- Autore: Rev. Dr. Luca Vona
Introduzione: due ribelli dello spirito
Nel panorama delle tradizioni spirituali dell'Asia, due figure emergono come paradigmi di una particolare forma di realizzazione: quella che trova il sacro attraverso la trasgressione delle convenzioni religiose. Da una parte, nel Giappone del XV secolo, il monaco zen Ikkyū Sōjun (一休宗純, 1394-1481) scandalizzerà la società del suo tempo frequentando bordelli e taverne mentre componeva poesie di straordinaria profondità spirituale. Dall'altra, nel Kashmir dell'XI secolo, la scuola shivaita di Abhinavagupta (अभिनवगुप्त, 950-1020 ca.) sviluppava una filosofia tantrica che vedeva nell'esperienza erotica e estetica una via privilegiata verso la realizzazione della propria natura divina.
Apparentemente distanti nel tempo, nello spazio e nella forma religiosa, questi due movimenti spirituali condividono un approccio rivoluzionario: la convinzione che l'illuminazione non si trovi nel rifiuto del mondo, ma nella sua trasfigurazione attraverso una percezione radicalmente trasformata.
La trasgressione come metodo spirituale
Ikkyū: il monaco folle
Ikkyū Sōjun incarna il paradosso del "santo peccatore" nella tradizione zen. Nato da una relazione clandestina tra l'imperatore Go-Komatsu e una dama di corte, la sua stessa esistenza fu segnata dalla trasgressione. Divenuto monaco zen, Ikkyū si distinse presto per il suo rifiuto delle convenzioni monastiche: frequentava regolarmente i quartieri di piacere, manteneva relazioni amorose, beveva sake e compose poesie che mescolavano linguaggio erotico e intuizioni spirituali.
La sua poesia "Prostituta cieca" esemplifica questo approccio:
"La prostituta cieca di Eguchi
con il suo shamisen a tre corde
in una notte ha dato a questo monaco
l'illuminazione che trent'anni di zazen non avevano portato"
Per Ikkyū, la trasgressione non era licenziosità, ma metodo pedagogico radicale. Egli vedeva nell'ipocrisia del clero buddhista del suo tempo - monaci che predicavano purezza mentre cercavano potere e ricchezza - una forma di corruzione spirituale più grave della sua stessa "immoralità". La sua trasgressione era quindi un atto di purificazione, un modo per spezzare l'identificazione con ruoli sociali e religiosi che ostacolavano la genuina realizzazione.
Lo Shivaismo kashmiro: la divinizzazione dell'esperienza
Parallelamente, nel Kashmir medievale, la scuola shivaita sviluppava una sofisticata teologia della trasgressione sacra. Per Abhinavagupta e i suoi discepoli, l'universo intero era una manifestazione ludica (līlā) della coscienza divina (Śiva) in unione dinamica con la sua energia creatrice (Śakti). In questa visione, nulla poteva essere considerato intrinsecamente impuro o profano: tutto partecipava della stessa natura divina.
Il tantrismo kashmiro sviluppò pratiche rituali che includevano deliberatamente elementi considerati "impuri" dall'ortodossia brahmanica: consumo di carne, alcol, rapporti sessuali sacralizzati. Questi non erano atti di ribellione fine a se stessi, ma tecniche per trascendere le limitazioni mentali imposte dalle categorie dualistiche di puro/impuro, sacro/profano.
La filosofia del rasa (sentimento estetico) elaborata da Abhinavagupta rappresenta forse il culmine di questo approccio. Secondo questa teoria, l'esperienza estetica - che può includere anche sentimenti considerati "negativi" come la paura o la rabbia - diventa un mezzo per gustare (āsvāda) la propria natura divina. L'arte, l'erotica, persino l'esperienza del terrore possono trasformarsi in porte verso la realizzazione spirituale.
Punti di convergenza: una mistica dell'integrazione
Critica dell'istituzione religiosa
Entrambe le tradizioni condividono una feroce critica delle forme religiose istituzionalizzate. Ikkyū denunciava costantemente l'ipocrisia dei monasteri zen, dove i monaci perseguivano cariche e ricchezze mentre trascuravano la vera pratica spirituale. Nei suoi scritti ironici, li chiamava "diavoli in abiti monastici" e "cani in vesti da buddha".
Similmente, il tantrismo kashmiro si pose in aperta opposizione al brahmanesimo ortodosso con le sue rigide divisioni castali e i suoi rituali formalizzati. Il principio tantrico secondo cui la realizzazione è accessibile a tutti, indipendentemente da nascita o genere, rappresentava una rivoluzione sociale oltre che spirituale.
L'estetica come via spirituale
Un altro punto di convergenza fondamentale è il riconoscimento dell'esperienza estetica come veicolo di trascendenza. Per Ikkyū, la bellezza - che fosse quella di una cortigiana, di un fiore di ciliegio o di una coppa di sake - era una manifestazione diretta della Buddha-natura. Le sue poesie trasformano scene di vita quotidiana in epifanie spirituali.
Lo shivaismo kashmiro sistematizzò questo approccio nella teoria dei rasa, dove l'esperienza estetica diventa un sādhana (pratica spirituale) a pieno titolo. Il teatro, la poesia, la musica non sono semplici intrattenimenti, ma tecnologie spirituali che permettono di accedere a stati di coscienza espansa.
La spontaneità illuminata
Entrambe le tradizioni valorizzano la spontaneità (sahaja nel tantrismo, shizen nello zen) come espressione della realizzazione autentica. Per Ikkyū, le azioni "folli" nascevano da una saggezza intuitiva che trascendeva le convenzioni sociali. La sua vita stessa era un'opera d'arte performativa, dove ogni gesto trasgressivo aveva valore pedagogico.
Nel tantrismo kashmiro, sahaja indica lo stato di naturalezza divina in cui le azioni sorgono spontaneamente dalla coscienza illuminata, senza essere mediate da calcoli o convenzioni. È lo stato del jīvanmukta, il liberato vivente che agisce nel mondo rimanendo centrato nella propria natura divina.
Le differenze: due modalità della trasgressione
Approccio alla corporeità
Nonostante le convergenze, esistono differenze significative tra i due approcci. Ikkyū, pur trasgredendo i voti monastici, mantiene spesso un tono di ironia amara e melancolia che riflette l'influenza della visione buddhista dell'impermanenza. La sua celebrazione del corpo e dei piaceri sensuali è attraversata da una consapevolezza della loro natura transitoria.
Lo shivaismo kashmiro, invece, sviluppa una teologia più sistematicamente affermativa del corpo e dei sensi. Il corpo non è solo il tempio della divinità, ma è letteralmente divino. La sessualità sacralizzata non è una trasgressione che porta alla saggezza nonostante la sua natura illusoria, ma è essa stessa una manifestazione della danza cosmica di Śiva e Śakti.
Struttura filosofica
Ikkyū opera principalmente attraverso paradossi, kōan viventi che spezzano le aspettative logiche per aprire spazi di insight improvviso. La sua è una mistica dell'istante, del satori che irrompe attraverso la rottura delle convenzioni.
Il tantrismo kashmiro, pur valorizzando l'immediatezza dell'esperienza, sviluppa anche elaborate cosmologie e psicologie che mappano dettagliatamente i processi di manifestazione divina. È un sistema più architettonico, che offre strumenti teorici e pratici per navigare sistematicamente i livelli di coscienza.
Eredità contemporanea: lezioni per la spiritualità moderna
Oltre il puritanesimo spirituale
Entrambe le tradizioni offrono antidoti preziosi al puritanesimo che spesso affligge la spiritualità contemporanea. L'idea che la realizzazione spirituale richieda necessariamente ascetismo, rinuncia e distacco dal mondo viene radicalmente messa in discussione. Ikkyū e il tantrismo kashmiro mostrano che è possibile una spiritualità pienamente incarnata, che abbraccia piuttosto che rifiutare la ricchezza dell'esperienza umana.
L'arte come pratica spirituale
La valorizzazione dell'esperienza estetica come via di realizzazione ha profonde implicazioni per la cultura contemporanea. In un'epoca in cui l'arte è spesso ridotta a merce o intrattenimento, questi approcci ci ricordano il suo potenziale trasformativo. L'arte non è solo rappresentazione del bello, ma tecnologia spirituale capace di indurre stati di coscienza espansa.
Autenticità versus conformità
La critica delle istituzioni religiose ipocrite rimane drammaticamente attuale. Sia Ikkyū che il tantrismo kashmiro ci ricordano che l'autentica spiritualità spesso richiede il coraggio di andare contro le convenzioni, di seguire la propria verità interiore anche quando questa disturba le aspettative sociali.
Conclusione: la trasgressione come compassione
In ultima analisi, sia Ikkyū che i maestri shivaiti del Kashmir praticavano una forma radicale di compassione. La loro trasgressione non era auto-indulgenza, ma un atto di amore verso tutti gli esseri intrappolati in sistemi religiosi rigidi e mortificanti. Mostrando che la divinità può essere trovata nei luoghi più inaspettati - nei bordelli come nei templi, nell'estasi erotica come nella meditazione silenziosa - essi aprivano porte di liberazione per coloro che si sentivano esclusi dalle vie spirituali convenzionali.
La loro eredità ci ricorda che la vera spiritualità non può essere contenuta in formule o istituzioni, ma deve essere riscoperta costantemente attraverso l'incontro autentico con il mistero dell'esistenza. In questo senso, la loro trasgressione era la più conservatrice delle azioni: preservava l'essenza viva della tradizione spirituale contro la sua cristallizzazione in forme morte.
Oggi, in un mondo spesso diviso tra fondamentalismo religioso e materialismo riduttivo, le figure di Ikkyū e i maestri del Kashmir offrono una terza via: una spiritualità che è al tempo stesso radicalmente trascendente e completamente immanente, che trova il divino non al di là del mondo, ma nel cuore stesso della vita vissuta con piena consapevolezza e coraggio trasformativo.
Una lettura cristiana: la trasgressione evangelica
La tradizione cristiana, sebbene spesso percepita come normativa e istituzionale, custodisce al suo cuore una figura che incarna una forma radicale di trasgressione sacra: Gesù di Nazaret. Come Ikkyū e i maestri tantrici del Kashmir, Cristo scandalizzò la società religiosa del suo tempo attraverso azioni che sembravano violare le convenzioni sacre.
I Vangeli documentano costantemente questo pattern trasgressivo: Gesù mangia con prostitute e pubblicani, tocca i lebbrosi, guarisce di sabato, accoglie i bambini in un mondo che li considerava marginali, dialoga pubblicamente con la donna samaritana al pozzo. La sua prassi sovverte sistematicamente le barriere di purità rituale che strutturavano la religiosità giudaica del tempo.
Nell'episodio dell'unzione di Betania una donna di dubbia reputazione unge i piedi di Gesù con olio profumato, asciugandoli con i propri capelli. Come la "prostituta cieca di Eguchi" che illumina il monaco zen, questa donna diventa veicolo di rivelazione spirituale attraverso un gesto che mescola sensualità e sacralità, scandalizzando i presenti ma ricevendo l'approvazione del maestro.
La teologia paolina sviluppa questa intuizione in termini che richiamano la non-dualità tantrica: "Non c'è più giudeo né greco, non c'è più schiavo né libero, non c'è più uomo né donna, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" (Galati 3,28). Come nel Kashmir shivaita, le distinzioni dualistiche che organizzano la società umana vengono trascese in una visione unificante della realtà.
La mistica cristiana ha periodicamente riscoperto questa dimensione trasgressiva. Francesco d'Assisi sposa "Madonna Povertà" in una scelta che scandalizza la famiglia borghese; Margherita Porete viene bruciata come eretica per aver sostenuto che l'anima unita a Dio trascende la necessità dei sacramenti; Meister Eckhart insegna che bisogna "liberarsi di Dio per amore di Dio". Tutti questi maestri, come Ikkyū, usano il paradosso e l'apparente blasfemia per aprire spazi di autenticità spirituale oltre le forme consolidate.
La differenza fondamentale risiede nella concezione dell'incarnazione: mentre il tantrismo vede il corpo come già divino e Ikkyū scopre la Buddha-natura nell'esperienza immediata, il cristianesimo annuncia che il divino si è fatto carne in un evento storico specifico. Questa differenza genera una tensione creativa: la trasgressione cristiana non mira a realizzare una divinità già presente, ma a testimoniare una novità che irrompe nella storia, trasformandola dall'interno.
Tuttavia, l'esito è sorprendentemente simile: in tutti e tre i casi, la trasgressione sacra diventa un atto di misericordia che libera gli esclusi e rivela l'inadequatezza di ogni sistema religioso chiuso. Che si tratti del monaco folle che frequenta i quartieri di piacere, del tantrika che sacralizza l'esperienza erotica, o del Cristo che mangia con i peccatori, la logica è identica: l'amore divino non può essere contenuto nelle categorie umane di purità e impurità, ma le trascende per abbracciare l'intera complessità dell'esistenza.
In questa prospettiva, la "follia della croce" paolina risuona con la "follia" di Ikkyū e la "trasgressione" tantrica: tutte esprimono la convinzione che la verità più profonda si riveli spesso attraverso ciò che scandalizza il pensiero convenzionale, aprendo porte di liberazione proprio là dove meno ce lo aspettiamo.
Bibliografia essenziale
Su Ikkyū Sōjun
Fonti primarie e traduzioni:
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Stevens, John, Wild Ways: Zen Poems of Ikkyū, White Pine Press, Buffalo 1995.
Studi critici:
Arntzen, Sonja, "Sexuality and Zen Buddhism in Ikkyu Sojun's Poetry", ResearchGate (2022).
Olson, Karl, "The Zen Clown Ikkyu: A Cross-Cultural Study of a Symbol of Disorder", Journal of Dharma 24 (1999), 417-433.
Whitehead, Andrew K., "Sex and a Drinking Song: The Ethics of Ikkyū Sōjun", Buddhist Ethics and Modern Society (2013).
Sullo shivaismo kashmiro
Testi fondamentali:
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Śiva Sūtras, trad. italiana a cura di Carlo Della Casa, Ubaldini, Roma 1980.
Vijñānabhairava, trad. italiana a cura di Raniero Gnoli, Adelphi, Milano 1994.
Studi accademici:
Dyczkowski, Mark S.G., The Doctrine of Vibration: An Analysis of the Doctrines and Practices of Kashmir Shaivism, SUNY Press, Albany 1987.
Gnoli, Raniero, The Aesthetic Experience According to Abhinavagupta, Chowkhamba Sanskrit Studies, Varanasi 1968.
Sanderson, Alexis, "Śaivism and the Tantric Traditions", in The World's Religions, edited by Stewart Sutherland, Routledge, London 1988.
Silburn, Lilian, Kundalini: Energy of the Depths, SUNY Press, Albany 1988.
Studi comparativi e tematici
Filosofia e spiritualità comparata:
Bharati, Agehananda, The Tantric Tradition, Rider, London 1965.
Faure, Bernard, The Red Thread: Buddhist Approaches to Sexuality, Princeton University Press, Princeton 1998.
Urban, Hugh B., Tantra: Sex, Secrecy, Politics, and Power in the Study of Religion, University of California Press, Berkeley 2003.
Riviste specializzate:
Buddhist Studies Review - studi critici sul buddhismo e le sue varianti
Japanese Journal of Religious Studies - studi su zen e buddhismo giapponese
Journal of Indian Philosophy - articoli su tantrismo e filosofia indiana
Risorse online:
Internet Encyclopedia of Philosophy - voce "Kashmiri Shaiva Philosophy"
Lakshmanjoo Academy (www.lakshmanjooacademy.org) - archivi e testi del Kashmir Shaivism PhilPapers.org - database accademico con bibliografia su Ikkyū