Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

giovedì 30 ottobre 2025

Fermati 1 minuto. La maternità di Dio

Lettura

Luca 13,31-35

31 In quello stesso momento vennero alcuni farisei a dirgli: «Parti, e vattene di qui, perché Erode vuol farti morire». 32 Ed egli disse loro: «Andate a dire a quella volpe: "Ecco, io scaccio i demòni, compio guarigioni oggi e domani, e il terzo giorno avrò terminato". 33 Ma bisogna che io cammini oggi, domani e dopodomani, perché non può essere che un profeta muoia fuori di Gerusalemme.
34 Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto! 35 Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta. Io vi dico che non mi vedrete più, fino al giorno in cui direte: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore!"»

Commento

L'avvertimento dei farisei a Gesù può essere interpretato come una effettiva volontà di metterlo in guardia dal pericolo di essere ucciso e, in questo caso, sarebbe l'unica nota positiva su di loro nel Vangelo di Luca; ma molti esegeti vedono nelle loro parole la volontà di allontanare Gesù dalla Galilea per mandarlo in Giudea, dove, realmente, avrebbe corso il pericolo di essere messo a morte dal sinedrio.

Quel che appare evidente è la risposta ferma di Gesù, che resta fedele nel portare a compimento la volontà di Dio, manifestando l'instaurazione del Regno attraverso esorcismi e guarigioni. Con la sua autorità profetica e messianica Gesù definisce Erode una volpe, animale che nell'Antico Testamento è associato alla devastazione della vigna del Signore, ma nella letteratura rabbinica, stante la sua limitata pericolosità, era utilizzata anche per simboleggiare una persona di scarso valore. 

Gesù si ostina a proseguire nel suo cammino, rifiutando di far disegnare il suo itinerario dalla paura. Egli è mosso da amore per Geruslamme, che dopo aver rifiutato tanti profeti si appresta a metterlo a  morte. Qui utilizza una immagine di grande originalità e bellezza nella letteratura biblica: quella di una chioccia che raccoglie i suoi pulcini sotto le ali. 

L'immagine dell'amore materno è ricorrente nella spiritualità cristiana. Sì, Dio è madre; e il suo amore, come quello di una madre, è sollecito, incondizionato. Spetta a noi farci trovare dalla sua grazia.

Preghiera

Infondi nei nostri cuori, Signore, il coraggio di desiderare quanto ci hai comandato e la grazia di portarlo a compimento. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Giovanni Colobos. L'umiltà di Dio alla radice dell'umiltà umana

La Chiesa copta fa oggi memoria di Giovanni, monaco di Scete, detto Colobos, il « piccolo», a motivo della sua bassa statura. Di lui fu detto, in un breve apoftegma che ne sintetizza mirabilmente la figura spirituale: «Ma chi è questo abba Giovanni, che con la sua umiltà fa pendere dal suo dito mignolo tutta Scete?». Giovanni nacque attorno al 339 a Bahnasā, in Egitto, e si recò a Scete quando non aveva ancora diciott'anni. Alla scuola dei padri del deserto egli apprese anzitutto l'obbedienza, unica via salvifica per un cristiano. Fu proprio grazie all'obbedienza e alla sottomissione per amore di Dio e dei fratelli a ogni sorta di umiliazione che Giovanni divenne uno dei più grandi maestri di umiltà dell'antichità cristiana. Egli aveva infatti capito che alla radice dell'umiltà umana vi è l'umiltà di Dio, la forza del suo amore, che è irresistibile proprio perché lascia liberi e rende veramente liberi coloro ai quali si rivolge. All'età di 70 anni, Giovanni fu avvertito in sogno da Antonio, da Macario e dal suo padre spirituale Amoe che stava per morire. Mandato il suo discepolo a fare commissioni, egli si preparò da solo al faccia a faccia definitvo con quel Dio che aveva tanto colmato la sua vita. Di lui ci è pervenuta una lunga serie di Detti che sono un piccolo compendio di vita spirituale per il cristiano di ogni tempo.

Tracce di lettura

Raccontavano del padre Giovanni Colobos che, ritiratosi a Scete presso un anziano della Tebaide, visse nel deserto. Il suo abba, preso un legno secco, lo piantò e gli disse di innaffiarlo ogni giorno con un secchio d'acqua, finché non desse frutto. L'acqua era tanto lontana che doveva partire alla sera per essere di ritorno al mattino. Dopo tre anni il legno cominciò a vivere e a dare frutti. L'anziano li colse e li portò ai fratelli radunati insieme, dicendo: «Prendete, mangiate il frutto dell'obbedienza». Uno dei padri disse di lui: «Ma chi è questo abba Giovanni, che con la sua umiltà fa pendere dal suo dito mignolo tutta Scete?»
(Giovanni Colobos, Detti dei padri del deserto 1 e 36)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Giovanni Colobos (ca 339-409)

martedì 28 ottobre 2025

Fermati 1 minuto. Li chiamò apostoli

Lettura

Lc 6,12-19

12 In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione. 13 Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli: 14 Simone, che chiamò anche Pietro, Andrea suo fratello, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, 15 Matteo, Tommaso, Giacomo d'Alfeo, Simone soprannominato Zelota, 16 Giuda di Giacomo e Giuda Iscariota, che fu il traditore. 17 Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, 18 che erano venuti per ascoltarlo ed esser guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti immondi, venivano guariti. 19 Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti.

Commento

Gesù scelse come apostoli chi volle, ma non scelse arbitrariamente, né superficialmente. Scelse dopo aver a lungo pregato, tutta la notte. L'evangelista Luca presenta spesso Gesù in preghiera prima dei momenti importanti della sua vita. 

La Chiesa nasce dopo quella notte di preghiera di Gesù e mediante la nostra preghiera può crescere e prosperare. I Dodici ricevono una missione nella missione; non uno status di privilegiati, ma una speciale chiamata a servire con maggiore sollecitudine. Questo sarà il senso di un'altra chiamata da parte di Gesù, poco prima della sua passione: "Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti»" (Mc 10,42-43).

Gesù sceglie i suoi chiamandoli per nome. L'evangelista non aggiunge alcuna loro descrizione; ma il chiamare per nome è certamente testimonianza del fatto che egli si rivolse alla persona nelle sue qualità distintive, i suoi pregi e le sue debolezze, così come nelle differenze, spesso enormi, che incorrevano tra i chiamati. 

Diversi, ma tutti tenuti insieme, ad eccezione di Giuda "il traditore", dall'amore di Cristo. Il chiamare per nome, fin dalla Genesi - quando Dio invita Adamo a dare un nome a ogni creatura - indica l'autorità su di essi e un'intima relazione spirituale. Gesù li chiamò "apostoli", ovvero "inviati", perché erano destinati non a creare delle scuole rabbiniche o filosofiche ma a predicare il vangelo a tutte le nazioni. 

Dopo essere salito al monte per attirare a sé gli apostoli Gesù discende subito "in un luogo pianeggiante" (v. 17) e in questo abbassamento si fa loro maestro, non temendo di toccare e di farsi toccare dalle moltitudini bisognose di salvezza e di guarigione.

Eppure questo loro compito non inizierà prima di avere accompagnato Gesù nella sua missione terrena ed essere stati confermati dal Risorto. Allora diventeranno capaci di portare l'annuncio della grazia fino agli estremi confini della terra.

Preghiera

Signore Gesù Cristo, tu ci chiami per nome per salvarci e farci annunciatori della salvezza. Concedici di ricercare sempre la volontà del Padre nella preghiera fervente e prolungata. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Simone e Giuda. «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi?»

Il 28 di ottobre la Chiesa d'Occidente (Anglicani, Cattolici, Luterani, Veterocattolici) e i cristiani siro-orientali celebrano la festa liturgica degli Apostoli Simone e Giuda.

Simone e Giuda appaiono agli ultimi posti nelle liste degli apostoli e per questo assomigliano agli operai chiamati all'ultima ora, che hanno tuttavia portato a termine la loro missione di testimoni del vangelo fino al martirio. Ma, come spesso capita nella storia della salvezza testimoniata dalle Scritture, è proprio agli ultimi e ai più marginali fra gli uomini che Dio sceglie di rivelarsi. 

San Simone

Simone, da Luca soprannominato Zelota (Lc 6, 15; At 1, 13), forse perché aveva militato nel gruppo antiromano degli Zeloti, che utilizzava anche la violenza come pratica politica, da Matteo e Marco è chiamato Cananeo (Mt 10, 4; Mc 3, 18).

San Giuda "Taddeo"

Giuda è detto Taddeo (Mt 10, 3; Mc 3, 18) o Giuda di Giacomo (Lc 16, 16; At 1, 13). Nell’ultima cena rivolse a Gesù la domanda: «Signore come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?». Gesù gli rispose che l’autentica manifestazione di Dio è riservata a chi lo ama e osserva la sua parola: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Una lettera del Nuovo Testamento porta il suo nome.

La loro festa il 28 ottobre è ricordata dal calendario geronimiano (sec. VI). In questo stesso giorno si celebra a Roma fin dal sec. IX.

Tracce di lettura

«Simone, l'uomo che è la pietra, Matteo il pubblicano, Simone lo zelota, zelante nel cercare il diritto e la legge contro l'oppressione pagana, Giovanni, che Gesù aveva caro e che si appoggiò al suo petto, e gli altri, dei quali abbiamo solo il nome, e infine Giuda Iscariota, che lo tradì: nessuna ragione al mondo avrebbe potuto collegare questi uomini alla stessa opera al di fuori della chiamata di Gesù. Qui fu superata ogni precedente divisione e fu fondata la nuova, salda comunità in Gesù».

- D. Bonhoeffer, Sequela

lunedì 27 ottobre 2025

Fermati 1 minuto. La parola che scioglie i nostri lacci

Lettura

Luca 13,10-17

10 Una volta stava insegnando in una sinagoga il giorno di sabato. 11 C'era là una donna che aveva da diciotto anni uno spirito che la teneva inferma; era curva e non poteva drizzarsi in nessun modo. 12 Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei libera dalla tua infermità», 13 e le impose le mani. Subito quella si raddrizzò e glorificava Dio. 14 Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, rivolgendosi alla folla disse: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi curare e non in giorno di sabato». 15 Il Signore replicò: «Ipocriti, non scioglie forse, di sabato, ciascuno di voi il bue o l'asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? 16 E questa figlia di Abramo, che satana ha tenuto legata diciott'anni, non doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato?». 17 Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.

Commento

Siamo nella sinagoga, in giorno di sabato. Gesù sta insegnando ma si interrompe. Ha notato una donna sofferente. Da diciotto anni è curva e non può raddrizzarsi in alcun modo. Eppure non ha smesso di comportarsi da "figlia di Abramo", recandosi alla sinagoga per osservare il giorno del Signore. Non chiede nulla. È Gesù a prendere l'iniziativa, e anche lui non chiede nulla alla donna. Luca ci informa che l'infermità è provocata da Satana ("posseduta da uno spirito di infermità", gr. pneuma echousa asthenias). Sappiamo dal libro di Giobbe che ciò è possibile perché anche questi patì una malattia causata dall'angelo accusatore. 

Gesù agisce in maniera diversa rispetto ai suoi esorcismi. Non sgrida alcun demone, ma si limita a imporre le mani e pronunciare la sua parola di liberazione. La parola di Dio, come afferma la Lettera agli ebrei, "è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla" (Eb 4,12). Così la parola di Dio penetra nell'anima e nel corpo di questa donna e scioglie la sua schiena ricurva. 

Il miracolo compiuto da Gesù suscita la riprovazione da parte dei capi della sinagoga. Non hanno il coraggio di attaccarlo direttamente ma si rivolgono ai presenti. Il Signore, che conosce i cuori, li accusa di ipocrisia, perché le loro critiche non prendono le mosse dallo zelo per l'amore di Dio ma dall'invidia. Gesù evidenzia il modo in cui hanno pervertito la legge, piegandola al proprio egoismo. In giorno di sabato infatti, non trascurano di occuparsi del proprio bestiame, ma vorrebbero rifiutare a questa donna, sorella della loro stessa stirpe, figlia di Dio, creata a sua immagine e somiglianza, di riacquistare quella posizione eretta che distingue l'essere umano dagli animali. 

La chiamata di Gesù scioglie l'uomo dalla casistica delle norme religiose per collocarlo nel vero sabato di Dio, che è manifestazione della sua gloria e della sua azione salvifica.

Preghiera

Signore, tu rialzi dalla polvere il misero e  manifesti la tua gloria nella nostra debolezza. Ti benediciamo e ti glorifichiamo perché hai liberato le nostre anime dai lacci del peccato e ci hai donato la promessa della risurrezione. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 26 ottobre 2025

Coraggio, alzati

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA VENTESIMA DOMENICA DOPO LA PENTECOSTE

Colletta

O Dio, poiché senza di te non siamo capaci di compiacerti; concedi, misericordioso, ai nostri cuori, di essere guidati dal tuo Santo Spirito. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Ef 4,17-32; Mt 9,1-8

La vita nella fede è un'esperienza di rinascita e di guarigione radicale. L'aspetto di rinascita, predicato da Gesù nel dialogo notturno con Nicodemo, è approfondito da Paolo nella sua lettera agli Efesini, nell'ottica di una esortazione che va oltre il senso semplicemente morale del discorso, facendosi descrizione di ciò che Dio opera nel credente.

Il passo del Vangelo di Matteo, che in maniera più sintetica dei paralleli di Marco e di Luca descrive la guarigione del paralitico, offre una lettura dell'esperienza cui conduce l'incontro con Cristo, il quale ha autorità di rimettere i peccati sulla terra, sanando radicalmente la nostra natura umana.

La sottolineatura della capacità di Gesù di rimettere i peccati in terra indica la chiara proclamazione della sua natura messianica. Fino ad allora, infatti, i credenti israeliti avevano confidato in una remissione dei peccati in cielo, da parte di Dio, che solo poteva operarla efficacemente.

Il racconto ci fa intendere che molti dei presenti non mancano di individuare la potenza divina in questo miracolo, ma gli sfugge il fatto che Cristo stesso l'ha operato nel proprio nome: "Io ti dico" riferiscono i passi paralleli di Marco e Luca. È in questo "Io", in questa formula indicativa, che si esprime la novità radicale del messaggio evangelico. Gesù non è semplicemente un profeta, un riformatore religioso, un guaritore, ma il Messia pienamente investito di autorità divina, l'Emmanuele annunciato dai profeti dell'Antico Testamento.

Gesù comanda al paralitico non solo di alzarsi in piedi ma anche di tornare a casa sua portando via il suo lettino. Il segno della malattia che lo ha costretto per lungo tempo all'immobilità, rimane come testimonianza della radicale svolta che l'incontro di Cristo ha determinato nella sua vita. Gesù rimette i nostri peccati ma non cancella in noi il ricordo di essi, affinché possiamo avere sempre davanti ai nostri occhi il prevalere della sua grazia sul peccato. 

Esaminando il racconto di questo miracolo, non bisogna sorvolare sul ruolo importante degli amici, che intercedono per il paralitico (nel passo parallelo di Marco e Luca fino ad arrampicarsi sul tetto della casa in cui sta predicando Gesù, per aprire un varco e calare il malato al centro della stanza). La carità fraterna ha un ruolo importante nel muovere a compassione Gesù.

Paolo esorta "nel nome del Signore" (Ef 4,17), ovvero con autorità, con l'autorità che deriva da Cristo stesso e dal suo vangelo, a non camminare nella vanità della propria mente; letteralmente "nella vacuità ed estranei alla vita di Dio". La vita "pagana" è vita che si aggrappa a ciò che è vuoto, impermanente e che offusca la ragione. L'estraneità alla vita di Dio non è semplicemente il non condurre una vita da "persone per bene", ma il privarsi di un'esistenza vissuta in pienezza.

La vita di Dio è la vita - come dice Teodoro di Beza - qua Deus vivit in suis (che Dio vive in se stesso); la vita spirituale accende nei credenti la vita stessa di Dio. La vita di Dio non è semplicemente la vita onesta e virtuosa, ma è la vita che viene dall'alto, la rinascita per opera dello Spirito Santo, che porta con sé il germe della pace, della gioia, dell'eternità.

Paolo ci esorta a essere rinnovati "per rivestire l'uomo nuovo, creato secondo Dio". Questa identità nuova, questo rinnovamento non solo della personalità ma dell'intera natura umana, non è opera dell'uomo: è una creazione, un'opera di Dio (Ef 4,24).

Gesù viene in nostro soccorso, e ci consente di levarci dal nostro giaciglio, di lasciarci guarire, rinnovare, creare a immagine di Dio.

- Rev. Dr. Luca Vona