Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

mercoledì 6 novembre 2024

William Temple, precursore dell'ecumenismo

Teologo anglicano (Exeter 1881 - Westgate, Kent, 1944); arcivescovo di York (1929), poi di Canterbury (1942), affrontò i problemi dell'impegno sociale del cristianesimo, delle missioni nel mondo moderno e dell'unione delle chiese. Tra i suoi scritti: Mens creatrix (1917); Christian faith and life (1931); Christianity and social order (1942); The church looks forward (1944).
William Temple è stato uno dei principali protagonisti del movimento ecumenico nel XX secolo. Dopo gli studi teologici e filosofici compiuti brillantemente a Oxford, egli iniziò ad attuare in prima persona un programma di sostegno agli ultimi della società inglese. La sua attenzione ai poveri non lo abbandonerà mai, e finirà per permeare ogni scelta e pronunciamento decisivo della sua vita. Ordinato presbitero, Temple fu eletto vescovo di Manchester a 40 anni, e pochi anni dopo fu trasferito alla sede arcivescovile di York. Nella sua nuova posizione di primo piano nella Chiesa d'Inghilterra - di cui diventerà nel 1942 arcivescovo di Canterbury - Temple denunciò con coraggio la profonda contraddizione al vangelo costituita dalle disuguaglianze sociali e dall'estrema difficoltà per i poveri di conseguire un'educazione dignitosa. Promotore del Consiglio britannico delle Chiese, Temple presiedette nel 1937 a Edimburgo la seconda conferenza internazionale di Fede e Costituzione, dove propose di creare un «Consiglio mondiale delle chiese», che vedrà la luce pochi anni dopo la sua morte. Alle soglie della seconda guerra mondiale, egli si adoperò in ogni modo per scongiurare il disastro bellico, che tra l'altro avrebbe finito per pesare soprattutto sui ceti più disagiati della società.
William Temple morì il 6 novembre del 1944, e la sua santità, indubitabile già agli occhi dei suoi stessi contemporanei, è riconosciuta dalla sua inclusione nel calendario della Chiesa d'Inghilterra.

Tracce di lettura

L'unità della chiesa, alla quale si orientano la nostra fede e la nostra speranza, è fondata sull'unità di Dio e sull'unicità della sua azione redentrice in Cristo Gesù. «Un solo corpo e un solo spirito» corrisponde a «un solo Dio e Padre di tutti». L'unità della chiesa di Dio è un fatto perenne; il nostro compito non è di crearla, ma di farla emergere. Dove Cristo abita nel cuore degli uomini, là è la chiesa: dove il suo Spirito è all'opera, là è il suo corpo. La chiesa non è un'associazione di uomini, ciascuno dei quali ha scelto Cristo come Signore: essa è una comunione di uomini, ognuno dei quali Cristo ha unito a sé. La fede e la vita cristiane non sono la scoperta o un invezione degli uomini; non sono uno stadio del processo di sviluppo storico: esse sono dono di Dio (W. Temple, Sermone di apertura della Seconda conferenza mondiale di "Fede e Costituzione").

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Nulla anteporre

Lettura

Luca 14,25-33

25 Siccome molta gente andava con lui, egli si voltò e disse: 26 «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 27 Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo. 28 Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? 29 Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: 30 Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro. 31 Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? 32 Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda un'ambasceria per la pace. 33 Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

Commento

L'obiettivo di Gesù non è di radunare folle adulanti ma di fare veri discepoli. Egli non adatta mai il suo messaggio ai desideri della maggioranza, ma espone chiaramente gli alti costi del discepolato. In questo passo evangelico Gesù pone due domande in forma di parabola volte a scoraggiare coloro che si donano a metà o che prendono superficialmente l'impegno da assumere.

«Nulla anteporre all'amore di Cristo» (Nihil amori Christi praeponere) ammonirà Benedetto da Norcia (Regola 4,21), riassumendo questo passo evangelico, in cui Gesù ci chiede di "relativizzare" gli stessi legami familiari.

L'odio menzionato da Gesù (v. 26) è un semitismo che sta per "amare meno". Il senso della frase è che per essere davvero suoi discepoli ogni cosa - compresa la nostra stessa vita - deve essere amata in lui, nella misura in cui non si oppone a lui. 

Il sacrificio che la sequela comporta trova il suo distintivo nella croce di Cristo, che ogni discepolo è chiamato a prendere su di sé. Poiché questa scelta è impegnativa per ciò che comporta, anche di eroico, le due brevi parabole esposte da Gesù invitano a un attento discernimento. Di qui il richiamo a "sedersi" (v. 28), avendo piena coscienza di dover portare a compimento l'impegno assunto. 

Ma è proprio quando ci mettiamo seduti e facciamo silenzio, quando le acque agitate della nostra anima si placano e siamo in grado di rispecchiarci in essa, è proprio in quel momento che siamo faccia a faccia con la nostra vulnerabilità e la nostra povertà di mezzi. Allora comprendiamo che solo la grazia di Dio può insegnarci a essere fedeli: «Sta' in silenzio davanti al Signore e spera in lui» (Sal 36,7).

Preghiera

Insegnaci, Signore, un amore ordinato e incondizionato; il tuo Spirito infonda coraggio ai nostri cuori e la tua grazia ci assista nella battaglia contro le potenze di questo mondo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 5 novembre 2024

Fermati 1 minuto. La dolce violenza dell'amore

Lettura

Luca 14,15-24

15 Uno dei commensali, avendo udito ciò, gli disse: «Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio!». 16 Gesù rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. 17 All'ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: Venite, è pronto. 18 Ma tutti, all'unanimità, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato. 19 Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego, considerami giustificato. 20 Un altro disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire. 21 Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al padrone. Allora il padrone di casa, irritato, disse al servo: Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi. 22 Il servo disse: Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c'è ancora posto. 23 Il padrone allora disse al servo: Esci per le strade e lungo le siepi, spingili a entrare, perché la mia casa si riempia. 24 Perché vi dico: Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena».

Commento

Gesù, che è stato invitato a pranzo da un fariseo, ha appena esortato a scegliere bene gli invitati, rivolgendosi agli ultimi della società (poveri, storpi, zoppi, ciechi) perché non avevdo da ricambiare faranno ottenere una ricompensa nei cieli a chi li invita. In tale occasione uno dei commensali pronuncia quello che era probabilmente un detto rabbinico, proclamando la beatitudine di chi "mangerà il pane" nel regno di Dio. 

È l'occasione per Gesù di esprimere, con una parabola, la posizione di rifiuto del Messia in cui si è posto Israele e l'apertura delle porte della salvezza alle genti. Ma è anche una parabola su tutti noi, che ci mostra un Dio più sollecito nel salvare i peccatori di quanto essi lo siano nel ricercare la propria salvezza. Siamo chiamati, infatti, alla salvezza annunciata dal vangelo, che non esclude nessuno che non si escluda da sé. Rischiamo, però, che l'annuncio ci trovi affaccendati nelle cose di questo mondo e disinteressati al diletto che può offrirci "banchettare" con Dio. La parabola ci esorta a non dare per scontato che quest'ultimo privilegio ci spetti di diritto e che ci aspetti mentre ci occupiamo dei nostri affari. Di qui il rifiuto e le scuse dei tre invitati. Eppure il terreno acquistato sarà ancora lì, i buoi normalmente vengono provati prima di comprarli, il matrimonio esonerava dal servizio militare e dai viaggi di affari, ma non dal partecipare a una cena. 

Ognuno di noi può cadere nella tentazione di non dare la dovuta importanza all'offerta di chi ci invita, mentendo a lui e a se stesso nel dichiarare che non è possibile accettare o che si ha altro da fare. In tal caso ci passerà avanti colui che non si aspetta di essere invitato, che non se ne ritiene degno, il quale sperimenterà la dolce violenza dell'amore, la forza della parola di Dio, che lo attira a condividere la sua beatitudine.

Preghiera

Donaci la gioia di essere salvati, Signore. La ricerca della comunione con te prevalga sulle sollecitudini del mondo; affinche possiamo partecipare, nella vita futura, al tuo banchetto celeste. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 4 novembre 2024

Fermati 1 minuto. "I tuoi" e "gli altri"

Lettura

Luca 14,12-14

12 Disse poi a colui che l'aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch'essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. 13 Al contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; 14 e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

Commento

Capovolgendo l'usanza comune Gesù esorta a invitare come ospiti gli infelici e i poveri, che non potranno mai ricambiare: è solo per questa via che riceveremo la ricompensa più importante, quella divina, nella risurrezione finale.

Il discepolo di Gesù deve aspettare per essere esaltato, ma la sua attesa deve essere animata da uno spirito generoso e caritatevole. Gesù chiede di oltrepassare i vincoli familiari, di amicizia e di interesse ("i ricchi vicini"; v. 12), per raggiungere "poveri, storpi, zoppi, ciechi", coloro ai quali mancano le cose più elementari: un minimo di ricchezza per vivere dignitosamente, qualcuno che li sostenga nel loro incerto incedere, occhi capaci di offrire una guida. Sono categorie che racchiudono differenti tipi di povertà materiale e spirituale.

Gesù associa a questo comportamento una vera e propria beatitudine ("sarari beato"; v. 14). Solo la logica dell'amore disinteressato consente di uscire da una cerchia di appartenenza che rischia di essere escludente ("i tuoi"... amici... fratelli... parenti; v. 12), persino "soffocante". L'incontro con l'"altro", nella gioia della condivisione, conduce fuori dalla solitudine autoreferenziale, consentendo di pregustare fin da ora i frutti della risurrezione.

Preghiera

Sostieni in noi, Signore, un animo generoso; affinché possiamo riconsocerti in ogni bisognoso, per essere ricolmati della tua grazia e della tua benedizione celeste. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 3 novembre 2024

La nostra cittadinanza è nei cieli

 COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA VENTITREESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

O Dio, nostro rifugio e forza, che sei l’autore di ogni cosa buona; sii pronto, ti supplichiamo, ad ascoltare le devote preghiere della tua Chiesa; e concedici che le cose che chiediamo con fede possiamo ottenerle con efficacia. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Fil 3,17-21; Mt 22,15-22

Commento

Era una convinzione rabbinica che colui che coniava la moneta di un paese ne fosse il dominatore. Secondo questa teoria, null'altro occorreva che di accertare quale fosse la moneta corrente in Giudea a quel tempo, per ottenere una risposta concludente alla domanda che era stata posta a Gesù: "è lecito o no pagare il tributo a Cesare?" (Mt 22,17).

La moneta romana circolava liberamente nel paese e i giudei non esitavano ad usarla in ogni affare e contrattazione. Se, come nazione si fossero astenuti dall'impiegarla ci sarebbe potuto essere almeno un pretesto per mettere in dubbio la legittimità del tributo richiesto dal governo romano; ma vivendo, come facevano, sotto la protezione delle leggi dell'imperatore, e facendo ogni giorno uso della moneta di Roma, lo riconoscevano di fatto come l'autorità sovrana del Paese. La legge sacra consentiva, infatti, ad Israele, di scegliersi il proprio governo, vincolandolo unicamente a continuare a corrispondere il tributo al tempio.

Come "le cose di Cesare" implicavano, nei fatti, più del semplice testatico (il tributo all'imperatore), "le cose di Dio", cui fa riferimento Gesù, significano di più che non semplicemente il tributo del tempio: includono il cuore con le sue affezioni, la coscienza, la volontà, le ricchezze individuali, in una parola la consacrazione a Dio di tutto intero l'uomo, del corpo non meno che dello spirito.

La risposta di Gesù non separa, ma unisce i doveri politici e quelli religiosi dei cristiani. Colui che è interamente votato a Dio, infatti, non può disinteressarsi della polis, del consesso umano in cui vive e nel quale è chiamato a esprimere la carità cristiana. Diversamente, il cristianesimo si ridurrebbe a sterile devozionalismo più che a quell'opera di trasformazione radicale e sostanziale del credente di cui parla Paolo nel capitolo terzo della sua lettera ai Filippesi.

Paolo afferma che "la nostra cittadinanza è nei cieli" (Fil 3,20), ma è qui sulla terra che già si misura il progresso nella santificazione che Cristo stesso compie in noi, "secondo la sua potenza che lo rende in grado di sottoporre a sé tutte le cose" (Fil 3,21).

Se il dominio di Cesare, il cui volto era impresso nel denaro, è infatti puramente convenzionale e soggetto alla volontà di Dio, il dominio di Cristo sulle nostre vite, in virtù del segno impresso nelle anime dalla fede battesimale, è l'esercizio di una sovranità reale. A ben vedere, non vi è cosa, nel cosmo, che non rechi impressa in sé il marchio del suo Creatore e che, dunque, non vada a lui ricondotta. Tutto è da Dio e tutto è per la lode e gloria di Dio.

Cristo, dimorando in noi, riproduce nella nostra vita la propria fisionomia morale; questa conformità sarà completata nei cieli dove "il nostro umile corpo sarà reso conforme al suo corpo glorioso" (Fil 3,21).

La garanzia che rende certa questa trasformazione è la sua potenza illimitata, il suo impero universale. Egli non ha coniato una moneta: era con il Padre quando, come Logos eterno, creava l'uomo a sua immagine e somiglianza; quando ha assunto la nostra natura umana, elevandola e unendola alla propria natura divina; quando ci ha purificati con le acque battesimali e segnati con il sangue della sua passione. Egli è il nostro Dio e noi siamo il popolo del suo pascolo (Sal 95,7). Siamo suoi. E nostra è la sua grazia; nostra la sua carità, che deve passare in abbondanza come moneta corrente tra le nostre mani.

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 2 novembre 2024

Le preghiere per i defunti dalle catacombe alla teologia evangelica

Le preghiere per i defunti non sono qualcosa di nuovo e di tardivo, inventato da una Chiesa corrotta, ma sono state tra il popolo di Dio fin da prima dei tempi di Cristo, proseguendo senza interruzione nella storia della Chiesa cristiana.

L'idea di pregare per i santi defunti (o di chiedere le loro preghiere) per molti oggi è piuttosto controversa, e senza dubbio tiene lontane molte persone dal prendere sul serio sia la Chiesa cattolica romana o la Chiesa ortodossa. Dal momento che questo sembra essere un ostacolo importante può essere utile delineare semplicemente cosa vuol dire rivolgersi ai "morti". È biblico? È storicamente radicato nella vita della Chiesa? È cosa buona per la Chiesa e il suo popolo? Guardiamo un po' più da vicino.

Le testimonianze bibliche

Tralasciamo volutamente i libri di Tobia e il Secondo libro dei Maccabei, presenti nella versione greca della Bibbia, detta "dei LXX" e utilizzata al tempo di Gesù (quando in ambito giudaico già si pregava per i defunti).

Uno dei passaggi più suggestivi relativi a questo argomento si trova nella seconda epistola di Paolo a Timoteo, dove Paolo scrive (1:16-18):

"Il Signore conceda misericordia alla famiglia di Onesiforo, perché egli mi ha più volte confortato e non s'è vergognato delle mie catene; anzi, venuto a Roma, mi ha cercato con premura, finché mi ha trovato. Gli conceda il Signore di trovare misericordia presso Dio in quel giorno".

Se si guarda a questo passo con attenzione, si può notare che San Paolo sta di fatto pregando che il Signore abbia misericordia di Onesiforo nel giorno del giudizio, con l'implicazione che egli è già morto. Questo è in genere sostenuto dal punto di vista che san Paolo prega per la famiglia di Onesiforo separatamente dall'uomo stesso, e più avanti in questa stessa epistola durante i suoi commenti di "addio", scrive: "Salutate Prisca e Aquila e la famiglia di Onesiforo" (4,19). 

I commentatori protestanti

Alcuni commentatori, come il pastore riformato Matthew Henry, hanno sostenuto che questo significa semplicemente che Onesiforo era con san Paolo in quel momento, e così lui stava salutando tutta la loro famiglia in sua assenza. Tuttavia, san Paolo dice in questo stesso capitolo: "Solo Luca è con me" (4,11), e poi chiede che gli sia inviato anche Marco. Non viene fatta menzione di Onesiforo individualmente se non nel contesto di pregare per la sua salvezza "in quel giorno."

Non sorprende che ci siano molti modi in cui gli studiosi evangelici cercano di evitare di venire alla conclusione che san Paolo sta pregando per la salvezza di una persona morta. In effetti, alcuni ammetteranno che Onesiforo è morto, ma poi diranno che san Paolo sta semplicemente esprimendo un "bel pensiero" su di lui, e non sta formalmente "pregando per" lui. Questo, però, dimostra una visione un po' strana della preghiera. Come cristiani dobbiamo essere sempre in uno stato di preghiera (Filippesi 4:6; 1 Tessalonicesi 5:16-17), e la preghiera è poco diversa da un dialogo con Cristo, come se fosse proprio qui in mezzo a noi; un bel pensiero per Cristo è una bella preghiera a Cristo.

D'altra parte, molti studiosi evangelici – con una certa riluttanza, nella maggior parte dei casi – concedono che san Paolo di fatto sta pregando per la "salvezza" di una persona morta in quest'epistola. La maggior parte di loro preferirà sottovalutare questa realtà, ma ammetteranno che è la più probabile spiegazione a noi disponibile.

Per esempio, Alfred Plummer dice di questo passaggio: "Certamente il saldo delle probabilità è decisamente a favore del parere che Onesiforo era già morto quando san Paolo scrisse queste parole [...] egli qui parla della "casa di Onesiforo" in connessione con il presente, e di Onesiforo stesso solo in connessione con il passato [...] non è facile spiegare questo duplice riferimento alla famiglia di Onesiforo, se egli stesso era ancora vivo. In tutti gli altri casi è menzionato l'individuo e non la famiglia [...] C'è anche il carattere della preghiera dell'Apostolo. Perché limita suoi i desideri aspettando il ricambio della gentilezza di Onesiforo 'al giorno del giudizio? [...] Anche questo è del tutto comprensibile, se Onesiforo è già morto. - The Expositor’s Bible (ed. W. Robertson Nicoll), "The Pastoral Epistles", pp 324-326

Più tardi, nella stessa sezione, Plummer conclude che, poiché "secondo l'opinione più probabile e ragionevole, il passo davanti a noi contiene una preghiera offerta dall'Apostolo a nome di un morto, ci sembra di aver ottenuto la sua sanzione, e quindi la sanzione della Scrittura, per l'utilizzo di simili preghiere noi stessi. "

Lo studioso anglicano J. N. D. Kelly, scrive di questo passaggio:
"Partendo dal presupposto, che deve essere corretto, che Onesiforo era morto quando furono scritte queste parole, abbiamo qui un esempio, unico nel Nuovo Testamento, di
preghiera cristiana per i defunti [...] l'affidamento di un morto alla divina misericordia. Non c'è nulla di sorprendente nell'uso da parte di Paolo di questa preghiera, perché l'intercessione per i defunti era stata sanzionata nei circoli farisaici almeno da quando
fu scritto 2 Macc 12:43-45 [...] Le iscrizioni nelle catacombe romane e altrove dimostrano che la prassi si è affermata tra i cristiani sin dai tempi remoti. - A Commentary on the Pastoral Epistles, p. 171.

E, infine, Philip Schaff (un evangelico presbiteriano) scrive: "Partendo dal presupposto già menzionato come probabile, questa, ovviamente, dovrebbe essere una preghiera per i defunti. Il riferimento al grande giorno del giudizio rientra in questa ipotesi [...] Da un punto di vista delle controversie, ciò sembra favorire la dottrina e la prassi della Chiesa di Roma. - The International Illustrated Commentary on the New Testament, Vol. 4: “The Catholic Epistles and Revelation,” p. 587.

Ci sono alcuni altri commenti che condividono lo stesso punto di vista (ad esempio Henry Alford, The Greek Testament, Vol. 3, p. 376 ; J. E. Huther, Critical and Exegetical Handbook to Timothy and Titus, p. 263; ecc.), ma non è necessario qui fare riferimento a tutti. È sufficiente a dire che questa non è una "nuova" o "strana" interpretazione di questo passo, e trova il suo posto non solo nell'antichità della Chiesa apostolica e nei padri della Chiesa primitiva, ma anche tra i recenti studiosi evangelici.

I defunti dormono o sono consapevoli di ciò che accade sulla terra?

Un altro argomento da prendere in considerazione è quello della "consapevolezza" dei santi e dei martiri defunti in cielo (cioè in presenza di Dio o in Paradiso, e non nell'Ade in attesa del giudizio finale con la maggior parte dell'umanità defunta). In altre parole, essi sono consapevoli di ciò che sta succedendo qui sulla terra, mentre sono in cielo? Dopo tutto, se non sono in grado di osservare ciò che accade qui sulla terra, come potrebbero non solo unirsi a noi nel culto ma anche pregare per noi o essere consapevoli del fatto che stiamo chiedendo loro di pregare per noi, in primo luogo? La Scrittura, a quanto pare, non tace nemmeno su questa particolare questione.

Per esempio, nel Vangelo secondo Luca, è riportato che Gesù dice: "Io vi dico che ci sarà più gioia in cielo per un peccatore che si converte, che non per novantanove giusti che non hanno bisogno di pentimento" (15: 7), e ancora: "Allo stesso modo, vi dico, c'è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte" (15:10). Sembra che Gesù crede che sia le persone sia gli angeli in cielo siano consapevoli di ciò che avviene sulla terra, e non sono radicalmente separati da ciò che accade.
Altrove, la lettera agli Ebrei sembra sostenere sia la presenza sia la consapevolezza dei santi in cielo rispetto ai santi che sono in formazione sulla terra.
Il culto della Chiesa come descritto in Ebrei è il culto dei santi di tutte le età, insieme con gli angeli in cielo. Non siamo in alcun modo sconnessi o separati l'uno dall'altro – e soprattutto nel contesto della preghiera o del culto liturgico. "Voi vi siete invece accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all'adunanza festosa e all'assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell'aspersione dalla voce più eloquente di quello di Abele" (12:22-24).

Il corpo di Cristo è unico, e non ha molto senso credere che non possiamo pienamente comunicare e interagire in modo significativo – soprattutto nel contesto del culto – con i santi e i martiri dipartiti da questa vita e accolti con Cristo in cielo.

Infine, su questo punto, leggiamo nell'Apocalisse dell'apostolo Giovanni che i martiri sono consapevoli del passare del tempo sulla terra e di ciò che vi è o non vi è trapelato, poiché si lamentano "Fino a quando, o Sovrano, tu che sei santo e veritiero, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue contro gli abitanti della terra? "(Ap 6:10). E più tardi, è scritto: "E vidi i sette angeli che stanno davanti a Dio, e furono date loro sette trombe. Poi un altro angelo, reggendo un turibolo d'oro, venne e si fermò presso l'altare. Gli fu dato molto incenso, perché l'offrisse insieme alle preghiere di tutti i santi sull'altare d'oro posto davanti al trono. E il fumo dell'incenso, insieme con le preghiere dei santi, salì davanti a Dio dalla mano dell'angelo" (8:2-4).

Oltre ad essere una vivida descrizione della liturgia tardo-apostolica, questo passo significa che le preghiere dei santi sono presentate a Dio. Affinché questo non includa le preghiere dei "morti", dovremmo anche dire che i morti non sono santi. Chi, sano di mente, parlerebbe di un cristiano in cielo come di qualcosa di diverso da un santo? Sono i santi di Cristo che abitano nella presenza del Signore e lo adorano e lo pregano continuamente, a nome del mondo intero.

La preghiera per i defunti nelle iscrizioni funerarie delle Catacombe

Le catacombe romane del I e II secolo, per esempio, sono piene di scritte, che chiedono ai cristiani sulla terra di pregare per coloro che sono in cielo, e viceversa. Non è un problema trovare numerose citazioni dei primi Padri della Chiesa su questo tema. Ecco alcuni esempi:

D · P ·
LVCIFERE · COIVGI · DVLCISSIME · OMNEN (sic)
DVLCITVDINEM · CVM · LVCTVM · MAXIME
MARITO · RELIQVISSET · MERVIT · TITVLVM
INSCRIBI · VT · QVISQVE · DE FRATRIBVS · LE
GERIT · ROGET · DEVM · VT · SANCTO · ET · INNOCENTI
SPIRITO · AD · DEVM · SVSCIPIATVR
QVE · VIXIT · ANNUS · XXI · MES · VII · DIES · VX


«... Essa meritò che si ponesse questa iscrizione affinchè ognuno dei fratelli che la leggerà preghi onde Iddio riceva a sè quest'anima santa ed innocente ».
(Museo Lateranense).

EVCHARIS · EST · MATER · PIVS · ET · PATER · EST mihi...
VOS · PRECOR · O · FRATRES · ORARE
HVC · QVANDO · VENitis | ET · PRECIBVS · TOTIS
PATREM · NATVMQVE · ROCATIS | SIT · VESTRAE
MENTIS · AGAPES · CARAE · MEMINISSE | VT · DEVS
OMNIPOTENS · AGAPEN · IN SAECVLA · SERVET

Il poeta fa parlare la defunta dicendo ai visitatori, ai fratres che verranno a pregare nel cimitero: Vos precor o fratres orare huc quando venitis et precibus totis patrem natumque rogatis, cioè quando verrete qui a pregare con preci comuni (precibus totis) il Padre e il Figliuolo, ricordatevi di Agape cara, sit vestrae mentis Agapes carae meminisse, affinchè Iddio l'abbia nella sua gloria.

ΔHMHTPIC · ET · ΛEONTIΛ
CEIPIΚE · ΦEIΛIE · BENEMEPEN ·
TI · MNHCΘHC · IHCOΥC
O · ΚΥPIOC · TEΚNON . . . 


« O Signore Gesù ricordati della nostra figlia ».
(Cimitero di Domitilla)

La formula più usata per esprimere la preghiera per i defunti è IN · PACE. Ma vi è un'altra frase più solenne, ed è quella del REFRIGERIVM, che esprime propriamente il pensiero del sollievo da una pena che si soffre.
Nelle epigrafi si trova in diversi modi espressa questa formula di preghiera. Talvolta troviamo la sola formula di preghiera. Talvolta troviamo la sola formula IN · REFRIGERIVM; anche spesso la troviamo unita all'altra più comune IN · PACE. Si trova ancora DEVS · TIBI · REFRIGERET -- DEVS · REFRIGERA -- BENE · REFRIGERA, etc.

PRIVATA · DVLCIS
IN · REFRIGERIO
ET · IN · PACE

« O dolce Privata che tu sia nel refrigerio e nella pace ».
(Cimitero di Priscilla)

POSVIt · HipeRECHIVS
COIVGI · ALBINVLE
BENEMERENTI · SIC
VT · SPIRITUM · TVVM · DE
VS · REFRIGERET


« ... perchè Iddio dia refrigerio all'anima tua ».
(Cimitero di Priscilla)

Ma siccome il dogma della comunione dei Santi comprende anche la fede nella efficacia delle preghiere che i defunti possono fare per i viventi, così in altre iscrizioni ci si presentano delle formule di preghiera rivolte ai defunti affinché intercedano per i superstiti.
Eccone alcuni esempi:

IANVARIA · BENE · REFRIGERA
ET · ROGA · PRO · NOS (sic)

« O Gennaro, abbi refrigerio e prega per noi ».
(Cimitero di Callisto)

. . . . . . . . . . .
. . . VIBAS
IN · PACE · ET · PETE
PRO · NOBIS

« Vivi nella pace (eterna) e prega per noi ».
(Cimitero di Domitilla)


ATTICE · SPIRITVS · TVVS
IN · BONO · ORA · PRO · PAREN
TIBVS · TVIS

« Attico che la tua anima sia nella felicità e tu prega per i tuoi genitori ».
(Cimitero di Callisto)


Sul finire del diciannovesimo secolo, il protestante Teofilo Roller (Theophile Roller, Les catacombes de Rome. Histoire de l'art et des croyances religieuses pendant les premiers siècles du christianisme, Paris, 1881) affermò l'opinione che iscrizioni come quelle sopra riportate fossero state aggiunte in seguito nelle catacombe, non prima del V secolo. In realtà già Giovanni Battista de Rossi, orazio Marrucchi e la scienza epigrafica contemporanea, hanno dimostrato che il termine "refrigerium" era caratteristico proprio del II e III secolo, mentre tende a scomparire tra i IV e V secolo. Inoltre le testimonianze sulla preghiera per i defunti sono corroborate dalla letteratura patristica.

I testi patristici

Tertulliano (155-230) ricorda le oblationes pro defunctis (De Corona, c. 3) e le preghiere della sposa cristiana per il consorte defunto (De Monogama, c. 10). Cipriano di Cartagine (210-258) nomina espressamente il sacrificiumm pro dormitione (Epistola. 66).

Le Costituzioni apostoliche (Libro 8, sez. 4 e 41), scritte nel 380 circa, riportano:

"Preghiamo per i nostri fratelli che riposano in Cristo, affinché Dio, l'amante del genere umano, che ha ricevuto la loro anima, possa perdonare loro ogni peccato, volontario e involontario, e possa essere misericordioso e compassionevole verso di loro e concedere loro una parte nella terra dei giusti, nel seno di Abramo, Isacco e Giacobbe, con tutti coloro che lo hanno compiaciuto e compiono la sua volontà fin dal principio del mondo, laddove sono banditi ogni dolore, tristezza e gemito".

San Cirillo di Gerusalemme, scrivendo nel 350 d.C., afferma:

"Poi facciamo menzione anche di coloro che si sono già addormentati: in primo luogo, i patriarchi, profeti, apostoli e martiri, affinché attraverso le loro preghiere e suppliche Dio riceva la nostra petizione; quindi, facciamo menzione anche dei santi padri e vescovi che si sono già addormentati, e, per dirla semplicemente, di tutti quelli tra noi che si sono già addormentati; perché crediamo che sarà di grande beneficio per le anime di coloro per i quali la preghiera viene effettuata, mentre questo sacrificio santo e solenne è preparato. Io so che ci sono molti che dicono: 'Se un'anima si diparte da questo mondo di peccati, che cosa le giova di essere ricordata nella preghiera' [...] [Noi] concediamo una remissione delle loro sanzioni [...] anche noi offriamo preghiere a lui per coloro che si sono addormentati, anche se sono peccatori. Non intrecciamo una corona, ma offriamo Cristo che è stato sacrificato per i nostri peccati; e in tal modo propiziamo Dio benevolo per loro così come per noi stessi".

[Mistagogie 5], 8, 9, 10

Nel suo Testamento (scritto nel 373), sant'Efrem il Siro richiede:

"Non mi seppellite con spezie dolci: questo onore non mi avvale; né con incensi e profumi: quest'onore non mi porta benefici. Bruciate spezie dolci nel luogo santo: e quanto a me, conducetemi alla tomba con la preghiera. Offrite incenso a Dio: e su di me inviate inni. Invece di profumi e spezie, fate memoria di me nella preghiera"

Questa offerta di incenso e preghiere per i defunti è esattamente ciò che la Chiesa ortodossa fa fino a oggi con il Trisagion per i defunti. 

Sant'Epifanio di Salamina dice dei defunti: 

"È utile anche l'orazione fatta per loro, anche se non cancella tutto l'onere delle loro colpe. Ed è anche utile, perché in questo mondo spesso cadiamo volontariamente o involontariamente, e quindi è un ricordo per agire meglio noi stessi"

[Panarion, 75:8]

San Giovanni Crisostomo (344/354-407), scrive: 

"Aiutiamoli e commemoriamoli. Se i figli di Giobbe erano purificati dal sacrificio del loro padre (Giobbe 1:5), perché dovremmo dubitare che le nostre offerte per i morti portino loro qualche consolazione? Non esitiamo ad aiutare coloro che sono morti e a offrire le nostre preghiere per loro".

[Omelie sulla prima lettera ai Corinzi, 41:5]

La Passio di Perpetua e Felicita

Un discorso a sé merita la Passio di Perpetua e Felicita, martirizzate nel 203 a Cartagine. 
La Passio che racconta del martirio è ritenuta dagli studiosi immediatamente successiva agli eventi. Un tempo attribuita a Tertulliano è, invece, oggi attribuita ad un cristiano anonimo della comunità di Cartagine.
Il racconto si compone di tre parti. La prima è una relazione fatta forse da un diacono o da un notaio della Chiesa di Cartagine sui compagni di prigionia e di martirio della santa; la seconda, che è quella scritta dalla stessa martire Perpetua, contiene il suo diario durante la prigionia; la terza espone il racconto del suo martirio, fatto da quello stesso che scrisse la prima parte. E questa ultima parte si chiude con la testimonianza preziosa che la seconda parte fu scritta di propria mano dalla stessa Perpetua. In questa descrizione viene narrato tutto ciò che accadde dal momento della cattura di lei e degli altri cristiani fino al giorno del martirio; e contiene il racconto delle visioni da lei avute durante la sua prigionia.

Nella prima di queste visioni, dopo la solita formula et ostensum est mihi hoc, Perpetua ci racconta di aver e visto una scala lunga fino al cielo, attorniata da armi diverse e custodita da un dragone. Essa non aveva coraggio di salire, ma Satiro, suo compagno, le fece animo e subito salì e giunse in un bellissimo giardino, dove vide un vecchio venerando con capelli del tutto bianchi, che stava mungendo. Appena che la vide, le fece cenno di avvicinarsi, e poi che essa si fu avvicinata, il vecchio le diede un pezzetto di latte coagulato (sicit buccella) che essa ricevette a mani giunte sulle labbra, mentre tutti gli altri personaggi che si trovavano in quel giardino dicevano: Amen. Dopo di che Perpetua dice di essersi svegliata e di esserle rimasta in bocca una dolcezza che mai aveva provato. Queste ultime parole contengono una allusione evidente all'Eucaristia; e di ciò si è parlato sopra.

« Dopo alcuni giorni da questa visione, prosegue essa a dire, mentre stavamo tutti a pregare, sfuggì dalle mie labbra il nome di Dinocrate, nome di mio fratello minore morto da poco all'età di sette anni per un cancro sulla faccia. Io, prosegue, mi meravigliai come fino allora non mi fossi mai ricordata di lui e me ne pentii, e tutti insieme ci ponemmo a pregare per lui. Poco dopo ebbi un'altra visione: e vidi Dinocrate che usciva da un luogo tenebroso, tutto pallido in volto con sopra una terribile ferita che lo deformava. Egli era tutto mesto ed abbattuto, e andava qua e là vagando inquieto come chi soffre una gran pena. Fra me e lui v'era una profonda divisione, cosicché io non poteva aiutarlo in nessun modo. In quello stesso luogo dove egli stava vi era pure una fontana e pareva che Dinocrate avesse un'ardente sete poiché cercava di bere ma non poteva, perché l'orlo della vasca era molto alto ed egli invece piccolo di statura. Allora capii che egli si trovava in luogo di pena. E così mi svegliai e pensai subito al fratello che soffriva, ma confidai che le mie preghiere fossero a lui di sollievo; e subito ci ponemmo a pregare per lui sino a quando ci portarono all'anfiteatro in una nuova prigione per aspettare il giorno in cui si celebrava la festa di Geta figlio dell'imperatore ». La terza visione avvenne dopo alcuni giorni dall'altra ed è la seguente: « Mi si presentò dinanzi il medesimo luogo dell'altra volta, però interamente trasformato, risplendente di luce e in ameno giardino; e Dinocrate allegro e contento che saltava qua e là vestito di candide vesti. La fontana di quel giardino aveva l'orlo molto abbassato e in essa Dinocrate continuamente si rinfrescava (et vidi Dinocratem refrigerantem), mentre sul margine della fontana stessa vi era una fiale d'oro ripiena di acqua. Allora, conclude Perpetua, mi ridestai e compresi che Dinocrate era stato tolto dalla pena e che godeva la beatitudine eterna ».

Certamente in tutta l'antica letteratura cristiana non abbiamo un altro documento che parli più chiaramente della fede nel Purgatorio, delle preghiere per il suffragio delle anime dei defunti e della validità di queste preghiere.

E qualunque cosa voglia dirsi su queste «visioni» di S. Perpetua, ed anche se esse fossero soltanto sogni da lei fatti nel carcere, certo è che vi sono espresse le convinzioni che Perpetua aveva e che tutti i cristiani avevano sul dogma del Purgatorio nei primi anni del terzo secolo; e queste convinzioni non si erano formate allora ma derivavano senza dubbio dalla tradizione del secondo secolo.

Le più antica preghiera liturgica occidentale

La più antica preghiera per i defunti nella liturgia occidentale è quella del Sacramentario Gelasiano (Gelasianum Vetus, nel cui titolo in realtà non compare il nome di Papa Gelasio: Liber Sacramentorum Romanae Ecclesiae Ordinis Anni Circuli). Il sacramentario fu compilato nei pressi di Parigi attorno al 750 e contiene elementi sia gallicani sia romani, contaminati fra loro.
Qui di seguito l'orazione che compare al numero 1627 del Sacramentario:

"Deus apud quem omnia morientia uiuunt, cui non pereunt moriendo corpora nostra, sed mutantur in melius, te supplices deprecamur: ut suscipi iubias animam famuli tui illius per manus sanctorum angelorum, deducendam in sinu amici tui patriarche abrahe, resuscitandum in diae nouissimi magni iudicii: et si quid de regione mortali tibi contrarium contraxit fallente diabolo, tua piaetate abluae indulgendo. Per Christu".

"Dio presso il quale coloro che muoiono vivono, per cui non periscono i nostri corpi morendo, ma si mutano in meglio, ti supplichiamo: accogli l'anima di questo tuo fedele per mano dei santi angeli, conducila nel seno del tuo patriarca Abramo, risuscitandola nel giorno del grande giudizio, e se in vita a commesso qualcosa di contrario a te cedendo al diavolo, la tua pietà la purifichi con indulgenza. Per Cristo".

Tale preghiera perdurerà nella liturgia per tutto il medioevo.

Le preghiere per i defunti nel Book of Common Prayer anglicano

Nel primo Prayer Book troviamo una commendatio del defunto che fa riferimento sia alla sua anima, che viene affidata a Dio, che al suo corpo, che viene affidato alla terra, dalla quale proviene. Anche la colletta immediatamente successiva rappresenta una commendatio. La revisione del 1552 utilizza una formula piuttosto ambigua, che difficilmente potrebbe essere definita una vera e propria commendatio dell’anima del defunto, mantenendo invece l’affidamento del corpo alla terra:

"Forasmuche as it hathe pleased almightie God of his great mercy to take unto himselfe the soule of our dere brother here departed: we therefore commit his body to the ground, earth to earth, asshes to asshes, dust to dust [...]"

"Nella misura in cui possa essere gradito a Dio Onnipotente, nella sua grande misericordia, di prendere con sé l’anima del nostro caro fratello defunto, noi raccomandiamo il suo corpo al suolo, terra alla terra, cenere alla cenere, polvere alla polvere […]".

Il Servizio funebre del Prayer Book del 1549 propone le letture, il salmo e la colletta per la celebrazione di una Eucarestia per i defunti.

Questo Service non va considerato in senso stretto come sacrificio propiziatorio (Se non come memoria dell’unica e singola offerta di sé, compiuta da Cristo sulla croce, sacrificio, oblazione e soddisfazione piena, perfetta e sufficiente per i peccati del mondo intero: «who made there (by his one oblacion once offered) a full, perfect, and sufficient sacrifyce, oblacion, and satysfaccyon, for the sinnes of the whole worlde»; BCP 1549, Holy Communion, 30). Il titolo originale è «The Celebracion of the holy communion when there is a burial of the dead» e la colletta contiene vaghi elementi intercessori:

"We mekely beseche thee (o father) to raise us from the death of sin, unto the life of righteousnes, that when we shall departe this lyfe, we maye slepe in him (as our hope is this our brother doeth), and at the general resurreccion in the laste daie, bothe we and this oure brother departed, receivyng agayne oure bodies, and rising againe in thy moste gracious favoure: maye with all thine elect Saynctes, obteine eternall joye".

"Ti supplichiamo docilmente o Padre, di sollevarci dalla morte del peccato, nella vita della giustizia, affinché quando lasceremo questa vita, possiamo addormentarci in lui [Cristo, ndt] (come speriamo per questo nostro fratello defunto), e nella resurrezione universale l’ultimo giorno, noi e questo nostro fratello defunto, ricevendo di nuovo il nostro corpo e risorgendo per la tua grazia e il tuo favore possiamo, con tutti i tuoi Santi eletti, ottenere la gioia etern".

La morte del fedele cristiano è vista come una liberazione dal peccato cui siamo soggetti in questa esistenza, per essere sollevati alla vita della giustizia. Al centro vi è la dottrina della giustificazione, nonché il recupero di una visione pasquale della morte, che caratterizzava la teologia dei primi secoli cristiani, mediante un richiamo alla resurrezione e alla gioia eterna.

Nella colletta è presente un chiaro riferimento al sonno dell’anima in attesa del giudizio: «that when we shall depart this life we may sleep in him». Questa teoria rappresentò un motivo di controversia teologica nella chiesa inglese e nelle chiese riformate in generale tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo.

La commendatio dei fedeli defunti è presente anche nelle preghiere di intercessione del rito della comunione nel Prayer Book del 1549, dove peraltro ritorna l’idea del sonno dell’anima in attesa del giudizio, sempre con un richiamo a Matteo 25:

"We commend unto thy mercye (O Lorde) all other thy servauntes, which are departed hence from us, with the signe of faith, and nowe do reste in the slepe of peace: Graunt unto them, we beseche thee, thy mercy, and everlasting peace, and that, at the day of the generall resurreccion, we and all they which bee of the misticall body of thy sonne, may altogether be set on his right hand, and heare that his most ioyfull voyce: Come unto me, O ye that be blessed of my father, and possesse the kingdom, whiche is prepared for you from the begynning of the worlde: Graunt this, O father, for Jesus Christes sake, our onely mediatour and advocate".

"Raccomandiamo alla tua misericordia (Signore) tutti gli altri tuoi servi, che ci hanno preceduto nel segno della fede e ora riposano nel sonno della pace. Concedi loro, ti supplichiamo, la tua misericordia e la tua pace senza fine, affinché nel giorno della resurrezione universale, noi e tutti coloro che appartengono al mistico corpo del tuo figlio, possiamo essere posti alla sua destra, e udire la sua voce gioiosissima: Venite a me, Benedetti dal padre mio, e prendete parte al regno che è stato preparato per voi dal principio del mondo. Concedici questo, o Padre, per l’amore di Gesù Cristo, nostro unico mediatore e avvocato".

Il Book of Common Prayer del 1549 presenta un’unica colletta per i funerali, che richiama in alcuni passaggi i toni dell’eucologia medievale: la morte è vista come una liberazione dal fardello della carne, si chiede che l’anima possa scampare alle porte dell’inferno per riposare nel seno di Abramo e che nel terribile giorno del giudizio possa risorgere a nuova vita.

"O Lorde, with whome dooe lyve the spirites of them that be dead: and in whome the soules of them that bee elected, after they be delivered from the burden of the fleshe, be in joy and felicitie: Graunte unto us thy servaunte, that the sinnes whiche he committed in this world be not imputed unto him, but that he, escaping the gates of hell and paynes of eternall derkenesse: may ever dwel in the region of highte, with Abraham, Isaac, and Jacob, in the place where is no wepyng, sorowe, nor heavinesse: and when that dredeful day of the generall resurreccion shall come, make him to ryse also with the just and righteous, and receive this bodie agayn to glory, then made pure and incorruptible, set him on the right hand of thy sonne Jesus Christ, emong thy holy and elect, that then he may heare with them these most swete and coumfortable wordes: Come to me ye blessed of my father, possesse the kingdome whiche hath bene prepared for you from the beginning of the worlde: Graunte thys we beseche thee, o mercifull father: through Jesus Christe our mediatour and redemer. Amen".

"O Signore, in cui vivono gli spiriti di coloro che sono morti, e in cui le anime degli eletti dopo essere state liberate dal fardello della carne sono in gioia e felicità; concededi a questo tuo servo che non gli siano imputati i peccati commessi in questo mondo, ma che fuggendo le porte dell’inferno e le pene dell’oscurtà eterna, possa dimorare nella regione della luce, con Abramo, Isacco e Giacobbe, nel luogo dove non c’è tristezza o fatica; e quando giungerà il terribile giorno della resurrezione universale possa anche egli risorgere con i Giusti e ricevere nuovamente il suo corpo per la Gloria, reso puro e incorruttibile, ponendolo alla destra del tuo Figlio Gesù Cristo, con i santi e gli eletti, e possa udire le parole dolci e confortevoli: Vente a me, eletti del Padre mio, e prendere parte al regno che è stato preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Concedici questo Padre misericordioso, per Gesù Cristo, nostro mediatore e redentore".

Tale colletta è simile a una delle due del BCP 1552 ed entrambe ricordano nel loro incipit la preghiera Deus apud quem del Gelasianum Vetus n. 1627.

A parte l’incipit l’eucologia è però differente; vi è un ringraziamento per avere liberato il defunto dal mondo del peccato, la richiesta di accoglierlo tra il numero degli eletti e di potersi unire a lui nella resurrezione dell’anima e del corpo.

"Almightie God, with whom doe lyve the spirites of them that departe hence in the lord, and in whom the soules of them that be elected, after they be delivered from the burden of the fleshe, be in joye and felicitie: We geve thee hearty thankes, for that it hath pleased thee to deliver thys N. our brother out of the myseryes of this sinneful world: beseching thee, that it maye please thee of thy gracious goodnesse, shortely to accomplyssh the noumbre of thyne electe, and to haste thy kingdome, that we with this our brother, and al other departed in the true faith of thy holy name, maye have our perfect consummacion and blisse, both in body and soule, in thy eternal and everlastyng glory. Amen".

Dio Onnipotente, con il quale vivono gli spiriti di coloro che si dipartono nel Signore, e nel quale le anime degli eletti, dopo essere state liberate dal fardello della carne, sono nella gioia; ti rendiamo grazie di cuore perché ti sei degnato di chiamare a te N. nostro fratello nella fede dalle miserie di questo mondo peccaminoso; ti supplichiamo affinché possa piacere alla tua bontà, di portare a compimento il numero dei tuoi eletti e di affrettare la venuta del tuo Regno, affinché possiamo con questo nostro fratello e con tutti coloro che sono morti nella fede nel tuo Santo Nome, giungere alla piena beatitudine, nel corpo e nell’anima, nella tua gloria eterna e senza fine.

La centralità della fede è ancor più presente nella seconda colletta, con un richiamo alla Prima lettera ai Tessalonicesi di San Paolo (1 Ts 4,13). La preghiera si conclude come la Colletta per i funerali presente nel Prayer Book del 1549, con un richiamo a Matteo 25,34.

"O merciful God, the father of our Lorde Jesus Christe, who is the resurreccion and the lyfe, in whom whosoever beleveth, shall lyve though he dye; and whosoever liveth and beleveth in hym, shall not dye eternally: who also taught us (by his holy Apostle Paule) not to be sorye, as men without hope, for them that slepe in hym: We mekely beseche thee (O father) to raise us from the death of sinne unto the life of righteousnes, that when we shal depart thys lyfe, we may reste in him, as our hope is thys our brother doeth; and that at the general resurreccion in the laste daye, we may be founde acceptable in thy syghte, and receive that blessing which thy welbeloved sonne shall then pronounce to al that love and feare thee, saying: Come, ye blessed children of my father, receive the kyngdome prepared for you from the beginning of the world. Graunt this we beseche thee, O merciful father, through Jesus Christ our mediatour and redeyemer. Amen".

"Dio misericordioso, Padre del Nostro Signore Gesù Cristo, che è la resurrezione e la vita, in cui chiunque crede vivrà anche se muore; e chiunque vive e crede in lui non perirà in eterno; che ci ha anche insegnato (attraverso il suo santo Apostolo Paolo) a non rattristarci come uomini senza speranza, per coloro che dormono in lui: Ti supplichiamo docilmente (o Padre) di sollevarci dalla morte del peccato alla vita della giustizia, affinché quando abbandoneremo questa vita possiamo riposare in lui, come speriamo per questo nostro fratello defunto; e che nella resurrezione dell’ultimo giorno possiamo essere trovati accettevoli alla tua vista e ricevere la benedizione che il tuo figlio prediletto ha pronunciato per tutti coloro che ti amano e ti temono, dicendo: Venite, figli benedetti del Padre mio, ricevete il Regno che è stato preparato per voi dal principo del mondo. Concedici questo, ti supplichiamo, o Padre misericordioso, per Gesù Cristo nostro mediatore e redentore".

La preghiera per i defunti scompare nelle intercessioni del Book of Common Prayer del 1552 e sarà ripristinata solo con l’edizione del 1662, in una forma emendata, in cui è in realtà assente una vera e propria componente intercessoria:

"And we also bless thy holy Name for all thy servants departed this life in thy faith and fear; beseeching thee to give us grace so to follow their good examples, that with them we may be partakers of thy heavenly kingdom".

"E noi benediciamo il tuo santo Nome per tutti i tuoi servi che hanno lasciato questa vita nella fede e nel tuo timore; supplicandoti di donarci la grazia di seguire i loro buoni esempi, per prendere parte con loro del tuo regno celeste".

Fin dal primo Prayer Book scompaiono le indicazioni rubricali relative all’incensazione e all’aspersione del corpo del defunto. Ciò non va considerato necessariamente come un divieto. La natura plurale della Chiesa Anglicana, infatti, ha permesso l’adattamento del rito ai differenti contesti storici e geografici, nonché alle diverse sensibilità teologiche che da sempre animano questa confessione cristiana.

La preghiera per i defunti secondo altri riformatori protestanti

Lutero nella Confessione di Fede del 1528 afferma: "Per quanto concerne i defunti, dal momento che le Scritture non ci offrono informazioni al riguardo, considero che non sia sbagliato pregare con libera devozione con queste o simili parole: Mio Dio, se quest'anima è in grado di accedere alla tua misericordia, mostragli la tua grazia. E quando questa preghiera è recitata una o due volte è sufficiente". 

Melantone, successore di Lutero, scriveva nella sua Apologia della Confessione di Asburgo (XXIV, 94): "Riguardo agli oppositori che citano i Padri a proposito delle offerte (di preghiera) per i defunti, sappiamo che gli antichi pregavano per i defunti, per cui non lo proibiamo".

La preghiera per i defunti secondo John Wesley, anglicano e padre fondatore del Metodismo

Il pensiero di John Wesley, fondatore della Chiesa Metodista, sulla preghiera per i defunti è riportato da Walter James Walker nei Chapters on the Early Register of Halifax Parish Church (Whitley & Booth, p. 20)

"L'opinione del Rev. John Wesley merita di essere menzionata: 'Io credo che sia un dovere da osservare la preghiera per i fedeli defunti'" ("The opinion of the rev. John Wesley may be worth citing: 'I believe it to be a duty to observe, to pray for the Faithful Departed'"). 

Wesley ha tramandato alcuni formulari per la preghiera per i defunti: 1) [Signore] assicuraci che noi, insieme a coloro che sono già morti nella tua fede e nel tuo timore, possiamo essere partecipi di una gioiosa resurrezione (O grant that we, with those who are already dead in Thy faith and fear, may together partake of a joyful resurrection); 2) Per la tua infinita misericordia, concedici di prendere parte con coloro che sono morti in te, di gioire insieme davanti a te (By Thy infinite mercies, vouchsafe to bring us, with those that are dead in Thee, to rejoice together before Thee). 

Queste formule sono state utilizzate da generazioni di metodisti, anche per la preghiera del mattino e della sera.

La preghiera per i defunti nel Book of common Prayer anglicano del 1928 e nell'edizione del 1979

BCP 1979 

Prayer of the People - Form I

"For all who have died in the hope of the resurrection, and for
all the departed, let us pray to the Lord.
Lord, have mercy."

"Per tutti coloro che sono morti nella speranza della resurrezione, e per tutti i defunti, preghiamo il Signore.
Signore, abbi pietà di noi".

BCP 1979 - Prayer of the People - Form II

"I ask your prayers for the departed [especially______________],
Pray for those who have died".

Io chiedo le vostre preghiere per i defunti [specilmente per ______________]
Pregate per coloro che sono morti.

La Colletta per il giorno di Tutti i Santi nel BCP 1928 e 1979

"O Almighty God, who hast knit together thine elect in one 
communion and fellowship in the mystical body of thy Son 
Christ our Lord:  Grant us grace so to follow thy blessed 
saints in all virtuous and godly living, that we may come to 
those ineffable joys which thou hast prepared for those who 
unfeignedly love thee; through the same Jesus Christ our 
Lord, who with thee and the Holy Spirit liveth and reigneth, 
one God, in glory everlasting.  Amen".

"O Dio onnipotente ed eterno che hai unito insieme i tuoi eletti in un'unica comunione nel mistico corpo del tuo Figlio nostro Signore Gesù Cristo, concedici di seguire  i tuoi santi benedetti nelle loro virtù e nella loro santità di vita, per giungere a quelle gioie ineffabili che hai preparato per coloro che ti amano incondizionatamente. Per lo stesso Gesù Cristo nostro Signore, che vive e regna con te e con lo Spirito Santo, unico Dio, nella gloria senza fine. Amen".

Concludo, con l'ultima delle preghiere di intercessione per la liturgia della Santa Comunione, nei Prayer Book del 1928 e 1979:

BCP 1928 - Holy Communion

In questa edizione del Prayer Book viene aggiunta la richiesta al Signore di concedere alle anime dei defunti di "crescere continuamente nel suo amore e nel suo servizio".

"And we also bless thy holy Name for all thy servants
departed this life in thy faith and fear
beseeching thee to grant them continual growth in thy love
and service; and to grant us grace so to follow the good
examples of all thy saints, that with
them we may be partakers of thy heavenly kingdom".

"E noi benediciamo il tuo Santo nome per tutti i tuoi servi che hanno lasciato questa vita con fede e timore, ti supplichiamo di concedergli di crescere continuamente nel tuo amere e nel tuo servizio e di concedere a noi la grazia di seguire i loro buoni esempi, per essere partecipi con essi del tuo regno celeste".

BCP 1979 - Holy Eucharist, Rite One

In questa edizione del Prayer Book viene aggiunta la possibilità di menzionare alcuni fedeli in modo particolre.

"And we also bless thy holy Name for all thy servants
departed this life in thy faith and fear [especially__________.],
beseeching thee to grant them continual growth in thy love
and service; and to grant us grace so to follow the good
examples of [__________ and of] all thy saints, that with
them we may be partakers of thy heavenly kingdom".

"E noi benediciamo il tuo Santo nome per tutti i tuoi servi che hanno lasciato questa vita con fede e timore [specialmente ________], ti supplichiamo di concedergli di crescere continuamente nel tuo amere e nel tuo servizio e di concedere a noi la grazia di seguire i loro buoni esempi, per essere partecipi con essi del tuo regno celeste".

Era dalla prima edizione del BCP del 1549 che mancava una petizione per i defunti nelle preghiere intercessorie della liturgia eucaristica. Nel primo Prayer Book trovavamo infatti:

"We commend unto thy mercye (O Lorde) all other thy servauntes, which are departed hence from us, with the signe of faith, and nowe do reste in the slepe of peace: Graunt unto them, we beseche thee, thy mercy, and everlasting peace, and that, at the day of the generall resurreccion, we and all they which bee of the misticall body of thy sonne, may altogether be set on his right hand, and heare that his most ioyfull voyce: Come unto me, O ye that be blessed of my father, and possesse the kingdom, whiche is prepared for you from the begynning of the worlde".

"Raccomandiamo alla tua misericordia tutti gli altri tuoi servi che ci hanno lasciato con il segno della fede, affinche possano riposare nel sonno della pace. Concedi loro, ti supplichiamo, Signore, la tua misericordia e la pace eterna, affinché nel giorno della resurrezione noi, e tutti coloro che appartengono al mistico corpo del tuo Figlio, possiamo essere posti alla sua destra e ascoltare la sua voce gioiosa: Venite a me, benedetti dal Padre mio, e prendete possesso del regno che è stato preparato per voi dal principio del mondo".

Questa preghiera ricorda molto la stessa presente nel rito delle esequie dello stesso Prayer Book del 1549.

La dottrina romana del Purgatorio, specialmente come concepita, in senso legalistico dal tardo medioevo al Concilio di Trento è stata rigettata dall'anglicanesimo così come non è mai stata accettata dall'ortodossia, che pure crede in uno stato intermedio dell'anima e prega offre preghiere per i fedeli defunti.

Le ultime edizioni del Book of Common Prayer anglicano dimostrano, di avere approfondito la teologia relativa all'intercessione per i fedeli defunti riconoscendo la presenza di uno stato intermedio dell'anima tra la morte e la risurrezione, in cui coloro che hanno lasciato questo mondo nel segno della fede possono continuare a crescere nel servizio e nell'amore di Dio; una concezione simile si ritrova nella dottrina dell'epektasis, proposta del padre della chiesa Gregorio di Nissa.

Rev. Dr. Luca Vona

A painting from "Les Très Riches Heures du duc de Berry," which shows purified souls in Purgatory. The souls are trapped in water, fire, on rocky and grassy land, where the are rescued by Angels.