Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

lunedì 31 marzo 2025

John Donne. La poesia come scienza di Dio

Nel marzo del 1631, dopo aver predicato il più bello dei suoi sermoni, si spegne all'età di 59 anni John Donne, presbitero e poeta fra i più grandi della letteratura inglese. Di famiglia cattolica, John era nato nel cuore di Londra, ed era rimasto molto presto orfano di padre. Da ragazzo era stato al tempo stesso uno studente serio e brillante e un ragazzo che amava la bella vita, secondo quanto trapela dai suoi componimenti giovanili.
Passato poco dopo i vent'anni alla Chiesa d'Inghilterra al termine di un lento ripensamento, Donne sposò Ann More, una ragazza ancora minorenne, senza il permesso del suo tutore. Imprigionato, egli perse tutte le prospettive di carriera che gli si erano dischiuse grazie al suo ingegno. Tuttavia, trovò nella famiglia (Ann gli darà dodici figli) un senso pieno per la propria vita. Poeta finissimo, capace di narrare in modo impareggiabile la bellezza dell'amore umano e di quello divino, Donne non scrisse tanto per la pubblicazione quanto per condividere la sua arte con gli amici a lui più cari.
Dopo aver più volte rifiutato l'ordinazione presbiterale che gli veniva offerta, Donne finì per accettarla un anno dopo essere stato eletto in parlamento, su richiesta del re Giacomo in persona. Nell'ultima fase della sua vita, egli impiegò la straordinaria capacità di scrivere che aveva ricevuto in dono per un'intensa attività di predicatore, che lo porterà a diventare decano della cattedrale londinese di San Paolo. I suoi sermoni, splendidi sul piano letterario, ricchissimi di citazioni bibliche e patristiche, costituiranno a lungo un modello di predicazione nella Chiesa d'Inghilterra.

Tracce di lettura

Nessun uomo è un'Isola,
intero in se stesso.
Ogni uomo è un pezzo del Continente,
una parte della Terra.
Se una Zolla viene portata via dall'onda del Mare,
la Terra ne è diminuita,
come se un Promontorio fosse stato al suo posto,
o una Magione amica o la tua stessa Casa.
Ogni morte d'uomo mi diminuisce,
perché io partecipo all'Umanità.
E così non mandare mai a chiedere per chi suona la Campana:
Essa suona per te. (John Donne, Nessun uomo è un'isola)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

John Donne (1571-1631)

Fermati 1 minuto. Discendere

Lettura

Giovanni 4,43-54

43 Trascorsi due giorni, partì di là per andare in Galilea. 44 Ma Gesù stesso aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella sua patria. 45 Quando però giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero con gioia, poiché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme durante la festa; anch'essi infatti erano andati alla festa.
46 Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l'acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafarnao. 47 Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e lo pregò di scendere a guarire suo figlio poiché stava per morire. 48 Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». 49 Ma il funzionario del re insistette: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». 50 Gesù gli risponde: «Va', tuo figlio vive». Quell'uomo credette alla parola che gli aveva detto Gesù e si mise in cammino. 51 Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». 52 S'informò poi a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un'ora dopo mezzogiorno la febbre lo ha lasciato». 53 Il padre riconobbe che proprio in quell'ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive» e credette lui con tutta la sua famiglia. 54 Questo fu il secondo miracolo che Gesù fece tornando dalla Giudea in Galilea.

Commento

I galilei hanno seguito Gesù fino a Gerusalemme in occasione della Pasqua per assistere ai suoi miracoli e serbano ancora il ricordo della trasformazione dell'acqua in vino alle nozze in Cana. Hanno custodito nella memoria i suoi prodigi ma la loro accoglienza favorevole è determinata più dalla reputazione di Gesù come guaritore che dal riconoscimento in lui del Messia. 

La sua fama è giunta anche a un funzionario del re Erode che viene da lontano per chiedere la guarigione del proprio figlio gravemente malato. Gesù ha parole di riprensione verso coloro che cercano continuamente segni per credere e in questi segni non sanno scorgere il regno di Dio che si fa presente. Non rifiuta tuttavia di acconsentire alla richiesta del funzionario reale, il quale insiste con umiltà, rinnovando la richiesta. 

Il funzionario regio ha compiuto un viaggio di quasi dieci ore per andare da Cafarnao a Cana a incontrare Gesù. Quanto a lungo è capace di "camminare" la nostra speranza per incontrare la salvezza che si è fatta presente in mezzo a noi? Quanto ci impegnamo nel nostro cammino di fede per allontanarci da ciò che ci tiene lontano da Dio, andando incontro al perdono e alla vita? 

Il funzionario chiede a Gesù due volte di "scendere" (vv. 47, 49)  per raggiungere il figlio prima che questi muoia, ma Gesù, che ha potere sulla vita e sulla morte, compie una guarigione a distanza. Sarà il funzionario a "scendere", in un ritorno verso casa pieno di fede nell'efficacia delle parole di Gesù: "tuo figlio vive" (v. 50). 

Gesù non compie alcuna azione sorprendente, né ha bisogno di recitare una lunga preghiera o di fare alcunché, la sua parola è parola che va sempre ad effetto; nel momento in cui afferma la vita del figlio del funzionario questi è strappato alla morte. 

Tornato a casa, il funzionario si informa sull'ora esatta in cui il figlio è guarito. Maggiore è l'attenzione con la quale consideriamo le opere di Dio e più la nostra fede si accresce. Per questo tutta la sua casa credette (v. 53). Come la parola di Dio, meditata con attenzione, ci aiuta a riconoscere la sua provvidenza, così la sua provvidenza, osservata consapevolmente, ci aiuta a comprendere la sua parola. 

L'esperienza dell'efficacia di una sola parola di Cristo è sufficiente perché egli possa conquistare la nostra anima e farci testimoni della sua grazia.

Preghiera

Signore Gesù Cristo, che sei sceso verso di noi con la tua incarnazione, restituiscici pienamente alla vita della grazia, affinché possiamo testimoniare con gioia il tuo Nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 29 marzo 2025

Che cos'è questo per tanta gente?

 COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA

Colletta

Dio Onnipotente, ti supplichiamo, sebbene meritevoli della tua punizione per i nostri peccati, di essere risollevati dal conforto della tua grazia. Per il nostro Signore Gesù Cristo. Amen

Letture

Gal 4,21-31; Gv 6,1-15

Commento

C’è una contesa in corso tra il figlio della schiava e il figlio della libera, ci spiega Paolo nella sua lettera ai Galati, richiamandosi al racconto della Genesi sui figli di Abramo. Il figlio della schiava è la Gerusalemme di quaggiù, ma il figlio della libera è la Gerusalemme celeste, che è “libera” e “la madre di tutti noi” (Gal 4,26). 

Questa lotta si svolge al tempo stesso nel nostro cuore e nel mondo. Fuori di noi, tra coloro che sono stati rigenerati nella fede e le forze che si oppongono al messaggio liberante del vangelo. Dentro di noi, fra la nostra umanità segnata dalla sua fragilità, dai suoi limiti, e la grazia che ci è donata in Cristo, la quale opera incessantemente per dare alla luce l’uomo nuovo e realizzare quella “rinascita dall’alto” di cui parla Gesù nel dialogo notturno con Nicodemo (Gv 3,1-21). 

La povertà delle nostre risorse e la fallacia dell’essere umano sono fin troppo evidenti, nelle piccole e grandi sconfitte che subiamo ogni giorno come cristiani che cercano di conformare la propria vita al vangelo; e per questo motivo è in agguato la tentazione di lasciarci andare allo sconforto e alla rinuncia nella ricerca della nostra santificazione e del bene comune. Ma noi come credenti siamo chiamati a credere e sperare oltre ogni speranza che colui il quale ci ha dato la promessa sarà fedele, nonostante le nostre infedeltà. Dio infatti, sa prendere la nostra povertà e trasformarla in abbondanza. 

È questo il senso del miracolo dei pani e dei pesci. Gesù rifugiatosi sul monte e seguito dalle folle, chiede agli apostoli di sfamarle. Ciò che gli apostoli hanno a disposizione è davvero poco, come afferma Filippo, con parole che sembrano velate di ironia: “Duecento denari di pane non basterebbero per loro, perché ognuno possa averne un pezzetto” (Gv 6,7). Andrea, più pragmatico, si da da fare, e trova un ragazzo con “cinque pani d’orzo e due piccoli pesci”; ma deve riconoscere sconfortato: “che cos’è questo per tanta gente?” (Gv 6,9). 

La bontà di Dio è capace di moltiplicare i nostri miseri talenti, saziando tutti coloro che hanno "fame e sete di giustizia" (Mt 5,6), e facendoci tornare a casa addirittura con l'eccedenza: “raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.” (Gv 6, 13). 

Rallegriamoci, dunque, anche se a volte siamo come una sterile che non partorisce nulla; “perché i figli dell’abbandonata saranno più numerosi di quelli di colei che aveva marito” (Gal 4,27). Siamo infatti “i figli della promessa” (Gal 4,28) e Dio porterà a compimento la sua opera in noi.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 28 marzo 2025

Meister Eckhart e la nascita di Dio nell'anima

Il 27 marzo la Chiesa luterana celebra la memoria del teologo e mistico Meister Eckhart.

Eckhart di Hochheim, conosciuto come "Maestro Eckhart", è un mistico tedesco del XIII-XIV secolo. Nato intorno al 1260 a Tambach, entra nell'Ordine domenicano e studia a Colonia e Parigi. Diventa priore di Erfurt e vicario della Turingia, scrivendo i "Trattenimenti spirituali". Nel 1302 è lettore di teologia a Parigi e nel 1323 si trasferisce a Colonia. Nel 1326 affronta un processo inquisitorio, difendendosi con uno scritto di giustificazione. Nel 1329, dopo la sua morte, una bolla papale condanna alcune sue tesi.

Le sue prediche e i suoi trattati, pubblicati anche sotto pseudonimo, continuano ad avere impatto nei secoli successivi. Nel XIX secolo, con la riscoperta dei sermoni tedeschi, Eckhart viene visto come rappresentante di un cristianesimo germanico.

La sua dottrina si focalizza sulla nascita di Dio nell'anima, dove Dio e l'essenza dell'Anima sono considerati identici. Eckhart utilizza la metafora del legno e del fuoco per spiegare come l'anima si trasformi in Dio. In contrasto con la tradizione scolastica, Eckhart afferma che Dio si riproduce nell'intelletto umano, portando alla pace interiore. L'uomo pacificato è considerato Figlio di Dio, seguendo il pensiero di Giovanni e Paolo.

La sua visione neoplatonica considera tutto esistente in Dio, senza molteplicità. L'uomo sperimenta la sua unità con Dio grazie alla grazia divina. Questa visione attiva della vita include un'apprezzamento del mondo creato, integrando il panteismo in una prospettiva teistica. Il pensiero di Eckhart promuove anche il dialogo interreligioso, evidenziando la razionalità della mistica cristiana.

Citazioni dai Sermoni

  • L'anima è fatta per un bene così grande ed alto, che essa non può in alcun modo trovare riposo, ed è sempre infelice, finché non giunge, sopra ogni modo, a quel bene eterno che è Dio, per il quale essa è fatta.
  • L'uomo che si è distaccato da se stesso, è così puro che il mondo non può sopportarlo.
  • Non si deve cercare niente, né conoscenza né scienza, né interiorità né devozione né pace, ma soltanto la volontà di Dio.
  • Tutto sarebbe donato a chi rinunciasse a se stesso assolutamente, anche per un solo istante.
Advent Day with Meister Eckhart - Saint James Episcopal Church
Meister Eckhart (1260-1328)

Fermati 1 minuto. L'imperativo del verbo "amare"

Lettura

Marco 12,28-34

28 Allora si accostò uno degli scribi che li aveva uditi discutere, e, visto come aveva loro ben risposto, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». 29 Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; 30 amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. 31 E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi». 32 Allora lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che Egli è unico e non v'è altri all'infuori di lui; 33 amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici». 34 Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente, gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

Commento

La questione decisiva posta dallo scriba è in che cosa consista il cuore della legge. La risposta di Gesù riassume tutto il suo insegnamento e diventa il modello al quale fare riferimento per la vita. L'amore verso Dio è il primo grande comandamento e il suo naturale riflesso è l'amore verso il prossimo: l'uno e l'altro nel totale dono di sé. 

Dio è unico, ma non è solitario. Dio è comunione, del Figlio con il Padre, nello Spirito Santo. Dio è comunione dei redenti nel Figlio; e la comunione con Dio è il destino della stessa creazione, che "aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio" (Rm 8,19). Lo "Shemà, Israel" (Dt 6,4-9) richiamato da Gesù, diventa nel vangelo svelamento dell'intima relazione tra unicità e comunione, definendo il nostro rapporto con Dio e con il prossimo. 

Il cuore dell'uomo è stato creato per amare e come afferma Agostino d'Ippona (Confessioni, I,1.1) è inquieto finché non riposa in Dio, ovvero nell'Amore. E così si esprime Dio con Caterina da Siena: "L’anima non può vivere senza amore, sempre vuole avere qualche cosa da amare, poiché è costituita d'amore avendola Io per amore creata" (Caterina da Siena, Dialogo della Divina Provvidenza, 51). 

L'amore di Dio unifica le nostre facoltà e ne esprime il massimo potenziale; siamo infatti chiamati ad amarlo con tutta la mente, con tutto il cuore e con tutte le nostre forze (v. 30). Amare Dio significa anche amare tutto ciò che egli ama. 

La prima parola dello "Shemà" - "Ascolta" - attesta che questo amore sovrabbondante può essere riversato nel nostro cuore solo a partire dall'ascolto; non è semplicemente frutto di un nostro sforzo di volontà ma è lo stesso amore dello Spirito, che ama attraverso di noi, e al quale possiamo attingere nella misura in cui il nostro cuore si apre a Dio. 

Il dono di sé è un sacrificio superiore a qualsiasi olocausto, e a questo ci esorta anche l'apostolo Paolo: "Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale" (Rm 12,1). Siamo chiamati a farci come Cristo altare, oblazione e fuoco sacrificale. A bruciare d'amore in lui. 

Il nuovo comandamento del vangelo supera quello della legge antica: dobbiamo amare il prossimo non solo come noi stessi (Lv 19,18), ma come Gesù ci ha amati (Gv 15,12). Questa è la differenza tra l'essere vicini al regno di Dio ed esserne parte.

Preghiera

Colma i nostri cuori del tuo amore, Signore; affinché possiamo donarci a te e agli uomini come sacrificio a te gradito, nel vincolo dell'unità. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 26 marzo 2025

Giovanni di Dalyatha. «I miei occhi bruciano di te»

La quarta domenica di quaresima la Chiesa assira fa memoria di Giovanni di Dalyatha, mistico tra i più grandi della storia cristiana.
Giovanni, chiamato anche Saba o il «Vegliardo», nacque nella seconda metà del VII secolo nel villaggio di Ardamust, a nord-ovest di Mossul. Egli fu iniziato allo studio delle Scritture nella scuola del suo villaggio, quindi frequentò il monastero di Apnimaran e, intorno all'anno 700, divenne monaco nel monastero di Mar Yozadaq. Dopo sette anni, si ritirò in solitudine sulla montagna di Dalyatha, forse nei pressi dell'Ararat, e da essa prese il nome.
Negli anni di solitudine, Giovanni approfondì la propria vita spirituale e si esercitò nell'arte della contemplazione, imparando a discernere l'intimo legame tra la creazione e il Creatore, e alimentando il proprio spirito grazie all'incontro quotidiano con la natura e i suoi simboli. Malgrado la lontananza dai suoi simili, egli non perse mai quei tratti di profonda umanità che caratterizzeranno tutti i suoi insegnamenti.
Raggiunto da alcuni discepoli, Giovanni mise per iscritto i frutti della sua profonda esperienza interiore. Influenzato dalle opere di Evagrio, di Macario, di Dionigi Areopagita e di Gregorio di Nissa, egli sottolineò tuttavia in modo ancor più radicale rispetto ai suoi maestri come il grado più elevato della vita cristiana sia quello della carità e dell'amore.
Giovanni morì in una data imprecisata, in quella solitudine in cui più che a fuggire il mondo aveva imparato ad amare ogni creatura.

Tracce di lettura

I miei occhi sono stati bruciati dalla tua bellezza
ed è stata divelta davanti a me la terra sulla quale avanzavo;
la mia intelligenza è stupita per la meraviglia che è in te
e io, ormai, mi riconosco come uno che non è.
Una fiamma si è accesa nelle mie ossa
e ruscelli sono sgorgati per bagnare l'intera mia carne,
perché non si consumi.
O fornace purificatrice,
nella quale l'Artefice ha mondato la sua creatura!
O abito di luce, che ci hai spogliati della nostra volontà
perché ce ne rivestissimo, ora, nel fuoco!
Signore, lasciami dare ai tuoi figli ciò che è santo,
non è ai cani che lo do.
Gloria a te! Come sono mirabili i tuoi pensieri!
Beati coloro che ti amano,
perché risplendono per la tua bellezza
e tu dai loro in dono te stesso.
Questa è la resurrezione anticipata
di coloro che sono morti in Cristo.
(Giovanni di Dalyatha, Lettere)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Il codice dell'amore

Lettura

Matteo 5,17-19

17 Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. 18 In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. 19 Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli.

Commento

Lo iota è la nona lettera dell'alfbeto greco, corrispondente alla decima dell'alfabeto ebraico (jod), che è la più piccola. Il termine greco keraia, tradotto con "segno", significa "corno", "apice" e indica probabilmente il piccolo segno aggiunto a scopo decorativo a numerose consonanti dell'alfabeto ebraico. Il senso delle parole di Gesù è che nessun particolare della legge potrà essere trascurato, ma dovrà giungere a compimento.

Gesù è un ebreo osservante, ma allo stesso tempo fa nuove tutte le cose: riafferma i dieci comandamenti, ma li arricchisce con il "discorso della montagna"; osserva il Sabato, ma non si esime in quel giorno dal compiere miracoli e guarigioni; difende la purità rituale del Tempio, scacciando venditori e cambiavalute, ma proclama il nuovo culto "in spirito e verità"; celebra la Pasqua ebraica, ma con la sua Croce inaugura la nuova Pasqua, della quale l'antica era solo una prefigurazione.

Il "compimento" di cui si proclama artefice Gesù è il realizzarsi delle profezie antiche; egli non solo porta a perfezione la legge morale ma realizza in se stesso l'incarnazione della legge cerimoniale, simbolo del suo sacrificio pieno, perfetto e sufficiente, realizzato sulla croce.

Il riferimento alla legge e ai profeti è presente, poco più avanti nel Vangelo di Matteo, nell'enunciazione, da parte di Gesù, della "regola d'oro": "'Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti'" (Mt 7,12).

Gesù afferma l'autorità delle Scritture dell'Antico Testamento come parola di Dio. Ciò implica che il Nuovo Testamento non soppianta l'Antico, ma lo completa e ne spiega il significato. La verità nascosta nelle Scritture ebraiche rimane valida e risplende ora alla luce del vangelo.

Natura non facit saltus affermavano gli antichi: la natura non procede per gradini, ma attraverso un piano inclinato, per progressive integrazioni. Così è per alcune pagine dell'Antico Testamento, che possono risultare "scandalose" per l'uomo di oggi, intrise di violenza, inganni, e piene di precetti che fatichiamo a comprendere. Ma c'è una progressività della rivelazione, che conduce fino all'epifania di Cristo.

Coloro che custodiranno e insegneranno la parola di Dio saranno ritenuti grandi nel regno dei cieli (v. 19): "Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche" (Mt 13,52).

In Gesù abbiamo la pienezza della rivelazione. Egli non si propone come semplice interprete della Legge ma si colloca al di sopra di essa, come sua fonte. Gesù è la Parola che si è fatta carne (Gv 1,14), per farci conoscere il codice dell'amore, il cui giogo è dolce e il carico leggero.

Preghiera

Signore Gesù Cristo, aiutaci a riconoscerti come norma di vita e a conformarci a te, per progredire nell'amore e testimoniare la tua giustizia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 24 marzo 2025

Paul-Irénée Couturier. Testimone di ecumenismo

Il 24 marzo 1953 si spegne a Lione Paul-Irénée Couturier, presbitero cattolico la cui vita è un'incontestabile e sincera testimonianza di quell'ecumenismo a cui, anche grazie a lui, la Chiesa cattolica approderà con il concilio Vaticano II.
Couturier era nato a Lione nel 1881. Dopo aver ricevuto una formazione scientifica, entrò in seminario e fu ordinato presbitero. Quando aveva 39 anni, egli fece un'esperienza determinante: mosso dal desiderio di alleviare le sofferenze degli emigrati russi nella regione lionese, ne conobbe la vita e la fede e si convinse della profonda unità che già esisteva con i cristiani d'oriente.
Approfondendo la propria conoscenza del cristianesimo ortodosso, Couturier approdò a Chevetogne, dove fu profondamente toccato dagli scritti del cardinal Mercier e da dom Lambert Beauduin. Diede così inizio a quella che diverrà la «settimana di preghiera per l'unità dei cristiani», convinto che il cuore dell'ecumenismo sia la preghiera stessa di Gesù: «che tutti siano una sola cosa».
Couturier fu anche all'origine del Gruppo di Dombes, nato per promuovere una maggiore conoscenza fra cattolici e protestanti francesi. Egli avviò un'impressionante rete di rapporti epistolari, con i quali seppe intessere la trama essenziale di amicizia e di stima fra cristiani sul cui fondamento prenderanno avvio i grandi dialoghi ecumenici.
Alla sua morte i messaggi di cordoglio giunti al vescovo di Lione da tutte le chiese cristiane testimoniarono l'unanime riconoscimento all'impegno evangelico di un uomo che aveva saputo dare un'anima all'ecumenismo.

Tracce di lettura

Ogni generazione è chiamata a porsi di nuovo la domanda: che cosa fate voi per guarire il corpo spezzato di Cristo? Da molto tempo, da secoli, la carità, vincolo dell'unità, si è affievolita. L'unità è stata spezzata, i cristiani sono stati disgregati dalla ferita del peccato. E le divisioni persistono perché nei cuori la carità è ancora fredda.
La carità riprenderà la sua fiamma, la sua fiamma di calore luminoso, nel dolore, nell'umiltà, nel pentimento, nella preghiera, nella supplica, nell'ardore e nella perseveranza della preghiera. La preghiera è un combattimento con Dio in cui si trionfa per mezzo della forza stessa di Dio. (P.-I. Couturier, Opuscoli )

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Passando in mezzo a loro

Lettura

Luca 4,24-30

24 Poi aggiunse: «Nessun profeta è bene accetto in patria. 25 Vi dico anche: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26 ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone. 27 C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro».
28 All'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; 29 si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. 30 Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò.

Commento

Sia la vedova di Sarepta che Namaan il Siro erano pagani, entrambi vissuti in un periodo di grande infedeltà di Israele. I due episodi menzionati da Gesù costituiscono la proclamazione del suo ruolo profetico e la giustificazione biblica per la missione cristiana ai gentili. 

La rabbia degli uomini della sinagoga verso Gesù è dovuta all'affermazione che il favore di Dio nei loro confronti verrà meno per essere rivolto ai lontani. La cacciata fuori dalle mura della città verso la cima del monte è come una prefigurazione della passione, quando Gesù sarà crocifisso fuori Gerusalemme sul monte Gòlgota. Ma non è ancora giunta la sua ora e Gesù sfugge a questo tentativo di linciaggio.

Anche noi, come Gesù, siamo chiamati in virtù della incorporazione a lui nel battesimo, a esercitare un ministero profetico, testimoniando coraggiosamente, con la parola e con le azioni, il vangelo, a partire dal nostro ambiente di vita, senza il timore di sperimentare il rifiuto. 

L'atteggiamento di Gesù costituisce un modello su come dobbiamo reagire di fronte all'ostilità nei confronti dell'annuncio. Passare oltre: "passando in mezzo a loro se ne andò" (v. 30). Ma questa pagina del Vangelo è anche un monito affinché possiamo non dare per scontata la parola di Dio, che egli ci rivolge ogni giorno e che dobbiamo saper accogliere come parola sempre nuova, perché parola viva, abitata dallo Spirito. 

Gesù ci interpella, oggi, lì dove siamo. Possa trovarci pronti ad accoglierlo, affinché non siano più fortunati di noi quelli che non hanno mai sentito parlare di lui.

Preghiera

Il nostro cuore, Signore, sia pronto ad accoglierti, affinché possiamo essere costituiti profeti fedeli della tua parola, tra coloro che non ti conoscono. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 22 marzo 2025

Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA TERZA DOMENICA DI QUARESIMA

Colletta

Ti supplichiamo, Signore Onnipotente, di guardare al desiderio dei tuoi umili servi, e di stendere la tua destra, per difenderci da ogni nemico. Per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen

Letture

Ef 5,1-14; Lc 11,14-28

Commento

Il mutismo costituiva nell’antichità giudaica una condizione particolarmente infelice, perché colui che ne era affetto non poteva né innalzare a Dio le sue lodi, né invocarlo per chiedere aiuto. Il protagonista di questa pagina del Vangelo di Luca diviene l’immagine di una separazione radicale da Dio e di uno stato di profonda solitudine. 

A volte la sofferenza è capace di prostrare l’uomo a tal punto da rendergli impossibile persino il conforto della preghiera. Gesù dimostra di essere capace di venirci incontro e di vincere anche questo genere di demoni. 

Vi è una battaglia in corso, tra il Regno di Dio da una parte e Satana e i suoi angeli dall’altra. Non è consentito assumere posizioni di neutralità. Non schierarsi con Cristo significa soccombere al demonio. Gesù è l’uomo forte (Lc 11,22), capace di disarmare il nemico e scacciare i demoni con il dito di Dio. 

Le sue azioni suscitano meraviglia e una voce si leva dalla folla. Di fronte alla donna che benedice il grembo che lo ha portato e i seni che lo hanno nutrito, Gesù relativizza i legami famigliari, anteponendo l'obbedienza a Dio alla parentela di sangue: "Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica" (Lc 11,28); parole che suonano simili a quelle riportate da un altro passo del Vangelo di Luca: "Mia madre e i miei fratelli sono quelli che odono la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8,21). 

La famiglia è una realtà voluta da Dio fin dall’origine della creazione; ma Gesù ci insegna che se la nostra carità non sarà capace di superare le stesse relazioni familiari non sarà all’altezza del suo vangelo. La parola di Dio è il modello da seguire; ma non è lettera morta; è il Figlio del Dio vivente (Mt 16,16). 

Se Gesù non fosse il Figlio di Dio potremmo trovare in lui semplicemente un predicatore, un guaritore o un rivoluzionario politico. Ma egli può essere un vero modello di vita perché è il Verbo che si è fatto carne, la manifestazione visibile e tangibile di Dio. La sua umanità è il velo attraverso il quale l’Assoluto, per definizione separato da tutto, ci si rende prossimo e conoscibile; è la mappa per il nostro itinerario di santificazione. Il Dio altissimo, di fronte al quale Mosè ed Elia dovettero coprirsi il volto, si rivela all’umanità in Cristo e Paolo ci esorta a farci suoi imitatori. 

Al di là degli elenchi di vizi e di virtù riportati dall'Apostolo, non molto diversi da quelli che possiamo trovare nella letteratura greca ed ebraica della stessa epoca, la vera novità del messaggio cristiano consiste in questa prossimità di Dio all’uomo. Nel cristianesimo la riflessione su Dio e l’esperienza di Dio non sono incentrate semplicemente su un libro, ma sul Risorto, che cammina con noi fino alla fine dei tempi (Mt 28,20).

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 21 marzo 2025

Thomas Cranmer, padre della riforma anglicana

In questo giorno, nel 1556, sale sul rogo per ordine della regina d'Inghilterra Maria I l'arcivescovo di Canterbury Thomas Cranmer. Egli fu una delle tante vittime della rivalsa cattolica sotto il breve regno della figlia di Enrico VIII. Con lui si colpiva la figura in tutti i sensi più decisiva della Riforma inglese.
Thomas era nato ad Aslockton nel 1489, aveva studiato a Cambridge e sembrava avviato a una tranquilla carriera accademica, quando il fortuito incontro con Enrico VIII ne mutò radicalmente la vita. Cranmer, che assieme ad alcuni amici già da tempo si era interessato alla Riforma protestante, prestò tutto il suo ingegno per dare basi teologiche, e soprattutto liturgiche, alla nuova Chiesa d'Inghilterra. Sotto la sua guida fu completata la traduzione in lingua inglese della Bibbia, fu redatto il Book of Common Prayer nonché la prima bozza della confessione di fede della Chiesa anglicana.
Eletto nel 1533 per volere del re arcivescovo di Canterbury, egli mostrò una certa umanità verso i nemici della Riforma anglicana, anche se mai si distaccò pubblicamente dalle posizioni meno evangeliche della casa reale.
Coinvolto nei disegni per la successione al re Enrico, la cui figlia cattolica salì al trono nel 1553, Cranmer subì una dura persecuzione di tre anni. Costretto a firmare diverse ritrattazioni, umiliato, Cranmer ritrovò forza e dignità a processo ormai concluso, riaffermando tutto ciò che la sua coscienza gli aveva dettato nel corso della vita e chiedendo perdono ai suoi compagni per le false ritrattazioni che aveva sottoscritto.
La Chiesa d'Inghilterra lo ricorda come martire.

Tracce di lettura

Poiché gli uomini sono tutti peccatori, disobbediscono a Dio e violano la sua legge e i suoi comandamenti, nessuno può essere giustificato e reso giusto davanti a Dio in virtù delle proprie azioni, per quanto buone esse appaiano; viceversa ognuno è necessariamente costretto a ricercare un'altra giustizia o giustificazione che si ottiene dalle mani stesse di Dio, ossia la remissione, il perdono dei peccati e delle trasgressioni commesse. Questa giustificazione o giustizia che riceviamo per grazia di Dio e per i meriti di Cristo, se accolta con fede, è accordata da Dio per la nostra perfetta e compiuta giustificazione.
(T. Cranmer,  Omelie)

Nicola di Flüe, patrono della Svizzera

La chiesa luterana e la chiesa cattolica ricordano oggi Nicola di Flüe, noto anche come Frate Klaus. Nicola nacque nel 1417 a Flüeli, nella regione di Obwalden, in Svizzera. Di umile origine contadina, condusse una vita semplice e devota. Si sposò con Dorotea von Wattenwyl e ebbe dieci figli.
Nonostante la sua vita familiare, sentì un profondo richiamo spirituale e nel 1467 lasciò la sua famiglia per dedicarsi completamente alla vita religiosa. Si ritirò nella solitudine delle montagne, vivendo come eremita. Durante questo periodo, condusse un'intensa vita di preghiera, meditazione e penitenza.
La sua fama di santità si diffuse rapidamente, attirando numerosi pellegrini e devoti che cercavano la sua guida spirituale. Nicola di Flüe divenne noto per la sua saggezza, umiltà e capacità di consolare e consigliare coloro che lo cercavano.
Nel 1481, Nicola giocò un ruolo fondamentale nella risoluzione di una disputa tra cantoni svizzeri, che minacciava di scatenare una guerra civile. Grazie alla sua mediazione, riuscì a raggiungere un accordo pacifico noto come "Patto di Sant'Uffizio". Questo atto di pace contribuì alla sua venerazione come santo nazionale della Svizzera.

Fermati 1 minuto. Dal Signore è stato fatto questo

Lettura

Matteo 21,33-43.45

33 Ascoltate un'altra parabola: C'era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l'affidò a dei vignaioli e se ne andò. 34 Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. 35 Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l'altro lo uccisero, l'altro lo lapidarono. 36 Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. 37 Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! 38 Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l'eredità. 39 E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero. 40 Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?». 41 Gli rispondono: «Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo». 42 E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
La pietra che i costruttori hanno scartata
è diventata testata d'angolo;
dal Signore è stato fatto questo
ed è mirabile agli occhi nostri?
43 Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare.
45 Udite queste parabole, i sommi sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro e cercavano di catturarlo; ma avevano paura della folla che lo considerava un profeta.

Commento

La parabola dei vignaioli omicidi è un severo monito di Gesù a Israele che ha rifiutato i favori divini, prima uccidendo i profeti e ora cercando di uccidere il Figlio di Dio. Si può trarre però dalla parabola anche un insegnamento più generale, valido per tutti i cristiani come richiamo a restare fedeli al vangelo. 

La vigna è un simbolo comune della nazione ebraica nelle Scritture. I servi alludono ai profeti mandati da Dio a Israele, mentre i frutti della vigna sono le opere buone reclamate da Dio. Il popolo che farà fruttificare la vigna al posto degli operai infedeli rappresenta la nuova comunità dei credenti, composta da ebrei e pagani. 

Dio ci ha dato il patrimonio prezioso delle Scritture, della tradizione apostolica e dei i sacramenti con cui ci sazia di beni spirituali. Questa è la vigna piantata al centro della sua Chiesa, che fruttifica in abbondanza. Noi siamo chiamati a prendercene cura, a godere dei suoi frutti e a renderne partecipe ogni uomo. La fede non può esprimersi in un'esperienza individualista o settaria. La chiesa di Cristo è una comunità aperta e missionaria.

Vi è una tentazione in agguato in ogni tempo: quella dei vignaioli di non considerarsi semplici locatari ma, sbarazzandosi dei servi e dello stesso Figlio del padrone, di ergersi essi stessi a proprietari della vigna. È la tentazione di porre come principio di autorità nella Chiesa non Dio, ma l'uomo, così come i farisei avevano messo le proprie tradizioni umane al di sopra della legge mosaica. 

Il rischio è quello di un'appropriazione indebita della Scrittura; di farla propria per trarne profitto o per barattarla con qualche dottrina umana. Ma il Signore protegge la sua vigna e le forze ribelli non prevarranno sulla sua Chiesa, piantata dalla sua destra, edificata su Cristo.

Preghiera

Vieni Signore e visita la tua vigna; irrigala con il tuo Spirito affinché porti frutto in abbondanza e il tuo Figlio ci trovi al suo ritorno come servi fedeli e laboriosi. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 19 marzo 2025

Fermati 1 minuto. Come spirito sulle acque calme

Lettura

Matteo 1,16-24

16 Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. 17 La somma di tutte le generazioni, da Abramo a Davide, è così di quattordici; da Davide fino alla deportazione in Babilonia è ancora di quattordici; dalla deportazione in Babilonia a Cristo è, infine, di quattordici. 18 Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19 Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. 20 Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. 21 Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». 22 Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 23 Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi. 24 Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Commento

Un uomo innamorato della sua futura moglie si trova davanti al timore di essere stato tradito. Giuseppe non è solo giusto, osservante della legge del Signore, ma anche misericordioso, poiché non vuole esporre Maria alla pubblica accusa e preferisce allontanarla in segreto, con un divorzio privato. 

Il fidanzamento ebraico era considerato nell'antichità come un moderno matrimonio. Poteva essere sciolto solo con un formale atto di ripudio, in presenza di due testimoni. I fidanzati erano considerati dal punto di vista legale come marito e moglie e sebbene l'unione fisica non fosse stata ancora consumata l'adulterio era punito con la lapidazione. Il modo di comportarsi di Giuseppe ci suggerisce di giudicare con delicatezza e prudenza il nostro prossimo, presupponendo sempre la sua innocenza piuttosto che la colpevolezza, ma ci invita anche ad accogliere quanto di incredibile accade nelle nostre vite. 

Giuseppe viene visitato da Dio mentre "stava pensando a tutte queste cose" (v. 20). Dio rivela la sua volontà a coloro che la ricercano e considerano interiormente i segni della sua presenza. Egli appare nel momento di maggiore quiete, come spirito che si muove sulle acque calme. Così Giuseppe, che custodisce la fiducia in Dio, si convince dell'innocenza di Maria venendo visitato in sogno da un angelo, il cui messaggio sconvolge i suoi piani e ogni aspettativa sul nascituro. Questi sarà chiamato Gesù, ovvero "il Signore salva" e infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati. Emmanuele (v. 23) - "Dio con noi" - non è il nome proprio di Cristo ma ne descrive perfettamente l'ufficio: egli è il Messia inviato da Dio e solleva la nostra umanità dalla miseria, elevandola alle altezze divine. 

Dio aveva camminato con Israele nel deserto, nella forma di una nube rinfrescante di giorno e luminosa di notte; per questo il suo popolo poteva domandarsi "qual grande nazione ha la divinità così vicina a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?" (Dt 4,7). Ma in Cristo, Dio non si fa solo vicino, viene ad abitare la nostra umanità, per condurla verso la risurrezione. Ricevuto l'annuncio dell'angelo, Giuseppe si desta dal sonno (v. 24) e fa subito come gli è stato ordinato. Anche noi siamo chiamati a rispondere senza tardare alla volontà del Signore: "Per questo sta scritto: «Svègliati, o tu che dormi, déstati dai morti e Cristo ti illuminerà»" (Ef 5,14).

Preghiera

Donaci la saggezza, Signore, di discernere la tua volontà tra le pieghe della nostra vita e la grazia per compierla con sollecitudine; affinché la luce di Cristo possa risplendere nel mondo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Giuseppe, padre di Gesù secondo la Legge e uomo del silenzio

Giuseppe era discendente di David, e il vangelo di Matteo lo definisce sobriamente: «Lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato il Cristo» (Mt 1,16) e «uomo giusto» (Mt 1,19). Egli ebbe il compito di legare Gesù alla discendenza davidica, di riassumere le figure dei patriarchi, che spesso avevano ricevuto in sogno la rivelazione di Dio, e di far ripercorrere al piccolo Gesù il cammino dell'esodo, inserendolo pienamente nella storia di Israele per renderlo erede delle promesse. Uomo del silenzio, Giuseppe apprese nella sua quiete orante, giorno dopo giorno, la volontà del Signore. Dopo il ritorno dall'Egitto, nulla ci è detto a suo riguardo. Un'antica leggenda vuole che egli abbia terminato i suoi giorni in una grande pace, indicando nel figlio Gesù, riconosciuto come Messia, il motivo della sua serenità di fronte alla fine della vita terrena. Per questo motivo, nella tradizione occidentale si cominciò presto a invocarne l'intercessione per ricevere il dono di una buona morte.
Le chiese bizantine ricordano Giuseppe assieme a David e a Giacomo fratello del Signore nei giorni che seguono il Natale. Nella chiesa copta la sua memoria era celebrata già nel V secolo. In occidente, invece, una vera e propria festa di Giuseppe si sviluppò soltanto in epoca moderna e divenne festa di precetto nel 1621.
In epoca recente, malgrado il suo inserimento nel Canone romano per volere di papa Giovanni XXIII, la festa di Giuseppe è stata privata della solennità che da poco aveva acquisito, quasi a segnare la discrezione e il silenzio che accompagnano sin dai primi secoli la memoria di colui che fu il padre di Gesù secondo la Legge.

Tracce di lettura

Giuseppe dalle labbra chiuse è l'uomo dell'interiore; fa parte di quella coorte di silenziosi per i quali parlare è perdere tempo, è soprattutto tradire l'Intraducibile, l'Ineffabile. Giuseppe dalle labbra chiuse è l'uomo che comincia là dove Giobbe finisce, che nasce con la mano sulla bocca. Ha un senso enorme di Dio, della dismisura del suo Essere e della sua pazzia d'amore.
Dopo il ritorno dall'Egitto, Giuseppe scompare. Credetemi, questa morte, questo transitus del beato Giuseppe non ha nulla di triste. Il suo silenzio è lo stesso di Dio. È riempito dalla forza dell'Amore.
(L.-A. Lassus, Pregare è una festa)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

martedì 18 marzo 2025

Fermati 1 minuto. Seduti nel posto del discepolo

Lettura

Matteo 23,1-12

1 Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: 2 «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3 Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. 4 Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. 5 Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6 amano posti d'onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe 7 e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare "rabbì" dalla gente. 8 Ma voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. 9 E non chiamate nessuno "padre" sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. 10 E non fatevi chiamare "maestri", perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. 11 Il più grande tra voi sia vostro servo; 12 chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato.

Commento

Le Scritture riconoscevano ai leviti e ai sacerdoti l'autorità di decidere sull'applicazione della legge mosaica, ma gli scribi e i farisei si erano spinti oltre l'autorità legittima aggiungendo tradizioni umane alla parola di Dio. Gesù esorta a seguire quanto predicano, ma nella misura in cui è conforme alle Scritture; condanna infatti "i pesanti fardelli" della tradizione extrabiblica che essi impongono sulle spalle della gente. 

La vita di fede è più grande della mera religiosità; quest'ultima, anzi, quando scade nel legalismo e nella precettistica aumenta le distanze dell'uomo da Dio. Guai a coloro che chiudono il regno di Dio agli uomini, perché non vi entrano e non vi lasciano entrare nemmeno coloro che vogliono entrarci! (Mt 23,13). 

I filatteri erano piccole scatole di cuoio contenenti delle pergamente recanti alcuni versetti biblici. Venivano legati sulla fronte e sul braccio sinistro durante la preghiera, secondo un'osservanza strettamente letterale delle esortazioni contenute nell'Esodo (Es 13,9) e nel Deuteronomio (Dt 6,8). I farisei interpretavano materialmente il comandamento di tenere la legge di Dio davanti agli occhi, ma avevano perso di vista la strada che conduce a lui divenendo "ciechi e guide di ciechi" (Mt 15,14). Rendendo più lunghi i lacci dei filatteri e le frange del mantello (che dovevano ricordare i dieci comandamenti), cercavano di essere notati e ammirati. 

Gesù stesso portava il mantello per la preghiera; non condanna, dunque, il suo uso, ma la volontà di apparire, propria dei farisei. Anche l'utilizzo dei titoli "rabbì", "padre", "maestro", non è proibito di per sé, ma nella misura in cui diventa per chi ne è fatto oggetto una pretesa e motivo di orgoglio. Paolo, infatti, parla ripetutamente di "maestri" nella Chiesa e spesso li definisce anche "padri" (1 Cor 4,15), esortando a mostrare loro rispetto (1 Tess 5,11-12; 1 Tim 5,1); chiama anche se stesso "padre", nei confronti di coloro che ha fatto nascere alla fede, ma il titolo è da lui utilizzato per rimarcare il suo affetto e non il proprio prestigio. L'uso di questi titoli è riprovevole anche nella misura in cui l'uomo viene riconosciuto come fonte di autorità al di sopra di Dio, mentre Mosè agì come semplice mediatore tra Dio e gli uomini. 

La colpa dei farisei è di costruire una religiosità priva di quell'aspetto gioioso che scaturisce dalla consapevolezza di essere chiamati da Dio a partecipare alla sua creazione e alla sua opera di redenzione. Gesù rimprovera anche la loro ipocrisia, perché indulgono verso se stessi ma predicano un grande rigore. Anche il cristiano rischia di cadere in questo peccato, quando proietta sugli altri quelle aspettative di osservanza che non riesce a soddisfare in se stesso. 

Ma vi è un atteggiamento peggiore: quello di chi si mostra religioso per essere lodato dagli altri. Costoro, come affermato da Gesù nel discorso della montagna "hanno già ricevuto la loro ricompensa" (Mt 6,2.5). Gli ammonimenti da lui rivolti alle folle - ma anche ai discepoli (v. 1) - sono un invito alla coerenza, senza la quale la nostra testimonianza del vangelo perde solidità. 

Più che i filatteri dobbiamo tenere sempre davanti ai nostri occhi l'esempio di colui che è stato maestro nel servire. Solo collocandoci nel posto a sedere che spetta ai discepoli potremo vincere la tendenza a sentirci "giusti" davanti a Dio e agli uomini. Se saremo umili, saremo veri. E se saremo veri dimoreremo in Gesù: Via, Verità e Vita.

Preghiera

Signore, tu ci doni la gioia di essere salvati; concedici di metterci alla tua scuola, per imparare da te che sei mite e umile di cuore. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 17 marzo 2025

Fermati 1 minuto. Pronti a ricevere una misura traboccante

Lettura

Luca 6,36-38

36 Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. 37 Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; 38 date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio».

Commento

Gesù non ci vuole servi ma figli, in cui è restaurata l'immagine e somiglianza divina, per opera della sua grazia santificante. Ci esorta dunque a imitare il Padre nella sua più alta perfezione: la misericordia. Essere misericordiosi come il Padre significa essere perfetti come lui (Mt 5,48). La carità è infatti il vincolo della perfezione (Col 3,14). 

Comandandoci di non giudicare, Gesù non condanna il vero discernimento, ma l'arroganza e l'ipocrisia di chi riconosce gli errori altrui dimenticando la propria fallibilità e debolezza. "Amore e verità si incontreranno" recita il Salmo 85: la capacità di rimettere i debiti altrui nasce infatti dal riconoscere la verità della nostra condizione, il nostro essere per primi debitori verso Dio.

La capacità di perdonare muove dalla consapevolezza che solo Dio può comprendere la vera intenzione che c'è dietro le azioni dell'uomo: "L'uomo guarda alle apparenze, ma Dio guarda al cuore" (1 Sam 16,7). Il giudizio ultimo sull'uomo è una prerogativa di Dio, che non dobbiamo usurpare. Siamo chiamati piuttosto a imitare la sua clemenza, che non perde fiducia nella capacità del peccatore di giungere alla conversione. Se noi siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso (2Tm 2,13).

Gesù ribalta la "legge del taglione" ("occhio per occhio e dente per dente"; Es 21,24), istruendo i suoi disepoli con due negazioni e due affermazioni: "non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato" (vv. 37-38).

Quando ci rifiutiamo di perdonare il prossimo, il nostro cuore si chiude alla misericordia di Dio; quando riconosciamo il nostro peccato il cuore si apre alla grazia e si fa ancor più capace di perdono, in un flusso crescente di amore.

Per essere capaci di perdonare, dobbiamo riconoscere noi stessi come uomini perdonati da Dio. Teniamoci pronti a ricevere con abbondanza la sua misericordia - una "buona misura, pigiata, scossa e traboccante" (v. 38) - e a condividerla con chi è bisognoso di perdono, per ottenerne ancora in abbondanza. Diventiamo seminatori di pace e di compassione.

Preghiera

La misericordia che ogni giorno riversi su di noi, Signore, non vada perduta ma ci trovi pronti a seminare frutti di pace. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Patrizio, evangelizzatore dell'Irlanda

La chiesa cattolica d'occidente, la chiesa anglicana, la chiesa luterana e la chiesa veterocattolica ricordano oggi Patrizio, evangelizzatore e primo vescovo dell'Irlanda.
Nato nella Cornovaglia britannica attorno al 390, non ancora sedicenne Patrizio era stato catturato da pirati irlandesi che lo avevano rivenduto come schiavo in Irlanda. Nei sei anni di cattività, in cui Patrizio fece il pastore, la sua solitudine fu colmata dalla presenza sempre più consolante del Signore nel suo cuore. Fuggito dall'Irlanda, Patrizio si preparò all'ordinazione presbiterale, e forse soggiornò per un certo tempo in qualche monastero della Gallia. 

San Patrizio (ca 390-461)

Non si sa con certezza se abbia mai emesso i voti monastici, anche se è chiaro il grande amore che aveva per i monaci e per la loro intimità con il Signore. Patrizio si nutrì con assiduità della Scrittura, nella quale infine troverà la sua vocazione di annunciatore del vangelo sino agli estremi confini della terra. Nel 432 Patrizio venne inviato come vescovo in Irlanda. Da quel momento, per trent'anni egli percorse in lungo e in largo l'isola diffondendo il vangelo, costituendo comunità e dando un'organizzazione agli sparuti gruppi di cristiani che già esistevano in quella terra. Spesso disprezzato dagli ibernici perché straniero, contrastato in seno alla chiesa per la sua cultura approssimativa, Patrizio riuscì tuttavia, grazie alla sua grande umanità e alla sua passione per il vangelo, a portare a termine con gioia la missione ricevuta, come testimonia la sua Confessione, documento autobiografico nel quale egli narra con toni altamente evangelici la propria esperienza missionaria. Egli morì, forse nel 461, non si sa bene dove. Sulla sua vita fiorì un'enorme messe di leggende, che lo resero uno dei santi più amati di tutto il medioevo.

Tracce di lettura

Non devo nascondere il dono che Dio mi elargì nella terra della mia prigionia, perché allora tenacemente lo cercai e là lo trovai e mi salvò da tutte le mie colpe in virtù dell'inabitazione del suo Spirito, che ha operato fino ad oggi in me. Perciò rendo incessantemente grazie al mio Dio, che mi ha conservato fedele nel giorno della prova, così che oggi con fiducia posso osare offrirgli in sacrificio come offerta viva la mia vita per Cristo Signore, che mi ha salvato da tutte le mie angosce, e così posso dire: «Chi sono io, Signore, quale vocazione è la mia, se tu hai operato al mio fianco con tutta la forza della tua divinità: ecco, siamo testimoni, il vangelo è stato predicato fino agli estremi confini della terra».
(Patrizio, Confessione 33-34)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Preghiera

Cristo con me, Cristo davanti a me, Cristo dietro di me.
Cristo alla mia destra, Cristo alla mia sinistra,
Cristo quando mi corico, Cristo quando mi siedo,
Cristo quando mi alzo,
Cristo in ogni cuore che mi pensa,
Cristo in ogni bocca che mi parla,
Cristo in ogni occhio che mi guarda,
Cristo in ogni orecchio che mi ascolta.

(Lorica attribuita a Patrizio)

domenica 16 marzo 2025

Quale demone ci tormenta?

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA SECONDA DOMENICA DI QUARESIMA

Colletta

Dio Onnipotente, che sai che non possiamo salvarci da soli, custodisci i nostri corpi e le nostre anime; affinché possiamo essere al riparo da ogni avversità esteriore, e da ogni pensiero malvagio che possa assalirci interiormente. Per Cristo nostro Signore. Amen

Letture

1 Ts 4,1-8; Mt 15,21-28

Commento

Le letture della prima domenica di Quaresima hanno proposto la narrazione del ritiro di Gesù nel deserto all’inizio del suo ministero. Nel Vangelo di oggi assistiamo a un altro “ritiro”, questa volta conseguenza dell'incomprensione e del rifiuto: sebbene in molti ancora continuino a seguire Gesù, la maggior parte lo accoglie come profeta, come maestro e come guaritore, ma non è in grado di riconoscerlo come il Messia che è venuto a riscattare gli uomini dal peccato. 

Capita ancora oggi di vedere Gesù riconosciuto come modello etico, esempio di solidarietà e di saggezza, ma respinto quando viene proposto come colui che redime l'uomo dal peccato, e che lo libera dai demoni antichi e da quelli del mondo “civilizzato”.

Il regno di Dio è vicino, e il tempo quaresimale ci invita a preparargli la strada, facendo frutti di conversione. Ma la luce è venuta nel mondo e “le tenebre non l’hanno compresa” (Gv 1,5). Venne in casa sua ma “i suoi non lo hanno ricevuto” (Gv 1,11). Gesù, affaticato dal suo ministero esce dai confini di Israele e si ritira in terra straniera, “verso le parti di Tiro e Sidone”. Questa regione vicino al mare era una sorta di luogo di villeggiatura dove trovare un po’ di pace, ma abitato da genti pagane, dedite a culti idolatri, che nel passato prevedevano addirittura il sacrificio di bambini. Motivo per cui le sue genti erano fortemente disprezzate da Israele. 

In questo contesto si inserisce la preghiera della donna cananea per la guarigione della propria figlia e il suo atto di fede, speculare all’incredulità manifestata dagli abitanti della Giudea. Anche oggi il vangelo trova spesso freddezza, disinteresse, rifiuto, in quelle famiglie e in quelle terre che hanno alle spalle generazioni, millenni di storia cristiana, ma germoglia e produce frutti in alcune periferie geografiche ed esistenziali, in maniera del tutto inattesa. 

Il Signore non teme di addentrarsi al di fuori dei confini di Israele, e così anche noi non dobbiamo temere di oltrepassare i confini di territori e contesti che si considerano cristiani per abitudine, ma che spesso non comprendono il senso profondo della sua missione. Il regno messianico è in continuo movimento e quando le tenebre lo rigettano, Dio opera altrove. Gesù ammonisce nel Vangelo di Luca: “Fate dunque frutti degni del ravvedimento e non cominciate a dire dentro di voi: "Noi abbiamo Abrahamo per padre", perché io vi dico che Dio può suscitare dei figli ad Abrahamo anche da queste pietre.” (Luca 3,8).

È sorprendente il modo in cui la donna cananea si rivolge a Gesù; impiega, infatti, il titolo dal chiaro significato messianico “Figlio di Davide”, che forse aveva sentito pronunciare da qualche israelita, perché non apparteneva al suo ambiente culturale. Ancora più sorprendente è la reazione di Gesù: inizialmente si mostra distaccato, poi spiega che il suo mandato prioritario è di salvare “le pecore perdute della casa di Israele”, contestando alla donna l’appartenenza a un popolo pagano e, dunque, idolatra. 

Gesù utilizza la metafora dei “cagnolini”, ovvero dei cani “domestici” ma si lascia convincere dall’insistenza della donna, dalla sua fede (la prostrazione sembra un atto di riconoscimento della natura divina di Cristo) e dalla sua umiltà, nel momento in cui chiede di potersi cibare di ciò che gli altri hanno rifiutato.

E noi di quali idoli siamo schiavi? Quali sono i demoni che ci tormentano? La rabbia? L’avidità? La paura? Il clima penitenziale della Quaresima ci spinge a interrogarci e a ricercare il nostro affrancamento in Gesù, colui nel nome del quale ogni ginocchio si piega nei cieli, sulla terra e sotto terra, per proclamarlo come unico Signore, a gloria di Dio Padre (Fil 2,10-11).

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 13 marzo 2025

Fermati 1 minuto. "Chiedete"... "cercate"... "bussate"

Lettura

Matteo 7,7-12

7 Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; 8 perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. 9 Chi tra di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra? 10 O se gli chiede un pesce, darà una serpe? 11 Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!
12 Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti.

Commento

"Chiedete"... "cercate"... "bussate". Le parole di Gesù ci fanno capire che dobbiamo pregare con insistenza per ottenere ciò di cui abbiamo bisogno, e prima di tutto la grazia di obbedire ai suoi precetti, che spesso contrastano il nostro amor proprio. 

Chiediamo, come un viaggiatore che ha smarrito il cammino; cerchiamo, come il mercante che cerca la perla preziosa (Mt 13,45-46); bussiamo, come l'amico importuno (Lc 11,5-8). Non limitarsi a chiedere, ma cercare, significa utilizzare tutti i mezzi che sono a nostra disposizione per ottenere - per noi e per gli altri - ciò che chiediamo; agire come se tutto dipendesse da noi, pregare come se tutto dipendesse da Dio. 

Se chiederemo ciò che è conforme al nostro bene il Signore ci esaudirà gratuitamente, proprio come un Padre, che non vende, né affitta al figlio, ma dona con amore. Il Padre sa di cosa abbiamo bisogno (Mt 6,8) e se anziché il pane gli chiediamo un frutto velenoso giustamente ce lo negherà. 

Dio è sollecito con noi più di quanto lo siano stati i nostri padri e le nostre madri, più di quanto noi lo siamo con i nostri figli. Se i genitori carnali possono commettere degli errori o mancare di qualcosa, Dio è infinitamente sapiente, infinitamente buono, infinitamente ricco di ogni grazia. Possiamo dunque correre alla sua presenza per ogni necessità. 

Gesù ci esorta a comportarci con il nostro prossimo con lo stesso spirito di sollecitudine. La "regola d'oro" si trova, sia nella forma negativa ("Non fare agli altri...") che in quella positiva ("Tutto quanto volete che facciano a voi..."), anche in fonti ebraiche e pagane precedenti il Vangelo (buddhiste e induiste, per esempio). Privilegiando la formula positiva Gesù sottolinea l'importanza della carità in azione, come somma di tutta la Legge e i profeti, e come adempimento del precetto evangelico "ama il tuo prossimo come te stesso" (Mt 22,39).

Preghiera

Il tuo Spirito, Signore, interceda nei nostri cuori, affinché possiamo chiedere ciò che è bene per noi e per tutti i tuoi figli; e  la tua grazia ci renda solleciti verso chi è nel bisogno. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 12 marzo 2025

Simeone e la teologia come esperienza di Dio

Il 12 marzo del 1022, nel monastero di Santa Marina, sulla riva asiatica del Bosforo, conclude i suoi giorni terreni Simeone il Nuovo Teologo, monaco e spirituale tra i più amati nell'oriente cristiano. Solo l'evangelista Giovanni e Gregorio di Nazianzo sono stati soprannominati, prima di lui, «teologi». Nella tradizione bizantina tale titolo indica coloro che hanno ricevuto la conoscenza di Dio attraverso un'esperienza personale e che sono stati capaci di trasmetterla alla chiesa.
Simeone nacque attorno al 949 in Asia Minore, e fu inviato ancora giovane a Costantinopoli per perfezionare gli studi. Poco attratto dalla possibile carriera che gli si prospettava presso la corte bizantina, Simeone conobbe un tempo di dubbi e di ricerche. La sua vita cominciò ad assumere un certo ordine quando egli incontrò il monaco Simeone del celebre monastero costantinopolitano di Studio. Sotto la guida dell'anziano studita, Simeone imparò l'arte della preghiera senza distrazioni. Dalla sua intensa esperienza di preghiera, egli attinse la certezza che l'amore di Dio è effuso nel cuore dei credenti mediante il dono dello Spirito. La dottrina di Simeone insiste sull'esperienza sensibile della grazia, la possibilità della contemplazione divina già in questa vita, sul magistero ecclesiastico come carisma e sui carismi straordinarî come criterio di santità.
Divenuto monaco e poi igumeno del monastero di San Mama, egli fu soprattutto un sapiente trasmettitore di questa semplice certezza che gli derivava dalla propria personalissima esperienza di incontro con Dio. Poco compreso negli ambienti della capitale, Simeone fu costretto all'esilio sulla riva asiatica del Bosforo. Qui egli raccolse vecchi e nuovi discepoli nel nuovo monastero di Santa Marina, e si dedicò fino alla morte alla loro guida, attraverso scritti spirituali e liturgici di grandissimo valore.

Tracce di lettura

Dona il Paraclito, o Salvatore; mandalo, come hai promesso,
mandalo anche ora
a chi ti cerca e attende il tuo Spirito.
Non tardare, o compassionevole, non trascurare,
o misericordioso, non dimenticare chi ti cerca
con l'anima assetata.
Non privare me, indegno, di questa vita
e non disprezzarmi, o Dio, non abbandonarmi.
Le tue viscere di pietà io ti presento,
ti metto davanti la tua misericordia e ti offro, o mediatore,
il tuo amore per gli uomini.
Non ho faticato, non ho compiuto opere di giustizia,
tu però non mi hai trascurato: mi hai cercato e mi hai trovato.
(Simeone il Nuovo Teologo, dall'Inno 41)

San Simeone il Nuovo Teologo (949-1022)

Fermati 1 minuto. Segni

Lettura

Luca 11,29-32

29 Mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato nessun segno fuorché il segno di Giona. 30 Poiché come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell'uomo lo sarà per questa generazione. 31 La regina del sud sorgerà nel giudizio insieme con gli uomini di questa generazione e li condannerà; perché essa venne dalle estremità della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, ben più di Salomone c'è qui. 32 Quelli di Nìnive sorgeranno nel giudizio insieme con questa generazione e la condanneranno; perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, ben più di Giona c'è qui.

Commento

La folla pretende di vedere continuamente dei "segni" da parte di Gesù: prodigi, guarigioni, esorcismi. Ma la sua risposta spazza via ogni falsa attesa, richiamando la gente che lo segue al senso profondo di ciò che sente e ascolta. Non sono, in realtà, dei "segni" che essa deve aspettare, perché il "segno" vero è lui stesso: la sua persona, la sua parola e la sua testimonianza. Questo "segno" va accolto attraverso un impegno di conversione, l'unico capace di far riconoscere la grandezza di Gesù e del suo insegnamento, che si innalza ben sopra quella di Salomone. 

Il "segno di Giona" è interpretato da Gesù in relazione alla sua morte e risurrezione. Come Giona fu gettato dalla barca per salvare la vita dell'equipaggio minacciato dalla tempesta così Gesù è stato gettato fuori da questo mondo nella sua passione per salvarci dalla tempesta del peccato; e come Giona riemerse dal ventre del pesce dopo tre giorni e tre notti, così Gesù risorge il terzo giorno, liberandoci dal potere della morte. 

Gli abitanti di Ninive risposero alla predicazione di Giona, che minacciava la distruzione della città da parte di Dio, cospargendosi di cenere e facendo quaranta giorni di penitenza. Anche noi siamo chiamati al ravvedimento, dalla persona di Gesù, che è molto più grande di Giona. Ma mentre quest'ultimo predicava l'imminente castigo di Dio, Gesù annuncia la buona notizia della salvezza, che ci spinge a conformarci alla volontà di Dio non per timore, ma in risposta al suo gratuito atto di amore. 

Il sorgere (v. 31) della regina del sud, insieme agli abitanti di Ninive, nel giorno del giudizio, indica la loro risurrezione, ma anche la loro accusa contro la generazione incredula. La sapienza di cui Dio aveva rivestito Salomone diventa fulgida manifestazione della misericordia divina nel volto di Gesù, disprezzato, flagellato, crocifisso per essersi fatto carico dei nostri peccati: "Ecco l'uomo!" (Gv 19,5); ecco Dio che viene a visitarci come amore disarmato e come tale ci chiede di accoglierlo.

Preghiera

Signore Gesù Cristo, che ti sei fatto peccato in nostro favore, perché diventassimo giusti davanti a Dio, concedici di conformarci sempre più a te, segno vivente dell'amore del Padre. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 11 marzo 2025

Sofronio di Gerusalemme. Monaco, teologo, patriarca

Nativo di Damasco, Sofronio aveva ricevuto una solida istruzione che gli aveva permesso di assimilare in profondità i classici antichi, soprattutto le tragedie greche, nonché la ormai ampia letteratura cristiana dei primi secoli. Fu un uomo dotato di un'ampia gamma d'interessi e versato in molte professioni e discipline. Interessato allo studio delle Scritture, si recò nel monastero palestinese di San Teodosio, dove strinse una duratura amicizia con Giovanni Mosco, del quale divenne figlio spirituale e che gli dedicherà più tardi il suo Prato spirituale. Assetato di ulteriori incontri e conoscenze, Sofronio si recò assieme a Giovanni in Egitto, dove conobbe i grandi dotti e gli spirituali dell'epoca, divenendo poco alla volta un fine teologo.
La sua vita assunse una direzione decisiva con il suo ritorno in Palestina: fattosi monaco, dopo qualche anno, nel 634, fu eletto patriarca di Gerusalemme. In questa veste, egli contribuì in modo sapiente al dibattito teologico, senza cedere ai poco convincenti compromessi che alcuni avanzavano per riavvicinare sostenitori e oppositori del concilio di Calcedonia. Ma, soprattutto, Sofronio difese i cristiani palestinesi dall'avanzata araba, grazie a un sapiente connubio di mitezza, franchezza e diplomazia.
Accanto ai suoi scritti dogmatici, egli ci ha lasciato importanti opere agiografiche e liturgiche. Si deve probabilmente a lui la prima versione degli Improperi del Venerdì santo impiegati poi per secoli nelle liturgie occidentali.

Tracce di lettura

O meraviglia! Perché esito a dire il mistero?
Un tempo la croce precedeva la resurrezione; ora, invece, se l'è presa come guida e precorritrice.
O meraviglioso scambio!
Coloro che hanno celebrato prima la lietissima solennità della resurrezione, vedendo seguire ad essa la beata esaltazione della croce, hanno la sua potentissima compagnia che cammina con loro durante i viaggi di terra e che naviga con loro sul mare, che presiede all'universale salvezza, difende da ogni avversità e con i fatti mostra che la sua forza onnipotente ha abbracciato tutti i confini della terra, riempie tutto e giunge senza fatica dappertutto, salvando i fedeli dalle difficoltà, facendo risplendere la salvezza per i credenti e rendendo inefficaci i piani di tutti i nemici.
(Sofronio di Gerusalemme, Omelie 3,2)

- Dal Martirologio ecumenico ella Comunità monastica di Bose

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Sofronio di Gerusalemme (560-638)

Fermati 1 minuto. Gesù maestro di preghiera. Commento al Padre nostro

Lettura

Matteo 6,7-15

7 Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. 8 Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. 9 Voi dunque pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome;
10 venga il tuo regno;
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
11 Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
12 e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
13 e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dal male.
14 Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; 15 ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.

Commento

Prima di offrirci un modello perfetto di preghiera con il "Padre nostro" Gesù ci esorta a essere parsimoniosi nelle parole da utilizzare. Il rapporto con Dio deve essere filiale, e quindi improntato a semplicità di cuore. Lo sproloquiare (gr. battalogeo, chicchierare) può essere riferito all'abitudine dei pagani di recitare una lunga lista di nomi divini. Nella nostra preghiera dobbiamo stare attenti a comprendere quel che diciamo e a dire solo ciò che scaturisce dal profondo del nostro cuore.

Eviteremo dunque la ripetizione di formule senza prestare attenzione, ma ciò non costituisce una proibizione contro la preghiera insistente, alla quale ci esorta, ad esempio, la parabola dell'amico importuno (Lc 11,5-8). Gesù stesso prega ripetendo le stesse parole nell'orto degli ulivi: "lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole" (Mt 26,44). Non è dunque condannata la ripetizione di parole ma la vana ripetizione. Neanche è condannata la preghiera che si protrae a lungo. Gesù prega tutta la notte (Lc 6,2) ed esorta i suoi discepoli a pregare sempre, senza stancarsi (Lc 18,1).

La preghiera del Padre nostro comprende tutte le nostre reali necessità e tutto ciò che è legittimo chiedere. Era entrata sicuramente a far parte della liturgia già al tempo in cui Matteo scrive, ma lungi dal rappresentare una semplice formula è un modello di brevità, semplicità e completezza, che dovrebbe ispirare ogni altra preghiera. Delle sei petizioni tre sono rivolte a Dio e tre riguardano le necessità dell'uomo. Gesù ci esorta infatti a cercare prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, perché tutte le altre cose ci saranno date in aggiunta (Mt 6,33). 
Le richieste per le necessità umane sono tutte rivolte al plurale, a indicare che dobbiamo pregare gli uni per gli altri, in un vincolo di comunione.

Le prime parole della preghiera rivelano la natura intima di Dio: Egli è padre; e noi possiamo chiamarlo Padre perché in Cristo abbiamo ricevuto lo spirito di adozione a figli. Lo Spirito stesso intercede nella nostra preghiera, con gemiti inesprimibili (Rm 8,26), gridando "Abbà, Padre" (Gal 4,6).

Il primo atto della preghiera è un atto di adorazione: "sia santificato il tuo nome" (v. 9). Tutte le altre richieste devono essere subordinate a questa e devono avere come unico scopo questa. Santificare (gr. hagiazo) il nome di Dio può essere inteso come un atto di ossequio e obbedienza; ma è anche una invocazione affinché Dio santifichi il suo stesso nome, manifestando la sua potenza e la sua gloria con l'avvento del suo regno. Nella supplica che segue (v. 10) si chiede infatti che il regno, predicato da Cristo e dai suoi apostoli, giunga a compimento sulla terra, così come è realizzato perfettamente in cielo.

"Sia fatta la tua volontà" esprime la necessità che ogni richiesta sia sottomessa ai piani e alla gloria di Dio. Con questa invocazione chiediamo che in questo mondo, deturpato dal maligno, prevalga la volontà di Dio, che lo rende simile al Cielo.

Gesù ci invita a chiedere al Padre che ci doni il pane quotidiano (v. 11). Non che ce lo venda, né che ce lo presti, ma che ce lo dia per la sua misericordia. La nostra sopravvivenza, materiale e spirituale, dipende dalla grazia di Dio.
L'aggettivo greco epiousios viene comunemente tradotto con "quotidiano", a indicare il nutrimento materiale essenziale per il nostro sostentamento. Ma il termine potrebbe anche essere reso con "futuro", assumendo una connotazione escatologica e venendo a significare il pane del giorno che verrà, il pane del regno, tanto desiderato e ora urgentemente atteso ("dacci oggi"). Con queste parole chiediamo dunque anche il pane che nutre il nostro spirito, il pane sacramentale e la grazia di Dio, con cui riceviamo Cristo, il pane vivo disceso dal cielo (Gv 6,51).

La richiesta di rimettere, letteralmente "lasciar andare", i debiti (v. 12), ovvero i peccati contratti verso Dio, è correlata al perdono nel giudizio finale. Chiediamo di essere perdonati come noi perdoniamo ai nostri debitori, non comportandoci come il servo al quale fu condonato molto dal suo padrone ma che non ebbe pietà del suo conservo (Mt 18,21-35).

Gesù ci esorta a chiedere di non essere introdotti nella tentazione (v. 13); questo il senso traslato della parola greca eisphero, che significa "portar dentro" Tenendo conto quanto afferma Giacomo nella sua lettera, dove è detto che "Dio non tenta nessuno al male" (Gc 1,13) si arriva alla conclusione che non è Dio l'agente attivo della tentazione, sebbene l'esempio di Giobbe dimostra che egli può mettere l'uomo alla prova esponendolo all'azione di Satana. Ciò che si chiede al Padre è di essere preservati dalle tentazioni, che qui possono essere riferite sia ai peccati che alle più generali prove della fede. Nel contesto escatologico dominante di questo passo il senso potrebbe essere anche quello di chiedere a Dio di risparmiare ai discepoli le prove e le persecuzioni che precedono la fine dei tempi. 

Il termine greco hò poneròs indica il male, da cui si chiede di essere liberati; è chiaramente maschile e sta a indicare il Maligno, a causa del quale il peccato e la morte sono entrati nel mondo.

Esortandoci a perdonare per essere perdonati (vv. 14-15), Gesù non condiziona la nostra giustificazione alle nostre opere. La grazia che ci è stata accordata dal sangue di Cristo e che trova espressione nel segno sacramentale del Battesimo ci ha purificati completamente dal peccato, ma qui siamo invitati a chiedere a Dio e concedere al nostro prossimo una remissione dei peccati quotidiani, come un lavacro parziale: "Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo" (Gv 13,10). Con le parole a commento della sua preghiera (v. 14) Gesù attesta che egli è venuto nel mondo non solo per riconciliarci con il Padre ma anche per riconciliarci l'un l'altro.

Preghiera

Signore Gesù Cristo, insegnaci a pregare; perché possiamo crescere in santità e sapienza in un continuo dialogo con il nostro Padre che è nei Cieli. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona