Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

domenica 27 maggio 2018

Il vento soffia dove vuole

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA DOMENICA DELLA TRINITÀ

Colletta

Dio onnipotente ed eterno, che hai donato a noi, tuoi servi, la grazia di riconoscere, mediante la confessione della vera fede, la gloria dell’eterna Trinità e di adorare la sua unità nel potere della Maestà Divina; ti supplichiamo di custodirci in questa fede e di difenderci da ogni avversità; tu che vivi e regni, unico Dio, nei secoli dei secoli. Amen.

Letture

Ap 4,1-11; Gv 3,1-15

Commento

Nella conversazione notturna con l’amico Nicodemo Gesù ci lascia un insegnamento sul suo modo di intendere l’impegno religioso, lontano dal semplice senso di appartenenza o dalla fedeltà legalistica alla lettera dei testi sacri. Il vento soffia (Gv 3,8), ma occorre dispiegare le vele della fede per lasciarci guidare dallo Spirito.

La direzione dalla quale e verso la quale si muove lo Spirito non è prevedibile, è capace di sorprenderci sempre. Per questo occorre essere dei navigatori attenti alle sue sollecitazioni, in modo da sapere da quale direzione prendere il vento. La nostra traversata si compie sotto la spinta di una fonte di energia che non può essere accumulata e conservata. È dunque necessaria una nostra apertura allo Spirito qui ed ora, in ogni momento, che si manifesta nella meditazione assidua della Parola di Dio. La nostra docilità alla sua azione non può venire meno, se non vogliamo esporci alle correnti e andare alla deriva.

Nel lungo periodo liturgico che dalla domenica dopo Pentecoste fino all'Avvento viene chiamato, secondo una antica tradizione, "tempo della Trinità" viene riassunto il principio e al tempo stesso il fine ultimo della creazione, la ragione per cui siamo stati creati e ciò che costituirà la nostra vita quando avremo combattuto la buona battaglia e preservato la fede fino alla fine: la vita nella Trinità, la partecipazione al mistero di un Dio unico ma non solitario, un Dio in tre persone, che chiama l'uomo a partecipare a quest'intima relazione.

Ma occorre rinascere dall'alto, dall'acqua e dallo Spirito Santo. Occorre lasciarsi rigenerare da Dio, per vedere il mondo con occhi sempre nuovi, per ascoltare e gustare tutte le cose con la meraviglia di un bambino da poco venuto alla luce.

Tutto è straordinario per chi accoglie il dono dello Spirito. La vita del cristiano non ha mai nulla di ordinario nel senso peggiorativo del termine. La noia, la monotonia, il vuoto, sono sensazioni lontane dalla vita di chi possiede Cristo e, in lui, l'intera Trinità divina. Chi ha fede non ha bisogno di stordire i sensi con emozioni sempre nuove. La fede rende la vita quotidiana luogo di incontro con Dio, in cui diventiamo destinatari e al tempo stesso dispensatori delle sue benedizioni.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 20 maggio 2018

Se uno mi ama... noi verremo a lui

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA DOMENICA DI PENTECOSTE

Colletta

O Dio, che in questo tempo hai istruito i cuori dei tuoi fedeli, inviando loro la luce dello Spirito Santo; concedici, attraverso lo stesso Spirito di avere un retto giudizio in tutte le cose, e di rallegrarci sempre del suo conforto; per i meriti di Gesù Cristo, nostro Signore, che vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, unico Dio, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Letture

At 2,1-11; Gv 14,15-31

Nel racconto della Pentecoste riportato dagli Atti degli Apostoli vediamo che il luogo in cui viene donato lo Spirito Santo è l'assemblea dei credenti riunita in preghiera, primizia della Chiesa. Gesù lo aveva promesso: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20). 

La preghiera che ci apre al dono dello Spirito è dunque preghiera comunitaria; e la preghiera più importante compiuta nel nome di Gesù è l'azione liturgica. 

Gesù ci esorta a chiedere con coraggio il dono più grande: Dio stesso, la sua potenza - ("come vento impetuoso" (At 2,2) -, la sua sapienza - "vi insegnerà ogni cosa" (Gv 14,26) -, la sua eloquenza - "li udiamo parlare delle grandi cose di Dio nelle nostre lingue!" (At 2,11).

Il Padre avrebbe potuto effondere il suo Spirito su un solo credente, su un solo profeta, ma decide di dividerlo in diverse lingue di fuoco, conferendo a ciascun discepolo un carisma differente.
Nessuno, tra i credenti, può insuperbirsi, pensando di essere l'unico indispensabile: chi opera, infatti, è Dio, e ogni carisma conferito dallo Spirito, non è che un "ministero", un ufficio per il bene dell'intero corpo ecclesiale.

L'eloquenza conferita dallo Spirito non è la tendenza a parlarci addosso, ad essere sordi verso le culture che si esprimono in una lingua differente dalla nostra. Riconosciamo che è lo Spirito che opera nella Chiesa quando anche "quelli di fuori" comprendono la nostra predicazione su Cristo: "E tutti stupivano e si meravigliavano, e si dicevano l'un l'altro: 'Come mai li udiamo parlare nella nostra lingua natìa?'" (At 2,7-8). La Chiesa è realtà sacramentale aperta al mondo.

Se è vero che il dono dello Spirito Santo è fatto per il bene dell'intero corpo di Cristo è anche vero che si tratta di una epifania che investe la persona del credente, una esperienza intima e diretta del Dio trinitario; è Dio stesso che viene a inabitare la nostra anima: "Conoscerete che io sono nel Padre mio, e che voi siete in me, e io in voi" (Gv 14,20); "Se uno mi ama... noi verremo a lui" (Gv 14,23).

L'incontro con Cristo, nelle Scritture e nei sacramenti, ci trasforma, per grazia, a sua immagine, cosicché quando il Padre si china su di noi, non vede più noi ma il suo Figlio, e ci dona lo Spirito senza misura: "furono tutti ripieni dello Spirito Santo" (At 2,4).

Per ricevere tale dono Gesù ci esorta a osservare i suoi comandamenti: "Se mi amate, osservate i miei comandamenti" (Gv 14,15); "Chi ha i miei comandamenti e li osserva, egli è colui che mi ama; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio; e io lo amerò e mi manfesterò a lui" (Gv 14,21).
Non deve mai venir meno, dunque, al di là delle nostre miserie, il desiderio della santificazione, intesa come obbedienza al vangelo, per opera della grazia di Dio.

"Perciò vi dico: chiedete" (Lc 11,9), esorta Gesù. Non lasciamoci vincere dal torpore, dalla rassegnazione, dalla mediocrità. Osiamo chiedere il dono più grande: una nuova Pentecoste per noi, per la Chiesa e per l'intera umanità.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 7 maggio 2018

Siate facitori della parola

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUINTA DOMENICA DOPO PASQUA

comunemente chiamata Rogation sunday (Domenica delle petizioni)

Colletta

O Signore, dal quale proviene ogni cosa buona; concedi a noi, tuoi umili servi, di desiderare, mediante la tua santa ispirazione, ciò che è buono, e di perseguirlo mediante la tua guida misericordiosa. Per il nostro Signore Gesù Cristo. Amen.

Letture

Gc 1,22-27; Gv 16, 23-33

Commento

Nella Parola incarnata, che è Gesù Cristo, noi possiamo trovare la nostra vera natura, a immagine e somiglianza di Dio; ma l’apostolo Giacomo ci esorta a non limitarci a un compiacimento momentaneo: il nostro sguardo interiore deve restare fisso in essa, affinché lo Spirito ci trasformi, restaurando in noi la bellezza divina.

Il Signore non cerca semplicemente uditori della sua parola, ma persone che la mettano in pratica, "facitori della parola" (Gc 1,22): per il cristiano, l'essere, il fare, devono predominare sull'apparire.

In passato, in questo giorno di festa chiamato Rogation Sunday "Domenica delle petizioni", venivano presentate a Dio preghiere particolari per il raccolto della terra e per coloro che la lavoravano. Oggi continuiamo a riconoscere che attraverso la benedizione di Dio il nostro lavoro può portare frutti di carità in abbondanza.

La festività è occasione per domandare a Dio di insegnarci a svolgere il nostro lavoro con impegno e dedizione, quale contributo al bene della comunità umana; ma anche a coltivare con perseveranza i territori ancora aridi del nostro cuore, affinché possano produrre frutti di conversione.

Gesù esorta i suoi discepoli a chiedere, a chiedere nel suo nome, direttamente al Padre. E tutto ciò che chiederanno nel suo nome, il Padre lo concederà; la garanzia è data dal fatto che il Padre li ama perché loro hanno amato Gesù e hanno creduto che egli è venuto da Dio.

Chiedere nel nome di Gesù significa che le nostre richieste devono muoversi nel perimetro tracciato dal vangelo, dall'esempio stesso che Gesù ci ha dato con la sua vita. Nessun discepolo è più grande del maestro, così a volte non otteniamo ciò che chiediamo perché chiediamo la cosa sbagliata, qualcosa che ci allontana dalla vera sequela di Cristo.

Chiediamo dunque a Dio di insegnarci a "esaminare attentamente la legge perfetta" (Gc 1,25), che non è semplicemente un elenco di precetti, ma il Figlio di Dio che si è fatto uomo. E così, ascoltando attentamente, contemplando assiduamente, lo Spirito ci trasformi in lui, "di gloria in gloria". (2 Cor 3,18).

- Rev. Dr. Luca Vona