Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

lunedì 7 aprile 2025

Afraate, padre della chiesa siriaca

La Chiesa maronita ricorda in questo giorno Afraate (siriaco Aphrahat), vescovo e monaco, conosciuto come "il Sapiente Persiano", prima grande figura delle chiese siriache i cui insegnamenti siano stati tramandati come esempio ai posteri.
Afraate nacque sul finire del III secolo, verosimilmente nei dintorni di Ninive-Mossul, nell'odierno Iraq. Se il suo nome sembra tradire un'origine pagana, nondimeno la sua conoscenza delle Scritture e la sua esegesi sono altamente influenzate dai metodi giudaici.
Figlio di una chiesa di confine tra cristianesimo e giudaismo, egli visse la separazione e il conflitto tra chiesa e sinagoga con relativa serenità, con toni polemici ma pacati.
Afraate fu un «figlio del Patto», cioè un uomo impegnato a rimanere nel celibato per testimoniare la riunificazione escatologica dell'uomo inaugurata in sé dal Cristo, primo solitario, a cui i figli del Patto si ispiravano. Egli dimorò probabilmente presso il monastero di Mar Mattai, e secondo alcuni fu anche superiore di monaci e poi vescovo.
Estraneo alle controversie cristologiche che attanagliavano l'occidente, Afraate visse come discepolo delle Scritture, secondo la sua stessa definizione, e si premurò di trasmettere per iscritto i suoi insegnamenti sulla vita spirituale e sul rapporto fra cristianesimo e giudaismo attraverso le Dimostrazioni, unica sua opera giunta fino a noi. Dalle pagine di Afraate, scritte secondo uno stile sapienziale, inizia a emergere quel gusto per la bellezza e per la dolcezza spirituali che caratterizzerà il cristianesimo siriaco.

Tracce di lettura

Ama, mio amato, la condizione nella quale dimorano i figli della carne.
Retto è per l'uomo umiliare se stesso; la condizione di Adamo è polvere dalla terra.
Il suo Signore stabilì per lui un comandamento da custodire; se lo custodirà, il suo Signore farà pervenire alla condizione eccelsa colui che fu condannato. Adamo si esaltò e fu umiliato e ritornò alla polvere, alla sua condizione d'un tempo. Il nostro Salvatore, altissimo e magnifico, si umiliò e fu esaltato e fu elevato alla sua condizione d'un tempo e la sua gloria fu accresciuta e tutto gli fu sottomesso. Perciò, mio amato, all'uomo che ama Dio, si addice ed è giusto amare l'umiltà e restare nella sua condizione di umiltà. Poiché se la sua radice è piantata nella terra, i suoi frutti salgono davanti al Signore di grandezza.
(Afraat il Sapiente Persiano, Dimostrazioni 9,14)

Fermat 1 minuto. Risplendere, fino all'ultima ora

Lettura

Giovanni 8,12-20

12 Di nuovo Gesù parlò loro: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita».
13 Gli dissero allora i farisei: «Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera». 14 Gesù rispose: «Anche se io rendo testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove vengo e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado. 15 Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. 16 E anche se giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato. 17 Nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera: 18 orbene, sono io che do testimonianza di me stesso, ma anche il Padre, che mi ha mandato, mi dà testimonianza». 19 Gli dissero allora: «Dov'è tuo padre?». Rispose Gesù: «Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio». 20 Queste parole Gesù le pronunziò nel luogo del tesoro mentre insegnava nel tempio. E nessuno lo arrestò, perché non era ancora giunta la sua ora.

Commento

Uno dei simboli caratteristici della festa delle capanne, durante la quale si svolge questa disputa di Gesù con i giudei, era la luce: a sera si accendevano grandi falò e lampade, che illuminavano la notte di Gerusalemme. Nella Bibbia la luce è simbolo di vita, di gioia e di salvezza. Essa ricorda anche la colonna di fuoco che guidava gli ebrei nel deserto (Nm 9,15-23). Gesù si presenta come "la luce del mondo" (v. 12). Il profeta Isaia aveva promesso che il Servo del Signore sarebbe stato "luce delle nazioni" (Is 42,6) e Simeone proclama Gesù "luce per illuminare le genti" (Lc 2,32). Chi crede in Cristo e lo segue non camminerà nelle tenebre (1Gv 1,5-10).

Gesù è la luce che illumina tanto le nostre ore favorevoli quanto le ore buie segnate dalla sofferenza e dalle difficoltà. In qualsiasi circostanza ci troviamo abbiamo nella persona di Gesù e nella sua dottrina l'esempio da seguire. Ma chi segue Cristo diventa egli stesso "luce del mondo" (Mt 5,14), testimone di fede, speranza e amore, per dissipare le tenebre della violenza, del dubbio e della sfiducia.

Gesù afferma la sua piena comunione con Dio impiegando la formula "Io sono", che evoca la definizione che Dio stesso dà di sé nel libro dell'Esodo ("Io sono colui che sono"; Es 3,14). L'espressione è frequente nel Vangelo di Giovanni (Gv 8,24.28.58; 13,19).

Il dibattito di Gesù con i farisei, è sul tema della testimonianza. La legge richiedeva più di un testimone per accertare la verità (Dt 17,6; 19,15; Nm 35,30). Gesù attesta per se stesso, ma anche il Padre avalla le sue parole. 

Giovanni segnala l'incomprensione degli interlocutori di Gesù che scambiano il Padre divino con una semplice paternità umana (v. 19). I capi dei giudei non conoscono realmente il Padre. Con la sua risposta "se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio" Gesù afferma che la conoscenza di Dio passa per la personale conoscenza del Figlio. Non si tratta di una conoscenza meramente intellettuale del vangelo, ma di sperimentare Cristo come via, verità e vita, da percorrere, contemplare e condividere con i fratelli.

Nonostante l'ostilità crescente, incapace però di arrestare l'opera di Gesù "perché non era ancora giunta la sua ora" (v. 20), cioè il momento decisivo della sua morte e glorificazione, egli prosegue la sua rivelazione. Anche noi siamo chiamati a irradiare la luce del vangelo, a bruciare con Cristo, finché sarà consumata la nostra ora in questo mondo e la nostra fiamma si unirà a lui per risplendere nell'eternità.

Preghiera

Signore Gesù Cristo, luce da luce, donaci la piena comunione con te, affinché possiamo irradiare la luce del tuo vangelo fra le tenebre del mondo e far risplendere la tua gloria. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 6 aprile 2025

Credere a Gesù e credere in Gesù

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUINTA DOMENICA DI QUARESIMA

Colletta

Ti supplichiamo, Dio Onnipotente, di guardare misericordioso al tuo popolo; affinché possa essere sempre custodito e guidato dalla tua grande bontà, sia nel corpo che nell’anima. Per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

Letture

Eb 9,11-15; Gv 8,46-59

Commento

L'itinerario quaresimale ci invita a riflettere, nella domenica detta "di Abramo", su colui del quale i fedeli dei tre grandi monoteismi (ebraismo, cristianesimo e islam) si considerano figli. 

Dio appare ad Abramo quando questi è ormai avanti negli anni, invitandolo a lasciare la regione di Ur e facendogli una triplice promessa: una terra, una discendenza e la benedizione in lui di tutte le famiglie della terra (Gn 12,1-3). Egli diventa così il padre di tutti i credenti e il patriarca di cui i giudei si riconoscono come "stirpe". 

Dobbiamo guardarci, però, dal porre le fondamenta della nostra religiosità sulla sabbia del “senso di appartenenza”, erroneamente inteso quale garanzia di salvezza; non basta dire “siamo figli di Abramo” (Gv 8,33.53), come non basta dire “siamo cristiani”. Non si tratta semplicemente di credere a Gesù e di professarlo Figlio di Dio, ma di credere in Gesù. 

Credere in qualcuno è molto di più che credere a qualcuno. Credere in Gesù significa rimetterci completamente a lui, proprio come Abramo, che esultò nella speranza di vedere il giorno di Cristo (Gv 8,56), fu capace di affidarsi incondizionatamente a Dio. Credere in Gesù significa riconoscerlo come il "mediatore della nuova alleanza" (Eb 9,15), che ci ha acquistato la redenzione eterna con il suo sangue. È il sangue di Cristo, richiamato ripetutamente nella Lettera agli Ebrei (Eb 9,12-14) che vivifica la Chiesa e purifica “la nostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente!” (Eb 9,14).

Abramo fu prima di tutto uomo dell’ascolto, capace di porgere l’orecchio a quanto Dio aveva da dirgli e di mettersi in cammino per obbedire al suo volere. Non così coloro che si contrappongono a Gesù, il quale ammonisce: “Chi è da Dio, ascolta le parole di Dio; perciò voi non le ascoltate, perché non siete da Dio” (Gv 8,47). 

Siamo chiamati a metterci in ascolto della parola di Dio, abbandonandoci fiduciosamente a lui; a ricercare il tempo per fare silenzio dentro e fuori di noi, per porre un freno alle “opere morte” e all’attivismo che perde di vista l’orizzonte ultimo delle cose; per lasciare andare le false sicurezze di una religiosità fondata sulla fede nelle nostre azioni e devozioni, più che nell’opera straordinaria e incredibile che Dio può compiere in noi.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 4 aprile 2025

Fermati 1 minuto. Il suo tempo, il nostro tempo

Lettura

Giovanni 7,1-30

1 Dopo queste cose, Gesù se ne andava per la Galilea, non volendo fare altrettanto in Giudea perché i Giudei cercavano di ucciderlo.
2 Or la festa dei Giudei, detta delle Capanne, era vicina. 3 Perciò i suoi fratelli gli dissero: «Parti di qua e va' in Giudea, affinché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu fai. 4 Poiché nessuno agisce in segreto quando cerca di essere riconosciuto pubblicamente. Se tu fai queste cose, manifèstati al mondo». 5 Poiché neppure i suoi fratelli credevano in lui. 6 Gesù quindi disse loro: «Il mio tempo non è ancora venuto; il vostro tempo, invece, è sempre pronto. 7 Il mondo non può odiare voi; ma odia me, perché io testimonio di lui che le sue opere sono malvagie. 8 Salite voi alla festa; io non salgo a questa festa, perché il mio tempo non è ancora compiuto». 9 Dette queste cose, rimase in Galilea.
10 Ma quando i suoi fratelli furono saliti alla festa, allora vi salì anche lui; non palesemente, ma come di nascosto. 11 I Giudei dunque lo cercavano durante la festa, e dicevano: «Dov'è quel tale?» 12 Vi era tra la folla un gran mormorio riguardo a lui. Alcuni dicevano: «È un uomo per bene!» Altri dicevano: «No, anzi, svia la gente!» 13 Nessuno però parlava di lui apertamente, per paura dei Giudei.
14 Verso la metà della festa, Gesù salì al tempio e si mise a insegnare. 15 Perciò i Giudei si meravigliavano e dicevano: «Come mai conosce le Scritture senza aver fatto studi?» 16 Gesù rispose loro: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato. 17 Se uno vuole fare la volontà di lui, conoscerà se questa dottrina è da Dio o se io parlo di mio. 18 Chi parla di suo cerca la propria gloria; ma chi cerca la gloria di colui che l'ha mandato, è veritiero e non vi è ingiustizia in lui. 19 Mosè non vi ha forse dato la legge? Eppure nessuno di voi mette in pratica la legge! Perché cercate d'uccidermi?» 20 La gente rispose: «Tu hai un demonio! Chi cerca di ucciderti?» 21 Gesù rispose loro: «Un'opera sola ho fatto, e tutti ve ne meravigliate. 22 Mosè vi ha dato la circoncisione (non che venga da Mosè, ma viene dai padri); e voi circoncidete l'uomo in giorno di sabato. 23 Se un uomo riceve la circoncisione di sabato affinché la legge di Mosè non sia violata, vi adirate voi contro di me perché in giorno di sabato ho guarito un uomo tutto intero? 24 Non giudicate secondo l'apparenza, ma giudicate secondo giustizia».
25 Perciò alcuni di Gerusalemme dicevano: «Non è questi colui che cercano di uccidere? 26 Eppure, ecco, egli parla liberamente, e non gli dicono nulla. Che i capi abbiano riconosciuto per davvero che egli è il Cristo? 27 Eppure, costui sappiamo di dov'è; ma quando il Cristo verrà, nessuno saprà di dove egli sia». 28 Gesù dunque, insegnando nel tempio, esclamò: «Voi certamente mi conoscete e sapete di dove sono; però non sono venuto da me, ma colui che mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. 29 Io lo conosco, perché vengo da lui, ed è lui che mi ha mandato». 30 Cercavano perciò di arrestarlo, ma nessuno gli mise le mani addosso, perché l'ora sua non era ancora venuta.

Commento

La festa delle capanne aveva inizio il 15 del settimo mese (Tishri) del calendario ebraico (tra settembre e ottobre). In origine era una celebrazione agricola di ringraziamento per il raccolto, in seguito è associata alla permanenza di Israele nel deserto sotto le tende (Lc 23,39-43; Dt 16,13-15). Le persone che vivevano nella aree rurali costruivano piccole capanne in cui dimorare durante la settimana della festa; quelle delle aree urbane costruivano simili strutture nel cortile delle case. La festa era anche caratterizzata dall'accensione di molte luci.

I fratelli di Gesù menzionati in questo passo evangelico - in numero di quattro secondo Matteo (13,55) e Marco (6,3) - non sono mai presentati come discepoli fin dopo la risurrezione (At 1,4). Poiché Gesù è nato da un parto virginale si tratta di fratellastri o di figli di Maria e Giuseppe nati dopo di lui.
La richiesta di una dimostrazione pubblica dei poteri di Gesù da parte dei suoi parenti potrebbe riflettere un'argomentazione giudaica contro l'identificazione cristiana di Gesù come il Messia.

Nella discussione con i suoi fratelli Gesù mostra una contrapposizione tra due diversi tempi. Il termine kairos (v. 6) indica il "tempo opportuno"; qui è sinonimo di ora della morte e risurrezione di Gesù. Tutta la storia della salvezza è proiettata verso quell'ora suprema in cui Gesù "Prima della festa di Pasqua, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine." (Gv 13,1). Con quell'ora dovrà confrontarsi la porzione di tempo che costituisce la nostra personale storia in questo mondo. Dedicando a Cristo il nostro lavoro, la nostra preghiera, la nostra vita, la sua ora diventa la nostra ora ed egli ci guida verso la pienezza della sua gloria.

A metà della solennità Gesù decide di andare alla festa in incognito (non è ancora il momento dell'ingresso solenne che precederà la sua Passione) e sale al tempio per insegnare; è la prima volta che lo fa a Gerusalemme. Le sue parole creano sorpresa e sconcerto. Gesù ribadisce la legittimità della guarigione del paralitico compiuta di sabato, comparandola all'atto della circoncisione che si può eseguire senza violare il riposo sabbatico, poiché la sua istituzione, di epoca patriarcale, è precedente alla legge mosaica. Gesù afferma anche la contradditorietà di chi si preoccupa di una parte del corpo con la circoncisione ma non della salute del corpo intero ("voi vi sdegnate contro di me perché ho guarito interamente un uomo di sabato?"; v. 23).

La reazione della folla, composta da capi giudei, galilei ed ebrei della diaspora giunti a Gerusalemme per la festa, è contrastante: per alcuni egli "è buono", per altri "inganna la gente" (v. 11). C'è persino chi accusa Gesù di essere posseduto da uno spirito demoniaco, da cui un tempo veniva fatta derivare la pazzia.

Gesù non tenta di dimostrare quanto afferma, si limita a indicare la stretta relazione tra il compimento della volontà di Dio e la capacità di discernere la verità (v. 17). La parola di Dio, che nel rivelarsi illumina e rende saggio il semplice (Sal 119,130), è parola vivente, parola che si è fatta uomo. Tanto più ci conformeremo a Cristo, tanto più parteciperemo della divina sapienza.

Preghiera

Apri i nostri occhi, Signore, alla contemplazione della tua gloria; affinché possiamo discernere ciò che è a te gradito e riconoscere in te la fonte della nostra salvezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 3 aprile 2025

Gerhard Tersteegen, contemplativo protestante

La notte tra il 2 e il 3 aprile del 1769 muore nella solitudine volontaria Gerhard Tersteegen, testimone del vangelo. Gerhard era nato a Moers, in Renania, in una famiglia di tradizione riformata. A vent'anni cominciò ad avvertire una vocazione alla vita ritirata, ai margini del mondo, e molto presto sentì di dover colmare questo vuoto che si era creato nella sua esistenza con un'intensa vita spirituale. Influenzato da un lato dal radicamento biblico proprio della sua cultura protestante, dall'altro dalla lettura dei mistici medievali, Tersteegen avviò un'esperienza per molti aspetti assimilabile al monachesimo. Munito di una piccola regola che disciplinava il suo lavoro di tessitore, lo studio e la preghiera, accolse un amico desideroso di vivere da celibe in fraternità con lui. Tersteegen vedeva nella vita fraterna una forma di nascondimento in Cristo conforme all'insegnamento neotestamentario sulla vita cristiana. Con gli anni il suo affinato discernimento divenne un patrimonio condiviso con moltissime persone, che gli scrivevano o andavano a trovarlo per ricevere consigli spirituali. Consapevole dell'esigenza di risveglio religioso che emergeva ormai in tutta la Germania e nei Paesi Bassi, Gerhard accettò di alternare alla propria solitudine un servizio itinerante di predicazione. Egli visse in tal modo fino alla fine dei suoi giorni, aiutando coloro che volevano stabilire delle «case di pellegrini», come amava chiamare i piccoli focolari di lavoro e di preghiera simili a quello cui lui stesso aveva dato vita. Alla purezza evangelica della sua teologia esperienziale e delle sue predicazioni si riferiranno Kierkegaard, Bultmann e Barth, mentre Bonhoeffer troverà grande conforto nelle sue poesie.

Tracce di lettura

Tersteegen commenta in modo eccellente nel brano evangelico dei magi: «I dottori della Legge seppero indicare il luogo dove doveva esser nato il Messia, ma essi rimasero pacificamente in Gerusalemme, non lo andarono a cercare. Ahimè, a questo modo si può conoscere tutto il cristianesimo, ma senza che muova alcuno. Quel potere che muoveva cielo e terra, non mosse neppure uno di loro».
Tersteegen è sempre incomparabile. Io trovo in lui pietà vera e nobile e una sapienza semplice.
Dove c'è allora più verità: nei tre re che corrono dietro a un vago indizio, o nei dottori della Legge che con tutto il loro sapere se ne stanno fermi?
(S. Kierkegaard, Diario 3035)

Un giorno dice all'altro:
«La mia vita è un errare
verso la grande eternità».
O eternità, così bella,
abitua il mio cuore a te;
la mia patria non è di questo tempo.
(G. Tersteegen)

Fermati 1 minuto. Cristo, il tesoro nascosto nelle Scritture

Lettura

Giovanni 5,31-47

31 Se fossi io a render testimonianza a me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera; 32 ma c'è un altro che mi rende testimonianza, e so che la testimonianza che egli mi rende è verace. 33 Voi avete inviato messaggeri da Giovanni ed egli ha reso testimonianza alla verità. 34 Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché possiate salvarvi. 35 Egli era una lampada che arde e risplende, e voi avete voluto solo per un momento rallegrarvi alla sua luce.
36 Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. 37 E anche il Padre, che mi ha mandato, ha reso testimonianza di me. Ma voi non avete mai udito la sua voce, né avete visto il suo volto, 38 e non avete la sua parola che dimora in voi, perché non credete a colui che egli ha mandato. 39 Voi scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono testimonianza. 40 Ma voi non volete venire a me per avere la vita.
41 Io non ricevo gloria dagli uomini. 42 Ma io vi conosco e so che non avete in voi l'amore di Dio. 43 Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste. 44 E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo? 45 Non crediate che sia io ad accusarvi davanti al Padre; c'è già chi vi accusa, Mosè, nel quale avete riposto la vostra speranza. 46 Se credeste infatti a Mosè, credereste anche a me; perché di me egli ha scritto. 47 Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?».

Commento

Secondo la legge mosaica i giudici non potevano affidarsi a un unico testimone, ma era necessaria la testimonianza di due o tre persone (Dt 17,6; 19,15; Nm 35,30). L'identità messianica di Gesù è confermata in questo passo del Vangelo di Giovanni da quattro testimoni: il ministero di Giovanni il Battista (vv. 32-35); le opere compiute da Gesù; il Padre, che ha parlato nel battesimo al Giordano e che si rivolge direttamente alle coscienze (vv. 37-38); le Scritture (vv. 39-40) e in paticolare Mosè (i libri del Pentateuco). 

Affermando che le Scritture gli rendono testimonianza Gesù si svela come il mistero racchiuso in esse e ci offre una chiave per interpretare il loro senso più autentico. Così riconobbe Filippo, quando affermò "Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti (Gv 1,45); e lo stesso evangelista Giovanni, al termine del prologo del suo Vangelo: "La legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo" (Gv 1,16-18). 

Gesù è il tesoro nascosto nel campo delle Scritture, per il quale vale la pena vendere tutti i nostri beni; chi conosce lui infatti ha la vita eterna (1 Gv 5,11). Egli è però un Messia diverso da quello che si sono rappresentati i dottori di Israele, non è un liberatore politico perché non riceve gloria dagli uomini (v. 41); la sua volontà è unicamente quella di compiacere il Padre. 

L'errore dei farisei è di credere che la mera conoscenza delle Scritture possa guadagnare loro la vita eterna, ma non riescono a riconoscere il Messia da esse annunciato. Anche noi possiamo essere sviati dal sentirci depositari di una sapienza millenaria. L'assenza di rettitudine di intenzione - ovvero la ricerca della gloria umana - e l'interpretazione tendenziosa delle Scritture, guidati dai preconcetti che cercano solo conferme alle proprie convinzioni, ci tengono lontani dalla Verità. 

Ma se la parola di Dio penetra in profondità nelle nostre anime, se la assimiliamo meditandola frequentemente, consultandola in ogni occasione, conformandoci ad essa nelle parole e nelle azioni, allora darà testimonianza a Cristo, rendendo noi stessi testimoni di Cristo. Venire a lui - che è la Verità fattasi uomo - significa porsi all'ombra della grazia; egli infatti non è venuto per accusare, perché è la legge che accusa l'uomo di peccato. 

Gesù è venuto come nostro avvocato per la nostra giustificazione, portatore di quella grazia che non annulla le Scritture antiche ma le porta a perfezione. La sua persona le rende vive, capaci di interpellarci qui ed ora, se siamo capaci di metterci in ascolto con umiltà.

Preghiera

Suscita in noi, Signore, un desiderio ardente di conoscerti; affinché meditando e custodendo la tua parola possiamo far risplendere la tua luce fra gli uomini. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona