Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

domenica 11 novembre 2018

Partecipare alla sorte dei santi nella luce

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA VENTIQUATTRESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ


Colletta

O Dio, ti supplichiamo, assolvi il tuo popolo dalle sue offese; affinché attraverso la tua abbondante misericordia possiamo essere liberati dai lacci dei peccati commessi per nostra fragilità. Concendici questo, Padre celeste, per la grazia di Gesù Cristo, nostro Signore benedetto e salvatore. Amen.

Letture

Col 1,3-12; Gv 6,5-14

Commento

Le due letture di oggi, in particolare il primo capitolo della  Lettera di Paolo ai Colossesi, invitano a riflettere sulla natura della preghiera cristiana.

La parola greca proseukomenoi utilizzata dall'Apostolo per indicare la preghiera è un composto di "supplica" e "desiderio". La preghiera è un desiderio rivolto a Dio.
 
La preghiera, secondo il modello presentato da Paolo, è perseverante ("prego continuamente"), ha un oggetto determinato ("per voi") ed è pervasa dalla riconoscenza ("Noi rendiamo grazie"). L'apostolo potrebbe qui riferirsi anche alla preghiera liturgica, all'eucaristia, che appunto significa “ringraziamento” e rappresenta il rendimento di grazie per eccellenza.

Il motivo della preghiera di Paolo è costituito dalla fede, dall'amore e dalla speranza dei Colossesi, di cui gli è giunta notizia: "abbiamo sentito parlare della vostra fede in Cristo Gesù e del vostro amore per tutti i santi". Il plurale indica probabilmente il ministero di Timoteo accanto a quello di Paolo, o la più estesa comunità alla quale Paolo aveva predicato l'evangelo.

Nulla alimenta la fede e al contempo ne dimostra la solidità più di una preghiera perseverante, fino a farsi "importuna", come attesta il Vangelo di Matteo nel racconto della guarigione della donna siro-fenicia (Mt 15,21-28). Non sappiamo quando la nostra preghiera verrà esaudita e nemmeno come, perché potrebbe essere il frutto di uno slancio sentimentale, oppure potrebbe manifestare desideri contrari a un bene più alto per noi e per la maggior gloria di Dio. Se la preghiera esaudisse automaticamente qualsiasi capriccio del nostro cuore sarebbe un atto magico e non espressione della fede.

Le preghiere che attraversano la Scrittura, dall'Antico al Nuovo Testamento, contengono spesso un rendimento di grazie. Gesù rende continuamente grazie al Padre, anche prima di compiere i suoi miracoli. Un figlio dimentico dei benefici ricevuti dal Padre, come un amico dimentico dei doni già ricevuti in passato dall'amico, non è degno di essere esaudito. Solo dopo aver reso grazie possiamo osare chiedere qualcosa, con fede e con viva speranza nel tesoro che già ci è stato preparato in cielo, che consiste nel partecipare "alla sorte dei santi nella luce" (Col 1,12), cioè nella contemplazione del mistero di Dio.

Quel di cui dobbiamo essere certi nella nostra preghiera è mostrato dal racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci: il Signore parte dalla nostra povertà, una miseria totalmente incapace di far fronte alle esigenze delle moltitudini, e da quella, non senza il nostro intervento ("li distribuì ai discepoli e i discepoli alla gente seduta", Gv 6,11), ci consente di sfamare ogni necessità. Egli supera ogni nostra aspettativa, come attestano i pezzi di pane e i pesci avanzati. Il Signore ci vuole sazi, pienamente soddisfatti. Quindi se preghiamo e non otteniamo è perché preghiamo male e chiediamo male. Chiediamo le cose sbagliate. Chiediamo troppo poco. Non ci mettiamo il nostro. Il Signore fa un grande miracolo, ma sceglie di non creare i pani e i pesci dal nulla, chiede ai discepoli di prendere l'iniziativa, mette alla prova la loro fede.

L'erba verde descritta da Giovanni, su cui Gesù fa sedere le moltitudini, è una immagine pasquale, che richiama da un lato il tempo in cui si svolse la scena, quello, appunto, della Pasqua ebraica, intorno a marzo, all'inizio della primavera, dall'altro richiama la Pasqua celeste, che i credenti consumeranno nell'eternità con il Risorto.

È, questo, dunque, il nostro destino ultimo: la piena soddisfazione di ciò che la nostra natura umana più profondamente brama: la ritrovata comunione con Dio, nell'eternità.

- Rev. Dr. Luca Vona