Commento alla liturgia della I domenica dopo il Natale
Colletta
Dio
Onnipotente, che ci hai donato il tuo unico Figlio, affinché prendesse su di sé
la nostra natura e nascesse in questo tempo dal grembo di una vergine;
concedici di essere rigenerati e fatti tuoi figli per adozione e grazia;
affinché possiamo essere quotidianamente rinnovati dallo Spirito Santo. Per
Cristo, nostro Signore, che vive e regna con te e con lo stesso Spirito, per
tutti i secoli dei secoli. Amen.
Letture:
Gal 4,1-7; Mt 1,18-25
Il tema dell'adozione per grazia - richiamato
nella colletta della liturgia del giorno e dalla Lettera di San Paolo ai Galati
- ci costringe a rivedere radicalmente la nostra immagine di Dio. La
rivelazione del Dio trinitario e della dinamica che ne anima la vita, interna
ed esterna, ci è data innanzitutto nel mistero dell’Incarnazione. Dio ci viene
rivelato come Padre, dunque non come un'ente chiuso in se stesso, sterile e
autoreferenziale, ma capace di generare in eterno un'altro da sé, il Figlio, e
di effondere su di esso il proprio amore. Il Figlio restituisce al Padre questo
amore, che è lo Spirito Santo, in una dinamica che è come quella di una fontana
perpetua, capace di autoalimentare il proprio flusso, senza fine né principio.
Ma il mistero dell'adozione a figli, mediante
l'Incarnazione del Verbo, ci offre una ulteriore rivelazione. La capacità del
Dio trinitario di effondere la propria vita anche al di fuori di sé. Assumendo
e condividendo fino in fondo la nostra natura umana, infatti, il Figlio ci
rende una cosa sola con sé. Il processo discendente e di
"spoliazione" che ha inizio con l'Incarnazione del Verbo e giungerà
alla rincunia di Dio a se stesso nella Passione e morte di Cristo, ha un
parallelo nella progressiva ascesa della natura umana, nel momento in cui Dio
decide di assumerla su di sé, di innalzarla rivestendosi di essa, di
rigenerarla pienamente, attraverso la sua dolorosa Passione e la gloriosa
Resurrezione.
La nascita di Gesù, l’Incarnazione dell'eterno
Figio di Dio, è il passo decisivo con cui Dio ci offre, gratuitamente, la
possibilità di essere inseriti nella sua vita trinitaria. È il segno della
fedeltà di Dio alla sua creatura, che ci consente di recuperare non solo il
Paradiso perduto, ma di condividere la stessa vita divina, di ottenere ciò che
i nostri progenitori desideravano e che il menzognero tentatore gli prospettava
come un qualcosa che Dio non ci avrebbe concesso: "Dio sa che nel giorno
in cui ne mangerete gli occhi vostri si apriranno e sarete come Dio"... Ne
mangiarono entrambi “allora si apersero gli occhi di ambedue e si accorsero di
essere nudi”. Il frutto della disobbedienza ci ha allontanati da Dio, aprendoci
gli occhi verso la miserevole nudità di chi ha perso tutto, perché ha perso l’immagine
e la somiglianza con il suo Creatore. Ma ben diverso è il frutto della
giustificazione, e ben diverso il destarsi dal sonno, l’aprire gli occhi di
Giuseppe, al quale l’angelo rivela il mistero dell’Emmanuele, il “Dio-con-noi”.
La salvezza operata in Cristo, ha non solo
restaurato in noi l'immagine originaria, ma ci ha fatti eredi di Dio,
rendendoci una sola cosa con il Figlio; sicché quando il Padre ci guarda, non
vede noi, non vede me, non vede te... ma vede in noi il Figlio suo e ci ama
come il suo Figlio prediletto. E quando noi preghiamo rivolgendoci al Padre,
noi preghiamo con la stessa voce del Figlio di Dio, mediante lo Spirito Santo, che
egli ha effuso abbondantemente su di noi.
Tutto ciò avviene nel mistero dei Sacramenti che
il Signore, attraverso la Chiesa ci ha donato. E innanzitutto con i due grandi
sacramenti attestati dal Vangelo e istituiti da Nostro Signore: il battesimo e
l'eucaristia. Quando siamo battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo, sperimentiamo il dono gratuito di Dio, che non è semplicemente
una terra promessa per diventare nazione, e neppure il giardino dell'Eden con
tutti i suoi frutti, ma è l'ingresso nella vita trinitaria, la piena comunione
con Dio, che ci offre il dono più grande: se stesso. E questo mistero si compie
pienamente nella comunione eucaristica, mediante la quale la nostra carne, il
nostro sangue, diventano una sola cosa con la carne e il sangue di Cristo,
affinché tutta la nostra persona, corpo e anima, possa ricevere l'immagine del Figlio.
Ora Dio può vederci realmente con gli occhi di un Padre. Ora può vederci come
noi guarderemmo nostro figlio. Io sono padre e so cosa significa il modo in cui
guardi e ami tuo figlio e, per contro, il modo in cui lui ti guarda e ti ama, il
modo in cui si affida a te. Certo sono una creatura segnata dalla debolezza e
dalla fragilità della natura umana, sono un padre imperfetto. Mentre Dio ci ama
in un modo così perfetto che possiamo cercare di immaginarlo solo partendo dalla
nostra esperienza umana di padri, madri e figli ed elevandola a una
incalcolabile potenza e perfezione. Come cristiani, abbiamo compreso a fondo il
senso di questo mistero? Lo abbiamo compreso almeno un po'? Perché è questo il
centro di tutta la nostra fede. Siamo in grado di vedere e concepire Dio come
un Padre? Siamo in grado di saperci e di sentirci amati come il migliore dei
padri amerebbe suo figlio? Lo Spirito Santo, ci insegni questo mistero e ci doni
la sua pace, la pace di chi non è più schiavo e orfano in terra straniera, ma è
stato chiamato a regnare con Cristo, nel quale il Padre ci dice: “tu sei mio
figlio, oggi io ti ho generato” e "tutto quello che è mio è tuo".
Amen.
Rev. Luca Vona
Missione Anglicana Tradizionalista Carlo I Stuart
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