Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

sabato 28 aprile 2018

Ricevete con mansuetudine la parola che è stata piantata in voi

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUARTA DOMENICA DOPO PASQUA

Colletta

Dio Onnipotente, che solo puoi governare la volontà e le affezioni disordinate degli uomini peccatori; concedi al tuo popolo, di amare ciò che comandi e desiderare quanto hai promesso; affinché attraverso i molteplici rivolgimenti del mondo, i nostri cuori possano restare fissi laddove la vera gioia può essere trovata. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Gc 1,17-21; Gv 16,5-15

Commento

Il dono dello Spirito è il soggetto delle letture proposte dalla liturgia di oggi, che precede le festività dell'Ascensione e della Pentecoste.

Le parole di Gesù indicano che il suo sottrarsi a noi non è privo di frutti. Egli ci lascia, per un breve tempo, per fare ritorno al Padre, affinché possa donarci lo Spirito che ci guiderà alla verità tutta intera (Gv 16,13). Per questo l'apostolo Giacomo, nella sua lettera ci dice che "ogni buona donazione e ogni dono perfetto vengono dall'alto" (Gc 1,17).

La parola di Dio, che troviamo nelle Scritture, deve essere al centro della vita cristiana. Ma la parola di Dio non è lettera morta, la nostra non è la religione del libro. L'ascolto delle Scritture passa innanzitutto attraverso la liturgia, dove Gesù è presente in mezzo a noi e ci parla, non da un lontano passato ma con parole vive che si confrontano con la realtà di oggi. 

Quando ci parla Dio ci dà sempre del “tu”. Così la Parola di Dio trascende la vicenda del Gesù storico e si presenta come Logos eterno, ma non distaccato dalla nostra vicenda terrena; capace, anzi, di trascendere gli inevitabili limiti spaziali e temporali cui è stata soggettà la predicazione di Gesù.

L'immagine evocata dalla colletta della liturgia odierna - che chiede a Dio di tenerci saldi tra i rivolgimenti del mondo - sembra mutuata diretamente dal motto dell'ordine certosino: "Stat crux dum volvitur orbis" ("La croce resta salda mentre il mondo gira"). Non è improbabile, perché l'Arcivescovo Thomas Cranmer, che è l'autore diretto di questa preghiera, possedeva nella sua biblioteca una vita di San Bruno, fondatore dell'Ordine certosino, nonché un commento ai Salmi del certosino Ludolfo di Sassonia.

Anche Giacomo nella sua lettera ci ricorda che nel Padre "non vi è mutamento né ombra di rivolgimento" (Gc 1,17). È questo il dono dello Spirito: una parola capace di governare le nostre anime, che diversamente sarebbero come imbarcazioni prive di timone e in balìa della tempesta. Sono immagini che richiamano alla mente l'episodio evangelico in cui Gesù sgrida i venti e comanda le acque, riportando la bonaccia, dopo che i discepoli avevano temuto il naufragio.

Accostiamoci dunque con fede alla parola di Dio affinché lo Spirito ci conduca al porto sicuro della vita nella grazia.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 25 aprile 2018

La vostra tristezza si muterà in gioia

 COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA TERZA DOMENICA DOPO PASQUA


Colletta

Dio Onnipotente, che mostri a coloro che sono nell’errore la luce della tua verità, affinché possano tornare sulla via della giustizia; concedi a tutti coloro che sono ammessi alla sequela di Cristo, di evitare quelle cose contrarie alla loro professione, e di seguire tutte le cose a lui gradite. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

1 Pt 2,11-17; Gv 16,16-23

Commento

La fede nella risurrezione, che è al centro della vita di ogni cristiano, ci dona la certezza che la verità e la giustizia, in Cristo, hanno vinto il mondo. E questa fede, lungi dal rappresentare un sogno consolatorio, ci porta a diventare noi stessi, in Cristo, protagonisti della vittoria sulla menzogna, sull’ingiustizia, sulla morte e sul peccato. 

Dio, però, non ci tratta come pedine su uno scacchiere. Egli ci mostra la luce, ma non ci obbliga a riceverla. La natura umana è immersa nelle tenebre e il Signore visita e illumina le nostre tenebre. C’è una scintilla divina in ciascuno di noi; e siamo liberi di alimentarla e trasmetterla, di trasformarla in un focolare o in un incendio che divampa; così come possiamo stoltamente soffocarla, metterla sotto il moggio (Mt 5,14-15). Un giorno ci verrà chiesto conto del dono che abbiamo ricevuto e dell’uso che ne abbiamo fatto.

Il Risorto, nel suo discorso di commiato, parla di un breve momento in cui i suoi discepoli non lo vedranno più, e allora piangeranno e si lamenteranno, mentre il mondo si rallegrerà; ma poi lo ritroveranno e la loro tristezza si muterà in gioia.

Il vero cristiano sente di non appartenere completamente a questo mondo, ha nostalgia di Dio, cerca la comunione con lui. Le gioie del mondo per lui non sono abbastanza e con il salmista esclama “l’anima mia è assetata di Dio, del Dio vivente. Quando verrò e comparirò davanti a Dio?” (Sal 42,2). 

La nostra fede ci rende Dio presente, ma la Verità si fa strada in maniera sofferta tra le tenebre, come se dovesse venire alla luce tra i dolori del parto (Gv 16,21). Questo è stato vero per la vicenda terrena di Gesù, dalla sua predicazione, accolta con entusiasmo - ma anche oggetto di aspre contestazioni - alla condanna della croce, fino alla vittoria della risurrezione, che ha prevalso sulla morte e sul peccato.

Anche la storia della Chiesa, così come la nostra personale vicenda di fede, ripercorrono queste tappe obbligate: la gioiosa rivelazione del Verbo incarnato, di una presenza divina che abita la creazione e che ha posto nel cuore dell’uomo la sua dimora; il faticoso ritorno dell’uomo dal suo esilio alla comunione con il Creatore, e da qui il richiamo di Pietro a comportarci come pellegrini, astenendoci dai "desideri della carne".

Ma cosa sono i desideri della carne? Lungi dall'esprimere una visione sessuofobica, la parola "carne", (gr. sarx) rappresenta la componente mortale della nostra natura umana. L'astensione dai suoi desideri significa la capacità di non renderci schiavi delle cose finite, caduche, transitorie. Se ci ripieghiamo su di esse, ricercando lì la salvezza, ciò che troveremo sarà soltanto tenebra.

Se tratteremo le cose buone che sono nel mondo per quello che sono, come mezzi e non come il fine, potremo attraversarle indenni, guidati dalla luce divina e trasfigurando esse stesse in luce. Allora la nostra tristezza si muterà in gioia.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 9 aprile 2018

Il vostro cuore non sia turbato

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA PRIMA DOMENICA DOPO PASQUA

Colletta

Padre Onnipotente, che hai donato il tuo unico Figlio affinché morisse per i nostri peccati e risorgesse per la nostra giustificazione; concedici di essere liberi dal lievito della malizia e del peccato, per servirti sempre in verità e con cuore puro. Per i meriti del tuo stesso Figlio Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

1 Gv 5,4-12; Gv 20,19-23

Commento

Il mondo è nei vangeli quella forza che si oppone a Cristo e alla sua azione di salvezza. È una forza che risiede non solo fuori di noi, ma anche dentro di noi. È un ostacolo all'avvento del Regno di giustizia e di pace. La paura del mondo, la paura delle forze ostili che hanno messo a morte l'autore della vita è ben rappresentata dalle porte serrate, dietro le quali i discepoli si sono trincerati dopo il terribile epilogo della vicenda terrena di Gesù.

Ma il Risorto, che "si presentò là in mezzo" (Gv 20,19), è capace di entrare nei nostri cuori anche a porte chiuse, per donarci la sua pace; non come la dà il mondo, ma come dono dello Spirito, quella pace che è Dio stesso. Gesù ci invita a diventare noi stessi portatori di pace, innanzitutto attraverso il perdono: "a chi rimetterete i peccati saranno perdonati e a chi li riterrete saranno ritenuti" (Gv 20,23).

Dio è pace. Per questo Gesù ci esorta: "il vostro cuore non sia turbato e non si spaventi" (Gv 14,27). Tutto ciò che porta turbamento, in noi e fuori di noi, non è da Dio, anche se dovesse ammantarsi delle vestigia della pietà religiosa.

Il mondo ci fa versare in un continuo stato di agitazione con impegni, scadenze, sollecitazioni di ogni genere. Il più delle volte si tratta di cose distanti dalle necessità del Regno di Dio. Ma noi dobbiamo essere capaci di prenderne consapevolezza e di spostare il centro della nostra attenzione sulla quiete che Dio pone nelle profondità del nostro cuore.

Per contro, il mondo non deve turbarci al punto da voltargli le spalle chiudendo dietro di noi la porta della nostra stanza. Ad esso siamo stati inviati, per annunciare la buona notizia di Gesù Cristo (Gv 17,18). Non può essere considerato evangelico un atteggiamento di semplice “disprezzo del mondo”.

Il cristiano non appartiene al mondo ma è mandato nel mondo. Avere il Figlio, possedere Gesù, farlo nostro nell'ascolto della sua Parola e nella sequela del suo esempio, significa possedere la vita, vivere in pienezza, gustare il senso profondo della nostra esistenza. E noi siamo chiamati dal Risorto a condividere questa pienezza di vita, saldi nella nostra fede. Perchè "questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede" (1 Gv 5,4).

- Rev. Dr. Luca Vona