La chiesa etiopica ricorda oggi il monaco Takla Hāymānot, fondatore del monastero di Dabra Libānos. Feśśeḥa Ṣeyon - questo il suo nome di battesimo - nacque nella prima metà del XIII secolo a Zorare, regione etiopica da poco evangelizzata. Raggiunta la maggiore età, egli si sposò, ma rimase molto presto vedovo. Iniziò allora un ministero itinerante di predicatore dell'Evangelo.
La vera svolta nella sua vita avvenne però quando egli entrò nel monastero di Dabra Ḥayq, nel nord del paese, il cui abate era un altro celebre monaco etiopico: Iyāsus Mo'a. Takla Hāymānot fu dunque discepolo di Iyāsus Mo'a e dell'abate Yoḥanni, prima di divenire a sua volta padre spirituale di un gran numero di monaci. Tornato nella regione natia, egli fondò il monastero di Dabra Asbo, che intorno alla metà del XV secolo assumerà il nome odierno di Dabra Libanos, uno dei più importanti centri spirituali della storia etiopica. L'irradiamento monastico di Dabra Asbo fu enorme, anche perché ebbe tra i suoi primi monaci molti uomini imparentati con la nascente dinastia dei salomonidi, e numerosi furono i monasteri che da esso ebbero origine. Anche per questo Takla Hāymānot, che in etiopico significa «pianta della fede», è considerato il capostipite della più grande famiglia monastica dell'Etiopia. Egli fu soprattutto un uomo di grande preghiera. Nell'iconografia tardiva, è rappresentato spesso intento a pregare in piedi su di una gamba sola, poiché l'altra, secondo la tradizione, gli era caduta dopo essersi completamente atrofizzata. Gli ultimi anni della sua vita egli li trascorse in volontaria e pressoché totale solitudine. Morì nel 1313 il 24 naḥasē, corrispondente al 30 agosto del nostro calendario.
Tracce di lettura
Il nostro santo padre Takla Hāymānot si mise a riflettere e disse: «Ahimè, come sono miserabile! Che cosa risponderò il giorno in cui il giusto Giudice verrà? Non ha forse detto: "Nessuno entrerà nel regno dei cieli se non farà la giustizia del Padre mio che è nei cieli"? E allora, povero me, dove fuggirò e dove troverò rifugio davanti alla sua collera? Povero me, non mi sono ornato di una qualsiasi opera buona per le nozze celesti. Sono come il sale con il quale si salano gli alimenti: quando perde il suo sapore, lo si getta per strada e gli uomini lo calpestano. Sono come una lampada spenta, che nessuno riesce a ravvivare e che rimane nell'oscurità. Chi può guarire il medico che non sa guarire se stesso? Così è la mia anima in me».
Allora egli si costruì nel deserto una piccola cella appena sufficiente per accoglierlo in piedi, entrò in essa e cominciò una lotta ascetica assai rude e disse: «Non salirò sul letto del mio riposo, non concederò il sonno ai miei occhi, né l'assopimento alle mie palpebre, finché non trovi un luogo al Signore, una dimora al Potente di Giacobbe».
( Atti di Takla Hāymānot )
- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose