COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA SECONDA DOMENICA DI QUARESIMA
Colletta
Dio
Onnipotente, che sai che non possiamo salvarci da soli, custodisci i nostri
corpi e le nostre anime; affinché possiamo essere al riparo da ogni avversità
fisica, e da ogni pensiero malvagio che possa assalire e ferire la nostra
anima. Per Cristo nostro Signore. Amen
Letture:
1 Ts 4,1-8; Mt 15,21-28
Se nel Vangelo della prima domenica di Quaresima
abbiamo ascoltato la narrazione del ritiro di Gesù nel deserto all’inizio del
suo ministero, oggi Matteo ci narra di un altro “ritiro” compiuto da Cristo.
Siamo all’incirca a metà di questo vangelo, e vediamo che cominciano a crescere
le incomprensioni tra le folle e i contenuti della predicazione di Gesù.
Sebbene in molti ancora continuino a seguirlo, la maggior parte lo accoglie
come profeta, come maestro e come guaritore, ma non accetta di riconoscerlo
come il Messia che è venuto a riscattare gli uomini dal peccato. Capita ancora
oggi, molto spesso, di vedere Gesù riconosciuto come modello etico, esempio di
solidarietà e di saggezza. Ma quando viene proposto come il Figlio di Dio, il
Messia che ci redime dalla fragilità umana, colui che ci libera dai demoni
antichi e da quelli del mondo “civilizzato”, ecco che allora sale la
contestazione.
Molti sono coloro che voglio un Gesù a proprio
piacere, che vogliono prendere dal vangelo ciò che fa comodo e lasciare da
parte le verità scomode. Perché l’orgoglio umano non è capace di accettare la
sovranità di Dio, la sola che può porci al riparo dai pericoli dell’anima e del
corpo, mentre ci troviamo nella terra straniera, nella terra dell’esilio.
Infatti, se non ci poniamo al servizio di Dio, l’unica alternativa è la
schiavitù del demonio, con le sue seduzioni, con i suoi inganni, con i suoi
tormenti.
Non sappiamo in che modo il diavolo tormentasse la
figlia della donna cananea. Ma sappiamo che siamo stati creati per godere della
piena comunione con Dio e, come afferma Sant’Agostino, la nostra anima è
inquieta finché non riposa in lui.
I miracoli e gli esorcismi compiuti da Gesù e
narrati nei vangeli attestano la sua signoria sul “principe di questo mondo”,
che è stato spodestato da Cristo con il superamento delle tentazioni nel
deserto, nelle angosciose ore al Giardino degli ulivi e con la vittoria della
Croce. Il Regno di Dio è vicino, e questo tempo quaresimale ci invita a
preparargli la strada, facendo frutti di conversione. Ma la la luce è venuta
nel mondo e “le tenebre non l’hanno compresa” (Gv 1,5). Venne in casa sua ma “i
suoi non lo hanno ricevuto” (Gv 1,11). Gesù affaticato dal suo ministero e
dalle contestazioni alla sua predicazione, esce dai confini di Israele e si
ritira in terra straniera, “verso le parti di Tiro e Sidone”. Era, questa, una
località vicino al mare, una sorta di luogo di villeggiatura se vogliamo, dove
trovare un po’ di pace, ma abitato da genti pagane, dedite a culti idolatri,
che nel passato contemplavano addirittura il sacrificio di bambini al dio
Moloch e la prostituzione sacra. Per tale ragione queste genti erano fortemente
disprezzate da Israele.
Questo “ritiro” durante il suo ministero,
rappresentò una occasione propizia per la manifestazione del grande atto di
fede di una donna pagana; così ancora oggi il Vangelo trova spesso freddezza,
disinteresse, contestazione nelle nostre famiglie, nelle nostre terre, che
hanno alle spalle generazioni, secoli e millenni di storia cristiana, ma
germoglia e produce grandi frutti in territori geografici, sociali ed
esistenziali inaspettati.
Il Signore non teme di addentrarsi al di fuori dei
confini di Israele, come ancora oggi non teme di oltrepassare i confini di
territori e contesti che si considerano cristiani per abitudine, ma che non
comprendono il senso profondo della sua missione. Il suo Regno è in continuo
movimento e quando le tenebre lo rigettano, Dio opera altrove. Così Gesù ci
ammonisce nel Vangelo di Luca: “Fate dunque dei frutti degni del ravvedimento,
e non vi mettete a dire in voi stessi: Noi abbiamo Abramo per padre! Perché vi
dico che Iddio può da queste pietre far sorgere dei figliuoli ad Abramo” (Luca
3,8).
È dunque sorprendente il titolo impiegato dalla
donna cananea per rivolgere a Gesù a sua supplica: “Figlio di Davide”, un
chiaro titolo messianico, che forse aveva sentito pronunciare da qualche
israelita, perché non apparteneva al suo ambiente culturale. Ancora più
sorprendente è la reazione di Gesù, di fronte alla sua richiesta di guarire la
figlia “tormentata da un demone”. Inizialmente il Signore si mostra distaccato,
quasi non voglia ascoltare la sua preghiera. Poi spiega alla donna che il suo
mandato prioritario è di salvare “le pecore perdute della casa di Israele”,
contestando alla donna l’appartenenza a un popolo pagano e, dunque, idolatra.
Il Signore utilizza la metafora dei “cagnolini”,
ovvero dei cani “domestici” - mentre la maggior parte degli israeliti avrebbe
parlato più drasticamente di “cani selvatici” – ma si lascerà convincere
dall’insistenza della sua preghiera, una preghiera molesta, per gli apostoli,
che chiedono al loro Maestro di “mandare via” questa donna. E si lascerà
convincere dal suo atteggiamento di fede, espresso non soltanto con le parole,
ma con una prostrazione, atto rivolto solitamente alla divinità. Gesù si lascia
convincere a compiere il miracolo dall’atteggiamento umile di questa donna, che
non si offende per le parole che le sono state dette, ma riconosce la propria
idolatria e chiede di potersi cibare di ciò che gli altri hanno rifiutato. Se
la nostra preghiera rimane inascoltata allora, è perché dobbiamo pregare con
più insistenza: Bisogna pregare sempre senza stancarsi” (Lc 18,1). Se la nostra
preghiera rimane inascoltata è perché non siamo ancora riusciti a vincere del
tutto la nostra natura idolatra; come ricorda Meister Eckart, infatti, quando
chiediamo a Dio qualcosa che non sia Dio preghiamo male e chiediamo male:
quando mettiamo Dio a un posto che non sia il primo, quando adoperiamo ciò che
è buono e piacevole non per dare lode a Dio, ma con superficialità e per
opportunismo; quando sacrifichiamo i più deboli ai demoni del nostro egoismo,
delle guerre, delle ingiustizie, dell’indifferenza.
Rev. Luca Vona