienza ricevuta dal suo ministero in Galilea.

L'episodio riportato da Marco attesta che ricevere un mandato missionario da parte di Gesù non assicura il successo se una grande fede a la preghiera fervente non alimentano il ministero apostolico.

Il padre del giovane indemoniato descrive perfettamente l'attitudine anticonservativa instillata dal maligno in esso. Il diavolo odia l'uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio, e lo spinge verso la morte, innanzitutto tentandolo al peccato, e in casi straordinari attentando alla sua integrità fisica e psichica. A volte Dio permette che lo incontriamo solo dopo essere passati "attraverso l'acqua e il fuoco".

Sebbene alcune volte Gesù guarisca a prescindere dalla fede della persona (Mt 17,20; Lc 17,6), in questo caso sceglie di mostrare il potere della fede, alla quale "tutto è possibile" (v. 23).

L'ammissione dell'imperfezione della propria fede da parte del padre del ragazzo testimonia forse i dubbi generati dai giudizi contrastanti sulla figura di Gesù, ma è soprattuto un atto di umiltà, diverso dall'atteggiamento del popolo e degli scribi che chiedono segni e prodigi come condizione per credere in Gesù. La fede, che è un dono di Dio, può essere accresciuta solo da Dio, ma chiede un cuore aperto per accoglierla. Il padre del giovane indemoniato acquista fiducia in Gesù volgendosi a lui e lasciando in secondo piano le voci confuse della folla.

Il verbo indicativo "io te l'ordino" (v. 25) utilizzato da Gesù rivela l'autorità assoluta che ha ricevuto dal Padre, che si esprime sull'ordine naturale attraverso le guarigioni e sull'ordine soprannaturale mediante gli esorcismi.

L'ultimo attacco sferrato dal maligno al ragazzo sembra letale, dando così al gesto di Gesù il valore di una risurrezione, alla quale alludono anche i verbi greci egeiro anistemi, termini tecnici usati nel Nuovo Testamento per indicare la risurrezione. È proprio quando incontriamo Cristo che il male viene alla luce in tutta la sua sconvolgente realtà. Di fronte alla gloria di Dio ci sentiamo atterriti. Morire a noi stessi significa prendere consapevolezza del nostro stato di totale impotenza senza la grazia dalla quale proviene ogni bene.

La preghiera, non come formula magica, ma come atto di fiducioso abbandono nelle mani del Signore, ci restituisce la libertà dei figli di Dio.

Preghiera

Vieni a visitarci Signore, e sciogli ogni legame che ci tiene avvinti al male; affinché possiamo testimoniare la potenza del tuo nome in cielo, sulla terra e sotto terra. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 23 febbraio 2025

Perseverare lungo l'inverno

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA DOMENICA DI SESSAGESIMA 
O SECONDA DOMENICA PRIMA DELLA QUARESIMA

Colletta

Signore Dio, che vedi che non poniamo alcuna fiducia nelle nostre opere, concedici misericordioso che per la tua potenza possiamo essere difesi in ogni avversità. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

2 Cor 11,19-31; Lc 8,4-15

Commento

Il seme delle Scritture resta infruttuoso se non viene seminato nel nostro cuore, e questi rimane sterile se non riceve il Verbo che dà la vita. Dio parla rivolgendosi all'uomo, e l'esistenza umana trova pienezza di senso nell'ascolto fruttuoso della parola di Dio. 

La parabola del seminatore ci insegna che il successo della semina dipende dalla natura e dalla consistenza del suolo. Se non crediamo, il nostro ascolto rimane a livello puramente auricolare. Il seme della Parola non genera salvezza se non incontra la nostra fede. Come il seme che cade lungo la strada viene calpestato, chi ascolta distrattamente la parola di Dio la disprezza. Come il seme che cade sulla pietra e dopo essere germogliato dissecca, così coloro la cui fede è debole soccombono di fronte alle seduzioni e alla disaprovazione del mondo. 

Mentre nella versione della parabola riportata da Matteo e Marco il seme produce messi più o meno abbondanti, qui rende "cento volte tanto" in virtù della perseveranza. Questo termine (gr. hypomonè) non compare mai negli altri Vangeli, mentre è frequente nelle lettere di Paolo e indica la capacità di resistere, il coraggio e la pazienza, soprattutto nelle prove. 

Il Signore non si accontenta di una messe abbondante, vuole che diamo il massimo; e ciò è possibile solo se noi rimaniamo in Cristo e lui in noi (Gv 15,4). Non dobbiamo temere se non vediamo frutti immediati nel nostro percorso di crescita spirituale. Un seme che germoglia anzitempo non è stato seminato in un terreno buono e viene abbattuto dalle intemperie dell'inverno. Ma la Parola che penetra nelle profondità del nostro essere - quelle profondità che restano oscure alla nostra stessa coscienza - fecondandole e venendo assimilata lentamente, porta frutto nella stagione giusta, nella primavera della grazia. 

"Poiché Dio non ci ha destinati alla sua collera ma all'acquisto della salvezza per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo, il quale è morto per noi, perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui" (1 Ts 5,9-10). Cosa dobbiamo fare, dunque, affinché la Parola seminata in noi renda il centuplo? Ascoltare con un cuore umile, come terra morbida e ben dissodata. Ascoltare e custodire, come Maria che "serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (Lc 2,19). 

Nei lunghi giorni di pioggia, vento, freddo, che separano la semina dal raccolto, non perdiamo la speranza, consapevoli che "né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere" (1 Cor 3,7).

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 22 febbraio 2025

Margherita da Cortona e la ricerca del volto di Cristo

Il 22 febbraio del 1297 conclude i suoi giorni terreni Margherita da Cortona, terziaria francescana. Nata nel 1247 a Laviano, sul lago Trasimeno, Margherita rimase presto orfana di madre. A disagio con la propria matrigna, essa fuggì, appena sedicenne, nel castello del conte Arsenio di Montepulciano, con il quale visse per dieci anni. Quando l'uomo che amava incontrò precocemente la morte durante una partita di caccia, Margherita fu respinta sia dalla propria famiglia sia da quella di Arsenio. Abbandonata da tutti e con un figlio da allevare, nato dalla relazione con il nobile toscano, la giovane fu accolta da due nobildonne di Cortona, che la indirizzarono ai frati minori, presso i quali trascorrerà gran parte della sua vita. Aiutata dai francescani, Margherita segnò a sua volta profondamente la loro spiritualità con una vita di grande austerità e di totale dedizione agli ultimi. Donna di grande carità e mistica della passione di Cristo, da cui attingeva la forza per amare, Margherita fu all'origine di innumerevoli iniziative a favore di poveri e ammalati, nei quali non si stancò mai di cercare il volto del suo Signore. Essa si spense all'età di cinquant'anni in una piccola cella nella rocca sovrastante Cortona, delusa dalle decisioni dei capitoli francescani che ormai si allontanavano dal rigore degli inizi, ma ritenuta da tutti un modello di vita evangelica.

Tracce di lettura

Il Signore le disse in visione: «Cosa domandi di me, Margherita, martire mia?». «Signore mio, perché mi chiami martire, quando io non ho patito per amor tuo nulla di aspro?». Il Signore le rispose: «Il tuo martirio è il timore che hai di perdermi e di offendere me, tuo Creatore; ma io ti dico che sei la nuova luce data a questo mondo e illuminata da me». A queste parole l'umile Margherita esclamò: «Signore, scenda su di me la tua misericordia, perché non sia tenebra in questo mondo, ma fa' che io risplenda della tua luce, tu che sei la mia luce». E il Signore a lei: «Non è forse vero, figlia mia, che tu per amor mio ti sei privata di ogni gioia della terra? E che per amore mio sei pronta ad affrontare ogni sofferenza? Non racchiudi forse nel tuo cuore, per amore mio, tutti i poveri del mondo?». (fra' Giunta Bevignati, Leggenda di Margherita da Cortona 10,16)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Margherita da Cortona (1247-1297)

Fermati 1 minuto. Solo la fede ci apre alla comprensione

Lettura

Matteo 16,13-19

13 Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». 14 Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15 Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». 16 Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17 E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. 18 E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. 19 A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Commento

In un momento di riposo dal suo ministero Gesù coglie l'occasione per domandare ai suoi discepoli cosa pensa la gente di lui. Le opinioni sono diverse. D'altra parte Gesù ha detto che sarebbe venuto a portare divisione (Lc 12,51). Molte ipotesi sul suo conto sono buone: alcuni credono che egli sia Elia, Geremia o Giovanni Battista tornati dai morti. Ma non sono opinioni all'altezza della sua vera natura. 

Egli non è un semplice profeta, ma "il Figlio del Dio vivente" (v. 16) e questa verità è professata da Simon Pietro, che parla per primo, forse per il suo carattere un po' irruento, ma facendosi anche portavoce degli altri apostoli. 

Dio apre il suo cuore alla conoscenza della natura di Cristo per fede. Pietro non esprime una tesi "accademica" riguardo l'identità di Gesù; la sua è una confessione personale resa possibile dalla rigenerazione interiore operata dallo Spirito. Solo chi crede può comprendere la vera natura di Gesù di Nazaret. 

Simone riceve un nuovo nome, "Pietro", "roccia", diventando il padre della Chiesa, l'assemblea di coloro che si riuniscono nel nome di Gesù, così come Abramo, che pure ricevette un nome nuovo, divenne, con la sua fede, padre di tuti i credenti. Le parole dette da Gesù a Pietro attestano che la Chiesa non è una mera istituzione umana ma è fondata sulla fede nel Cristo. Con la sua confessione di fede Pietro pone la pietra fondativa di questa costruzione divina.

A capo della Chiesa, proprio in quanto istituzione soprannaturale, vi è Cristo stesso, come testimonianto da numerosi passi neotestamentari (At 4,11; 1 Cor 11, Ef 5,23), da Gesù in prima persona (Mt 21,41) e da Pietro nella sua prima epistola: "Onore dunque a voi che credete; ma per gli increduli la pietra che i costruttori hanno scartato è divenuta la pietra angolare" (1 Pt 2,7). 

Significativo è anche l'utilizzo dell'aggettivo possessivo, "la mia Chiesa" (gr. mou ten ekklesian) da parte di Gesù, a sottolineare che egli ne è il costruttore, proprietario e Signore. La Chiesa non è la chiesa di Pietro, la chiesa di qualche particolare confessione cristiana, ma è la Chiesa di Cristo. Così afferma l'apostolo Paolo: "Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: 'Io sono di Paolo', 'Io invece sono di Apollo', 'E io di Cefa', 'E io di Cristo!'. Cristo è stato forse diviso? Forse Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati?" (1 Cor 1,12-13). 

Gesù rappresenta gli inferi come una fortezza cinta da mura, le cui "porte" simboleggiano il potere della morte, l'arma definitiva di Satana, dalla quale la Chiesa sarà preservata. Anche il sangue dei martiri, infatti, lungi dall'indebolire la Chiesa, sarà seme di nuovi credenti. 

"Legare" e "sciogliere" equivalgono a "proibire" e "permettere". Questo potere conferito a Pietro lo costituisce garante dell'insegnamento di Gesù nella Chiesa. Inteso come possibilità di rimettere i peccati, il potere di "legare" e "sciogliere" va considerato alla luce di quanto poco più avanti affermato da Gesù (Mt 18,15-18), dove la stessa autorità è riconosciuta a tutti i discepoli e la possibilità di allontanare un peccatore dalla Chiesa è affidata all'assemblea: "se non ascolterà neanche l'assemblea sia per te come un pagano e un pubblicano" (Mt 18,17). 

Il giudizio dell'assemblea non potrà essere arbitrario, ma fondato sulla Parola di Dio, della quale gli apostoli sono depositari, custodi e annunciatori. L'autorità della Chiesa nel corso della storia dovrà dunque fondarsi sulla dottrina apostolica, come testimoniata dalle Scritture. Il giudice non fa la legge ma dichiara ciò che ne è conforme. 

Anche a noi è dato di dischiudere i segreti del Regno agli uomini, nella misura in cui resteremo fedeli all'insegnamento del vangelo. Saremo allora beati come Pietro (v. 17) e fonte di beatitudine per chi incontreremo sul nostro cammino.

Preghiera

Signore Gesù Cristo, noi ti riconosciamo come Figlio del Dio vivente e pastore della tua Chiesa; edificaci in essa come pietre vive, per testimoniare la tua gloria. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 21 febbraio 2025

Pier Damiani. Dotto eremita e riformatore della Chiesa

Nei calendari romano e ambrosiano si fa oggi memoria di Pietro (Pier) Damiani, eremita e vescovo nell'XI secolo. Pietro nacque a Ravenna nel 1007. Rimasto orfano in tenera età, egli compì gli studi classici a Faenza e a Parma grazie all'aiuto del fratello Damiano, del quale, in segno di riconoscenza, assumerà il suo secondo nome. Cresciuto in mezzo ai fermenti dell'eremitismo sviluppatisi attorno alla figura di Romualdo, Pietro entrò non ancora trentenne nell'eremo di Fonte Avellana, di cui in seguito divenne priore e per il quale scrisse anche una regola. 

Negli anni avellaniti egli compose tra l'altro la Vita del beato Romualdo, documento di fondamentale importanza per la conoscenza degli ideali monastici nell'XI secolo. Uomo di straordinario vigore, tendente all'estremo in tutte le sue attività, egli riuscì a contemperare nella propria vita una forte passione per la vita solitaria, di cui è forse il più convinto teorizzatore in occidente, e un impegno ecclesiale e politico che lo portò a girare l'Europa per fungere da paciere in situazioni difficili fra papi, vescovi, monaci e regnanti di ogni sorta. Pier Damiani si batté dapprima con parole veementi per la riforma dei costumi corrotti del clero; poi, eletto vescovo di Ostia e cardinale attorno al 1057, si mostrò un uomo di misericordia e di perdono, capace di accondiscendere alle debolezze altrui al fine di ricomporre i conflitti e acquietare le tensioni.

Pur rinunciando al cardinalato dopo pochi anni per ritrovare la libertà e la pace, egli non cessò di compiere missioni conciliatrici ovunque ve ne fosse bisogno. Morì a Faenza, la notte tra il 22 e il 23 febbraio del 1072, di ritorno dall'ennesima missione a servizio della pace. Le sue spoglie mortali riposano nella cattedrale di Faenza.

Tracce di lettura

Chi darà una fontana di lacrime ai miei occhi? Velatevi, o mie pupille, nel pianto: guai a me che sono caduto!
Le gocce del mare, l'arena del lido, non uguagliano la moltitudine dei miei peccati: essi sono più delle stelle e delle piogge, pesano più delle montagne.
Sono indegno di vedere il cielo coi miei occhi, non merito di pronunciare con le mie labbra il nome di Dio. Mi sforzo al pianto, ma il cuore resta di pietra. Insisto nella preghiera, ma lo spirito si perde altrove. Cerco la luce, ed ecco giungono le tenebre della mia mente perversa. Io piango questa mia povera anima ferita: tu che morendo annientasti l'impero della morte, risuscitala! Per le tue viscere di misericordia, ti prego: liberami dai lacci del peccato. Merito sdegno: largiscimi perdono, o fonte di pietà. Fammi sempre obbediente ai tuoi comandi, e guidami alla vita celeste, tu che con il Padre e con lo Spirito santo tutto disponi nelle nostre vite. (Pier Damiani, Carmi )

- Dal Martirologio ecumenico della comunità monastica di Bose

Pier Damiani (1007-1072)

giovedì 20 febbraio 2025

Fermati 1 minuto. La verità, lontano dalle chiacchiere della gente

Lettura

Marco 8,27-33

27 Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: «Chi dice la gente che io sia?». 28 Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti». 29 Ma egli replicò: «E voi chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». 30 E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno.
31 E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. 32 Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. 33 Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».

Commento

La "confessione di Pietro" rappresenta in Marco l'episodio di svolta del ministero pubblico di Gesù. La gente lo considera un profeta o il Battista redivivo; i discepoli, invece, il Cristo, ma questa identità non deve essere rivelata per evitare confusione con le erronee concezioni del tempo riguardanti la natura del ministero messianico.

Come emerge da altri passi del Nuovo testamento, Pietro si fa portavoce dei Dodici (v. 29). La parola greca christos è l'equivalente dell'ebraico "messia", il "consacrato" da Dio, salvatore dell'umanità.

Gesù introduce i Dodici alla realtà del messianismo sofferente del Cristo (v. 31), in contrasto con l'immagine trionfalistica tradizionale nell'ebraismo e con l'attesa dell'Israele del tempo di un liberatore dal giogo romano.

Gli "anziani" (v. 31) che riproveranno Gesù sono i membri del Sinedrio, che era composto da 71 tra anziani, sommi sacerdoti e scribi, con a capo il sommo sacerdote. I tre giorni che precedono la risurrezione di Cristo richiamano una interpretazione profetica dei tre giorni di Giona nel ventre della balena (Gio 1,17; 2,10) e le parole di Osea: «Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza» (Os 6,1-2).

Pietro non si rassegna ad accettare il cammino della croce intrapreso da Gesù, e viene da questi paragonato a un tentatore, che non vuole scegliere la via divina, sulla quale deve mettersi il vero discepolo, ma quella umana. Satana è nel Nuovo Testamento sinonimo di diavolo, ed è chiamato con questo appellativo 35 volte. La sua etimologia ebraica significa "accusatore", "avversario", "calunniatore". La prospettiva di una gloria senza croce era stata da lui offertà a Gesù durante le tentazioni nel deserto.

La persona di Gesù interpella ogni uomo di ieri, di oggi e di domani. Chi diciamo che egli sia? Un personaggio importante, buono, carismatico? Oppure c'è qualcosa di più in lui? La risposta che daremo ci aiuterà a scoprire non solo la sua, ma anche la nostra identità e la direzione da dare alla nostra vita, presente e futura.

La verità si trova lontano dalle chiacchiere della gente. Le Scritture, la tradizione e la ragione ci restituiscono un'immagine di Dio, ma senza l'esperienza personale dell'incontro con lui la nostra vita non potrà lasciarsi ispirare dalla novità del vangelo, conformandosi all'icona del Figlio, in cui abita tutta la pienezza della divinità (Col 2,9).

Preghiera

Aiutaci a riconoscerti, Signore, non solo nella tua immagine di gloria, ma anche nel volto di ogni uomo sofferente; affinché possiamo incamminarci dietro di te e trovare la vita donando la vita. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 19 febbraio 2025

Fermati 1 minuto. Il dono della luce

Lettura

Marco 8,22-26

22 Giunsero a Betsàida, dove gli condussero un cieco pregandolo di toccarlo. 23 Allora preso il cieco per mano, lo condusse fuori del villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: «Vedi qualcosa?». 24 Quegli, alzando gli occhi, disse: «Vedo gli uomini, poiché vedo come degli alberi che camminano». 25 Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente e fu sanato e vedeva a distanza ogni cosa. 26 E lo rimandò a casa dicendo: «Non entrare nemmeno nel villaggio».

Commento

La guarigione graduale del cieco probabilmente ha lo stesso scopo di suscitare la fede della guarigione del sordomuto, narrata da Marco poco prima nel suo Vangelo. Alcuni esegeti hanno visto in queste guargioni un'immagine della progressiva illuminazione dei discepoli nei confronti della missione salvifica di Gesù.

I farisei che chiedono un "segno" per mettere Gesù alla prova sono lasciati nella loro cecità: la guarigione avviene infatti "fuori del villaggio" (v. 23). La lontananza dal centro abitato mostra anche che certi miracoli si realizzano solo in un rapporto intimo con Dio, lontano dai rumori e dagli abbagli del mondo, nella solitudine abitata dalla sua presenza. 

Questa volta la guarigione non avviene tramite la parola, ma mediante un sobrio rituale che comprende l'imposizione delle mani. Gesù si rende presente a quest'uomo che non può vederlo, entrando in contatto con lui per mezzo del senso del tatto. Il Signore conosce le vie attraverso le quali raggiungerci, anche quando l'oscurità ci separa da lui.

L'uomo riacquista progressivamente la vista in due fasi. Inizialmente vede delle figure umane in modo confuso e incerto (v. 24). Il fatto che il cieco affermi di vedere uomini "come degli alberi che camminano" attesta che egli non sia stato privo della vista dalla nascita. Riconosce qualcosa di ciò che poteva vedere prima della sua infermità. Così anche l'anima riacquista coscienza del suo stato antecedente la caduta in maniera non sempre subitanea, ma inizialmente solo con una vaga reminescenza.

Gesù deve agire di nuovo per sanare il cieco completamente (v. 25). Il Signore nel ridonarci la vista vuole che ci vediamo in maniera perfetta, che giungiamo alla comprensione piena di ciò che la fede ci mostra. Il suo intervento ci permette di aprire gli occhi alla contemplazione della sua gloria ma anche di vedere negli uomini non degli "alberi", esseri quasi inanimati, ma creature a sua immagine.

A volte l'intervento della grazia nelle nostre vite non è una luce che irrompe all'improvviso, ma come l'acqua che lentamente penetra in una stanza chiusa da sotto la porta.

Preghiera

Alla tua luce vediamo la luce, Signore; aiutaci a penetrare i tuoi santi misteri, per crescere nella contemplazione della tua gloria e riconoscerti nell'uomo plasmato a tua immagine e somiglianza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 18 febbraio 2025

Fermati 1 minuto. L'unico pane che basta a saziarci

Lettura

Marco 8,14-21

14 Ma i discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un pane solo. 15 Allora egli li ammoniva dicendo: «Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!». 16 E quelli dicevano fra loro: «Non abbiamo pane». 17 Ma Gesù, accortosi di questo, disse loro: «Perché discutete che non avete pane? Non intendete e non capite ancora? Avete il cuore indurito? 18 Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, 19 quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Dodici». 20 «E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Sette». 21 E disse loro: «Non capite ancora?».

Commento

Gesù è salito in barca con i suoi discepoli per dirigersi da Dalmanùta verso Betsaida. Ha appena discusso con i farisei, i quali gli chiedevano un segno dal cielo. I discepoli si sono imbarcati dimenticando di fare provviste e hanno con se un pane solo. Gesù, che forse sta ancora pensando a quanto accaduto, li esorta a guardarsi "dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode" (v. 15). 

I discepoli iniziano a discutere fra loro per il fatto di non avere pane. Il verbo greco dielogízonto indica una vera e propria disputa. Probabilmente iniziano a darsi la colpa l'un l'altro. 

Nella Bibbia il simbolo del lievito è usato sia per indicare gli influssi positivi (Mt 13,33) che, più frequentemente, quelli negativi. Il "lievito" dei farisei comprende i loro falsi insegnamenti e il loro comportamento ipocrita. Il "lievito" di Erode Antipa rappresenta la sua condotta immorale. Farisei ed erodiani, sebbene contrapposti a livello ideologico, erano uniti dal sentimento di avversione nei confronti di Gesù. 

Le cinque domande rivolte da Gesù ai discepoli sono un ammonimento per non avere compreso il senso delle sue parole preoccupandosi degli aspetti materiali, per i quali egli può senz'altro provvedere. I discepoli ricordano bene il miracolo dei cinque pani moltiplicati per i cinquemila e quello dei sette pani moltiplicati per i quattromila, ma non ne hanno compreso il significato. Forse dubitano che un altro miracolo possa compiersi avendo un solo pane. Vorrebbero "una scorta" di pani per sentirsi tranquilli e dimenticano la raccomandazione di Gesù di viaggiare senza borsa né bisaccia (Lc 10,4). 

I discepoli si lamentano di avere un solo pane ma non si accorgono di avere con sé Gesù, il pane vivo disceso dal cielo (Gv 6,51), che sazia la nostra fame di senso e di felicità. 

Dobbiamo guardarci affinché le nostre preoccupazioni presenti non ci facciano dimenticare i benefici ricevuti da Dio, la sua sollecitudine verso le nostre necessità corporali e spirituali; al contempo dobbiamo farci noi stessi pane, come Gesù, per il nostro prossimo, supplendo alle sue necessità. 

La presenza vivificante del lievito buono dello Spirito non ci scivoli addosso nelle nostre giornate, ma penetri nel profondo del cuore e ci trovi consapevoli dell'azione della grazia: "Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tanti suoi benefici" (Sal 102,2). 

Preghiera

Moltiplica in noi la tua grazia Signore, affinché possiamo crescere nella comunione con te e nella condivisione dei tuoi beni con il nostro prossimo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Il Beato Angelico. Dipingere la bellezza del vangelo

Nel 1455 si spegne, nel convento romano di Santa Maria sopra Minerva, fra' Giovanni di San Domenico, religioso domenicano passato alla storia come il Beato Angelico. Fra' Giovanni, che prima di entrare dai frati domenicani si chiamava Guido di Piero, era nato verso la fine del XIV secolo nei pressi di Firenze, in una famiglia poverissima. Entrato molto giovane nella Compagnia di San Niccolò, una confraternita fiorentina, il giovane Guido si era presto segnalato per le precoci e straordinarie doti di pittore. Stimato dai contemporanei per la dolcezza e la semplicità, Guido avvertì il bisogno di contribuire con tutta la sua vita al rinnovamento evangelico nella chiesa del suo tempo. Egli entrò così nel convento domenicano di Fiesole, appartenente all'ala riformatrice dell'Ordine, e prestò il suo servizio di predicatore discreto e silenzioso, di teologo e di poeta. Ma fu soprattutto grazie ai suoi dipinti che il Beato Angelico seppe realizzare l'armonia tra la nascente arte rinascimentale e la purezza di cuore di un vero cercatore di Dio. Frate domenicano, cercò di saldare i nuovi principi pittorici, come la costruzione prospettica e l'attenzione alla figura umana, con i vecchi valori medievali, quali la funzione didattica dell'arte e il valore mistico della luce.
Come ebbe a dire Michelangelo, fu la sua opera a fargli «meritare il cielo, per poter contemplare tutta la bellezza da lui raffigurata sulla terra». Dal 1438 fra' Giovanni si stabilì nel convento fiorentino di San Marco, di cui sarà più tardi nominato priore, assieme a tre confratelli pittori. In esso l'Angelico e i suoi compagni ci hanno lasciato una delle espressioni più pure e sobrie dell'arte religiosa rinascimentale.
Chiamato a Roma dai primi papi umanisti, fra' Giovanni morì nel convento del Maestro generale dell'Ordine. Del suo sepolcro marmoreo, un onore eccezionale per un artista a quel tempo, è ancora oggi visibile la lastra tombale, vicino all'altare maggiore.

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

lunedì 17 febbraio 2025

Janani Luwum e i martiri dell'Uganda. Il coraggio della parola

Janani Luwum nacque nel 1922 ad Acholi, in Uganda. Figlio della prima generazione di cristiani ugandesi, convertiti dai missionari britannici, da ragazzo aveva fatto, come tutti i suoi fratelli, il pastore delle pecore e delle capre che appartenevano alla sua famiglia di contadini.
Il giovane Janani, tuttavia, mostrò una tale propensione all'apprendimento che gli fu offerta la possibilità di studiare e di diventare insegnante. A 26 anni divenne cristiano, e nel 1956 fu ordinato presbitero della locale chiesa anglicana. Eletto vescovo dell'Uganda settentrionale nel 1969, fu nominato arcivescovo dell'Uganda cinque anni più tardi, quando già infuriava il regime dittatoriale del generale Idi Amin. Luwum cominciò a esporsi pubblicamente, contestando la brutalità della dittatura e facendosi portavoce del malcontento dei cristiani ugandesi e di larghe fasce della popolazione.
Nel 1977, di fronte al moltiplicarsi delle stragi di stato, l'opposizione dei vescovi si fece palese e vibrante. Il 17 febbraio, pochi giorni dopo che Idi Amin aveva ricevuto una dura lettera di protesta firmata da tutti i vescovi anglicani, il regime annunciò che Luwum era stato trovato morto in un incidente d'auto assieme a due ministri del governo ugandese. Alla moglie che insisteva perché non si recasse all'incontro con il dittatore, Luwum aveva detto, poche ore prima di morire: «Sono l'arcivescovo, non posso fuggire. Che io possa vedere in quanto mi accade la mano del Signore».

Tracce di lettura

Un dottore, che aveva visto i corpi delle tre vittime durante il cambio della guardia, confermò che tutti e tre erano stati uccisi. Poi emersero alcuni dettagli sulle ultime ore dell'arcivescovo. Egli era stato preso dal centro di ricerca dello Stato, spogliato e spinto in una grande cella piena di prigionieri condannati a morte. Lo riconobbero, e uno di loro gli chiese la benedizione. Poi i soldati gli restituirono la veste e il crocifisso. Quindi tornò in cella, pregò con i prigionieri e li benedisse. Una grande pace e una grande calma scese su tutti loro, come testimoniò un sopravvissuto. Si dice anche che cercassero di fargli firmare una confessione. Altri hanno testimoniato che egli pregava a voce alta per i suoi carcerieri quando venne ucciso. (Dal racconto di un testimoni )

- Dal Martirologio ecumenico della comunità monastica di Bose

I sette fondatori dell'Ordine dei Servi di Maria

La Chiesa cattolica d'Occidente celebra oggi la memoria dei sette santi fondatori dell'ordine dei Servi di Maria (Frati Serviti). Fiorentini, mercanti di lana, ricchi, i sette santi fondatori dell'Ordine dei Servi di Maria erano nati verso la fine del XII e l'inizio del XIII secolo. Amici fra di loro e appartenenti a un gruppo laico di fedeli che erano particolarmente devoti alla Vergine e che si dedicavano al servizio dei poveri e dei malati, probabilmente verso il 1240 cominciarono a vivere insieme, poco fuori Firenze, nella povertà e nella preghiera, nel desiderio di vivere una vita di penitenza.
Adottarono in seguito la regola di Agostino e, alla ricerca di maggior solitudine, si stabilirono sul monte Senario. Qui la comunità penitenziale divenne ufficialmente l'Ordine dei Servi di Maria, un ordine ispirato al genere di vita narrato nei sommari degli Atti degli Apostoli (cf. At 2,42-47; 4,32-35), con un impegno di radicale povertà, di preghiera e di lavoro. Fra i sette santi i più noti sono Bonfiglio Monaldo, primo priore di Monte Senario, e Alessio Falconieri che morì il 17 febbraio 1310, più che centenario, e fu testimone della costituzione definitiva dell'Ordine dei Servi, avvenuta nel 1304.

Tracce di lettura

Si erano abbassati nell'umiltà: come persone forti tenevano la radice dell'amore nell'impegno che si erano preposto, così che potevano dire con David: «Ti amo, Signore, mia forza». Venivano sollevati dalla speranza delle cose eterne: come persone più forti alzavano nel momento della prova il vessillo della carità, così che potevano esclamare con Giobbe: «Anche se il mio Creatore mi ucciderà, spererò in lui». E infine furono consumati dalla carità: come persone fortissime toccavano l'apice dell'amore, contenti addirittura di essere flagellati: grandissima gioia provavano a soffrire per Cristo.
(Leggenda sull'origine dell'Ordine 39)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Gesù, segno tangibile dell'amore divino

Lettura

Marco 8,11-13

11 Allora vennero i farisei e incominciarono a discutere con lui, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova. 12 Ma egli, traendo un profondo sospiro, disse: «Perché questa generazione chiede un segno? In verità vi dico: non sarà dato alcun segno a questa generazione». 13 E lasciatili, risalì sulla barca e si avviò all'altra sponda.

Commento

Di fronte alle affermazioni messianiche di Gesù i farisei, non soddisfatti dai numerosi miracoli da lui compiuti, chiedono un ulteriore segno, un prodigio di natura astronomica. Gesù, che pure ha compiuto numerosi miracoli, si rifiuta di venire incontro alla loro cecità spirituale. Il segno supremo sarà dato dalla sua risurrezione. 

I farisei non sono esauditi nella loro richiesta per tre ragioni. La loro intenzione non è retta: essi chiedono un segno sperando che Gesù non sia in grado di realizzarlo, al fine di gettare discredito su di lui e dimostrare che egli non è il Messia atteso. In secondo luogo non hanno saputo interpretare i numerosi segni offerti, dal battesimo al Giordano - dove il Padre e lo Spirito hanno reso testimonianza a Cristo - ai numerosi miracoli di guarigione e liberazione. Infine, se anche gli fosse concesso un segno ulteriore e definitivo della messianicità di Gesù i farisei non si accontenterebbero di un segno qualsiasi ma di quello che indichi Gesù come il tipo di Messia che essi aspettano: un restauratore politico di Israele e un legislatore conforme alla loro idea legalistica della religione giudaica. 

Anche noi possiamo essere tentati di chiedere a Dio di agire secondo il nostro volere per accordargli fiducia; rischiamo di chiedere segni che lungi dall'indicarci la volontà di Dio, siano una conferma delle nostre convinzioni e la realizzazione di quello che è, secondo il nostro punto di vista, il miglior bene. Ma Gesù ci ha insegnato a chiedere al Padre che sia fatta la sua volontà e ci invita ad affidarci a lui che si prende cura dell'erba dei campi, degli uccelli del cielo (Mt 6,25-34) e ancor più dei propri figli. 

Davanti all'ostinazione e all'ostilità dei farisei Gesù trae "un profondo sospiro" (v 12), letteralmente geme (gr. anastenaxas) e passa all'altra riva (v.13). È come la prefigurazione di quanto avverrà sulla croce, nel suo passaggio dalla morte alla risurrezione, quando al suo spirare saranno sconvolte le potenze del cielo e della terra (Mt 27 51) e il centurione esclamerà "Davvero costui era Figlio di Dio!" (Mt 27,54).

Preghiera

Signore Gesù Cristo, tu sei segno tangibile dell'amore del Padre. Apri inostri occhi affinché sappiamo riconoscerti per giungere alla vita eterna. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 16 febbraio 2025

Non una passeggiata ma una corsa

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA DOMENICA DI SETTUAGESIMA

Colletta

O Signore, ti supplichiamo di ascoltare con favore le preghiere del tuo popolo; affinché noi che siamo giustamente puniti per le nostre offese, possiamo essere misericordiosamente liberati dalla tua bontà, a gloria del tuo Nome: per Gesù Cristo nostro Signore, che vive e regna con te e con lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.

Letture

1 Cor 9,24-27; Mt 20,1-15

Le brevi metafore sportive utilizzate da Paolo nella sua lettera ai credenti di Corinto sono rivolte a lettori che conoscono i ginnasti greci e i giochi istmici, che si tenevano in primavera nei pressi della città, ogni due anni.

Come rappresentato da Paolo, vivere e annunciare il vangelo di Cristo non è una facile passeggiata ma "una corsa", nella quale si può risultare vincitori solo mediante l'abnegazione e lo sforzo continuo, la fatica e il sudore. Se imiteremo Gesù non rischieremo di restare a mezza via.

Paolo presenta il controllo di sé come necessario "per la vittoria"; il suo scopo è di conquistare alla salvezza i destinatari del suo apostolato. Poco prima, infatti, aveva richiamato la scelta di svolgere il suo ministero senza nulla chiedere in cambio (1 Cor 9,12-14) e il suo essersi fatto "servo di tutti" (1 Cor 9,19). Anche il controllo dei suoi impulsi serve a non consentire che essi lo distolgano dall'attività pastorale.

È necessario notare che Paolo non adoperava né flagellazioni, né "macerazioni"; per ridurre il proprio corpo a docile strumento dello Spirito, gli bastavano la sobrietà, il lavoro manuale con cui si manteneva da vivere e le fatiche e privazioni della sua vita missionaria. A tal proposito l'Apostolo afferma nella sua lettera ai Colossesi: "Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché, come se viveste nel mondo, vi lasciate imporre dei precetti quali: «Non toccare, non assaggiare, non maneggiare» (tutte cose destinate a scomparire con l'uso), secondo i comandamenti e le dottrine degli uomini? Quelle cose hanno, è vero, una reputazione di sapienza per quel tanto che è in esse di culto volontario, di umiltà e di austerità nel trattare il corpo, ma non hanno alcun valore; servono solo a soddisfare la carne" (Col 2,20-23).

La fatica laboriosa del credente è richiamata nella parabola degli operai mandati nella vigna. La paga di coloro che se ne stavano nella piazza senza far nulla non viene stabilita in anticipo, diversamente dai primi chiamati, ai quali è stato promesso un denaro. Gli operai della parabola che iniziano a lavorare in ritardo si mostrano, dunque, volenterosi, perché accettano l'impiego senza negoziare il proprio compenso.

Quando il padrone della vigna retribuisce i suoi operai comincia dagli ultimi, così che i primi hanno modo di sapere quanto è stato loro dato. Gli operai della prima ora rappresentano l'Israele che si appella alla propria obbedienza alla legge come diritto di ricevere una paga superiore agli "operai dell'ultima ora", cioè ai pagani, ai quali ora è stata estesa la salvezza. 

Tutti ricevono un uguale compenso perché tutti vengono salvati per grazia, e non per le opere della legge. Il padrone della vigna non è ingiusto, ma generoso.

Gesù ci esorta a non restare con le mani in mano, ma a partecipare attivamente alla nuova creazione, e a rallegrarci con lui ogni volta che si aggiungono braccia volenterose nella sua vigna; perché "ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione" (Lc 15, 7).

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 14 febbraio 2025

Cirillo e Metodio. Tutte le lingue lodino il Signore

Fratelli originari di Tessalonica, Cirillo e Metodio abbracciarono la vita monastica in un monastero della Bitinia.
Nell'862 furono inviati dal patriarca di Costantinopoli a evangelizzare la Moravia e la Pannonia. Essi iniziarono la loro opera traducendo il vangelo e la liturgia in lingua slava e utilizzando, per scriverli, un alfabeto a 38 lettere inventato da Cirillo.
Il papa Adriano II li chiamò allora a Roma, approvò la loro opera di predicazione e nominò Metodio arcivescovo di Moldavia e Pannonia.
Cirillo morì a Roma il 14 febbraio dell'869. Metodio continuò il suo apostolato, subendo la forte pressione delle popolazioni germaniche che cercavano di estendere il loro dominio sui territori orientali e che si opponevano all'uso dello slavo nella liturgia, ma non si scoraggiò mai, anche se dovette, a un certo momento, esercitare il suo apostolato quasi di nascosto.
Egli morì nell'885. Nel 1976 il corpo di Cirillo, sepolto a Roma, è stato restituito alla sua città natale, Tessalonica, e nel 1980 Cirillo e Metodio sono stati proclamati dalla chiesa cattolica patroni d'Europa, insieme a Benedetto da Norcia.

Tracce di lettura

A Venezia, si radunarono contro Cirillo vescovi e preti e monaci, e dicevano: «Noi non conosciamo che tre lingue nelle quali è lecito lodare Dio: l'ebraico, il greco e il latino». Ma egli rispose: «Non vi vergognate di fissare tre sole lingue, decidendo che tutti gli altri popoli e stirpi restino ciechi e sordi?
Ringrazio Dio di parlare più lingue di voi tutti, ma in chiesa preferisco pronunciare cinque parole che esprimono ciò che penso, in modo da istruire anche gli altri, piuttosto che diecimila in una lingua per loro sconosciuta. Fratelli, ogni lingua deve poter confessare che Gesù Cristo è Signore, a gloria di Dio Padre». (Vita di Cirillo 16)

Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Una Chiesa missionaria e con un bagaglio leggero

Lettura

Luca 10,1-9

1 Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2 Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. 3 Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4 non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. 5 In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. 6 Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7 Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa. 8 Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, 9 curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio.

Commento

L'invito di Gesù a pregare affinché Dio mandi operai nella sua messe (v. 2) sta a indicare che Dio solo è qualificato a conferire questo mandato, proprio come nella sua veste regale e messianica Gesù lo conferisce ai settantadue inviati. In alcuni manoscritti il numero dei discepoli è di settanta, forse a indicare i settanta anziani nominati da Mosè. 

L'immagine degli agnelli in mezzo ai lupi si riferisce all'ostilità e ai pericoli che i discepoli troveranno durante la loro missione. Viaggiando in coppia potranno sostenersi l'un l'altro. Data l'urgenza del compito e l'impegno richiesto ai missionari, l'invito è di evitare di perdersi dietro i beni materiali e le formalità dei saluti "lungo la strada" (v. 4). Nella cultura del tempo il saluto di una persona prevedeva un elaborato cerimoniale, con molte formalità, come la condivisione di un pasto o una lunga sosta. Il discepolo deve evitare l'attaccamento alle cose e agli intrattenimenti terreni, dando sempre la priorità all'attività di missionaria. 

Le parole di Gesù sono pervase di un senso escatologico, attestando la scarsità del tempo a disposizione. Coloro che portano l'annuncio di salvezza viaggiano con passo spedito. I discepoli dovranno entrare nelle case (v. 5) e non  predicare nelle sinagoghe. Il messaggio che portano non è rinchiuso negli steccati della religiosità formalizzata e sedentaria del giudaismo farisaico. La Chiesa di Cristo, come attestano anche gli Atti degli apostoli (cfr. At 20,42; 5,20) muove i suoi primi passi come assemblea profetica e domestica. Il vangelo entra nella vita quotidiana e familiare di coloro che lo ricevono, i "figli della pace" (v. 6). 

Il comando ai discepoli di mangiare quello che sarà loro messo davanti indica che è abrogata ogni distinzione tra cibi puri e impuri. Condividere il pasto è nel mondo antico un'espressione di intima amicizia. Cibandosi di quel che gli sarà offerto il vero discepolo "si fa tutto a tutti" proprio come testimonierà successivamente l'apostolo Paolo: "mi sono fatto greco con i greci, giudeo con i giudei, mi sono adattato a tutte le situazioni, per salvare ad ogni costo qualcuno" (1 Cor 9,19-22). 

Senza il timore di scontrarsi con le forze contrarie del mondo, il messaggio evangelico è capace di adattarsi, "mettendosi a tavola" con l'uomo di ogni luogo e di ogni tempo.

Preghiera

Ti preghiamo Signore, di suscitare nella tua Chiesa operai volenterosi, per portare la benedizione del tuo messaggio di salvezza ad ogni uomo. Amen.

- Rev Dr. Luca Vona

giovedì 13 febbraio 2025

Giordano di Sassonia, propagatore degli ideali evangelici

I domenicani ricordano oggi Giordano di Sassonia, biografo di Domenico di Guzman e suo successore alla guida dell'Ordine dei predicatori.

Giordano era nato a Burgberg, in Sassonia, attorno al 1185, e si era trasferito a Parigi per studiare teologia in questa città. A seguito dell'incontro con Domenico, la sua vita cambiò profondamente. Un anno più tardi, Giordano entrò nell'Ordine domenicano insieme a Enrico di Colonia, suo carissimo amico.

Alla morte di Domenico, Giordano di Sassonia assunse la guida dell'Ordine, consolidando e diffondendo ovunque l'attività dei Predicatori. Nel corso del suo ministero il numero dei conventi e dei frati venne decuplicato, si giunse a formulare le Costituzioni e a fornire un assetto stabile alla vita domenicana, in anni di grande fermento e instabilità spirituale.

Giordano, uomo di profonda serenità e grande propagatore degli ideali evangelici che avevano guidato la vita e l'azione di Domenico, ebbe tra l'altro il merito di fornirci nel suo Libro sulle origini dei frati predicatori una delle rare vite di fondatori equilibrate e prive degli eccessi agiografici tipici dell'epoca medioevale.

Egli morì naufrago, mentre tornava dalla Terra Santa, da una delle sue frequenti visite alle province dell'Ordine, il 13 febbraio del 1237.

Tracce di lettura

Cara sorella, è stato il tuo desiderio che ti ha spinta a scrivermi, e io dunque ti dirò qualcosa a proposito del santo desiderio.
Carissima, il desiderio degli antichi padri invitò il tuo Sposo, Cristo Figlio di Dio, a venire a soffrire, ed egli venne. Invitato dai tuoi desideri alle tue gioie, come potrà non venire? Innalza tutti i tuoi desideri verso il cielo.
Se vuoi imparare una lingua spirituale, vivi con il desiderio dei paesi del cielo, in modo che se avrai occasione di leggere un libro dal contenuto spirituale o ascoltare un predicatore, tu li possa comprendere. Il senso delle cose spirituali non può essere compreso da chi non è mai stato nelle regioni dello spirito. (Giordano di Sassonia, Lettere)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Giordano di Sassonia, affresco del Beato Angelico

Fermati 1 minuto. Briciole preziose

Lettura

Marco 7,24-30

24 Poi Gesù partì di là e se ne andò verso la regione di Tiro. Entrò in una casa e non voleva farlo sapere a nessuno; ma non poté restare nascosto, 25 anzi subito, una donna la cui bambina aveva uno spirito immondo, avendo udito parlare di lui, venne e gli si gettò ai piedi. 26 Quella donna era pagana, sirofenicia di nascita; e lo pregava di scacciare il demonio da sua figlia. 27 Gesù le disse: «Lascia che prima siano saziati i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini». 28 «Sì, Signore», ella rispose, «ma i cagnolini, sotto la tavola, mangiano le briciole dei figli». 29 E Gesù le disse: «Per questa parola, va', il demonio è uscito da tua figlia». 30 La donna, tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto: il demonio era uscito da lei.

Commento

Gesù si trova di passaggio in territorio pagano e cerca un momento di riposo dal suo ministero. Spesso nei Vangeli lo vediamo cercare ristoro sostando in luoghi deserti, o su un monte; questa volta si ritira in una casa privata. Ma Gesù non può restare nascosto, perché non è una candela posta sotto il moggio, così lo viene subito a cercare una donna, straniera di etnia e di religione, la cui figlia è afflitta da uno spirito maligno. 

Gesù risponde impiegando l'immagine dei cagnolini, ai quali si può dare da mangiare solo dopo avere sfamato i figli e sottolinea così la precedenza degli Israeliti sui pagani come destinatari del suo ministero. Ma lo scopo è anche quello di testare la fede della donna, la quale, gettata ai suoi piedi, esprime la propria indegnità, ma non desiste dalla sua richiesta. 

Anche a noi può capitare di avere l'impressione di non essere ascoltati da Dio; è quello il momento di accrescere in noi l'umiltà e di rinnovare la fiducia, consapevoli che il nostro senso di inadeguatezza non può diminuire la speranza nella sua bontà.

Come il servo del centurione, la figlia della siro-fenicia viene guarita a distanza. Lo Spirito del Signore non è costretto in un luogo, ma abbraccia il mondo intero; la sua provvidenza e la sua misericordia ci raggiungono lì dove siamo, così come siamo, nel momento del bisogno. 

Questo miracolo di guarigione spirituale ci incoraggia a perseverare nella preghiera, non dubitando di poter prevalere alla fine se ciò che chiediamo è giudicato da Dio profittevole per il nostro bene; egli che apre la sua mano e sazia ogni vivente (Sal 144,16) non ci negherà quelle preziose briciole che nutrono i suoi figli come gli uccelli del cielo. 

E se le briciole sono così preziose e realizzano tali prodigi, come saranno quella mensa e quel calice traboccante (Sal 22,5) che il Signore prepara per noi nei cieli?

Preghiera

Apri la tua mano, Signore, e saziaci con la tua grazia; affinché liberati da ogni male possiamo diventare tempio del tuo Spirito. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona