Tracce di lettura
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Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto
Ministro della Christian Universalist Association
Ministro della Christian Universalist Association
martedì 31 gennaio 2023
Marcella e il monachesimo domestico
Tracce di lettura
Fermati 1 minuto. Strappare la salvezza
domenica 29 gennaio 2023
Ciò che la sola legge non può dare
sabato 28 gennaio 2023
Tommaso d'Aquino. Rendere ragione della speranza
Nel 1274, mentre si sta recando al concilio di Lione, muore nei pressi dell'abbazia di Fossanova Tommaso d'Aquino, frate domenicano.
Nato nei pressi di Aquino, vicino a Napoli, Tommaso entrò a circa diciotto anni nell'Ordine dei predicatori. Discepolo di Alberto Magno a Colonia e a Parigi, egli insegnò in queste città e poi a Roma, Bologna e Napoli. Tommaso fu autore di una considerevolissima opera teologica, che lasciò incompiuta, e fu con Bonaventura il più grande pensatore cristiano d'occidente del XIII secolo.
San Tommaso d'Aquino (1224/25-1274), affresco del beato Angelico, Museo nazionale di San Marco, Firenze |
Efrem di Nisibi o il Siro, diacono e innografo
venerdì 27 gennaio 2023
Fermati 1 minuto. Hai mai colto l'attimo in cui una pianta cresce?
giovedì 26 gennaio 2023
Fermati 1 minuto. Gli abbagli del mondo e la luce di Cristo
mercoledì 25 gennaio 2023
La conversione di Paolo, afferrato dalla misericordia
Fermati 1 minuto. Il dovere e la grazia dell'annuncio
Lettura
Marco 16,15-18
15 Gesù disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. 16 Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. 17 E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, 18 prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Commento
Gesù, che in precedenza aveva chiesto agli apostoli di predicare il vangelo della salvezza alle pecore perdute della casa di Israele (Mt 10,5-6; 15,24), estende ora questa missione nei confronti del mondo intero (v. 15). Undici apostoli non potranno da soli adempiere a un compito così grande, ma insieme ai settandadue discepoli e ad altri che si aggiungeranno loro di generazione in generazione, getteranno il seme del vangelo verso i quattro angoli della terra.
Il "grande mandato" è simile nei Vangeli di Matteo e Marco. Attraverso il battesimo si entra nella Chiesa, la comunità di Gesù-risorto, e la funzione della Chiesa è di evangelizzare "ogni creatura" (v. 15).
I miracoli, che all'inizio della predicazione di Gesù sono stati "segni" per suscitare la fede, divengono ora espressione del regno di Dio che si fa strada nella storia. Quella che viene delineata da Gesù e un'umanità riconciliata: la pacifica convivenza con i serpenti velenosi, la capacità di affrancare dagli influssi del male, la ritrovata comprensione senza che si perda la ricchezza delle differenze, sono i segni di un cielo nuovo e di una terra nuova (Ap 21,1), promessi dal Risorto nel nuovo patto siglato sulla croce.
Pur coltivando il dialogo tra fedi e culture differenti, nella solidarietà suscitata dalla comune natura umana e nel riconoscimento della diversità come benedizione, non può essere trascurata l'urgenza e la responsabilità dell'annuncio evangelico: "guai a me se non predicassi il vangelo!" eslama l'apostolo Paolo (1 Cor 9,16), afferrato dalla misericordia del Risorto.
Annunciare Cristo significa partecipare alla sua missione sacerdotale, per liberare l'uomo da ciò che lo rende schiavo, non lasciarsi danneggiare dalla malvagità di questo mondo ma saperne curare e guarire le ferite.
Preghiera
Rinnova in noi, Signore, il fervore per l'annuncio della tua Parola; affinché possiamo essere dispensatori della tua grazia che salva e guarisce. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona
lunedì 23 gennaio 2023
Fermati 1 minuto. Il discernimento che origina dalla purezza di cuore
domenica 22 gennaio 2023
Il ministero della felicità
venerdì 20 gennaio 2023
Fermati 1 minuto. Plasmati secondo la sua volontà
giovedì 19 gennaio 2023
Assidui e concordi nella preghiera. Commento al Salterio - Salmo 17,17-51
Fermati 1 minuto. Lasciare spazio per comprendere
Lettura
Marco 3,7-12
7 Gesù intanto si ritirò presso il mare con i suoi discepoli e lo seguì molta folla dalla Galilea. 8 Dalla Giudea e da Gerusalemme e dall'Idumea e dalla Transgiordania e dalle parti di Tiro e Sidone una gran folla, sentendo ciò che faceva, si recò da lui. 9 Allora egli pregò i suoi discepoli che gli mettessero a disposizione una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero. 10 Infatti ne aveva guariti molti, così che quanti avevano qualche male gli si gettavano addosso per toccarlo. 11 Gli spiriti immondi, quando lo vedevano, gli si gettavano ai piedi gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». 12 Ma egli li sgridava severamente perché non lo manifestassero.
Commento
Il ritirarsi di Gesù presso il lago di Gennesaret, che segna il confine con i territori pagani, indica la sua definitiva rottura con la sinagoga e l'apertura del suo messaggio a tutti i popoli. Le folle che lo seguono testimoniano la sua grande fama, nonostante l'ostilità dei farisei e degli erodiani.
La folla è tale che rischia di schiacciare Gesù, le persone si gettano addosso a lui, come indica il verbo greco thlibo, il cui significato è stringere creando un senso di oppressione. Gesù "si difende" salendo su una barca. A volte anche chi ha fede costringe Dio dentro categorie che ne fanno quasi un "idolo", con una devozione che guarda solo alla ricerca del miracolo.
Gesù ha pietà anche di queste folle di uomini "semplici" e afflitti. I mali da cui cercano la guarigione coloro che si gettano addosso a lui sono letteralmente "piaghe" (gr. mastigas), termine con il quale si indicavano diverse patologie, ma che può essere inteso anche con il significato di "correzione, castigo". Come le piaghe inviate agli egiziani e quelle descritte nel libro dell'Apocalisse, si tratta di mali inviati da Dio per sollecitare il ravvedimento.
I demòni riconoscono l'identità di Gesù, ma pur temendola, non si sottomettono ad essa. Dio ci chiama a stabilire una relazione con lui, a crescere nella carità e non solo nella conoscenza intellettuale del suo mistero. Per quanto ricca possa essere la nostra cultura teologica non varrà a niente se l'ortoprassi non sarà all'altezza dell'ortodossia.
Gesù riprende i demòni, intimandogli di non rivelare la sua identità; egli vuole essere accolto dagli uomini non per la testimonianza degli spiriti maligni ma per le proprie opere e per le proprie parole, che proclamano chiaramente chi egli è. Per questo ristabilisce una distanza dalle moltitudini; una distanza piena di sollecitudine, ma in grado di lasciare spazio a una considerazione più attenta e meditata, meno "istintiva", sulla sua persona.
Preghiera
Donaci, Signore, di cercarti con cuore puro; affinché possiamo accoglierti come colui che con le proprie piaghe è venuto a sanare le ferite prodotte in noi dal peccato. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona
mercoledì 18 gennaio 2023
Fermati 1 minuto. Non un pugno chiuso ma una mano tesa
Lettura
Marco 3,1-6
1 Entrò di nuovo nella sinagoga. C'era un uomo che aveva una mano inaridita, 2 e lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato per poi accusarlo. 3 Egli disse all'uomo che aveva la mano inaridita: «Mettiti nel mezzo!». 4 Poi domandò loro: «È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?». 5 Ma essi tacevano. E guardandoli tutt'intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quell'uomo: «Stendi la mano!». La stese e la sua mano fu risanata. 6 E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire.
Commento
Gesù entra nella sinagoga di Cafarnao. Qui trova l'occasione per chiarire ulteriormente il senso del sabato, contro la polemica dei farisei appena avvenuta per le spighe strappate dai discepoli per sfamarsi. La sua predicazione avviene più con le opere che con le parole. Vi è un uomo con una mano paralizzata ed egli lo invita a mettersi nel centro della sala di culto. Quest'uomo è posto di fronte ai farisei quasi come simbolo della loro paralisi dottrinale e del legalismo cui hanno reso soggetto il popolo di Dio.
I dottori della legge non hanno né pietà per il malato, né devozione per colui che può guarirlo, così anziché intercedere stanno a guardare, con occhio malevolo, per accusare Gesù di aver violato il riposo sabbatico.
La domanda di Gesù se sia lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla (v. 4) non può che avere un'unica risposta per colui che è realmente guidato dalla pietà religiosa. Ma nessuno parla, e quel silenzio che spesso è complice dell'ingiustizia, suscita in Gesù indignazione e tristezza. In controluce c'è la durezza di cuore dei farisei (v. 5), il rigore della dottrina che anestetizza ogni emozione.
Gesù guarisce l'uomo dalla mano inaridita con un comando semplice e diretto "Stendi la mano!"; e l'uomo "la stese e la sua mano fu risanata" (v. 5). Il Figlio di Dio, il Logos incarnato, la Parola e la Sapienza con cui il Padre ha creato il mondo, è parola che non ritorna mai a Dio senza effetto (Is 55,11).
Le mani tenute legate dalla Legge, vengono sciolte per poter compiere il bene e coltivare il seme della grazia. I farisei - rappresentanti dell'ortodossia religiosa - e gli erodiani - difensori del potere statale - pur divisi in opposte fazioni, trovano un comune interesse nella volontà di far morire Gesù (v. 6), avvertito come un elemento di sovversione della loro "volontà di potenza" politica e religiosa.
Ma il potere sovversivo di Gesù passa attraverso un "depotenziamento", una spoliazione del Figlio di Dio, fino alla morte di croce (Fil 2,8), in modo da aprire, lungo le vie oscure della nostra umanità sofferente, assunta su di sé, la via per la risurrezione.
Preghiera
Insegnaci, Signore, a non anteporre nulla a te; la nostra fede possa essere non un pugno chiuso per ferire, ma una mano aperta per ricevere la tua grazia e tesa per donare al nostro prossimo. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona
martedì 17 gennaio 2023
Fratel Biagio: la rivoluzione dei santi
La morte di Biagio Conte, a soli 59 anni, ha avuto una risonanza che va ben oltre la cerchia dei suoi collaboratori e sostenitori. La notizia è stata ripresa dai giornali nazionali che hanno parlato di lui, dando ampio spazio alla ricostruzione della sua storia.
Il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, ha emanato un’ordinanza con cui ha indetto il lutto cittadino e le bandiere a mezz’asta. E il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lo ha ricordato come «punto di riferimento, non soltanto a Palermo, per chi crede nei valori della solidarietà e della dignità della persona, che ha testimoniato concretamente, in maniera coinvolgente ed eroica».
Un’eco così ampia non era scontata. In questa società dell’immagine, del prestigio sociale e del potere economico e politico, Biagio Conte non vantava nessuno di questi titoli. Non era un «influencer», non aveva nessuna carica, neppure ecclesiastica, non faceva parte della «casta».
Da quando ha fatto le sue scelte di vita, ha voluto solo esser «fratel Biagio», un poveraccio col saio e un bastone, che ha girato a piedi per l’Italia e per l’Europa, spesso dormendo all’addiaccio, mangiando quello che per carità gli offrivano, senza fare discorsi memorabili, semplicemente vivendo la sua povertà come una testimonianza per un mondo ricco, che non vuole rinunziare a nulla e non intende condividere con i bisognosi quello che ha.
La «Missione di Speranza e Carità»
I giornali hanno parlato di lui come di un uomo che ha speso tutta la sua vita a favore degli ultimi. Ed è vero. A Palermo aveva creato la «Missione di Speranza e Carità», dove accoglieva incondizionatamente poveri, senzatetto, migranti, ex tossici, emarginati. Il progetto, nel corso degli anni, si è allargato con la costruzione, accanto alla «Missione di Speranza e Carità», di altre realtà: «Città della gioia», «La Cittadella del povero e della speranza» e «La Casa di Accoglienza femminile».
Oggi le diverse sedi accolgono oltre mille persone a cui sono offerti tre pasti al giorno, assistenza medica e, all’occorrenza, vestiti puliti. Chiunque bussa alla porta riceve ascolto e aiuto da una rete di volontari che si è creata intorno al fondatore.
Ma tutto questo non va scambiato per una semplice opera assistenziale. Sarebbe, ancora una volta, ridurre Biagio Conte alle nostre categorie efficentiste. E non renderebbe ragione di altri aspetti fondamentali della sua figura, che non era certo quella del manager – si può essere tali anche facendo assistenza –, ma si radicava in una vocazione squisitamente spirituale per la povertà, pressoché incomprensibile in un mondo dominato dalla logica del benessere e del consumismo.
Una scelta di povertà
In questo senso davvero la storia di «fratel Biagio» ha delle analogie con quella di Francesco d’Assisi. Come Francesco, anche lui proveniva da una ricca famiglia – non di mercanti, ma di costruttori edili –, che lo aveva spedito a studiare in Svizzera, presso un collegio privato. Poi era tornato a Palermo, per continuare gli studi sempre in una scuola privata, ma aveva lasciato gli studi a 16 anni, iniziando precocemente a lavorare nell’impresa della sua famiglia.
Era ricco ma insoddisfatto. «Mi stordivo con auto di lusso, griffe, belle ragazze e vestivo solo di grigio o di nero, la mia vita non aveva colori», racconterà. Aveva cercato di sfogare la sua inquietudine puntando sull’arte. A 20 anni, decise di andare a vivere a Firenze inseguendo il sogno di diventare pittore o scultore.
Gli ci vollero sette anni per capire che neanche questo poteva riempire il vuoto che sentiva dentro. Fin quando non scoprì che a colmarlo poteva essere solo Cristo. Da qui, la scelta radicale di spogliarsi di tutti i suoi averi, lasciare i genitori e le due sorelle minori, per abbracciare la vita da eremita nelle montagne dell’entroterra siciliano e, successivamente, facendo un viaggio interamente a piedi verso la città di Assisi.
Nell’estate del 1991 ritornò a Palermo con l’idea di partire in missione in Africa ma, camminando per le vie della città, rimase colpito del profondo disagio sociale e dello stato di povertà di migliaia di suoi concittadini. Così decise di rimanere in Sicilia, per fare della sua scelta di povertà un dono a chi era povero senza averlo scelto.
Ma il senso ultimo non è mai stato, come nelle analoghe istituzioni di “servizio sociale”, quello della pura e semplice integrazione dei bisognosi e degli emarginati nella società del benessere, bensì innanzitutto la testimonianza della condivisione e della fraternità. Non un rifiuto dello spirito della povertà, ma la consapevolezza che solo quando essa non è un destino che ci schiaccia essa può essere valorizzata nel suo autentico significato di libertà interiore dalle cose.
Un rivoluzionario nella società e nella Chiesa
È questa visione, drasticamente alternativa, che rende Biagio Conte un autentico rivoluzionario. Una rivoluzione spirituale, da cui però non è assente una dimensione politica. Che ha avuto le sue manifestazioni già nelle battaglie sostenute dal fondatore della «Missione di Speranza e Carità» per vincere la sordità e l’indifferenza delle istituzioni, anche a costo di prolungati scioperi della fame e proteste eclatanti. Ma soprattutto nell’additare un modello alternativo di società, dove i volti delle persone contino più del Prodotto Interno Lordo e dove la logica della solidarietà prevalga su quella della concorrenza. La rivoluzione di Biagio Conte comincia dall’anima e dai rapporti tra le persone.
È una testimonianza su cui anche la Chiesa farebbe bene a interrogarsi. In un tempo in cui le chiese restano mezze vuote e si percepisce sempre di più l’irrilevanza della pastorale ordinaria nella formazione delle coscienze, Biagio Conte ha cercato di restituire attualità al messaggio cristiano con un forte richiamo al Vangelo, uscendo dai logori quadri di un ritualismo sempre più abitudinario e mostrando che cosa può significare realmente, per un credente, la scelta di Dio di venire a condividere la vicenda degli uomini.
Di fronte a una struttura ecclesiastica che scricchiola sempre più vistosamente, i cristiani sono chiamati a reinterpretare in modo creativo le modalità della loro presenza nella società. L’esperienza di Biagio Conte può essere per questo una risorsa significativa. Lo ha sottolineato l’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, quando è andato al capezzale dell’infermo pochi giorni prima della sua morte: «Siamo qui perché Biagio è colui che diventa la nostra stella, perché ci conduce all’essenziale e l’essenziale è questa via “altra” che dobbiamo imboccare».
Non si tratta di imitare lo spogliamento di tutti i beni in cui si è concretizzata la scelta di «fratel Biagio», come non si è mai trattato di imitare le forme esteriori della vita di san Francesco. Ma ci sono dei cambiamenti di stile che sono diventati sempre più urgenti. Innanzi tutto per la Chiesa istituzionale: l’immagine del Vaticano, con le sue strutture burocratiche, i suoi intrighi, i suoi non sempre limpidi interessi economici, diventa sempre di più un ostacolo per la scelta di fede di molti, che ne restano scandalizzati.
È chiaro che una grande comunità com’è quella ecclesiale non può fare a meno di un’organizzazione. Anche al tempo di Francesco d’Assisi la Chiesa ha sempre avuto il compito di conciliare la sua anima carismatica e profetica con quella istituzionale. Ma è sicuramente uno dei «segni dei tempi» di cui parlava il Concilio l’esigenza di ripensare questo equilibrio dando più ascolto alle voci, come quella di Biagio Conte, che la richiamano all’originaria esperienza evangelica.
Sarebbe però un troppo facile alibi, per i credenti, scaricare tutto il problema sulle strutture ecclesiastiche. Urge una forte ripresa spirituale che restituisca ai cristiani – a cominciare dai laici e dalle laiche – il senso alternativo della loro vocazione e li renda consapevoli della loro missione «rivoluzionaria».
L’irrilevanza del Vangelo nella nostra società non dipende certo soltanto dai vescovi e dai preti, ma dalla schizofrenia di tanti che si dicono cristiani ma pensano e operano ispirandosi a modelli culturali incompatibili con questo nome. La coerenza dei testimoni, nella sua radicalità, è un richiamo fortissimo a prenderne coscienza.
Nell’ora della sua morte, Biagio Conte acquista più che mai il valore di un simbolo di tutto questo. Senza altra pretesa che quella di essere un «povero fratello» di tutti i poveri, egli ci indica una strada, difficile perché diversa da quelle a cui siamo abituati, ma che forse può aiutare anche noi – come aiutò lui – a colmare un vuoto a cui siamo troppo abituati.
- Giuseppe Savagnone, SettimanaNews
Antonio il Grande e il combattimento spirituale nel deserto
Fermati 1 minuto. L'uomo, prima del precetto
Lettura
Marco 2,23-28
23 In giorno di sabato Gesù passava per i campi di grano, e i discepoli, camminando, cominciarono a strappare le spighe. 24 I farisei gli dissero: «Vedi, perché essi fanno di sabato quel che non è permesso?». 25 Ma egli rispose loro: «Non avete mai letto che cosa fece Davide quando si trovò nel bisogno ed ebbe fame, lui e i suoi compagni? 26 Come entrò nella casa di Dio, sotto il sommo sacerdote Abiatàr, e mangiò i pani dell'offerta, che soltanto ai sacerdoti è lecito mangiare, e ne diede anche ai suoi compagni?». 27 E diceva loro: «Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato! 28 Perciò il Figlio dell'uomo è signore anche del sabato».
Commento
Secondo i rabbini quello del riposo del sabato, in onore del giorno in cui Dio si riposò dopo l'opera della creazione (Gen 2,3), è il comandamento più importante: osservarlo correttamente significa compiere tutta la legge. Di conseguenza la violazione del sabato viene considerata alla stregua dei peccati peggiori (idolatria, incesto, omicidio).
Il semplice comandamento contentuto nel libro dell'Esodo (Es 34,21) e nel Deuteronomio (Dt 5,12-15) è stato esteso dai maestri ebrei fino a includere trentanove tipi di lavori proibiti, a loro volta suddivisi in trentanove classi, per un totale di 1521 lavori proibiti. L'opposizione di Gesù è contro questi eccessi della legislazione sabbatica, contro le "dottrine che sono precetti di uomini" (Mt 15,9).
Contrariamente a quanto rimproverato dai farisei, ai viaggiatori che non avevano abbastanza cibo era consentito cibarsi raccogliendo le spighe per strada (Dt 23,24-25). L'opposizione dei farisei è, dunque, non solo maliziosa, ma anche ingiustificata.
L'episodio di Davide che con i suoi compagni mangiò i pani dell'offerta è ripreso dal primo libro di Samuele (1 Sam 21,2-7) e non riguarda la violazione del riposo sabbatico, ma viene qui inserito per dimostrare che la violazione della legge è possibile in quanto gli uomini di Davide, in fuga da Saul, erano senza cibo. I pani dell'offerta erano i dodici pani presentati al Signore nel tempio, sostituiti ogni sabato (Lv 24,5-9) e che potevano essere mangiati solo dai sacerdoti.
La legge del sabato, stabilita da Dio per il riposo del corpo, non può andare contro le necessità del corpo, nostre o del prossimo. Ecco perché Gesù compie molte guarigioni anche in giorno di sabato. Egli riafferma l'intenzione divina del sabato, giorno di riposo "fatto per l'uomo" (v. 27), come beneficio verso Israele, in contrapposizione alla tradizione restrittiva dei farisei nell'interpretare la legge.
L'uomo non è stato fatto per il sabato ma per onorare e servire Dio. Il significato del commento finale, "il Figlio dell'uomo è signore anche del sabato" (v. 29) è che la violazione del sabato è giustificata in forza dell'autorità stessa di Gesù, che ripristina l'autentica legge di Dio, respingendo le tradizioni umane che rendono schiavo l'uomo e ristabilendo il sabato come giorno di benedizione.
Le restrizioni del sabato vengono meno con la giustificazione operata da Cristo nella sua morte e risurrezione, così che il giorno del Signore, spostato dai cristiani alla domenica, diventerà il giorno in cui celebrare il suo sacrificio di salvezza e rendere a lui onore. Il vangelo della grazia ci libera dal timore della Legge per servire Dio con amore, in risposta alla sollecitudine che egli ha mostrato per noi, nel crearci, custodirci e redimerci nel suo Figlio.
Questo il senso dei "comandamenti": una guida per insegnarci ad amare Dio, non sotto il giogo degli schiavi, ma con responsabilità e sapendo guardare l'uomo e i suoi bisogni prima di ogni precetto.
Preghiera
Signore Dio, che ci hai liberati dalla schiavitù del peccato, insegnaci ad amarti mostrandoci solleciti verso le necessità del nostro prossimo; affinché possiamo giungere al riposo senza fine del tuo sabato eterno. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona
lunedì 16 gennaio 2023
Fermati 1 minuto. Digiunare durante le nozze?
Lettura
Marco 2,18-22
18 Ora i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Si recarono allora da Gesù e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». 19 Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. 20 Ma verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno. 21 Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo squarcia il vecchio e si forma uno strappo peggiore. 22 E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi».
Commento
I discepoli di Giovanni, probabilmente, come i farisei osservavano la pratica in uso ai tempi di Gesù di digiunare due volte a settimana (Lc 18,12); in realtà la legge levitica prevedeva un solo digiuno l'anno nel giorno dell'espiazione (Lv 16,29.31).
L'immagine del banchetto nuziale - nettamente in contrasto con la pratica del digiuno - esprime un nuovo rapporto d'amore tra Dio e il suo popolo nella persona e nella missione terrena di Gesù. Gli invitati a nozze (v. 19) sono qui letteralmente "i figli del talamo", semitismo per indicare gli amici che accompagnano e aiutano lo sposo nei preparativi e nella cerimonia.
Nell'Antico Testamento l'immagine di Dio come sposo è presente nel libro di Isaia (Is 1,21-23; 49,14-16), mentre nella letteratura patristica abbondano le interpretazioni allegoriche del Cantico dei cantici, considerato come dialogo tra Dio e la Chiesa, sua sposa.
Il verbo greco apairomai, in riferimento allo sposo che sarà tolto agli invitati a nozze (v. 20), significa letteralmente "strappare", e preannuncia la fine violenta di Gesù.
La presenza del Messia è un evento così gioioso che non lascia spazio per il digiuno; ma nel tempo della Chiesa ci sarà spazio anche per questo. Gesù offre nel "discorso della montagna" (Mt 5-7) una spiegazione su come dovranno digiunare i suoi discepoli: con discrezione, senza apparire sfigurati in volto, profumandosi il capo, affinché possano essere ricompensati solo dal Padre che vede nel segreto (Mt 6,16-18).
Gesù non disdegna gli inviti alla ricca tavola dei pubblicani e dei peccatori, è infatti per loro che è venuto come medico (Mc 2,15-17); tuttavia, l'episodio della spigolatura (Mc 2,23) e la modalità con cui invia i suoi discepoli a predicare "senza bisaccia" (Lc 10,4) dimostrano l'assunzione di un regime alimentare povero e fiducioso nella provvidenza divina.
Gesù raccomanda il digiuno anche per scacciare gli spiriti malvagi più "resistenti" alla preghiera e agli esorcismi: "Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo se non con il digiuno e la preghiera" (Mc 9,29).
Il digiuno è ormai un "tabù" nelle chiese occidentali, tanto in quella cattolica e ancor più in quelle protestanti. In queste ultime viene generalmente rigettato per il suo - reale - rischio di essere concepito come pratica per "accumulare meriti" e contraria al vangelo della grazia. Tuttavia, non mancano eccezioni: il Book of Common Prayer anglicano prescrive numerosi giorni di digiuno, mentre John Wesley, fondatore del metodismo, digiunava tutti i mercoledi e venerdi dell'anno.
Al di là delle prescrizioni, è venuta meno la pratica diffusa del digiuno, che potrebbe avere una importante valenza pedagogica. Si tratta di riscoprire la sua capacità di farci comprendere che non si può avere tutto e subito, educandoci alle rinunce che la vita, in differenti modi e tante volte, ci chiede.
Ma il vero digiuno è soprattutto condividere il pane con l'affamato, soccorrere l'orfano e la vedova, dare il proprio contributo affinché la giustizia sia ristabilita sulla terra.
Preghiera
Si compiano, Signore, le tue nozze con la Chiesa, tua sposa; affinché possiamo gioire nel banchetto celeste, quando non ci sarà più fame e tu stesso sarai la sorgente della vita. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona