Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

venerdì 20 giugno 2025

Nicola Cabasilas e la vita in Cristo

Le chiese ortodosse ricordano oggi Nicola Cabasilas, teologo laico autore di alcuni fra i più importanti trattati spirituali del cristianesimo bizantino.
Nicola era nato a Tessalonica attorno al 1322, in una importante famiglia della borghesia tessalonicese. Educato alla preghiera del cuore presso un discepolo di Gregorio Palamas, egli ricevette un'eccellente formazione giuridica e letteraria nella scuola di filosofia di Costantinopoli, tanto da essere stimato uno dei massimi umanisti bizantini.
Trovatosi a vivere in un periodo di gravi tensioni politiche ed ecclesiali, Nicola ebbe spesso una parte importante nei tentativi di ricomposizione delle beghe di corte e poi delle controversie sorte attorno agli insegnamenti degli esicasti athoniti.
Autore di importanti trattati sulla giustizia sociale e contro l'usura, con l'elezione di Callisto I a patriarca di Costantinopoli, che sembrò favorire tempi migliori nel mondo bizantino, Cabasilas decise di ritirarsi dall'impegno pubblico, e mise al servizio dei suoi contemporanei la propria profonda maturità umana e spirituale. Nella quiete e nel silenzio, egli scrisse L'interpretazione della santa liturgia e La vita in Cristo, veri e propri manuali di spiritualità accessibili al cristiano comune, chiamato a santificarsi nella vita di ogni giorno grazie ai sacramenti e alla preghiera, mediante i quali, secondo Cabasilas, ogni credente può accogliere Cristo nel proprio cuore.
Nicola si spense tra il 1391 e il 1397 senza lasciare alcuna testimonianza riguardo agli ultimi anni della sua vita.
La sua canonizzazione da parte del patriarcato di Costantinopoli risale solo al 1983.

Tracce di lettura

La grazia infonde la carità vera nell'anima degli iniziati ai misteri: quale sia poi la sua operazione in loro e quale esperienza doni, lo sanno coloro che l'hanno conosciuta.
In linea di massima si può dire che la grazia infonde nell'anima la percezione dei beni divini: dando a gustare grandi cose, ne fa sperare di ancora più grandi e, fondandosi sui beni già ora presenti, ispira ferma fede in quelli ancora invisibili.
La nostra parte invece è di custodire la carità. Non basta semplicemente incominciare ad amare e accogliere in sé questa passione: bisogna conservarla e alimentarne il fuoco perché duri. Ora restare nell'amore, nel quale è ogni beatitudine, significa appunto restare in Dio e possederlo dimorante in noi: «Chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui»; ma questo si realizza, e l'amore è ben radicato nella nostra volontà, quando vi giungiamo mediante l'osservanza dei comandi e delle leggi dell'Amato ...
Perciò il Salvatore dice: «Se osserverete i miei comandi, rimarrete nel mio amore». La vita beata è frutto di questo amore. L'amore infatti concentra la volontà dispersa da ogni dove, la distacca da tutte le altre cose e dallo stesso io volente, per farla aderire al Cristo solo.
(Nicola Cabasilas, La vita in Cristo 7,6)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Non bruciare invano

Lettura

Matteo 6,1-6.16-18

1 «Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini, per essere osservati da loro; altrimenti non ne avrete premio presso il Padre vostro che è nei cieli.
2 Quando dunque fai l'elemosina, non far suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere onorati dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno. 3 Ma quando tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra quel che fa la destra, 4 affinché la tua elemosina sia fatta in segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa. 5 «Quando pregate, non siate come gli ipocriti; poiché essi amano pregare stando in piedi nelle sinagoghe e agli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno. 6 Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta, rivolgi la preghiera al Padre tuo che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa. 16 «Quando digiunate, non abbiate un aspetto malinconico come gli ipocriti; poiché essi si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. Io vi dico in verità: questo è il premio che ne hanno. 17 Ma tu, quando digiuni, ungiti il capo e lavati la faccia, 18 affinché non appaia agli uomini che tu digiuni, ma al Padre tuo che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa.

Commento

La preghiera, l'elemosina e il digiuno sono i tre grandi doveri del cristiano, il quale è chiamato non solo ad astenersi dal male ma anche a fare il bene e ad essere perfetto: "Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5,48). 

Mediante la preghiera serviamo Dio con la nostra anima; digiunando, con il nostro corpo e compiendo le opere di carità, con i nostri beni. Gesù ci insegna come dobbiamo praticare l'elemosina, la preghiera e il digiuno, mettendoci in guardia dall'atteggiamento degli scribi e dei farisei di ogni tempo, i quali strumentalizzano la religiosità per ottenere lodi e consenso. 

La preghiera, le opere di carità e la penitenza possono aprirci a Dio e al prossimo se non rappresentano la volontà di salvarci da soli e la ricerca di ammirazione. La preghiera e le opere di pietà fatte con ipocrisia non solo non ci ottengono nulla da Dio ma diventano occasione di peccato. 

L'elemosina, lungi dall'essere qualcosa di "straordinario", tale da farci suonare orgogliosamente la tromba, è un atto di giustizia naturale verso i poveri, prima ancora che una virtù: consiste infatti nel donare loro quei beni di cui hanno bisogno e dei quali noi siamo stati costituiti da Dio non come proprietari esclusivi ma semplici amministratori.

Gesù riconosce una grande importanza alla preghiera personale, fatta nel segreto. Egli stesso è descritto di frequente nei vangeli mentre prega in luoghi solitrari. I farisei, al contrario, preferiscono pregare nelle sinagoghe e agli angoli delle strade, "stando ritti": una posizione appropriata per il cristiano (si veda Mc 11,25 dove l'utilizzo della prola greca estotes indica la postura eretta), ma alla quale è da preferirsi quella in ginocchio per le sue numerose attestazioni nei Vangeli (Lc 22,41; At 7,60; Ef 3,14).

Lo stare ritti dei farisei indica la loro sicurezza di sé davanti a Dio. La raccomandazione di Gesù a non usare troppe parole quando preghiamo deve portarci a una preghiera che sia animata dalla fiducia nel Signore, che conosce ogni nostra necessità, e a un pieno coinvolgimento di tutte le nostre facoltà: intellettive, affettive e spirituali. Quando ci rivolgiamo a Dio, una sola parola che sgorga dal profondo del cuore vale più di tutte le parole del mondo, e le più belle parole non valgono nulla se non è il cuore a parlare. Tuttavia Gesù non condanna le ripetizioni nella preghiera ma solo l'utilizzo di parole "vane", pronunciate in maniera meccanica. Egli stesso prega nel Getsèmani ripetendo le stesse parole (Mt 26,44). L'invito alla semplicità della preghiera non è nemmeno in contrasto con la perseveranza e l'insistenza cui Gesù ci invita altrove (Lc 11,1-8). Egli stesso "se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione" (Lc 6,12). Quando preghiamo, poi, non siamo mai soli, infatti "lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili" (Rm 8,26).

Le parole sul digiuno testimoniano una pratica che era comune nel tardo giudaismo e rientra pienamente nella vita spirituale del cristiano. Il digiuno è attestato ampiamente nel Nuovo Testamento: Anna "non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere" (Lc 2,37); i discepoli impongono le mani su Barnaba e Saulo "dopo aver digiunato e pregato" (At 13,3). Ma Gesù ci mette in guardia dal praticare un digiuno come mero "esercizio fisico" con la pretesa di dimostrare la nostra giustizia agli uomini. Il digiuno del corpo non serve a nulla, ed è anzi controproducente, se anziché purificare la nostra anima la rende gonfia di sé. Siamo poi chiamati a digiunare con gioia, mostrandoci lieti in volto e profumando il nostro capo. D'altra parte cosa rappresenta il vero digiuno se non rinunciare a una parte di noi stessi per ottenere da Dio quella ricompensa che è egli stesso?

Fare l'elemosina, pregare, digiunare, così come ci insegna Gesù, lungi dal dare semplicemente "qualche cosa" (i nostri beni, i nostri affetti, il nostro tempo) significa dare noi stessi a Dio, in quel "culto spirituale" cui ci chiama l'apostolo Paolo (Rm 12,1). Noi che siamo terra in cui Dio ha soffiato il suo alito di vita siamo chiamati a ritornare cenere solo dopo aver bruciato con ardore, consumandoci per Dio e per il nostro prossimo; finché tutto sarà compiuto (Gv 19,30).

Preghiera

Insegnaci a donarci, Signore, come sacrificio a te gradito; affinché possiamo crescere in santità ai tuoi occhi e ricevere in pegno la tua salvezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 19 giugno 2025

In memoria di Walter Brueggemann: il teologo dell'immaginazione profetica

- di Brent A. Strawn, Christianity Today, 17 giugno 2025

Ancora adesso ricordo la semplice copertina del libro più famoso di Walter Brueggemann: grigio scuro con il titolo "The Prophetic Imagination" in caratteri rossi. Era il 1989, ed io ero uno studente di diciotto anni del primo anno in un piccolo college cristiano di arti liberali confessionale a San Diego. In primavera di quell'anno, seguii un corso sui profeti dell'Antico Testamento, e uno dei miei compiti era leggere il libro di Brueggemann e scrivere un saggio su di esso. Dato che sono una specie di accumulatore, ho rimesso le mani su quel saggio e l'ho riletto l'altro giorno, poco dopo la morte di Brueggemann il 5 giugno 2025, all'età di 92 anni.

Quello che mi affascinò de "The Prophetic Imagination", anche alla mia giovane età, fu la definizione di Brueggemann del profeta come colui che nutre "una coscienza e percezione alternativa a quella della cultura dominante". I profeti creano quell'immaginazione prima criticando il mondo regnante opposto alla volontà di Dio e secondo energizzando il popolo di Dio verso un nuovo modo di vivere ed essere. Tutto questo aveva molto senso per me come qualcuno cresciuto in una denominazione di santità, così come aveva senso provenendo da Brueggemann, che era cresciuto nel pietismo tedesco come figlio di un pastore nella Chiesa Evangelica e Riformata.

Ma qualcos'altro mi colpì con uguale forza nel 1989, e mi è rimasto impresso da allora: è l'enfasi di Brueggemann sulla pericolosa libertà di un Dio inimmaginabilmente grande: "Un Dio libero è una cosa tremendamente pericolosa, ed è quello che il Signore è", scrissi nel mio saggio da matricola. Per dirla più semplicemente, nelle parole di Conrad Kanagy, il recente biografo di Brueggemann, che ha persino scritto un libro per bambini su di lui, Brueggemann credeva in un Dio molto grande.

L'Eredità Accademica

"The Prophetic Imagination", pubblicato per la prima volta nel 1978, arrivò a vendere un milione di copie, passando attraverso altre due edizioni, ed è stato tradotto in sei altre lingue. È l'unica pubblicazione che coloro che non hanno familiarità con il lavoro di Brueggemann probabilmente hanno sentito nominare, proprio come Brueggemann stesso potrebbe essere tra gli unici studiosi biblici che i non specialisti conoscerebbero per nome. Fu una pubblicazione spartiacque — ancora ampiamente citata — che offrì ai suoi lettori una nuova comprensione del compito profetico e un nuovo vocabolario per descriverlo.

Semplicemente, Brueggemann fu uno dei più prolifici e influenti studiosi dell'Antico Testamento del secolo scorso, con una bibliografia di oltre 120 titoli. Anche gli autori accademici più produttivi aspirano a forse tre o quattro libri in una carriera, mentre Brueggemann ne pubblicò quattordici solo negli ultimi due anni. Tuttavia non è solo la quantità delle opere pubblicate ma anche la loro qualità che stupisce. Diversi di questi libri cambiarono o ridefinirono il campo dello studio dell'Antico Testamento.

L'anno prima che "The Prophetic Imagination" fosse pubblicato, per esempio, Brueggemann scrisse l'ormai classico "The Land: Place as Gift, Promise, and Challenge in Biblical Faith", il primo studio a trattare la terra come un soggetto serio nella teologia biblica. Non ci può essere dubbio che la massiccia "Theology of the Old Testament: Testimony, Dispute, Advocacy" di 777 pagine di Brueggemann rimarrà come una delle sue opere più grandi. Lì offre il tentativo più convincente e comprensivo di categorizzare e comprendere i vari testi, tradizioni e testimonianze dell'Antico Testamento.

Oltre l'Accademia

L'influenza di Brueggemann si estese ben oltre il mondo dell'accademia, tuttavia. Come lo studioso del Nuovo Testamento N. T. Wright, Brueggemann fu uno dei pochi studiosi biblici stratosferici che potevano scrivere con la stessa facilità per il clero e i laici come per la corporazione professionale. Una volta mi disse che per essere un teologo per la chiesa, si deve scrivere sui testi che contano di più per il cristiano medio. Non è quindi sorprendente che fosse popolare tra i predicatori, che probabilmente conoscono meglio i numerosi commentari di Brueggemann, che includono trattazioni importanti di Genesi, Esodo, Deuteronomio, 1 e 2 Samuele, 1 e 2 Re, Salmi, Isaia e Geremia.

Ricordi Personali

Dopo il college, diventai ancora più familiare con le molte opere di Brueggemann, prima come seminarista, poi come studente di dottorato in Antico Testamento. Ma la mia conoscenza di lui divenne diretta quando ottenni il mio primo lavoro come professore di ruolo all'Università Emory. Una settimana dopo essere arrivato ad Atlanta, il Professor Brueggemann mi diede il benvenuto nell'area invitandomi a pranzo. Ero, inutile dirlo, estremamente nervoso per quell'appuntamento ad Athens Pizza a Decatur, Georgia.

Come imparai — dato che quel pranzo divenne il primo di molti — Brueggemann ordinava sempre la stessa cosa (un'insalata greca) dopo aver prima confermato la porzione con il cameriere (preferiva piccola) e chiedendo alcuni crackers per accompagnarla. Il pranzo durava sempre un'ora, praticamente esattamente al secondo. Le mie paure iniziali di cenare con il teologo leggendario si rivelarono infondate. Passammo la maggior parte del tempo ridendo durante quel primo pranzo e quelli che seguirono.

Doni e Gratitudine

Incoraggiato dalla sua gentilezza — se non dalla mia ingenuità giovanile — chiesi a Brueggemann di tenere una lezione ospite nel mio corso introduttivo il semestre successivo, e lui accettò gentilmente. L'invito era, naturalmente, principalmente per me per avere la possibilità di sentirlo da vicino e in carne ed ossa, anche se ero felice di lasciare che i miei studenti ascoltassero oltre la mia spalla. Ricordo ancora la sua presentazione; il suo umore; la sua voce coinvolgente, persino tonante; la sua passione; e il suo genio esegetico.

Sono grato per la possibilità di averlo sentito predicare e tenere lezioni. Una volta descrisse spiritosamente la differenza tra una lezione e un sermone come "circa 40 minuti."

Sono grato per la possibilità di averlo sentito pregare. Brueggemann non si preoccupava mai di introduzioni standard come "Caro Signore" o "Dio Misericordioso." Invece, si tuffava semplicemente nel cuore della sua preghiera con un indirizzo diretto; sapeva che Dio era già, sempre lì.

Sono grato per il suo potere poetico. Questo si manifestava nella sua arte come oratore, predicatore e persona di preghiera; nella sua argomentazione come scrittore; e nella sua osservazione come il più astuto degli esegeti. La sua onestà chiara, persino brutale di fronte al testo biblico è ineguagliabile, eccetto per l'onestà chiara, persino brutale della Scrittura stessa.

Un Addio

Credo che il 5 giugno 2025, uno dei più dotati, amati e migliori "narratori" di Dio, Walter Albert Brueggemann, si sia unito alla buona compagnia dei profeti. La sua ricerca inquieta, infinita per dire Dio nel modo giusto è finita; ora conosce anche come è pienamente conosciuto. Ma la sua testimonianza e le sue parole persistono ancora con noi, invitandoci a vivere diversamente, alternativamente, profeticamente — soprattutto, fedelmente.


Brent A. Strawn è Professore di Antico Testamento e professore di legge alla Duke University. È coautore, con Walter Brueggemann, del prossimo libro "Unwavering Holiness: Pivotal Moments in the Book of Isaiah."

Romualdo e il monachesimo integrale

La singolarissima vicenda umana e spirituale di Romualdo, animatore dell'eremitismo nell'Italia centrale e settentrionale all'alba del secondo millennio, è stata tramandata dalla Vita dei cinque fratelli del suo amico Bruno di Querfurt, ma soprattutto dalla Vita del beato Romualdo scritta pochi anni dopo la morte di Romualdo da Pier Damiani.
Romualdo nacque a Ravenna verso la metà del X secolo, da una famiglia nobile. Dopo tre anni di vita benedettina abbandonò il monastero ravennate di Sant'Apollinare in Classe con il proposito di ritrovare la solitudine e il rigore del monachesimo egiziano testimoniato dalle Vite dei padri e dalle Conferenze di Cassiano. Ispirandosi a questi testi, con alcuni compagni egli cercò di mettere in pratica i principi di un'ascesi più ordinata rispetto a quella dei solitari del suo tempo, basandola sul lavoro manuale, il totale distacco dal mondo, la stabilità nella cella, la familiarità con la Scrittura, le veglie e il digiuno.
Uomo di lacrime e di preghiera, Romualdo unì al rigore dell'insegnamento un'anima appassionata, capace di grande calore umano e di intenso affetto. Egli visse circa dieci anni nei pressi del monastero di San Michele di Cuxa, nei Pirenei, dando vita ad una colonia di eremiti. Tornato in Italia, Romualdo fu chiamato a riformare la vita monastica e a fondare numerosi eremi, incontrando incomprensioni e ostilità.
Delle sue numerose fondazioni sono sopravvissute fino a oggi con alterne vicende quelle di Camaldoli e di Fonte Avellana.
La congregazione camaldolese coniuga la dimensione comunitaria e quella solitaria, espressa, architettonicamente, dalla presenza sia dell'eremo sia del monastero. Questa comunione di vita comunitaria ed eremitica è espressa anche nello stemma, formato da due colombe che si abbeverano a un solo calice. Il cenobio, dotato di una sua autonomia, può costituire una tappa di preparazione alla vita eremitica. L'Ordine prevede anche, per chi ne senta la vocazione, l'aspetto missionario di evangelizzazione presso le genti. Quest'ultimo aspetto conferisce oggi all'Ordine camaldolese una grande apertura al dialogo ecumenico e interreligioso.
Romualdo morì nel silenzio e nella solitudine con Dio, cui aveva sempre anelato e che aveva inseguito attraverso mille peripezie, nel monastero di Val di Castro, il 19 giugno del 1027.

Tracce di lettura

Siedi nella tua cella come in paradiso; scaccia dalla memoria il mondo intero e gettalo dietro le spalle, vigila sui tuoi pensieri come il buon pescatore vigila sui pesci. Unica via, il salterio: non distaccartene mai. Se non puoi giungere a tutto, dato che sei qui pieno di fervore novizio, cerca di penetrarne il senso spirituale almeno in alcuni punti, e quando leggendo comincerai a distrarti non smettere, ma correggiti subito cercando il senso di quel che hai davanti.
Poniti anzitutto alla presenza di Dio con timore e tremore; annullati totalmente e siedi come un pulcino contento solo della grazia di Dio e incapace, se non è la madre stessa a donargli il nutrimento, di sentire il sapore del cibo nonché di procurarsene.
(parole di Romualdo in Bruno di Querfurt, Vita dei cinque fratelli 32)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Icona di GIOVANNI MEZZALIRA, tempera all’uovo su tavola telata e gessata, cm 30 x 40
San Romualdo (+ 1027)

Fermati 1 minuto. Gesù maestro di preghiera. Commento al Padre nostro

Lettura

Matteo 6,7-15

7 Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. 8 Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. 9 Voi dunque pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome;
10 venga il tuo regno;
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
11 Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
12 e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
13 e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dal male.
14 Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; 15 ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.

Commento

Prima di offrirci un modello perfetto di preghiera con il "Padre nostro" Gesù ci esorta a essere parsimoniosi nelle parole da utilizzare. Il rapporto con Dio deve essere filiale, e quindi improntato a semplicità di cuore. Lo sproloquiare (gr. battalogeo, chicchierare) può essere riferito all'abitudine dei pagani di recitare una lunga lista di nomi divini. Nella nostra preghiera dobbiamo stare attenti a comprendere quel che diciamo e a dire solo ciò che scaturisce dal profondo del nostro cuore.

Eviteremo dunque la ripetizione di formule senza prestare attenzione, ma ciò non costituisce una proibizione contro la preghiera insistente, alla quale ci esorta, ad esempio, la parabola dell'amico importuno (Lc 11,5-8). Gesù stesso prega ripetendo le stesse parole nell'orto degli ulivi: "lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole" (Mt 26,44). Non è dunque condannata la ripetizione di parole ma la vana ripetizione. Neanche è condannata la preghiera che si protrae a lungo. Gesù prega tutta la notte (Lc 6,2) ed esorta i suoi discepoli a pregare sempre, senza stancarsi (Lc 18,1).

La preghiera del Padre nostro comprende tutte le nostre reali necessità e tutto ciò che è legittimo chiedere. Era entrata sicuramente a far parte della liturgia già al tempo in cui Matteo scrive, ma lungi dal rappresentare una semplice formula è un modello di brevità, semplicità e completezza, che dovrebbe ispirare ogni altra preghiera. Delle sei petizioni tre sono rivolte a Dio e tre riguardano le necessità dell'uomo. Gesù ci esorta infatti a cercare prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, perché tutte le altre cose ci saranno date in aggiunta (Mt 6,33). 
Le richieste per le necessità umane sono tutte rivolte al plurale, a indicare che dobbiamo pregare gli uni per gli altri, in un vincolo di comunione.

Le prime parole della preghiera rivelano la natura intima di Dio: Egli è padre; e noi possiamo chiamarlo Padre perché in Cristo abbiamo ricevuto lo spirito di adozione a figli. Lo Spirito stesso intercede nella nostra preghiera, con gemiti inesprimibili (Rm 8,26), gridando "Abbà, Padre" (Gal 4,6).

Il primo atto della preghiera è un atto di adorazione: "sia santificato il tuo nome" (v. 9). Tutte le altre richieste devono essere subordinate a questa e devono avere come unico scopo questa. Santificare (gr. hagiazo) il nome di Dio può essere inteso come un atto di ossequio e obbedienza; ma è anche una invocazione affinché Dio santifichi il suo stesso nome, manifestando la sua potenza e la sua gloria con l'avvento del suo regno. Nella supplica che segue (v. 10) si chiede infatti che il regno, predicato da Cristo e dai suoi apostoli, giunga a compimento sulla terra, così come è realizzato perfettamente in cielo.

"Sia fatta la tua volontà" esprime la necessità che ogni richiesta sia sottomessa ai piani e alla gloria di Dio. Con questa invocazione chiediamo che in questo mondo, deturpato dal maligno, prevalga la volontà di Dio, che lo rende simile al Cielo.

Gesù ci invita a chiedere al Padre che ci doni il pane quotidiano (v. 11). Non che ce lo venda, né che ce lo presti, ma che ce lo dia per la sua misericordia. La nostra sopravvivenza, materiale e spirituale, dipende dalla grazia di Dio.
L'aggettivo greco epiousios viene comunemente tradotto con "quotidiano", a indicare il nutrimento materiale essenziale per il nostro sostentamento. Ma il termine potrebbe anche essere reso con "futuro", assumendo una connotazione escatologica e venendo a significare il pane del giorno che verrà, il pane del regno, tanto desiderato e ora urgentemente atteso ("dacci oggi"). Con queste parole chiediamo dunque anche il pane che nutre il nostro spirito, il pane sacramentale e la grazia di Dio, con cui riceviamo Cristo, il pane vivo disceso dal cielo (Gv 6,51).

La richiesta di rimettere, letteralmente "lasciar andare", i debiti (v. 12), ovvero i peccati contratti verso Dio, è correlata al perdono nel giudizio finale. Chiediamo di essere perdonati come noi perdoniamo ai nostri debitori, non comportandoci come il servo al quale fu condonato molto dal suo padrone ma che non ebbe pietà del suo conservo (Mt 18,21-35).

Gesù ci esorta a chiedere di non essere introdotti nella tentazione (v. 13); questo il senso traslato della parola greca eisphero, che significa "portar dentro" Tenendo conto quanto afferma Giacomo nella sua lettera, dove è detto che "Dio non tenta nessuno al male" (Gc 1,13) si arriva alla conclusione che non è Dio l'agente attivo della tentazione, sebbene l'esempio di Giobbe dimostra che egli può mettere l'uomo alla prova esponendolo all'azione di Satana. Ciò che si chiede al Padre è di essere preservati dalle tentazioni, che qui possono essere riferite sia ai peccati che alle più generali prove della fede. Nel contesto escatologico dominante di questo passo il senso potrebbe essere anche quello di chiedere a Dio di risparmiare ai discepoli le prove e le persecuzioni che precedono la fine dei tempi. 

Il termine greco hò poneròs indica il male, da cui si chiede di essere liberati; è chiaramente maschile e sta a indicare il Maligno, a causa del quale il peccato e la morte sono entrati nel mondo.

Esortandoci a perdonare per essere perdonati (vv. 14-15), Gesù non condiziona la nostra giustificazione alle nostre opere. La grazia che ci è stata accordata dal sangue di Cristo e che trova espressione nel segno sacramentale del Battesimo ci ha purificati completamente dal peccato, ma qui siamo invitati a chiedere a Dio e concedere al nostro prossimo una remissione dei peccati quotidiani, come un lavacro parziale: "Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo" (Gv 13,10). Con le parole a commento della sua preghiera (v. 14) Gesù attesta che egli è venuto nel mondo non solo per riconciliarci con il Padre ma anche per riconciliarci l'un l'altro.

Preghiera

Signore Gesù Cristo, insegnaci a pregare; perché possiamo crescere in santità e sapienza in un continuo dialogo con il nostro Padre che è nei Cieli. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 18 giugno 2025

Fermati 1 minuto. Quale mèta rincorriamo?

Lettura

Matteo 6,19-23

19 Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; 20 accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. 21 Perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore.
22 La lucerna del corpo è l'occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; 23 ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!

Commento

L'accumulo di tesori "in cielo" (v. 20) ha a che fare con l'utilizzo dei beni terreni guidati da spirito di carità e condivisione.

Agire rettamente nell'amministrare i beni terreni significa praticare l'elemosina, digiunare e vivere con sobrietà confidando in Dio nella preghiera, come raccomandato da Gesù (Mt 6,1-18).
Se la manna stessa, cibo disceso dal cielo, messa in serbo per il giorno successivo "fece i vermi e si imputridì" (Es 16,20), il cristiano nel suo esodo verso la vita eterna non deve preoccuparsi di accumuare ricchezze. Anche le grazie spirituali che riceviamo da Dio non devono portarci a confidare su una "scorta di meriti", perché quotidianamente dobbiamo alimentare la nostra fede, rendendola efficace nella carità.

Gli uomini pongono il proprio cuore là dove è il loro tesoro (Mt 6,19-21) e allo stesso modo fissano i loro occhi in ciò che desiderano di più (vv. 22-23). Un occhio puro ama posarsi sui beni celesti e rende limpido il nostro intero essere. Un desiderio disordinato dei beni terreni è rappresentato da Gesù con l'analogia dell'occhio malvagio, nel quale non può entrare alcuna luce e che farà giacere tutto l'uomo nelle tenebre.

La luce che è tenebra (v. 23) è da intendersi come espressione di una religiosità esteriore, ipocrita: una  mosca morta rovina l'olio del profumiere (Eccl 10,1). Per questo l'occhio malvagio rappresenta anche la cattiva intenzione nelle azioni dell'uomo, per malizia o per colpevole ignoranza.

Tutte le realtà terrene sono caratterizzate dall'impermanenza e dall'incapacità di colmare il desiderio di bene presente nel cuore dell'uomo, il quale trasformandole in idoli non potrà che andare incontro alla delusione.

Gesù ci chiama a fare chiarezza su quale mèta stiamo rincorrendo, qual è il fine che abbiamo scelto per la nostra vita, ciò che la riempie di senso, invitando la nostra anima a scegliere "la parte migliore, che non le sarà tolta" (Lc 10,42).

Preghiera

Donaci, Signore, la saggezza di scegliere la via del vangelo, per rendere la nostra fede operosa e far fruttare i doni del tuo Spirito. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona