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Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

martedì 12 agosto 2025

Zen e śivaismo kashmiro: convergenze e divergenze tra due vie della non-dualità

Un'analisi comparativa tra la tradizione zen giapponese e lo śivaismo del Kashmir

Introduzione

La questione della conciliabilità tra diverse tradizioni contemplative rappresenta una delle sfide più affascinanti della spiritualità contemporanea. Zen e śivaismo kashmiro emergono come due sistemi particolarmente raffinati che, pur sviluppatisi in contesti culturali distanti, presentano convergenze sorprendenti nella loro ricerca della realizzazione ultima. Il presente studio esplora le affinità strutturali tra queste tradizioni, analizzandone le specificità e valutando le possibilità di dialogo autentico.

I. Fondamenti filosofici e cosmologici

1.1 La visione della realtà ultima

Lo śivaismo kashmiro concepisce la realtà ultima attraverso Paramaśiva, che trascende ogni determinazione pur essendo fonte di ogni manifestazione. Questa realtà si articola in Śiva (coscienza pura) e Śakti (energia dinamica creativa). La loro relazione non è dualistica ma rappresenta l'autoconoscenza dinamica della coscienza assoluta attraverso la propria vibrazione (spanda).

Abhinavagupta (950-1016) descrive questa realtà come cidānandaghana, massa compatta di coscienza-beatitudine che si espande nella molteplicità senza perdere unità. La manifestazione del mondo non è una caduta da superare ma līlā (gioco libero) della coscienza che si riflette in infinite modalità.

Lo zen parte dall'intuizione buddhista dell'anātman (non-sé) e della śūnyatā (vacuità), interpretate non-dualisticamente. La natura di Buddha (busho) non è entità sostanziale ma capacità intrinseca di realizzare il risveglio. Dogen chiarisce che "la pratica è illuminazione" (shusho-itto), dissolvendo distinzioni temporali tra non-risveglio e illuminazione.

La realtà zen è caratterizzata dall'interdipendenza (pratītyasamutpāda) di tutti i fenomeni, che sorgono in reciproca dipendenza senza esistenza intrinseca. Questa vacuità non è vuoto nihilistico ma pienezza dinamica dell'essere-così (tathatā) che si manifesta in ogni istante.

1.2 Causalità e manifestazione

Lo śivaismo kashmiro adotta una teoria della causazione che integra trasformazione (pariṇāma) e manifestazione (vivarta). Il mondo fenomenico è trasformazione reale di Śakti che non compromette l'immutabilità di Śiva. Il concetto di ābhāsa (riflesso) è centrale: ogni fenomeno è riflesso della coscienza in se stessa, reale nell'apparizione ma privo di esistenza indipendente.

Lo zen, radicato nella filosofia Mādhyamaka, adotta la originazione interdipendente (pratītyasamutpāda) che dissolve ogni causalità sostanziale. I fenomeni non "sorgono" da una causa ultima ma si co-originano in una rete di relazioni prive di fondamento ontologico fisso.

Entrambe convergono nel rifiutare il dualismo tra manifestazione e Assoluto: per lo śivaismo kashmiro il mondo è Śiva-Śakti manifesto; per lo zen, saṃsāra e nirvāṇa sono "non-due" (advaya).

II. Metodologie contemplative

2.1 Il riconoscimento diretto

Lo śivaismo kashmiro sviluppa tecniche di riconoscimento (pratyabhijñā) che mirano alla realizzazione immediata della propria natura divina. L'auto-riconoscimento (svarūpa-pratyabhijñā) è la tecnica fondamentale: riconoscere che la coscienza investigante è già coscienza di Śiva. Non si tratta di raggiungere uno stato diverso ma di riconoscere ciò che si è sempre stati.

Lo zen sviluppa parallelamente tecniche di intuizione diretta che evitano costruzioni concettuali. Lo shikantaza ("solo sedersi") di Dogen elimina l'orientamento teleologico: non si medita per raggiungere l'illuminazione ma si esprime l'illuminazione attraverso la postura. I koan dissolvono l'attività discorsiva per far emergere la "mente originaria" (honshin).

Huangbo insegnava: "La vostra mente di tutti i giorni - quella è la Via!", risuonando con l'insegnamento kashmiro che la coscienza ordinaria, riconosciuta nella sua vera natura, è già coscienza di Śiva.

2.2 Approccio alle energie sottili

Una differenza significativa emerge nell'approccio al corpo sottile. Lo śivaismo kashmiro sviluppa una scienza sofisticata delle energie sottili (sūkṣmaśarīra) con mappatura di cakra, nāḍī e livelli di prāṇa. Il Vijñānabhairava Tantra presenta 112 dhāraṇā (tecniche di concentrazione) che utilizzano energie corporee, respiro, suoni, visualizzazioni e attività sessuale come porte alla coscienza suprema.

Particolarmente significativa è la tecnica dell'uccāra (pronuncia del suono AUṂ), dove il praticante riconosce la propria identificazione con la vibrazione primordiale che genera l'universo. O la pratica della kumbhaka (ritenzione del respiro), dove nell'intervallo tra inspirazione ed espirazione si sperimenta la coscienza priva di modificazioni (nirvikalpaka-samādhi).

Lo zen adotta un approccio più sobrio, enfatizzando naturalezza (shizen) e non-interferenza con i processi spontanei del corpo-mente. La pratica dello zazen include attenzione a postura e respiro senza elaborate mappature energetiche, privilegiando la semplicità diretta.

III. Estetica e sensibilità spirituale

3.1 Arte e esperienza spirituale

Lo śivaismo kashmiro sviluppa la teoria del rasa (sapore estetico-spirituale). Abhinavagupta dimostra come l'esperienza estetica sia strutturalmente identica a quella spirituale: entrambe comportano la dissoluzione dell'ego e l'identificazione con la coscienza universale. Il sahṛdaya (colui che ha il cuore in sintonia) sperimenta attraverso l'arte la propria natura universale. L'arte diventa sādhana e la bellezza rivelazione del divino.

Lo zen sviluppa un'estetica della semplicità significativa: wabi-sabi (bellezza dell'imperfetto), ma (vuoto significativo), mono no aware (malinconia delle cose). L'arte zen mira a evocare la natura di Buddha attraverso la suggestione piuttosto che con una rappresentazione esplicita.

Un haiku di Bashō illustra perfettamente questa sensibilità:

Furu ike ya
kawazu tobikomu
mizu no oto

(Antico stagno -
una rana si tuffa
suono dell'acqua)

Entrambi trasformano l'esperienza artistica in veicolo di realizzazione spirituale, ma attraverso sensibilità diverse: lo śivaismo celebra la ricchezza simbolica, lo zen privilegia l'essenzialità evocativa.

3.2 Spazio sacro e architettura contemplativa

Lo śivaismo kashmiro concepisce il tempio come yantra tridimensionale, rappresentazione geometrica dell'universo che facilita l'identificazione con Śiva-Śakti. Il maṇḍala architettonico, con il garbhagṛha (sanctum sanctorum) al centro e le divinità ausiliarie disposte secondo simmetrie precise, ricrea la struttura della coscienza cosmica.

L'architettura zen sviluppa principi di vuoto funzionale e naturalezza essenziale che si esprimono nei giardini secchi (karesansui), nelle sale di meditazione (zendo) e nell'integrazione armoniosa con il paesaggio naturale. Il giardino di rocce del Ryōan-ji, con le sue quindici pietre disposte in gruppi asimmetrici su ghiaia rastrellata, evoca la natura vuota e interdipendente della realtà attraverso minimalismo e suggestione.

IV. Maestri e sviluppi storici

4.1 Figure paradigmatiche

Lo śivaismo kashmiro culmina in Abhinavagupta (950-1016), filosofo, teologo, esteta e yogin che integra tutti gli aspetti della cultura spirituale indiana. Il suo Tantrāloka sistematizza l'intero corpus tantrico, mentre i commentari al Īśvarapratyabhijñā ne chiariscono le implicazioni sottili.

Utpaladeva (900-950) sviluppa la filosofia del Pratyabhijñā ("riconoscimento") che dimostra logicamente l'identità tra la coscienza individuale e quella universale. La sua Īśvarapratyabhijñākārikā rimane un capolavoro della logica mistica indiana.

Lo zen presenta figure di diversa grandezza: Bodhidharma inaugura l'approccio diretto che bypasserebbe scritture e rituali; Huineng (638-713) rivoluziona il buddhismo cinese con l'illuminazione improvvisa (dunwu); Dogen (1200-1253) trasforma lo zen in via che integra pratica e illuminazione. Il suo Shobogenzo esplora la non-dualità attraverso la fenomenologia dell'esperienza meditativa.

4.2 Incontri contemporanei

Il XX secolo vede i primi dialoghi sistematici. Swami Lakshmanjoo (1907-1991), ultimo grande maestro dello śivaismo kashmiro, riconosce affinità con lo zen nell'approccio diretto. D.T. Suzuki (1870-1966) mostra interesse per le tradizioni non-dualistiche indiane.

Maestri come Jean Klein (1916-1998) sviluppano sintesi che integrano elementi kashmiri con sensibilità zen, trascendendo categorie settarie attraverso l'insegnamento dell'"auto-investigazione" che punta al riconoscimento della consapevolezza non-oggettuale.

V. Psicologia della liberazione

5.1 L'individualità illuminata

Entrambe affrontano il paradosso dell'individualità post-illuminazione. Lo śivaismo kashmiro riconosce che il jīvanmukta (liberato vivente) mantiene personalità fenomenica (vyāvahārika-ahaṃkāra) come strumento d'azione spontanea. Il realizzato può assumere qualsiasi ruolo senza identificazione limitante, esprimendo attraverso ogni attività la danza cosmica della coscienza.

Abhinavagupta descrive questo stato come jagadānanda, la beatitudine che pervade l'universo intero. Il jīvanmukta non trascende il mondo ma lo trasfigura, riconoscendo ogni esperienza come modalità della propria auto-contemplazione divina.

Lo zen articola similmente la personalità post-satori come espressione spontanea della natura di Buddha non ostacolata dall'illusione dell'ego. Tuttavia enfatizza maggiormente l'ordinarietà (heijo) del risvegliato: "Prima del satori, tagliare legna e portare acqua. Dopo il satori, tagliare legna e portare acqua".

5.2 Trasmissione spirituale

Lo śivaismo kashmiro attribuisce ruolo centrale al guru come incarnazione di Śiva-Śakti. La relazione guru-discepolo (guru-śiṣya-paramparā) è concepita come identificazione progressiva. Il guru può trasmettere direttamente l'energia spirituale (śaktipāta) attraverso sguardo (dṛṣṭipāta), tocco (sparśapāta), parola (śabdapāta) o presenza (śāṃbhava).

Lo zen sviluppa la trasmissione mente-a-mente (ishin-denshin) che trascende parole e lettere. Il dharma-sigillo (dharma-in) viene trasmesso attraverso riconoscimento diretto della natura di Buddha condivisa. Tuttavia enfatizza maggiormente l'auto-realizzazione (jiriki) rispetto alla dipendenza dalla grazia del maestro.

VI. Convergenze e divergenze fondamentali

6.1 Affinità strutturali

Entrambe le tradizioni condividono una visione dinamica della realtà ultima che le distingue da approcci più statici. Questa dinamicità si esprime attraverso un'enfasi comune sulla spontaneità illuminata, che nello śivaismo kashmiro prende la forma del sahaja (naturalezza spontanea) mentre nello zen si manifesta come shizen (naturalezza). Inoltre, entrambe le tradizioni rigettano dualismi rigidi, preferendo un approccio diretto alla realizzazione che bypassa elaborate costruzioni concettuali.

La trasformazione dell'arte in autentica pratica spirituale rappresenta un'altra convergenza significativa, così come l'integrazione organica tra contemplazione e vita quotidiana. Infine, entrambe le tradizioni celebrano una naturalezza post-illuminazione che trascende ogni artificiosità spirituale.

6.2 Differenze sostanziali

Le divergenze principali emergono innanzitutto nella struttura teologica: lo śivaismo mantiene una dimensione fondamentalmente teistica dove Śiva e Śakti sono riconosciuti come principi personali supremi degni di bhakti (devozione), mentre lo zen rimane essenzialmente non-teistico nella sua orientazione buddhista.

L'approccio alle energie sottili rappresenta un'altra differenza marcata: lo śivaismo sviluppa elaborate mappe del sūkṣmaśarīra (corpo sottile) con tecniche sistematiche per lavorare con cakra, nāḍī e prāṇa, mentre lo zen privilegia una naturalezza più semplice con attenzione sobria alla postura e al respiro.

A livello estetico, emerge il contrasto tra la ricchezza simbolica kashmira - con i suoi elaborati maṇḍala, yantra e iconografia complessa - e il minimalismo zen espresso attraverso ensō, sumi-e e karesansui.

Il ruolo del maestro spirituale rivela un'altra divergenza significativa: la centralità del guru come śaktipāt-dīkṣaka (colui che trasmette l'energia spirituale) nello śivaismo contrasta con l'enfasi zen sull'auto-realizzazione (jiriki), seppur con profondo rispetto per la trasmissione ishin-denshin.

Infine, l'atteggiamento verso emozioni e desideri mostra orientamenti diversi: lo śivaismo tantrico trasforma direttamente le energie emotive in coscienza illuminata, mentre lo zen privilegia equanimità (upekkhā) e non-attaccamento (muryoku).

VII. Possibilità di sintesi

7.1 Livelli di compatibilità

A livello esperienziale, praticanti avanzati di entrambe riferiscono stati di coscienza che trascendono distinzioni dottrinali - momenti di riconoscimento della natura luminosa e spontanea della mente che caratterizza entrambi i percorsi.

A livello metodologico, le pratiche sono spesso complementari. Un praticante zen può beneficiare delle tecniche kashmire di lavoro con l'energia sottile (kuṇḍalinī-yoga, prāṇāyāma, visualizzazione di cakra), mentre un praticante kashmiro può apprezzare la disciplina e semplicità zen (zazen, kinhin, vita monastica essenziale).

A livello filosofico, le differenze rimangono significative ma non incompatibili se viste come linguaggi diversi per intuizioni simili sulla natura non-duale della realtà.

7.2 Mutua fecondazione

Piuttosto che sintesi forzata, è possibile una mutua fecondazione che arricchisca entrambe mantenendo le rispettive specificità. La tradizione zen può integrare comprensioni kashmire dell'energia spirituale senza perdere la sua caratteristica sobrietà. Lo śivaismo kashmiro può apprezzare l'immediatezza zen senza abbandonare la ricchezza delle sue elaborazioni tantriche.

Esempi contemporanei di questa mutua fecondazione includono approcci integrati che combinano shikantaza con la consapevolezza dei cakra, meditazioni che integrano il vuoto zen (śūnyatā) con la pienezza kashmira (pūrṇatā), forme di arte contemplativa che fondono il minimalismo zen con il simbolismo tantrico, e comunità spirituali che onorano entrambe le trasmissioni senza confonderle.

Conclusione

Zen e śivaismo kashmiro mostrano risonanza più naturale e profonda rispetto ad altre possibili sintesi interreligiose. Entrambi privilegiano esperienza diretta (aparokṣa-jñāna) su speculazione (parokṣa-jñāna), spontaneità illuminata (sahaja / shizen) su rigidità dottrinale, celebrazione del presente vivente (vartamāna / ima) su fuga dal mondo.

La loro "conciliabilità" risiede non in sintesi dottrinale ma in dialogo vivente che permette illuminazione reciproca senza compromettere l'integrità di ciascuna tradizione. Come suggeriva Abhinavagupta, la realtà ultima (paramārtha) è abbastanza vasta da manifestarsi attraverso infinite modalità (upāya) - zen e śivaismo kashmiro rappresentano due di queste modalità che, mantenendo specificità, possono illuminarsi a vicenda nel riconoscimento di ciò che siamo sempre stati (svabhāva).

Questa convergenza non elimina le differenze ma le trasforma in complementarità creative, offrendo al ricercatore contemporaneo prospettive multiple sulla stessa verità non-duale (advaya-satya) che costituisce il cuore pulsante di entrambe le tradizioni. Il risultato non è sincretismo superficiale ma dialogo autentico tra due espressioni mature della ricerca umana dell'Assoluto (paramātman / buddhatā).

Bibliografia

Opere fondamentali dello śivaismo kashmiro

Testi primari:

  • Abhinavagupta. Tantrāloka. KSTS, Kashmir 1918-1938.
  • Abhinavagupta. Pratyabhijñāvimarśinī. KSTS, Kashmir 1918-1921.
  • Utpaladeva. Īśvarapratyabhijñākārikā. KSTS, Kashmir 1921.
  • Śiva Sūtra. Con commento di Kṣemarāja. KSTS, Kashmir 1911.
  • Spanda Kārikā. Con commento di Kṣemarāja. KSTS, Kashmir 1913.
  • Vijñānabhairava Tantra. Ed. critica, Motilal Banarsidass, Delhi 1979.

Studi e traduzioni:

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  • Muller-Ortega, Paul Eduardo. The triadic heart of Śiva: kaula tantricism of Abhinavagupta. SUNY Press, Albany 1989.
  • Sanderson, Alexis. "Śaivism and the tantric traditions". In The world's religions, Routledge, London 1988.
  • Singh, Jaideva. Spanda-kārikās: the divine creative pulsation. Motilal Banarsidass, Delhi 1980.
  • Torella, Raffaele. The philosophical traditions of Kashmir śaivism. Routledge, London 2020.

In italiano:

  • Gnoli, Raniero. Luce delle sacre scritture (Tantrāloka). UTET, Torino 1972.
  • Silburn, Lilian. La kuṇḍalinī o l'energia del profondo. Adelphi, Milano 1997.
  • Padoux, André. Tantra. Einaudi, Torino 2011.
  • Torella, Raffaele. Il pensiero dell'India: un'introduzione. Carocci, Roma 2008.

Opere fondamentali dello zen

Testi primari:

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  • Platform sutra di Huineng. Ed. Philip Yampolsky, Columbia University Press, New York 1967.
  • Mumonkan (La barriera senza porta). Ed. Zenkei Shibayama, Harper & Row, San Francisco 1974.
  • Blue cliff record. Ed. Thomas Cleary, Shambhala, Boston 1992.

Studi classici:

  • Suzuki, D.T. Essays in zen Buddhism, 3 voll. Rider & Co., London 1949-1953.
  • Watts, Alan. The way of zen. Pantheon Books, New York 1957.
  • Herrigel, Eugen. Zen in the art of archery. Vintage Books, New York 1971.

Studi accademici:

  • Dumoulin, Heinrich. Zen Buddhism: a history, 2 voll. Macmillan, New York 1988-1990.
  • Faure, Bernard. The rhetoric of immediacy: a cultural critique of Chan/zen Buddhism. Princeton University Press, Princeton 1991.
  • Heine, Steven. Dōgen and the kōan tradition. SUNY Press, Albany 1994.
  • McRae, John. The northern school and the formation of early chán Buddhism. University of Hawaii Press, Honolulu 1986.

In italiano:

  • Suzuki, D.T. Saggi sul buddhismo zen, 3 voll. Mediterranee, Roma 1975-1985.
  • Deshimaru, Taisen. La pratica dello zen. Ubaldini, Roma 1979.
  • Watts, Alan. La via dello zen. Feltrinelli, Milano 1976.
  • Pasqualotto, Giangiorgio. Il buddhismo: i fondamenti storici e dottrinali. Bruno Mondadori, Milano 2003.
  • Jishō, Foulk T. L'arte dello zen. Mondadori, Milano 1999.

Studi comparativi

In inglese:

  • Bharati, Agehananda. The tantric tradition. Rider & Co., London 1965.
  • Loy, David. Nonduality: a study in comparative philosophy. Humanity Books, New York 1997.
  • Klein, Jean. I am. Third Millennium Publications, Santa Barbara 1989.
  • Katz, Nathan. Buddhist images of human perfection: the arahant of the Sutta piṭaka compared with the bodhisattva and the mahāsiddha. Motilal Banarsidass, Delhi 1989.

In italiano:

  • Panikkar, Raimon. L'esperienza di Dio. Queriniana, Brescia 1998.
  • Gnoli, Raniero. La rivelazione del Buddha, 2 voll. Mondadori, Milano 2001-2003.
  • Tucci, Giuseppe. Storia della filosofia indiana. Laterza, Bari 1977.
  • Pensa, Corrado. La tranquilla passione: scritti sulla meditazione di consapevolezza. Mondadori, Milano 1994.

Riviste specializzate

  • Journal of Indian philosophy (Springer)
  • Philosophy East and West (University of Hawaii Press)
  • Buddhist-Christian studies (University of Hawaii Press)
  • Studia religiosa (Italian Journal of Religious Studies)
  • Filosofia e teologia (Dehoniane, Bologna)
  • Paramita: quaderni di buddhismo (Marietti, Torino)