Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

giovedì 6 marzo 2025

Fermati 1 minuto. Rinunciare a sé per trovare Dio

Lettura

Luca 9,22-25

22 «Il Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno».
23 Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.
24 Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà. 25 Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?

Commento

In quel "deve" (v. 22) con cui Gesù si riferisce alla sua passione è racchiuso il piano di salvezza di Dio per l'umanità che si attuerà con la sua morte e risurrezione. Gesù si rivolge "a tutti" (v. 23), con un invito universale a seguirlo, rinnegando se stessi, per trovare la propria vita in Dio. 

Il paradosso evangelico è proprio questo: nella misura in cui ci doniamo, la nostra esistenza si arricchisce di senso. Ogni giorno (v. 23) in cui moriamo a noi stessi per fare spazio allo Spirito che ci rinnova e ci rende strumenti della grazia è un giorno trascorso bene. 

Se non tutti siamo chiamati a testimoniare Cristo fino al martirio certamente nessuno può essere suo discepolo senza obbedire ai suoi comandamenti, mettersi al servizio del prossimo e testimoniare il suo nome al momento opportuno e inopportuno (2 Tim 4,2). Solo così potremo dire con Gesù "Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita per riprenderla poi" (Gv 10,17). 

Il mondo va in direzione completamente opposta: ci spinge a un desiderio bulimico di appropriazione e prevericazione che non sazia mai i nostri bisogni più profondi. Ma Gesù non ci mette in croce contro la nostra volontà, fa appello alla nostra libertà: "Se qualcuno vuol venire dietro a me..." (v. 23) 

La meta finale è la risurrezione; la croce diventa allora da strumento di supplizio via di accesso a un'umanità trasfigurata, che ha riconquistato l'immagine e somiglianza con Dio.

Preghiera

Donaci, Signore, il coraggio di metterci generosamente al servizio tuo e del nostro prossimo; affinché rinunciando a noi stessi possiamo trovare te, che sei l'autore di ogni bene. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 5 marzo 2025

Mercoledi delle ceneri. L'inizio di un cammino di conversione

L'origine del Mercoledì delle ceneri è da ricercare nell'antica prassi penitenziale. Originariamente il sacramento della penitenza non era celebrato secondo le modalità attuali. Nel corso dei secoli si è avuta una triplice evoluzione della disciplina penitenziale: "da una celebrazione pubblica ad una celebrazione privata; da una riconciliazione con la Chiesa, concessa una sola volta, ad una celebrazione frequente del sacramento, intesa come aiuto-rimedio nella vita del penitente; da una espiazione, prima dell'assoluzione, prolungata e rigorosa, ad una soddisfazione, successiva all'assoluzione".

La celebrazione delle ceneri nasce a motivo della celebrazione pubblica della penitenza, costituiva infatti il rito che dava inizio al cammino di penitenza dei fedeli che sarebbero stati assolti dai loro peccati la mattina del giovedì santo. Nel tempo il gesto dell'imposizione delle ceneri si estende a tutti i fedeli e la riforma liturgica ha ritenuto opportuno conservare l'importanza di questo segno.

La teologia biblica rivela un duplice significato dell'uso delle ceneri.

1 - Anzitutto sono segno della debole e fragile condizione dell'uomo. Abramo rivolgendosi a Dio dice: "Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere..." (Gen 18,27). Giobbe riconoscendo il limite profondo della propria esistenza, con senso di estrema prostrazione, afferma: "Mi ha gettato nel fango: son diventato polvere e cenere" (Gb 30,19). In tanti altri passi biblici può essere riscontrata questa dimensione precaria dell'uomo simboleggiata dalla cenere (Sap 2,3; Sir 10,9; Sir 17,27).

2 - Ma la cenere è anche il segno esterno di colui che si pente del proprio agire malvagio e decide di compiere un rinnovato cammino verso il Signore. Particolarmente noto è il testo biblico della conversione degli abitanti di Ninive a motivo della predicazione di Giona: "I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo. Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere" (Gio 3,5-9).

La semplice ma coinvolgente liturgia del mercoledì delle ceneri conserva questo duplice significato che è esplicitato nelle formule di imposizione: "Ricordati che sei polvere, e in polvere ritornerai" e "Convertitevi, e credete al Vangelo". 

Preghiera (dal Book of Common Prayer)

Dio onnipotente ed eterno, che non disprezzi nulla di quel che hai creato, e perdoni i peccati di tutti i penitenti; crea in noi un cuore contrito, affinché noi, riconoscendo i nostri peccati e la nostra miseria, possiamo ottenere da te, Dio di misericordia, la perfetta remissione e il perdono. Per Gesù Cristo nostro Signore.

Fermati 1 minuto. Un cuore libero per ricevere il centuplo

Lettura

Marco 10,28-31

28 Pietro allora gli disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». 29 Gesù gli rispose: «In verità vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, 30 che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna. 31 E molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi».

Commento

Nel pensiero giudaico il benessere terreno è considerato una benedizione di Dio, un premio per i giusti. Lo stesso Giobbe, che viene privato di tutto ciò che gli è più caro (i propri figli, i propri possedimenti, la propria salute) vede benedetti i suoi ultimi anni da Dio (Gb 42,12) e arrivando a centoquarant'anni, "morì vecchio e sazio di giorni" (Gb 42,17).

Ma cosa giova a coloro che hanno seguito il consiglio dato da Gesù al giovane ricco, di lasciare tutto per seguirlo? «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne otterremo?» (Mt 19:27) chiede Pietro a Gesù con la sua ruvida franchezza.

Gesù promette di donare il centuplo fin da questa vita e la vita eterna nel tempo della "rigenerazione". Le sue parole non sono un invito ad abbandonare amici e parenti nelle loro necessità, ma a porre le esigenze del Regno al primo posto, per guadagnare ogni uomo alla fede e vivere il mistero della comunione dei santi del cielo e della terra. Egli ci esorta a vivere con libertà il nostro rapporto con i beni terreni per godere dei frutti dello Spirito.

Le persecuzioni accompagneranno le benedizioni del Signore per i suoi fedeli (v. 30). Ma i problemi e le difficoltà incontrati nel mondo a causa del vangelo possono diventare essi stessi fonte di benedizione, aiuto a maturare nella fede; saremo come rami potati nella giusta stagione, per portare frutti più abbondanti.

Preghiera

Tutto quello che abbiamo, Signore, appartiene a te; ma tu ci chiedi di non presentarci alla tua presenza a mani vuote. Donaci un cuore libero per ricevere in abbondanza le tue benedizioni. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 3 marzo 2025

Fermati 1 minuto. Farsi piccoli per passare dalla cruna dell'ago

Lettura

Marco 10,17-27

17 Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?». 18 Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. 19 Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre».
20 Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». 21 Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». 22 Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni.
23 Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!». 24 I discepoli rimasero stupefatti a queste sue parole; ma Gesù riprese: «Figlioli, com'è difficile entrare nel regno di Dio! 25 È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». 26 Essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: «E chi mai si può salvare?». 27 Ma Gesù, guardandoli, disse: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio».

Commento

Mentre Gesù sta per mettersi in viaggio verso Gerusalemme, dove si compirà il suo atto di consacrazione per l'umanità, viene raggiunto da un uomo che corre verso di lui e si mette in ginocchio pregando di poterlo seguire. Questi dettagli riportati da Marco fanno comprendere l'entusiasmo di quest'uomo, che Luca e Matteo ci dicono essere giovane (Mt 19,20) e "un notabile" (Lc 18,18), probabilmente un capo della sinagoga.

Gesù riserva il termine "buono" a Dio, fonte di ogni bontà (cfr. Mt 19,17). Egli non nega la propria bontà, ma chiede al giovane di interrogarsi sul perché lo riconosce come buono. Se riconosciamo la bontà di Gesù e quindi la sua piena partecipazione alla bontà del Padre, dobbiamo essere pronti a riconoscere anche l'autorità della sua parola e l'entità della sua chiamata.

Di fronte alla richiesta dell'uomo ricco su cosa fare per avere la vita eterna Gesù menziona i comandamenti della seconda tavola della legge, relativi al comportamento da tenere verso il prossimo. "Non frodare" è un'aggiunta al decalogo, presente solo nel Vangelo di Marco. Potrebbe essere un'allusione al comandamento "Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo" (Es 20,17).

L'uomo ricco, che dichiara di aver osservato tutti i comandamenti, è un buon ebreo è può essere considerato simbolo dell'Israele fedele a Dio. Ma il messaggio del vangelo chiede di superare il semplice legalismo, per donarsi integralmente al Signore. La vita eterna che Gesù propone è qualcosa di più di quella che l'uomo ricco ricerca (v. 17). Non si tratta solo di un'illimitata estensione temporale, ma di una infinita differenza qualitativa, determinata dalla piena comunione con Dio.

Gesù lo fissa negli occhi (v. 21); Marco si sofferma spesso sul suo sguardo (cfr. 3,5.34; 5,32; 10,23; 11,11), che in questo caso esprime una grande compassione per questo giovane che sente come un'inquietudine, un bisogno di "andare oltre" l'osservanza dei comandamenti fino allora praticata.

Il giovane ricco rinuncia a seguire Gesù "perché aveva molti beni" (v. 22).Questa annotazione finale di Marco richiama la parabola del seminatore (Mt 13,1-23; Mc 4,1-20; Lc 8,4-15) dove il seme caduto tra le spine non porta frutto per la seduzione della ricchezza.

L'Antico Testamento presenta un aspetto ambivalente della ricchezza e dei beni materiali: da un lato vengono visti come segno del favore divino (Gb 1,10; Sal 128,1-2; Is 3,10). Perciò le parole di Gesù provocano stupore tra i discepoli (v. 24), perché in apparente contraddizione con questo modo di considerare la benevolenza di Dio. Sempre nell'Antico Testamento, la ricchezza è presentata come tentazione idolatrica. Gesù, che richiede ai suoi discepoli la radicalità del dono di sé, predilige questa interpretazione. 

La ricchezza, il potere e il prestigio sono considerati un ostacolo per il Regno, poiché generando una falsa sicurezza invischiano il cuore nel possesso delle cose, mentre invece la propria fiducia va riposta interamente in Dio e la propria vita messa al servizio dei bisognosi.

Quanto sia difficile per il ricco rinunciare all'esclusività dei propri interessi e passare per la "porta stretta" della vita è ben sintetizzato dall'immagine iperbolica del cammello che non può passare per la più piccola delle aperture (la cruna di un ago). Il raggiungimento della salvezza, che va oltre le capacità umane, dipende dalla bontà di Dio che la concede.

Se vogliamo conoscere la volontà di Dio sulla nostra vita dobbiamo affrettarci a consultarlo mettendoci umilmente e con cuore aperto alla sua presenza, come il giovane che gli si inginocchiò innanzi; ma diversamente da questi, siamo pronti ad accogliere le esigenze del vangelo? Chi ama fino in fondo va oltre il quieto conformismo religioso e trova in ogni cosa un'occasione per crescere nell'amore.

Forse come il diligente protagonista di questa narrazione evangelica anche noi ci sentiamo già "a posto con Dio", a un passo dalla vita eterna. Scrupolosi nell'evitare grandi mancanze verso di lui e verso il prossimo, pensiamo che egli ci richieda solo più qualcosa di superfluo per giungere alla perfezione cristiana. Ma siamo come cammelli davanti alla cruna di un ago. Se vogliamo passare per la porta della vita dobbiamo "diminuire", farci umili per lasciare operare in noi la grazia di Dio.

Preghiera

Soccorrici con la tua grazia, Signore, e santificaci con il tuo Spirito; affinché possiamo crescere in generosità, riconoscendo che ogni ricchezza che ci hai donato appartiene ai poveri. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 2 marzo 2025

Condividere la natura di Dio

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA DOMENICA DI QUINQUAGESIMA
O DOMENICA PRIMA DELL'INIZIO DELLA QUARESIMA

Colletta

O Signore, che ci hai insegnato che tutte le cose, senza la carità non valgono nulla; manda il tuo Santo Spirito e infondi nei nostri cuori il dono eccellente dell'amore, vero vincolo di pace e fonte di ogni virtù, senza il quale, chiunque vive è considerato morto ai tuoi occhi. Concedici questo per la grazia del tuo unico Figlio Gesù Cristo. Amen.

Letture

1 Cor 13,1-13; Lc 18,31-42

Commento

Sul finire del periodo che separa l'Epifania dalla Quaresima la lettura del Vangelo di oggi ci conduce all'annuncio da parte di Gesù del suo destino terreno, che si compirà nella sua passione e morte. Per preparare i discepoli a questo evento traumatico ed evitare che ne restino scandalizzati il Signore gli rivela che le profezie degli antichi profeti dovranno adempiersi in lui e che, dunque, quella catastrofe imminente, rientra nel piano salvifico di Dio. 

Proprio perché nulla dovrà più restare nascosto Gesù compie il miracolo della guarigione del cieco Bartimeo, non impedendogli di testimoniare quanto accaduto. Nessuna cautela, infatti, è più necessaria, poiché l'odio dei nemici di Cristo è giunto ormai al suo culmine e, approssimandosi il suo sacrificio, egli deve farsi riconoscere da tutti come il Messia atteso da Israele. 

La ferma fede di Bartimeo e la sua preghiera insistente si elevano al di sopra del fragore della folla, giungendo fino alle orecchie del Salvatore. Bartimeo vede esaudita la propria preghiera per la sua fede incrollabile, che ignora coloro che gli intimano di tacere. È la stessa insistenza con cui Gesù ci invita a pregare nel Vangelo di Luca, nella parabola dell'amico importuno (Lc 11,5-8). 

Bartimeo è un esempio della gratitudine con cui siamo chiamati a rispondere alla misericordia di Dio: non appena guarito, egli getta via la sua veste e inizia a seguire Gesù. All'amore di Dio si risponde con la conversione e il discepolato. Ritrovare la vista e continuare a vestire i panni di un cieco, restando nel proprio giaciglio, non avrebbe alcun senso. 

Cristo, luce del mondo, apre i nostri occhi alle meraviglie della carità di Dio, della quale dobbiamo farci imitatori, come esorta l'apostolo Paolo nella sua prima lettera ai Corinzi. Lungi dall'essere una mera forma di elemosina, magari un modo per alleggerirci la coscienza donando il superfluo, la carità è l'amore disinteressato, che dona senza chiedere nulla in cambio e senza ricercare secondi fini. 

Paolo presenta la carità come virtù superiore alla fede che opera miracoli e sposta i monti, superiore a ogni altro dono che possiamo possedere. Senza di essa non siamo nulla. Perché quando tutte le cose passeranno resterà solo ciò che siamo, non ciò che abbiamo. E agli occhi di Dio, che è amore, non siamo nulla se siamo privi di amore. 

Non ci inganni il giudizio degli uomini, che possono lodarci per quel che abbiamo: scienza, eloquenza, beni materiali. Dio guarda a ciò che siamo. Paolo considera la carità, insieme e al di sopra della fede e della speranza, come una virtù permanente, che oltrepassa la nostra vita terrena: «Ora dunque queste tre cose rimangono: fede, speranza e amore; ma la più grande di esse è l'amore» (1 Cor 13,13). La carità è la virtù più grande perché ci rende partecipi della natura stessa di Dio.

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 1 marzo 2025

Il diario di un eremita contemporaneo

Nel cuore della modernità, tra il frastuono della vita quotidiana e la ricerca incessante di connessioni digitali, esiste ancora chi sceglie la solitudine come via di conoscenza e di ascolto. Frédéric Vermorel, autore del libro Una solitudine ospitale. Diario di un eremita contemporaneo (Edizioni Terra Santa, 2021) e pubblicato per la prima volta nel 2021, racconta la sua esperienza di vita eremitica, sfatando il mito dell’isolamento assoluto e offrendo una prospettiva autentica su un’esistenza fatta di preghiera, riflessione e accoglienza.

Monaco eremita appartenente alla diocesi di Locri-Gerace, dopo anni trascorsi nell’eremo di Sant’Ilarione, nella Locride, attualmente vive nel territorio di Caulonia, comune della città metropolitana di Reggio Calabria.

Come può l’eremitaggio trovare una dimensione che consenta all’uomo di non cadere in una condizione di totale isolamento?

Dipende da diversi fattori. Innanzitutto, bisogna considerare che non esiste un’unica figura di eremita. Anzi, direi che la caratteristica principale della vita eremitica è proprio la sua estrema varietà. Per definizione, l’eremita è una persona sola, ma può comunque avere un legame: nel mio caso, ad esempio, sono un eremita diocesano e ho un legame con il mio vescovo e con la mia diocesi. Ci sono eremiti che appartengono a ordini religiosi e altri che non hanno alcun vincolo canonico, con ulteriori sfumature all’interno di queste categorie. Chiaramente, c’è una differenza tra chi vive in un isolamento quasi totale, con contatti ridottissimi – alcuni parlano solo con il proprio vescovo o padre spirituale – e chi, invece, come me, mantiene un legame costante con il mondo. Io, ad esempio, leggo quotidianamente i giornali in formato digitale, ricevo molta corrispondenza e pratico l’accoglienza. Alcuni eremiti la offrono, altri no. Non esiste una regola universale. Un aspetto importante da sottolineare è che, anche chi vive una condizione di reclusione quasi totale rispetto al mondo esterno, ha comunque una percezione di ciò che avviene nel mondo attraverso la preghiera e l’ascolto dello Spirito. È un aspetto molto difficile da definire perché oltrepassa quello che è strettamente razionale.

Nel suo libro racconta il percorso di discernimento che ha vissuto: un’esperienza illuminante, un diario ricco di riflessioni profonde. Potrebbe parlarcene?

Il discernimento avviene innanzitutto attraverso l’ascolto della Parola di Dio che si ‘concretizza’ attraverso l’imitazione di quella Parola che troviamo contenuta nella Bibbia, ma anche di un’altra Parola che troviamo nella storia, negli eventi e nelle esperienze vissute. È un aspetto che compare chiaramente nel mio libro. Non mi sono inventato eremita, né ho mai deciso consapevolmente di diventarlo. Mi sono semplicemente ritrovato a esserlo. Ho scoperto che in una determinata situazione mi sentivo a mio agio, che rispondeva a un anelito profondo del mio cuore di cui fino a poco tempo prima non ero consapevole. È stato un momento decisivo, un ascolto della vita e della Parola di Dio. Come dicevano i Padri della Chiesa: “Illuminare la vita con la Parola, illuminare la Parola con la vita”. È in questa dinamica di ascolto che ciascuno scopre il progetto di Dio per sé.

Ha detto che lo sguardo dell’eremita è unito a tutti proprio perché separato. Come si è sviluppata questa prospettiva nei confronti del mondo?

Sicuramente c’è un affinamento della sensibilità, che avviene attraverso le esperienze vissute prima della vita eremitica. Nel mio caso, l’esperienza con le persone con disabilità nella Comunità dell’Arca, i soggiorni in Brasile e altre esperienze hanno contribuito a sviluppare un’attenzione profonda alla sofferenza e alla gioia delle persone. L’eremo è un luogo particolare, fatto di silenzio e di una relativa solitudine. Relativa perché, almeno nel mio caso e in quello di molti altri eremiti, riceviamo visitatori, ospiti o anche semplici passanti che restano per cinque minuti, mezz’ora o un’ora, condividendo un caffè, un momento di preghiera, una confidenza. Mi viene in mente l’espressione della teologa, scrittrice ed eremita, Adriana Zarri: «L’eremo non è un guscio di lumaca, ma una conchiglia», una cassa di risonanza. Il silenzio e la solitudine fanno sì che le parole ascoltate in questo contesto risuonino più fortemente del frastuono di una metropolitana.

Ritiene che questa forma di vita possa essere ancora significativa per le vocazioni religiose?

Risponderei in due tempi. Anzitutto, non so se si possa davvero parlare di “scelta”. Si è scelti, ma non si sceglie in modo del tutto autonomo. Si accoglie una vocazione, la si riconosce e, una volta riconosciuta, la si fa propria. Quanto all’attualità della vita eremitica, ritengo che sia sempre stata e sempre sarà valida, finché esisterà la vita. Il bisogno di comprendere chi siamo, il mondo nel quale viviamo, il desiderio di solitudine e di ricongiungersi con la verità del nostro essere, con la nostra povertà, sono aspetti universali che abitano nel cuore dell’uomo e che prescindono da dove è nato e da quando è nato.

Per quanto tempo ha vissuto nell’eremo di Sant’Ilarione? E come trascorreva il suo tempo?

Sono arrivato a Sant’Ilarione, nella Locride, nell’aprile del 2003 e vi ho vissuto per quasi 22 anni. Da pochi mesi, però, non sono più lì perché sono in corso dei lavori che dureranno più di un anno. Attualmente vivo in una casetta nel territorio di Caulonia, senza vicini, perché le altre abitazioni sono abbandonate o vuote. La mia vita è molto semplice: preghiera, lavoro e accoglienza.

Potrebbe approfondire il concetto di «solitudine ospitale»?

La «solitudine ospitale» è l’identità ospitale di Gesù. Gesù è una persona ospitale, un concetto sviluppato dal teologo Christophe Theobald. Nel mio caso, ho ricevuto amore e accoglienza e, di conseguenza, sono chiamato a restituire ciò che ho ricevuto. Un dono trattenuto che non viene restituito o condiviso si corrompe, proprio come un’acqua che smette di scorrere diventa imbevibile. Dunque, la solitudine ospitale significa che chi vive una condizione di relativa solitudine o di ritiro dagli uomini ha comunque la porta sempre aperta, almeno idealmente. Naturalmente, come tutti gli esseri umani, ho i miei limiti, il mio carattere e le mie stanchezze, che talvolta rendono difficile essere ospitali come si vorrebbe. In fin dei conti, anche nel caso del recluso, che non è la mia condizione, la solitudine deve essere ospitale ossia deve saper accogliere quell’ospite per antonomasia che è Dio stesso e, in Lui, tutti gli esseri umani e addirittura l’intero creato.

Il silenzio è una dimensione centrale nella vita eremitica. Ha un consiglio da condividere a chi vorrebbe coltivarlo?

Molto concretamente, chi vive in città – come è stato il mio caso per diversi anni, a Parigi e Bruxelles – dovrebbe ritagliarsi tempi e spazi per il silenzio e il raccoglimento. È fondamentale per non disperdersi, per raccogliere i pezzi di sé e chiedersi: «Chi sono io?». Senza questi momenti, si rischia una dispersione totale. Anche chi, per mille motivi di vita professionali o familiari, è costretto a convivere nel frastuono, può apprendere l’arte dell’abitare questo fragore in modo potenzialmente silenzioso. In fin dei conti il silenzio non è assenza totale di voci, di suoni, ma capacità di ascolto. È una disponibilità all’incontro. Nessuno è un superuomo o una superdonna. È essenziale trovare gli strumenti necessari per fare esperienza di quest’incontro.

Utilizza strumenti digitali da molti anni. Qual è il suo rapporto con essi?

Li abito con sapienza e prudenza. Sono strumenti straordinari, con potenzialità immense. Utilizzo Facebook da alcuni anni, il che potrebbe sorprendere. Lo vedo come un luogo di evangelizzazione digitale: quasi ogni giorno pubblico una meditazione biblica. Tuttavia, interagisco poco con le persone che non conosco, perché questi strumenti restano filtrati e gli scambi possono essere fuorvianti: dietro uno schermo o una tastiera, il rischio di fraintendimenti è alto. Il digitale resta ad ogni modo un possibile luogo di evangelizzazione che mi permette di offrire un piccolo contributo di condivisione della Parola.

- Angela Servidio, Settimana News, 25 febbraio 2025