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Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

venerdì 20 giugno 2025

Nicola Cabasilas e la vita in Cristo

Le chiese ortodosse ricordano oggi Nicola Cabasilas, teologo laico autore di alcuni fra i più importanti trattati spirituali del cristianesimo bizantino.
Nicola era nato a Tessalonica attorno al 1322, in una importante famiglia della borghesia tessalonicese. Educato alla preghiera del cuore presso un discepolo di Gregorio Palamas, egli ricevette un'eccellente formazione giuridica e letteraria nella scuola di filosofia di Costantinopoli, tanto da essere stimato uno dei massimi umanisti bizantini.
Trovatosi a vivere in un periodo di gravi tensioni politiche ed ecclesiali, Nicola ebbe spesso una parte importante nei tentativi di ricomposizione delle beghe di corte e poi delle controversie sorte attorno agli insegnamenti degli esicasti athoniti.
Autore di importanti trattati sulla giustizia sociale e contro l'usura, con l'elezione di Callisto I a patriarca di Costantinopoli, che sembrò favorire tempi migliori nel mondo bizantino, Cabasilas decise di ritirarsi dall'impegno pubblico, e mise al servizio dei suoi contemporanei la propria profonda maturità umana e spirituale. Nella quiete e nel silenzio, egli scrisse L'interpretazione della santa liturgia e La vita in Cristo, veri e propri manuali di spiritualità accessibili al cristiano comune, chiamato a santificarsi nella vita di ogni giorno grazie ai sacramenti e alla preghiera, mediante i quali, secondo Cabasilas, ogni credente può accogliere Cristo nel proprio cuore.
Nicola si spense tra il 1391 e il 1397 senza lasciare alcuna testimonianza riguardo agli ultimi anni della sua vita.
La sua canonizzazione da parte del patriarcato di Costantinopoli risale solo al 1983.

Tracce di lettura

La grazia infonde la carità vera nell'anima degli iniziati ai misteri: quale sia poi la sua operazione in loro e quale esperienza doni, lo sanno coloro che l'hanno conosciuta.
In linea di massima si può dire che la grazia infonde nell'anima la percezione dei beni divini: dando a gustare grandi cose, ne fa sperare di ancora più grandi e, fondandosi sui beni già ora presenti, ispira ferma fede in quelli ancora invisibili.
La nostra parte invece è di custodire la carità. Non basta semplicemente incominciare ad amare e accogliere in sé questa passione: bisogna conservarla e alimentarne il fuoco perché duri. Ora restare nell'amore, nel quale è ogni beatitudine, significa appunto restare in Dio e possederlo dimorante in noi: «Chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui»; ma questo si realizza, e l'amore è ben radicato nella nostra volontà, quando vi giungiamo mediante l'osservanza dei comandi e delle leggi dell'Amato ...
Perciò il Salvatore dice: «Se osserverete i miei comandi, rimarrete nel mio amore». La vita beata è frutto di questo amore. L'amore infatti concentra la volontà dispersa da ogni dove, la distacca da tutte le altre cose e dallo stesso io volente, per farla aderire al Cristo solo.
(Nicola Cabasilas, La vita in Cristo 7,6)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Non bruciare invano

Lettura

Matteo 6,1-6.16-18

1 «Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini, per essere osservati da loro; altrimenti non ne avrete premio presso il Padre vostro che è nei cieli.
2 Quando dunque fai l'elemosina, non far suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere onorati dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno. 3 Ma quando tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra quel che fa la destra, 4 affinché la tua elemosina sia fatta in segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa. 5 «Quando pregate, non siate come gli ipocriti; poiché essi amano pregare stando in piedi nelle sinagoghe e agli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno. 6 Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta, rivolgi la preghiera al Padre tuo che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa. 16 «Quando digiunate, non abbiate un aspetto malinconico come gli ipocriti; poiché essi si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. Io vi dico in verità: questo è il premio che ne hanno. 17 Ma tu, quando digiuni, ungiti il capo e lavati la faccia, 18 affinché non appaia agli uomini che tu digiuni, ma al Padre tuo che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa.

Commento

La preghiera, l'elemosina e il digiuno sono i tre grandi doveri del cristiano, il quale è chiamato non solo ad astenersi dal male ma anche a fare il bene e ad essere perfetto: "Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5,48). 

Mediante la preghiera serviamo Dio con la nostra anima; digiunando, con il nostro corpo e compiendo le opere di carità, con i nostri beni. Gesù ci insegna come dobbiamo praticare l'elemosina, la preghiera e il digiuno, mettendoci in guardia dall'atteggiamento degli scribi e dei farisei di ogni tempo, i quali strumentalizzano la religiosità per ottenere lodi e consenso. 

La preghiera, le opere di carità e la penitenza possono aprirci a Dio e al prossimo se non rappresentano la volontà di salvarci da soli e la ricerca di ammirazione. La preghiera e le opere di pietà fatte con ipocrisia non solo non ci ottengono nulla da Dio ma diventano occasione di peccato. 

L'elemosina, lungi dall'essere qualcosa di "straordinario", tale da farci suonare orgogliosamente la tromba, è un atto di giustizia naturale verso i poveri, prima ancora che una virtù: consiste infatti nel donare loro quei beni di cui hanno bisogno e dei quali noi siamo stati costituiti da Dio non come proprietari esclusivi ma semplici amministratori.

Gesù riconosce una grande importanza alla preghiera personale, fatta nel segreto. Egli stesso è descritto di frequente nei vangeli mentre prega in luoghi solitrari. I farisei, al contrario, preferiscono pregare nelle sinagoghe e agli angoli delle strade, "stando ritti": una posizione appropriata per il cristiano (si veda Mc 11,25 dove l'utilizzo della prola greca estotes indica la postura eretta), ma alla quale è da preferirsi quella in ginocchio per le sue numerose attestazioni nei Vangeli (Lc 22,41; At 7,60; Ef 3,14).

Lo stare ritti dei farisei indica la loro sicurezza di sé davanti a Dio. La raccomandazione di Gesù a non usare troppe parole quando preghiamo deve portarci a una preghiera che sia animata dalla fiducia nel Signore, che conosce ogni nostra necessità, e a un pieno coinvolgimento di tutte le nostre facoltà: intellettive, affettive e spirituali. Quando ci rivolgiamo a Dio, una sola parola che sgorga dal profondo del cuore vale più di tutte le parole del mondo, e le più belle parole non valgono nulla se non è il cuore a parlare. Tuttavia Gesù non condanna le ripetizioni nella preghiera ma solo l'utilizzo di parole "vane", pronunciate in maniera meccanica. Egli stesso prega nel Getsèmani ripetendo le stesse parole (Mt 26,44). L'invito alla semplicità della preghiera non è nemmeno in contrasto con la perseveranza e l'insistenza cui Gesù ci invita altrove (Lc 11,1-8). Egli stesso "se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione" (Lc 6,12). Quando preghiamo, poi, non siamo mai soli, infatti "lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili" (Rm 8,26).

Le parole sul digiuno testimoniano una pratica che era comune nel tardo giudaismo e rientra pienamente nella vita spirituale del cristiano. Il digiuno è attestato ampiamente nel Nuovo Testamento: Anna "non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere" (Lc 2,37); i discepoli impongono le mani su Barnaba e Saulo "dopo aver digiunato e pregato" (At 13,3). Ma Gesù ci mette in guardia dal praticare un digiuno come mero "esercizio fisico" con la pretesa di dimostrare la nostra giustizia agli uomini. Il digiuno del corpo non serve a nulla, ed è anzi controproducente, se anziché purificare la nostra anima la rende gonfia di sé. Siamo poi chiamati a digiunare con gioia, mostrandoci lieti in volto e profumando il nostro capo. D'altra parte cosa rappresenta il vero digiuno se non rinunciare a una parte di noi stessi per ottenere da Dio quella ricompensa che è egli stesso?

Fare l'elemosina, pregare, digiunare, così come ci insegna Gesù, lungi dal dare semplicemente "qualche cosa" (i nostri beni, i nostri affetti, il nostro tempo) significa dare noi stessi a Dio, in quel "culto spirituale" cui ci chiama l'apostolo Paolo (Rm 12,1). Noi che siamo terra in cui Dio ha soffiato il suo alito di vita siamo chiamati a ritornare cenere solo dopo aver bruciato con ardore, consumandoci per Dio e per il nostro prossimo; finché tutto sarà compiuto (Gv 19,30).

Preghiera

Insegnaci a donarci, Signore, come sacrificio a te gradito; affinché possiamo crescere in santità ai tuoi occhi e ricevere in pegno la tua salvezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 19 giugno 2025

In memoria di Walter Brueggemann: il teologo dell'immaginazione profetica

- di Brent A. Strawn, Christianity Today, 17 giugno 2025

Ancora adesso ricordo la semplice copertina del libro più famoso di Walter Brueggemann: grigio scuro con il titolo "The Prophetic Imagination" in caratteri rossi. Era il 1989, ed io ero uno studente di diciotto anni del primo anno in un piccolo college cristiano di arti liberali confessionale a San Diego. In primavera di quell'anno, seguii un corso sui profeti dell'Antico Testamento, e uno dei miei compiti era leggere il libro di Brueggemann e scrivere un saggio su di esso. Dato che sono una specie di accumulatore, ho rimesso le mani su quel saggio e l'ho riletto l'altro giorno, poco dopo la morte di Brueggemann il 5 giugno 2025, all'età di 92 anni.

Quello che mi affascinò de "The Prophetic Imagination", anche alla mia giovane età, fu la definizione di Brueggemann del profeta come colui che nutre "una coscienza e percezione alternativa a quella della cultura dominante". I profeti creano quell'immaginazione prima criticando il mondo regnante opposto alla volontà di Dio e secondo energizzando il popolo di Dio verso un nuovo modo di vivere ed essere. Tutto questo aveva molto senso per me come qualcuno cresciuto in una denominazione di santità, così come aveva senso provenendo da Brueggemann, che era cresciuto nel pietismo tedesco come figlio di un pastore nella Chiesa Evangelica e Riformata.

Ma qualcos'altro mi colpì con uguale forza nel 1989, e mi è rimasto impresso da allora: è l'enfasi di Brueggemann sulla pericolosa libertà di un Dio inimmaginabilmente grande: "Un Dio libero è una cosa tremendamente pericolosa, ed è quello che il Signore è", scrissi nel mio saggio da matricola. Per dirla più semplicemente, nelle parole di Conrad Kanagy, il recente biografo di Brueggemann, che ha persino scritto un libro per bambini su di lui, Brueggemann credeva in un Dio molto grande.

L'Eredità Accademica

"The Prophetic Imagination", pubblicato per la prima volta nel 1978, arrivò a vendere un milione di copie, passando attraverso altre due edizioni, ed è stato tradotto in sei altre lingue. È l'unica pubblicazione che coloro che non hanno familiarità con il lavoro di Brueggemann probabilmente hanno sentito nominare, proprio come Brueggemann stesso potrebbe essere tra gli unici studiosi biblici che i non specialisti conoscerebbero per nome. Fu una pubblicazione spartiacque — ancora ampiamente citata — che offrì ai suoi lettori una nuova comprensione del compito profetico e un nuovo vocabolario per descriverlo.

Semplicemente, Brueggemann fu uno dei più prolifici e influenti studiosi dell'Antico Testamento del secolo scorso, con una bibliografia di oltre 120 titoli. Anche gli autori accademici più produttivi aspirano a forse tre o quattro libri in una carriera, mentre Brueggemann ne pubblicò quattordici solo negli ultimi due anni. Tuttavia non è solo la quantità delle opere pubblicate ma anche la loro qualità che stupisce. Diversi di questi libri cambiarono o ridefinirono il campo dello studio dell'Antico Testamento.

L'anno prima che "The Prophetic Imagination" fosse pubblicato, per esempio, Brueggemann scrisse l'ormai classico "The Land: Place as Gift, Promise, and Challenge in Biblical Faith", il primo studio a trattare la terra come un soggetto serio nella teologia biblica. Non ci può essere dubbio che la massiccia "Theology of the Old Testament: Testimony, Dispute, Advocacy" di 777 pagine di Brueggemann rimarrà come una delle sue opere più grandi. Lì offre il tentativo più convincente e comprensivo di categorizzare e comprendere i vari testi, tradizioni e testimonianze dell'Antico Testamento.

Oltre l'Accademia

L'influenza di Brueggemann si estese ben oltre il mondo dell'accademia, tuttavia. Come lo studioso del Nuovo Testamento N. T. Wright, Brueggemann fu uno dei pochi studiosi biblici stratosferici che potevano scrivere con la stessa facilità per il clero e i laici come per la corporazione professionale. Una volta mi disse che per essere un teologo per la chiesa, si deve scrivere sui testi che contano di più per il cristiano medio. Non è quindi sorprendente che fosse popolare tra i predicatori, che probabilmente conoscono meglio i numerosi commentari di Brueggemann, che includono trattazioni importanti di Genesi, Esodo, Deuteronomio, 1 e 2 Samuele, 1 e 2 Re, Salmi, Isaia e Geremia.

Ricordi Personali

Dopo il college, diventai ancora più familiare con le molte opere di Brueggemann, prima come seminarista, poi come studente di dottorato in Antico Testamento. Ma la mia conoscenza di lui divenne diretta quando ottenni il mio primo lavoro come professore di ruolo all'Università Emory. Una settimana dopo essere arrivato ad Atlanta, il Professor Brueggemann mi diede il benvenuto nell'area invitandomi a pranzo. Ero, inutile dirlo, estremamente nervoso per quell'appuntamento ad Athens Pizza a Decatur, Georgia.

Come imparai — dato che quel pranzo divenne il primo di molti — Brueggemann ordinava sempre la stessa cosa (un'insalata greca) dopo aver prima confermato la porzione con il cameriere (preferiva piccola) e chiedendo alcuni crackers per accompagnarla. Il pranzo durava sempre un'ora, praticamente esattamente al secondo. Le mie paure iniziali di cenare con il teologo leggendario si rivelarono infondate. Passammo la maggior parte del tempo ridendo durante quel primo pranzo e quelli che seguirono.

Doni e Gratitudine

Incoraggiato dalla sua gentilezza — se non dalla mia ingenuità giovanile — chiesi a Brueggemann di tenere una lezione ospite nel mio corso introduttivo il semestre successivo, e lui accettò gentilmente. L'invito era, naturalmente, principalmente per me per avere la possibilità di sentirlo da vicino e in carne ed ossa, anche se ero felice di lasciare che i miei studenti ascoltassero oltre la mia spalla. Ricordo ancora la sua presentazione; il suo umore; la sua voce coinvolgente, persino tonante; la sua passione; e il suo genio esegetico.

Sono grato per la possibilità di averlo sentito predicare e tenere lezioni. Una volta descrisse spiritosamente la differenza tra una lezione e un sermone come "circa 40 minuti."

Sono grato per la possibilità di averlo sentito pregare. Brueggemann non si preoccupava mai di introduzioni standard come "Caro Signore" o "Dio Misericordioso." Invece, si tuffava semplicemente nel cuore della sua preghiera con un indirizzo diretto; sapeva che Dio era già, sempre lì.

Sono grato per il suo potere poetico. Questo si manifestava nella sua arte come oratore, predicatore e persona di preghiera; nella sua argomentazione come scrittore; e nella sua osservazione come il più astuto degli esegeti. La sua onestà chiara, persino brutale di fronte al testo biblico è ineguagliabile, eccetto per l'onestà chiara, persino brutale della Scrittura stessa.

Un Addio

Credo che il 5 giugno 2025, uno dei più dotati, amati e migliori "narratori" di Dio, Walter Albert Brueggemann, si sia unito alla buona compagnia dei profeti. La sua ricerca inquieta, infinita per dire Dio nel modo giusto è finita; ora conosce anche come è pienamente conosciuto. Ma la sua testimonianza e le sue parole persistono ancora con noi, invitandoci a vivere diversamente, alternativamente, profeticamente — soprattutto, fedelmente.


Brent A. Strawn è Professore di Antico Testamento e professore di legge alla Duke University. È coautore, con Walter Brueggemann, del prossimo libro "Unwavering Holiness: Pivotal Moments in the Book of Isaiah."

Romualdo e il monachesimo integrale

La singolarissima vicenda umana e spirituale di Romualdo, animatore dell'eremitismo nell'Italia centrale e settentrionale all'alba del secondo millennio, è stata tramandata dalla Vita dei cinque fratelli del suo amico Bruno di Querfurt, ma soprattutto dalla Vita del beato Romualdo scritta pochi anni dopo la morte di Romualdo da Pier Damiani.
Romualdo nacque a Ravenna verso la metà del X secolo, da una famiglia nobile. Dopo tre anni di vita benedettina abbandonò il monastero ravennate di Sant'Apollinare in Classe con il proposito di ritrovare la solitudine e il rigore del monachesimo egiziano testimoniato dalle Vite dei padri e dalle Conferenze di Cassiano. Ispirandosi a questi testi, con alcuni compagni egli cercò di mettere in pratica i principi di un'ascesi più ordinata rispetto a quella dei solitari del suo tempo, basandola sul lavoro manuale, il totale distacco dal mondo, la stabilità nella cella, la familiarità con la Scrittura, le veglie e il digiuno.
Uomo di lacrime e di preghiera, Romualdo unì al rigore dell'insegnamento un'anima appassionata, capace di grande calore umano e di intenso affetto. Egli visse circa dieci anni nei pressi del monastero di San Michele di Cuxa, nei Pirenei, dando vita ad una colonia di eremiti. Tornato in Italia, Romualdo fu chiamato a riformare la vita monastica e a fondare numerosi eremi, incontrando incomprensioni e ostilità.
Delle sue numerose fondazioni sono sopravvissute fino a oggi con alterne vicende quelle di Camaldoli e di Fonte Avellana.
La congregazione camaldolese coniuga la dimensione comunitaria e quella solitaria, espressa, architettonicamente, dalla presenza sia dell'eremo sia del monastero. Questa comunione di vita comunitaria ed eremitica è espressa anche nello stemma, formato da due colombe che si abbeverano a un solo calice. Il cenobio, dotato di una sua autonomia, può costituire una tappa di preparazione alla vita eremitica. L'Ordine prevede anche, per chi ne senta la vocazione, l'aspetto missionario di evangelizzazione presso le genti. Quest'ultimo aspetto conferisce oggi all'Ordine camaldolese una grande apertura al dialogo ecumenico e interreligioso.
Romualdo morì nel silenzio e nella solitudine con Dio, cui aveva sempre anelato e che aveva inseguito attraverso mille peripezie, nel monastero di Val di Castro, il 19 giugno del 1027.

Tracce di lettura

Siedi nella tua cella come in paradiso; scaccia dalla memoria il mondo intero e gettalo dietro le spalle, vigila sui tuoi pensieri come il buon pescatore vigila sui pesci. Unica via, il salterio: non distaccartene mai. Se non puoi giungere a tutto, dato che sei qui pieno di fervore novizio, cerca di penetrarne il senso spirituale almeno in alcuni punti, e quando leggendo comincerai a distrarti non smettere, ma correggiti subito cercando il senso di quel che hai davanti.
Poniti anzitutto alla presenza di Dio con timore e tremore; annullati totalmente e siedi come un pulcino contento solo della grazia di Dio e incapace, se non è la madre stessa a donargli il nutrimento, di sentire il sapore del cibo nonché di procurarsene.
(parole di Romualdo in Bruno di Querfurt, Vita dei cinque fratelli 32)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Icona di GIOVANNI MEZZALIRA, tempera all’uovo su tavola telata e gessata, cm 30 x 40
San Romualdo (+ 1027)

Fermati 1 minuto. Gesù maestro di preghiera. Commento al Padre nostro

Lettura

Matteo 6,7-15

7 Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. 8 Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. 9 Voi dunque pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome;
10 venga il tuo regno;
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
11 Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
12 e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
13 e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dal male.
14 Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; 15 ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.

Commento

Prima di offrirci un modello perfetto di preghiera con il "Padre nostro" Gesù ci esorta a essere parsimoniosi nelle parole da utilizzare. Il rapporto con Dio deve essere filiale, e quindi improntato a semplicità di cuore. Lo sproloquiare (gr. battalogeo, chicchierare) può essere riferito all'abitudine dei pagani di recitare una lunga lista di nomi divini. Nella nostra preghiera dobbiamo stare attenti a comprendere quel che diciamo e a dire solo ciò che scaturisce dal profondo del nostro cuore.

Eviteremo dunque la ripetizione di formule senza prestare attenzione, ma ciò non costituisce una proibizione contro la preghiera insistente, alla quale ci esorta, ad esempio, la parabola dell'amico importuno (Lc 11,5-8). Gesù stesso prega ripetendo le stesse parole nell'orto degli ulivi: "lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole" (Mt 26,44). Non è dunque condannata la ripetizione di parole ma la vana ripetizione. Neanche è condannata la preghiera che si protrae a lungo. Gesù prega tutta la notte (Lc 6,2) ed esorta i suoi discepoli a pregare sempre, senza stancarsi (Lc 18,1).

La preghiera del Padre nostro comprende tutte le nostre reali necessità e tutto ciò che è legittimo chiedere. Era entrata sicuramente a far parte della liturgia già al tempo in cui Matteo scrive, ma lungi dal rappresentare una semplice formula è un modello di brevità, semplicità e completezza, che dovrebbe ispirare ogni altra preghiera. Delle sei petizioni tre sono rivolte a Dio e tre riguardano le necessità dell'uomo. Gesù ci esorta infatti a cercare prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, perché tutte le altre cose ci saranno date in aggiunta (Mt 6,33). 
Le richieste per le necessità umane sono tutte rivolte al plurale, a indicare che dobbiamo pregare gli uni per gli altri, in un vincolo di comunione.

Le prime parole della preghiera rivelano la natura intima di Dio: Egli è padre; e noi possiamo chiamarlo Padre perché in Cristo abbiamo ricevuto lo spirito di adozione a figli. Lo Spirito stesso intercede nella nostra preghiera, con gemiti inesprimibili (Rm 8,26), gridando "Abbà, Padre" (Gal 4,6).

Il primo atto della preghiera è un atto di adorazione: "sia santificato il tuo nome" (v. 9). Tutte le altre richieste devono essere subordinate a questa e devono avere come unico scopo questa. Santificare (gr. hagiazo) il nome di Dio può essere inteso come un atto di ossequio e obbedienza; ma è anche una invocazione affinché Dio santifichi il suo stesso nome, manifestando la sua potenza e la sua gloria con l'avvento del suo regno. Nella supplica che segue (v. 10) si chiede infatti che il regno, predicato da Cristo e dai suoi apostoli, giunga a compimento sulla terra, così come è realizzato perfettamente in cielo.

"Sia fatta la tua volontà" esprime la necessità che ogni richiesta sia sottomessa ai piani e alla gloria di Dio. Con questa invocazione chiediamo che in questo mondo, deturpato dal maligno, prevalga la volontà di Dio, che lo rende simile al Cielo.

Gesù ci invita a chiedere al Padre che ci doni il pane quotidiano (v. 11). Non che ce lo venda, né che ce lo presti, ma che ce lo dia per la sua misericordia. La nostra sopravvivenza, materiale e spirituale, dipende dalla grazia di Dio.
L'aggettivo greco epiousios viene comunemente tradotto con "quotidiano", a indicare il nutrimento materiale essenziale per il nostro sostentamento. Ma il termine potrebbe anche essere reso con "futuro", assumendo una connotazione escatologica e venendo a significare il pane del giorno che verrà, il pane del regno, tanto desiderato e ora urgentemente atteso ("dacci oggi"). Con queste parole chiediamo dunque anche il pane che nutre il nostro spirito, il pane sacramentale e la grazia di Dio, con cui riceviamo Cristo, il pane vivo disceso dal cielo (Gv 6,51).

La richiesta di rimettere, letteralmente "lasciar andare", i debiti (v. 12), ovvero i peccati contratti verso Dio, è correlata al perdono nel giudizio finale. Chiediamo di essere perdonati come noi perdoniamo ai nostri debitori, non comportandoci come il servo al quale fu condonato molto dal suo padrone ma che non ebbe pietà del suo conservo (Mt 18,21-35).

Gesù ci esorta a chiedere di non essere introdotti nella tentazione (v. 13); questo il senso traslato della parola greca eisphero, che significa "portar dentro" Tenendo conto quanto afferma Giacomo nella sua lettera, dove è detto che "Dio non tenta nessuno al male" (Gc 1,13) si arriva alla conclusione che non è Dio l'agente attivo della tentazione, sebbene l'esempio di Giobbe dimostra che egli può mettere l'uomo alla prova esponendolo all'azione di Satana. Ciò che si chiede al Padre è di essere preservati dalle tentazioni, che qui possono essere riferite sia ai peccati che alle più generali prove della fede. Nel contesto escatologico dominante di questo passo il senso potrebbe essere anche quello di chiedere a Dio di risparmiare ai discepoli le prove e le persecuzioni che precedono la fine dei tempi. 

Il termine greco hò poneròs indica il male, da cui si chiede di essere liberati; è chiaramente maschile e sta a indicare il Maligno, a causa del quale il peccato e la morte sono entrati nel mondo.

Esortandoci a perdonare per essere perdonati (vv. 14-15), Gesù non condiziona la nostra giustificazione alle nostre opere. La grazia che ci è stata accordata dal sangue di Cristo e che trova espressione nel segno sacramentale del Battesimo ci ha purificati completamente dal peccato, ma qui siamo invitati a chiedere a Dio e concedere al nostro prossimo una remissione dei peccati quotidiani, come un lavacro parziale: "Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo" (Gv 13,10). Con le parole a commento della sua preghiera (v. 14) Gesù attesta che egli è venuto nel mondo non solo per riconciliarci con il Padre ma anche per riconciliarci l'un l'altro.

Preghiera

Signore Gesù Cristo, insegnaci a pregare; perché possiamo crescere in santità e sapienza in un continuo dialogo con il nostro Padre che è nei Cieli. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 18 giugno 2025

Fermati 1 minuto. Quale mèta rincorriamo?

Lettura

Matteo 6,19-23

19 Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; 20 accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. 21 Perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore.
22 La lucerna del corpo è l'occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; 23 ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!

Commento

L'accumulo di tesori "in cielo" (v. 20) ha a che fare con l'utilizzo dei beni terreni guidati da spirito di carità e condivisione.

Agire rettamente nell'amministrare i beni terreni significa praticare l'elemosina, digiunare e vivere con sobrietà confidando in Dio nella preghiera, come raccomandato da Gesù (Mt 6,1-18).
Se la manna stessa, cibo disceso dal cielo, messa in serbo per il giorno successivo "fece i vermi e si imputridì" (Es 16,20), il cristiano nel suo esodo verso la vita eterna non deve preoccuparsi di accumuare ricchezze. Anche le grazie spirituali che riceviamo da Dio non devono portarci a confidare su una "scorta di meriti", perché quotidianamente dobbiamo alimentare la nostra fede, rendendola efficace nella carità.

Gli uomini pongono il proprio cuore là dove è il loro tesoro (Mt 6,19-21) e allo stesso modo fissano i loro occhi in ciò che desiderano di più (vv. 22-23). Un occhio puro ama posarsi sui beni celesti e rende limpido il nostro intero essere. Un desiderio disordinato dei beni terreni è rappresentato da Gesù con l'analogia dell'occhio malvagio, nel quale non può entrare alcuna luce e che farà giacere tutto l'uomo nelle tenebre.

La luce che è tenebra (v. 23) è da intendersi come espressione di una religiosità esteriore, ipocrita: una  mosca morta rovina l'olio del profumiere (Eccl 10,1). Per questo l'occhio malvagio rappresenta anche la cattiva intenzione nelle azioni dell'uomo, per malizia o per colpevole ignoranza.

Tutte le realtà terrene sono caratterizzate dall'impermanenza e dall'incapacità di colmare il desiderio di bene presente nel cuore dell'uomo, il quale trasformandole in idoli non potrà che andare incontro alla delusione.

Gesù ci chiama a fare chiarezza su quale mèta stiamo rincorrendo, qual è il fine che abbiamo scelto per la nostra vita, ciò che la riempie di senso, invitando la nostra anima a scegliere "la parte migliore, che non le sarà tolta" (Lc 10,42).

Preghiera

Donaci, Signore, la saggezza di scegliere la via del vangelo, per rendere la nostra fede operosa e far fruttare i doni del tuo Spirito. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 17 giugno 2025

Fermati 1 minuto. Supplemento di amore

Lettura

Matteo 5,43-48

43 Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; 44 ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, 45 perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. 46 Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47 E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48 Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.

Commento

La prima parte del comandamento citato da Gesù, l'amore per il prossimo, è contenuta nella legge mosaica (Lv 19,18). Sebbene l'odio verso i malvagi nell'Antico Testamento sia considerato giusto (Sal 139,19-22), non c'è propriamente un comandamento che prescriva di odiare i propri nemici. Inoltre va rilevato che la parola "odiare" in ambito semitico non ha la connotazione estremamente negativa acquisita nel nostro linguaggio. 

Gesù estende ai nemici il comandamento dell'amore e invita i suoi discepoli a imitare l'esempio del Padre, che concede i suoi doni sia ai buoni che ai cattivi. Un cenno all'amore per i nemici è contenuto nell'Antico Testamento, nel libro dei Proverbi (Prov 25,21).

I pubblicani vengono assurti a simbolo del "nemico" di Israele per eccellenza. Erano infatti gli esattori delle tasse al servizio dei romani e perciò particolarmente odiati. Matteo era stato uno di loro, prima di diventare discepolo di Gesù.

L'esortazione di Gesù a non limitarsi ad amare i propri fratelli (v. 47) mette in guardia da ogni settarismo, che era proprio delle diverse correnti ebraiche e rischia di essere replicato nella Chiesa. Un atteggiamento stigmatizzato anche da Paolo nella sua prima lettera ai Corinti: "Mi è stato segnalato infatti a vostro riguardo, fratelli (...) che vi sono discordie tra voi. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: 'Io sono di Paolo', 'Io invece sono di Apollo', 'E io di Cefa', E io di Cristo!'" (1 Cor 1,12). I cristiani dovrebbero dunque evitare che le differenze denominazionali diventino fonte di divisione nella Chiesa.

Ai discepoli di Gesù è richiesto un supplemento di amore, che li renda capaci di dare a tutti più degli altri; questo è il distintivo del loro essere cristiani.

Gesù ci insegna che la pratica del vangelo è più che semplice umanesimo. Lo sforzo che richiede per vincere la tendenza retributiva della nostra natura e imitare il Padre nella sua benevolenza può giungere a compimento solo con l'assistenza della grazia santificante, effusa dallo Spirito.

Preghiera

Rendici capaci, Signore, di un amore senza condizioni; come tu per primo ci hai amato, donandoci tutto te stesso nell'opera della redenzione. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 16 giugno 2025

Giovanni Taulero e l'abisso dell'anima

Il 15 giugno 1361 muore a Strasburgo, dov'era nato agli inizi del secolo, Johannes Tauler, frate domenicano e testimone fra i più amati nel medioevo occidentale.

Di famiglia benestante, Johannes era entrato nel convento domenicano di Strasburgo non ancora quindicenne, e vi aveva ricevuto una tradizionale educazione scientifica, teologica e spirituale. Ma la vera spinta a ripensare in profondità la sua fede gli venne dal fatto di vivere un tempo di grandi conflitti e contraddizioni al vangelo, anche in seno al suo Ordine, che avevano provocato a più riprese gli interventi diretti del capitolo generale dei Predicatori.
Per rispondere alla decadenza nella vita spirituale dei religiosi e del popolo cristiano, Tauler diede vita ai cosiddetti «amici di Dio», ossia a gruppi di cristiani impegnati a vivere una vita di fede maggiormente fondata sull'ascolto del vangelo e sulla preghiera personale.
In anni di intenso apostolato in seno ai conventi domenicani dell'Alsazia e presso i beghinaggi della regione, Tauler insegnò un modo di vivere l'esperienza dell'incontro con Dio ispirato alla visione teologica dei padri della chiesa e nel contempo alla mistica di Meister Eckhart. Egli formò così intere generazioni di credenti a una spiritualità capace di sostenere un impegno concreto e coerente con il vangelo nella vita di tutti i giorni.
Alla sua morte, Tauler lasciò una collezione di Sermoni che rimangono fra le espressioni più sobrie ed evangeliche della letteratura mistica medievale.

Tracce di lettura

L'autentica preghiera è una vera ascensione in Dio, che eleva completamente lo spirito, cosicché Dio può in verità entrare nel fondo più puro, più intimo, più nobile, più interiore, dove solo c'è vera unità, riguardo al quale Agostino dice che l'anima ha in sé un abisso nascosto che non ha nulla a che fare con il tempo e con tutto questo mondo.
In questo nobile, delizioso abisso, in questo regno celeste, là s'immerge la dolcezza, è là eternamente il suo posto, e là l'uomo diventa tanto silenzioso, essenziale e assennato, e sempre più distaccato, più interiorizzato e più elevato in una maggior purità e passività, e sempre più abbandonato in ogni cosa, perché Dio stesso è venuto di presenza in questo nobile regno, e vi opera, vi dimora e vi regna.
Allora l'uomo acquista una vita tutta divina, e lo spirito si fonde qui completamente, s'infiamma in ogni cosa ed è attirato nel fuoco ardente della carità che è essenzialmente per natura Dio stesso. Da tale stato, gli uomini ridiscendono poi a tutte le necessità del santo popolo cristiano, si volgono con una preghiera e un desiderio santi verso tutto ciò per cui Dio vuole essere pregato, e a vantaggio dei loro amici, vanno ai peccatori e si adoperano in tutta carità a trovare rimedio per i bisogni di ciascun uomo.
(J. Tauler, Sermoni 24,7)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Johannes Tauler - Wikiquote
Johannes Tauler (ca 1300-1361)

Fermati 1 minuto. La perfezione della giustizia, frutto della grazia

Lettura

Matteo 5,38-42

38 Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; 39 ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; 40 e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. 41 E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. 42 Da' a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle.

Commento

Gesù cita la legge del taglione, applicata nel mondo antico, secondo la quale si infligge al responsabile di una lesione personale la stessa lesione da lui provocata alla vittima. Questa legge (Es 21,24; Dt 19,21; Lv 24,20) ha lo sopo di moderare la vendetta, nel senso di non assegnare una lesione superiore al male ricevuto. Per offese meno gravi, come le ingiurie, era permesso un risarcimento pecuniario.

Gesù proibisce ogni forma di riparazione compensativa, non per una passività fine a se stessa, bensì per un atteggiamento tendente a indurre il nemico a cambiare e a vivere secondo giustizia.

Non opporsi al malvagio significa qui non reagire a chi ci fa del male contraccambiandolo sul piano personale o perseguendolo sul piano giudiziario. Una simile predisposizione al perdono può nascere dalla consapevolezza di essere stati noi per primi perdonati e giustificati da Dio per le nostre mancanze.

Questo atteggiamento riguarda la sfera personale e non la lotta contro azioni criminali (Rm 13,4) o aggressioni militari.

Solo il primo dei cinque esempi portati da Gesù riguarda direttamente la riparazione di un torto subito; gli altri invece mettono in evidenza la liberalità del comportamento cristiano. 

Non reagire alle offese attesta il rimettere a Dio il giudizio. Ma la perfezione della nuova legge è espressa dalla preghiera per i propri nemici (Mt 5,44), di cui Gesù stesso dà testimonianza sulla croce: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34). Solo la grazia santificante può renderci capaci di giungere a un grado così alto di perfezione.

Dare il mantello (lunga veste esterna) era un sacrificio più grande che non dare la tunica (veste interna). Inteso anche nella sua dimensione spirituale questo atto significa coprire sotto il manto della misericordia le mancanze del prossimo.

Compiere due miglia con chi chiede di accompagnarlo per uno indica la disponibilità a prestare il proprio tempo e il proprio sostegno a chi ne ha bisogno. Deviare dalla propria strada per accompagnare il nostro prossimo sulla sua è spesso un sacrificio che ci costa grande fatica, perché il tempo è spesso quanto di più prezioso abbiamo a disposizione. Gesù risorto, sulla via di Emmaus, si farà compagno dei due discepoli lungo il loro cammino, confortandoli dalla tristezza e spiegandogli le Scritture.

Gesù invita poi alla generosità; chiedere di dare un prestito a chi ne ha bisogno equivale a imitare la stessa magnanimità di Dio, il quale ci ha dato la vita, i beni della creazione, i nostri talenti personali, e ci soccorre con la sua grazia. Un mondo in cui ciascuno applicasse la stessa giustizia di Dio, riguardo la quale Gesù afferma "chiedete e vi sarà dato" (Lc 11,9), sarebbe un mondo giusto e solidale. Un mondo che applicasse il suo comandamento di amarci gli uni gli altri come egli ha amato noi (Gv 15,12) camminerebbe sulle vie della pace (Lc 1,79).

Preghiera

Porta a perfezione la nostra giustizia, Signore, affinché facendoci tuoi imitatori possiamo contribuire all'avvento del tuo regno. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 14 giugno 2025

Eliseo, profeta della fedeltà all'unico Dio

Le chiese ortodosse ricordano in questo giorno il profeta Eliseo, la cui vita è narrata nel Primo e nel Secondo libro dei Re.

Eliseo era figlio di Safat, secondo la tradizione un ricco agricoltore della valle del Giordano, e ricevette la vocazione profetica attraverso la mediazione di Elia.
Egli fu l'erede e il continuatore dell'opera profetica di Elia, come ricordano sia l'episodio della chiamata di Eliseo al profetismo, sia quello dell'ascensione di Elia in cielo sopra un carro infuocato. I due terzi dello spirito che Eliseo chiede al proprio maestro rappresentano infatti la parte di eredità spettante al primogenito nelle famiglie di quel tempo.
Eliseo, il cui nome significa «Dio salva», esercitò il proprio ministero nella seconda metà del IX sec. a.C., annunciando la potenza vivificante del Dio di Israele con la parola e con le opere che compì nel suo nome, soprattutto a vantaggio dei piccoli e dei sofferenti. Egli rivendicò con coraggio nel regno del nord la fedeltà al Dio unico in un periodo delicato per la storia della monarchia in Israele.
Eliseo morì agli inizi dell'VIII sec. a.C. dopo aver consegnato l'ultima istruzione a Ioas, re d'Israele.

Tracce di lettura

Disceso dall'Oreb, Elia incontrò Eliseo figlio di Safat. Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé, mentre egli stesso guidava il dodicesimo. Elia, passandogli vicino, gli gettò addosso il suo mantello. Quegli lasciò i buoi e corse dietro a Elia, dicendogli: «Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò». Elia disse: «Va' e torna, perché sai bene cosa ho fatto di te». Allontanatosi da lui, Eliseo prese un paio di buoi e li uccise; con gli attrezzi per arare ne fece cuocere la carne e la diede alla gente, perché la mangiasse. Quindi si alzò e seguì Elia, entrando al suo servizio.

Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Eliseo, profeta (IX sec.)

Richard Baxter. La santità pratica, oltre il legalismo

La Chiesa anglicana fa oggi memoria di Richard Baxter (1615-1691), uno dei più influenti teologi puritani inglesi del XVII secolo. Nato nel Shropshire, ricevette un'educazione prevalentemente autodidatta che forgiò il suo carattere intellettuale indipendente.

Ordinato nel 1638, Baxter iniziò il suo ministero in un periodo di grandi trasformazioni religiose e politiche. La sua esperienza pastorale a Kidderminster (1641-1660) rappresentò il culmine della sua attività ministeriale, dove trasformò una comunità moralmente degradata in un modello di vita cristiana attraverso la predicazione appassionata e la cura pastorale sistematica.
Baxter sviluppò una teologia che cercava di mediare tra le diverse correnti protestanti del suo tempo. Pur rimanendo fedele ai principi riformati, propose un approccio moderato che enfatizzava l'importanza della santificazione pratica e della vita devozionale. La sua opera principale, "The Reformed Pastor" (1656), divenne un classico della letteratura pastorale, sottolineando la necessità per i ministri di essere esempi viventi di fede.

Il suo pensiero si caratterizzava per l'equilibrio tra ortodossia dottrinale e pietà pratica, opponendosi sia al legalismo rigido che al libertinismo. Baxter credeva fermamente nell'importanza dell'educazione religiosa e nella disciplina ecclesiastica come strumenti di crescita spirituale.

Autore prolifico con oltre 160 opere pubblicate, Baxter influenzò profondamente il puritanesimo inglese e la tradizione evangelica successiva. La sua enfasi sulla conversione personale, la santità pratica e il ministero pastorale continuò a ispirare generazioni di predicatori e teologi, consolidando il suo posto tra i grandi maestri della spiritualità protestante.

Tracce di lettura

Il riposo dei santi non consiste nell'ozio, ma in quella dolce e incessante azione dell'anima che è perfettamente adeguata alle sue facoltà rinnovate. Come il sole non si stanca mai di splendere, né le fontane di fluire, così i santi glorificati non si stancheranno mai di amare, lodare e servire il loro Creatore. La loro attività sarà la loro felicità, e la loro felicità la loro attività. (Richard Baxter, Il riposo eterno dei santi, 1650)

Il vento soffia dove vuole

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Colletta

Dio onnipotente ed eterno, che hai donato a noi, tuoi servi, la grazia di riconoscere la gloria della tua divina maestà, mediante la confessione della vera fede; ti supplichiamo di custodirci in questa fede e di difenderci da ogni avversità; tu che vivi e regni, unico Dio, nei secoli dei secoli. Amen.

Letture

Ap 4,1-11; Gv 3,1-15

Commento

Nella conversazione notturna con l’amico Nicodemo Gesù ci lascia un insegnamento sul suo modo di intendere l’impegno religioso, lontano dal semplice senso di appartenenza o dalla fedeltà legalistica alla lettera dei testi sacri. Il vento soffia (Gv 3,8), ma occorre dispiegare le vele della fede per lasciarci guidare dallo Spirito.

La direzione dalla quale e verso la quale si muove lo Spirito non è prevedibile, è capace di sorprenderci sempre. Per questo occorre essere dei navigatori attenti alle sue sollecitazioni, in modo da sapere da quale direzione prendere il vento. La nostra traversata si compie sotto la spinta di una fonte di energia che non può essere accumulata e conservata. È dunque necessaria una nostra apertura allo Spirito qui ed ora, in ogni momento, che si manifesta nella meditazione assidua della Parola di Dio. La nostra docilità alla sua azione non può venire meno, se non vogliamo esporci alle correnti e andare alla deriva.

Il lungo periodo liturgico che va dalla domenica dopo Pentecoste fino all'Avvento riassume il principio e al tempo stesso il fine ultimo della creazione, la ragione per cui siamo stati creati e ciò che costituirà la nostra vita quando avremo combattuto la buona battaglia e preservato la fede fino alla fine: la vita in comunione con Dio, partecipando al suo mistero.

Ma occorre rinascere dall'alto, dall'acqua e dallo Spirito Santo. Occorre lasciarsi rigenerare da Dio, per vedere il mondo con occhi sempre nuovi, per ascoltare e gustare tutte le cose con la meraviglia di un bambino da poco venuto alla luce.

Tutto è straordinario per chi accoglie il dono dello Spirito. La vita del cristiano non ha mai nulla di ordinario nel senso peggiorativo del termine. La noia, la monotonia, il vuoto, sono sensazioni lontane dalla vita di chi possiede Cristo. Chi ha fede non ha bisogno di stordire i sensi con emozioni sempre nuove. La fede rende la vita quotidiana luogo di incontro con Dio, in cui diventiamo destinatari e al tempo stesso dispensatori delle sue benedizioni.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 13 giugno 2025

Evagrio Pontico. "Se preghi sei veramente teologo"

Nel 399, il giorno dell'Epifania, si spegne Evagrio Pontico, monaco e maestro di vita spirituale nel deserto egiziano.
Era nato attorno al 345 a Ibora, nel Ponto, in una famiglia di alti notabili, e questo gli permise di ricevere una formazione completa e raffinata.
Ordinato lettore da Basilio, egli divenne membro del clero di Cesarea, ove rimase fedele al proprio vescovo fino alla morte di quest'ultimo. Quindi si trasferì a Costantinopoli dall'amico Gregorio di Nazianzo, che lo ordinò diacono e lo volle al proprio fianco nella difficile lotta contro gli ariani.
Quando Gregorio si ritirò, egli trascorse un certo tempo al servizio del nuovo patriarca Nettario, finché una serie di drammatiche circostanze finì, secondo le sue stesse parole, per «esiliare Evagrio nel deserto». Fuggito da Costantinopoli, si recò a Gerusalemme, e quindi raggiunse il deserto egiziano di Nitria attorno al 384. Dopo due anni di vita semianacoretica alla scuola di Macario di Alessandria e di Macario il Grande, egli ottenne un maggiore isolamento nel deserto delle Celle.
La sua lotta nel deserto, non del tutto scelta ma pienamente assunta, non fu vana. Nel deserto Evagrio sviluppò infatti una sintesi di teologia e di monachesimo pratico unica per il suo tempo. La sua sensibilità psicologica, la sua finezza analitica ne fecero uno dei più grandi maestri spirituali dell'antichità, e a lui si ispireranno Massimo il Confessore, Isacco il Siro e Simeone il Nuovo Teologo, per citare solo i padri più famosi.
La condanna di alcune sue affermazioni, avvenuta a quasi due secoli dalla morte e in circostanze non chiare, ha a lungo infangato la memoria di Evagrio, anche se non ha impedito che i suoi scritti, spesso sotto altro nome, giungessero fino a noi. Solo la critica moderna gli ha restituito l'onore che si merita.

Tracce di lettura

La fede è il principio della carità; il fine della carità, la conoscenza di Dio.
(Evagrio, Ai monaci 3)
«Fa', o Signore, che conosca le tue vie, e insegnami i tuoi sentieri». Chi vuole conoscere «le vie del Signore», diventi mite. Si dice infatti: «Ai miti egli insegnerà le sue vie». Sono miti coloro i quali hanno placato nell'anima la lotta indefessa dell'irascibilità e della concupiscenza, nonché la lotta delle passioni da esse suscitate.
(Evagrio, Scholia sui Salmi 24,4)
Nessuna virtù produce la sapienza come la mitezza, a motivo della quale anche Mosè fu lodato, perché era «il più mite di tutti gli uomini».
(Evagrio, Lettere 36,3)
Dimmi, dunque, perché la Scrittura, quando ha voluto esaltare Mosè, ha lasciato da parte tutti i segni mirabili e pensato unicamente alla mitezza? ... Essa infatti dice che egli, nel deserto, stette tutto solo davanti al volto di Dio, quando questi volle annientare Israele, e chiese di essere annientato con i figli del suo popolo. Egli presentò dinanzi a Dio l'amore per gli uomini e la trasgressione dicendo: «Perdona loro, o cancellami dal libro che tu hai scritto». Così parlo il mite! Dio allora preferì perdonare coloro che avevano peccato, piuttosto che far torto a Mosè.
(Evagrio, Lettere 56,6).
Se sei teologo pregherai veramente, e se preghi veramente sei teologo.
(Evagrio, Sulla preghiera 60)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. La custodia del cuore

Lettura

Matteo 5,27-32

27 Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; 28 ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.
29 Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. 30 E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna.
31 Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto di ripudio; 32 ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all'adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.

Commento

Gesù porta alle estreme conseguenze la legge del Decalogo, riconducendola al suo spirito più profondo. Il cristiano non si accontenta di combattere l'atto esteriore dell'adulterio, ma anche il desiderio, che rappresenta già una scelta interiore di infedeltà. Le sue radicali raccomandazioni contro le passioni disordinate (v. 29) non costituiscono un invito all'automutilazione, poiché la lussuria nasce dal cuore, ma indicano la gravi conseguenze del peccato. 

La Geenna era la valle di Hinnom, situata sul lato meridionale del Monte Sion, in cui era stato praticato nell'antichità il culto pagano di Moloch (che prevedeva anche olocausti di bambini); divenne in seguito una discarica, in cui venivano bruciati i rifiuti. Il desiderio disordinato è un fuoco che consuma senza sosta e tiene l'uomo lontano dalla presenza di Dio.

Il vangelo insegna che la sessualità è un linguaggio di amore e la sottoscrizione di un'alleanza, non va dunque banalizzata trasformando gli altri in mero oggetto di piacere.

Radicale è l'atteggiamento di Gesù anche sulla questione del ripudio. Questo è giustificato dalla legge mosaica nel caso sia intervenuto qualcosa di sconveniente (Dt 24,1), ma deve avvenire mediante il rilascio di un attestato scritto per salvaguardare la donna dall'accusa di adulterio. Altrove Gesù afferma che Mosè ha permesso il ripudio per la durezza del cuore degli uomini, ma che "'in principio non fu così'" (Mt 19,1-9). L'atto di ripudio va dunque considerato una condizione a tutela della moglie, non come un precetto ma come una concessione. Gesù è venuto a restaurare la creazione nella purezza delle sue origini.

Il vangelo chiede ai coniugi una piena donazione reciproca. Viene posta l'eccezione nel caso di porneia, che può essere interpretato come "concubinato" (rapporti considerati illegittimi, perché tra parenti prossimi (cfr. Lv 18,6-18), ma anche come adulterio del coniuge. Il rigore di Gesù sulla questione del ripudio è riferito anche dal Vangelo di Marco (Mc 10,11-12) e dal Vangelo di Luca (Lc 16,18). Paolo ribadisce il divieto del ripudio, anche se appronfondisce la questione indicando la possibilità per la moglie di separarsi dal marito, a condizione di rimanere senza sposarsi una seconda volta (1 Cor 7,10-11).

Con le sue raccomandazioni Gesù ci invita a prenderci cura dei nostri pensieri e delle nostre emozioni, perché le opere malvagie, così come quelle buone, vengono dal di dentro. La nostra mente e il nostro cuore plasmano l'uomo esteriore, ne orientano le azioni e determinano le loro conseguenze. Conserviamo integro il nostro spirito, nello stesso modo in cui ci prendiamo cura del nostro corpo. Esaminare la propria anima, non lasciarsi soggiogare dalle passioni, saper fare una selezione delle continue sollecitazioni che provengono dal mondo è la virtù dell'uomo sapiente e fedele a Dio.

Preghiera

Custodisci la porta del nostro cuore, Signore, affinché possiamo restare fedeli a te e a coloro che ci hai chiamato ad amare. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 11 giugno 2025

La fede radicale di Walter Brueggemann in 10 citazioni indimenticabili

Walter Brueggemann credeva che il futuro fosse ancora da scrivere. Lo studioso biblico e teologo, morto il 5 giugno all'età di 92 anni, ha dedicato la sua carriera straordinariamente prolifica a incoraggiare i cristiani a pensare oltre ciò che è e a immaginare ciò che potrebbe essere. Quella possibilità, credeva, era radicata nella speranza di un Dio che desidera giustizia per gli emarginati. Brueggemann aveva uno spirito umile, una mente accademica e un'anima poetica — ma non lasciatevi ingannare: era, soprattutto, un radicale.

Nacque nel Nebraska rurale, figlio di un pastore che si innamorò presto del mondo accademico. Dopo aver conseguito un dottorato di ricerca presso la Saint Louis University, divenne professore di Antico Testamento al Eden Theological Seminary fuori St. Louis, Missouri, prima di assumere lo stesso ruolo al Columbia Theological Seminary a Decatur, Georgia, dove prestò servizio dal 1986 fino al suo pensionamento quasi due decenni dopo. Durante la sua carriera, Brueggemann conquistò un vasto pubblico, che attraversava diverse denominazioni, per la sua esegesi biblica orientata alla giustizia. Credeva che Gesù stesse dalla parte dei poveri, degli emarginati e degli esclusi, e che il cristianesimo, preso sul serio, dovesse sempre esistere in opposizione profetica all'impero.

Lo fece attraverso libri molto amati come "Truth Speaks to Power" (2013), "Sabbath as Resistance" (2014), e, più famoso di tutti, "The Prophetic Imagination" (1978), che rimane un testo indispensabile per qualsiasi cristiano impegnato nella giustizia. "L'Immaginazione Profetica ha dato a innumerevoli cristiani bianchi della corrente principale il permesso di riconsiderare la giustizia sociale come parte integrante della loro fede e pratica", ha dichiarato a Sojourners nel 2018 il teologo attivista Ched Myers. "In esso un membro rispettato della corporazione accademica (e un presbiteriano) ha osato oltrepassare il divario tra seminario, santuario e strade — qualcosa di fin troppo raro negli studi biblici professionali bianchi dell'epoca."

Il modo migliore per onorare Brueggemann è iniziare a leggere. Prendete "The Prophetic Imagination", "Sabbath as Resistance", o uno qualsiasi dei più di 100 libri che ha scritto. Mentre piangiamo la sua perdita e celebriamo la sua eredità, ecco alcune citazioni da alcuni di quei libri per ispirare la vostra riflessione e motivarvi verso il tipo di fede che Brueggemann credeva tutti noi dovessimo aspirare ad avere: una fede che prospera nella possibilità del futuro ancora da scrivere.

Le 10 Citazioni

1. "La compassione costituisce una forma radicale di critica, perché annuncia che il dolore deve essere preso sul serio, che il dolore non deve essere accettato come normale e naturale ma è una condizione anormale e inaccettabile per l'umanità." – Da "The Prophetic Imagination"

2. "La speranza, da una parte, è un'assurdità troppo imbarazzante di cui parlare, perché va contro tutte quelle affermazioni che ci hanno detto essere fatti. La speranza è il rifiuto di accettare la lettura della realtà che è l'opinione della maggioranza; e si fa questo solo a grande rischio politico ed esistenziale. D'altra parte, la speranza è sovversiva, perché limita la grandiosa pretesa del presente, osando annunciare che il presente verso cui tutti abbiamo preso impegni è ora messo in discussione." – Da "The Prophetic Imagination"

3. "Quel riposo divino del settimo giorno della creazione ha reso chiaro (a) che YHWH non è un maniaco del lavoro, (b) che YHWH non è ansioso riguardo al pieno funzionamento della creazione, e (c) che il benessere della creazione non dipende dal lavoro senza fine." – Da "Sabbath as Resistance"

4. "Sia nel suo insegnamento che nella sua presenza stessa, Gesù di Nazareth ha presentato la critica definitiva della coscienza regale. Ha, infatti, smantellato la cultura dominante e annullato le sue pretese. Il modo della sua critica definitiva è la sua solidarietà decisiva con le persone marginali e la vulnerabilità che accompagna quella solidarietà richiesta da essa. L'unica solidarietà che vale la pena affermare è la solidarietà caratterizzata dalla stessa impotenza che essi conoscono e sperimentano." — Da "The Prophetic Imagination"

5. "Il risultato è delegittimare e decostruire i re in modi efficaci per mostrare che mentre occupano le forme del potere, mancano della sostanza del potere." – Da "Truth Speaks to Power"

6. "Dato che ora viviamo in una società — e in un mondo — che sta andando a tentoni verso il fascismo, rompere il silenzio è del tutto urgente. Nella vita istituzionale della chiesa, inoltre, rompere il silenzio attraverso la testimonianza del vangelo spesso significa rompere il silenzio tra coloro che hanno un interesse determinato nel mantenere lo status quo." — Da "Interrupting Silence"

7. "La preghiera è un rifiuto di accontentarsi di ciò che è." — Da "Interrupting Silence"

8. "Il mondo non ha bisogno che la chiesa parli di ciò che è già possibile. Il lavoro della chiesa è combattere la definizione del mondo di ciò che è credibile e incredibile." — Da "A Gospel of Hope"

9. "Quindi l'immaginazione profetica è radicata nella convinzione che Dio stia facendo qualcosa di vivace nel mondo. Che possa essere lento, ma è molto sicuro, e che un mondo nuovo stia nascendo che screditerà e respingerà il vecchio totalismo." — Da "Called to a Dangerous Oddness"

10. "La pratica dell'immaginazione profetica richiede energia, coraggio e libertà e il senso di essere altrimenti. Non ho dubbi che stiamo ora arrivando a un momento in cui non c'è più una via di mezzo. Che o aderiamo acriticamente al totalismo, o prendiamo su di noi questo compito di pericolosa stranezza che espone le contraddizioni e realizza le alternative." – Da "Called to a Dangerous Oddness"

Fermati 1 minuto. L'accoglienza e il rifiuto dell'annuncio di pace

Lettura

Matteo 10,7-15

7 E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. 8 Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. 9 Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, 10 né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l'operaio ha diritto al suo nutrimento.
11 In qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza. 12 Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. 13 Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi. 14 Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi. 15 In verità vi dico, nel giorno del giudizio il paese di Sòdoma e Gomorra avrà una sorte più sopportabile di quella città.

Commento

Il messaggio degli apostoli - che annuncia la prossimità del regno dei cieli e la necessità della conversione è lo stesso di Giovanni Battista e di Gesù.

In questa prima fase del mandato missionario Gesù chiede di non andare tra i pagani, perché il vangelo andrà annunciato prima al popolo di Israele. Non chiede agli apostoli di compiere prodigi come spostare le montagne o far scendere il fuoco dal cielo, ma di farsi benedizione, perché l'amore e la bontà sono l'essenza del regno, di cui sono chiamati a stabilire le fondamenta.

Allo stesso modo in cui i dodici hanno ricevuto la loro chiamata e la missione come dono di Dio, così tutto dovranno donare agli altri gratuitamente. Non potranno, dunque, richiedere denaro in cambio del loro ministero, ma gli è concesso di accettare solo ciò che è strettamente necessario alle necessità di base, come il nutrimento (v. 10).

L'equipaggio leggero degli apostoli, privi di denaro, bisaccia, vesti di ricambio e persino di sandali e di bastone (v. 10), indica il completo affidamento alla provvidenza divina e li mette al riparo dall'accusa di avidità. I discepoli dovranno accettare l'offerta di ospitalità risiedendo in una sola casa, senza perdere tempo a cercare una sistemazione migliore. 

Gesù invita gli apostoli a porgere un saluto di pace nei luoghi in cui entreranno che, se non accolto, ritornerà a chi l'ha pronunciato. La prima azione compiuta dagli apostoli durante la loro missione non è, dunque, quella di impartire dei comandamenti, ma di portare la pace di Dio. La pace è associata al giungere dell'era messianica (Is 9,6; 52,7; Ne 1,15; Zc 9,10: Mc 5,5); è degna di riceverla la casa che accoglie il messaggio di salvezza del vangelo, sottraendosi al giudizio.

Il gesto di scuotere la sabbia dai piedi esprime la rottura completa nei confronti di coloro che non credono. I giudei erano soliti compiere questa azione dopo aver viaggiato in regioni pagane. I discepoli estenderanno questo gesto alle località giudaiche che rifiutano il messaggio di Gesù, e che per questo saranno sottoposte allo stesso giudizio dei pagani increduli.

Sòdoma e Gomorra sono città della Pentapoli, in Transgiordania, rappresentate nell'Antico Testamento come luoghi di dissolutezza e di peccato, ma delle quali viene punita soprattutto la mancata ospitalità verso i messaggeri di Dio (Gen 19,1-29). Diventano qui immagine del rifiuto radicale di Cristo e del vangelo.

Le parole utilizzate da Gesù nel suo mandato missionario sono un monito a mantenere viva l'urgenza dell'evangelizzazione, alla quale non sono chiamati solo degli "specialisti", ma tutti coloro che sono stati battezzati in Cristo. Della sua missione sacerdotale, regale e profetica siamo resi partecipi e in virtù di questo siamo costituiti apostoli.

Preghiera

Rendici, Signore, perseveranti nell'annuncio del tuo vangelo di salvezza; affinché superando le difficoltà, il rifiuto e l'ostilità del mondo, possiamo adempiere al tuo mandato. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Barnaba, il "tredicesimo apostolo"

Le chiese d'oriente e d'occidente ricordano oggi l'apostolo Barnaba.
Pur non essendo uno dei Dodici, Barnaba ricevette il titolo di apostolo a motivo del ruolo importante che ebbe nella chiesa primitiva.
Originario di Cipro e appartenente alla tribù di Levi, Giuseppe chiamato Barnaba, ovvero «figlio della consolazione», vendette il campo che possedeva e ne consegnò il ricavato deponendolo ai piedi degli apostoli. Con questo gesto, Barnaba mostrò di aver capito che soltanto chi si spoglia di tutto si pone realmente alla sequela di Cristo, il cui fine è la koinonia, la comunione nell'amore, segno eminente che distingue le autentiche comunità cristiane.
Barnaba è ricordato inoltre per essere stato il tramite tra Saulo di Tarso e il gruppo degli apostoli. Fu infatti lui a presentare loro Paolo, al quale si affiancò, accompagnandolo ad Antiochia e poi nel primo viaggio missionario. In seguito, per dissensi con l'apostolo degli incirconcisi, si separò da lui e tornò a Cipro con suo cugino Giovanni Marco.
Secondo la tradizione, dopo aver predicato il vangelo a Roma e a Milano, Barnaba si recò a Salamina dove morì martire, lapidato attorno all'anno 63.

Tracce di lettura

Nessuno tra di loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno. Così Giuseppe, soprannominato dagli apostoli Barnaba, che significa «figlio della consolazione», un levita originario di Cipro, che era padrone di un campo, lo vendette e ne consegnò l'importo deponendolo ai piedi degli apostoli.
(At 4,34-37)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

martedì 10 giugno 2025

Fermati 1 minuto. Sale e luce

Lettura

Matteo 5,13-16

13 Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
14 Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, 15 né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. 16 Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.

Commento

Le immagini del sale e della luce attestano chiaramente che Gesù desidera che i suoi discepoli siano capaci di influenzare la realtà toccata dalla loro predicazione e testimonianza di vita. Come "conservante" il "sale" dei discepoli contrasta il decadimento morale del mondo, ma aggiunge anche sapore, rendendo il mondo un posto migliore. Il sale è un rimedio per le pietanze insipide ma non c'è rimedio per il sale insipido.

La lampada serve per illuminare le tenebre e non ha senso nasconderla. I cittadini del regno di Dio sono luce e devono risplendere davanti agli uomini; vedendo le loro buone opere questi saranno mossi ad amare e servire Dio.

Gesù definisce se stesso la luce del mondo (Gv 8,12); i credenti partecipano della sua luce mediante il dono della grazia.

Lungi dal fuggire dal mondo Gesù ci invita alla testimonianza, per contribuire alla gloria di Dio. Testimonianza che può esprimersi con un attivo impegno nella società e nella vita della polis, o che può farsi eloquente silenzio quando nella solitudine contemplativa ci si fa segno vivente di quell'amore per l'unico bene necessario (Mt 19,17).

Preghiera

Confermaci, Signore, nella testimonianza fedele del tuo vangelo di salvezza; affinché il mondo possa santificare il tuo nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Le chiese libere: da minoranza perseguitata a corrente principale del protestantesimo globale

Leader ecclesiastici di tutto il mondo si sono riuniti ad Amsterdam per commemorare i 500 anni della tradizione delle Chiese Libere, che iniziò come minoranza perseguitata ma è cresciuta fino a diventare oggi la più grande corrente all'interno del cristianesimo protestante.

Il punto di partenza di questo movimento non fu Amsterdam, ma piuttosto una piccola città chiamata Zollikon, appena fuori Zurigo in Svizzera, nel 1525. Un gruppo di credenti, espulsi da Zurigo dopo aver condotto i primi "battesimi di credenti" in una casa privata, iniziò a leggere la Bibbia e a "spezzare il pane" insieme nelle case degli uni e degli altri. Il Discorso della Montagna e lo stile di vita comunitario della chiesa primitiva li ispirarono a diventare una comunità vincolante di fratelli e sorelle in Cristo.

Il villaggio visse un risveglio, con oltre cento persone che furono (ri-)battezzate come credenti. Questo fu il primo tentativo nella storia protestante di formare una comunità cristiana volontaria indipendente dallo stato.

Persecuzione

Per il riformatore svizzero Ulrico Zwingli e il Consiglio di Zurigo, questa separazione non poteva essere tollerata. Le riunioni non autorizzate avrebbero frammentato la società, sostenevano, minando ogni ordine e portando all'anarchia. Per il bene della coesione sociale, dovevano essere soppresse. Felix Manx, nella cui casa avevano avuto luogo i primi battesimi, fu il primo a ricevere il "terzo battesimo" – l'esecuzione per annegamento nel fiume Limmat, per mano degli anziani della chiesa protestante e della città. Come per la chiesa primitiva, tuttavia, la persecuzione e il martirio fecero solo sì che il movimento si sviluppasse sottotraccia, diffondendosi rapidamente. Comunità interdipendenti e volontarie di credenti si moltiplicarono in molti paesi dell'Europa centrale e settentrionale, in particolare nelle regioni di lingua tedesca e olandese. Mentre alcune espressioni divennero estreme, un ex sacerdote cattolico della Frisia di nome Menno Simons (1496–1561) diede al movimento una leadership più equilibrata.

Rifugio

Ancora prima che Amsterdam abbracciasse la Riforma, i rifugiati religiosi trovarono rifugio nel clima di tolleranza lì, in particolare i seguaci di Menno Simons. Questi Mennoniti avrebbero giocato un ruolo significativo nell'economia e nella società della città nel secolo successivo. Molti si impegnarono nella costruzione navale, nella fabbricazione di vele, nella produzione di corde, nella concia del cuoio e nella produzione tessile, incluse la seta, la tessitura, la tintura e lo sbiancamento. Alcuni furono pionieri di progressi tecnologici, come la tecnologia dei mulini a vento e l'ingegneria idraulica. Altri divennero ricchi mercanti internazionali, coinvolti in rotte commerciali che si estendevano dal Mar Baltico all'Atlantico, e persino all'Africa e al Sud America.

Nel periodo d'oro di Amsterdam nel XVII secolo, la Singelkerk era un centro chiave per diffondere le idee anabattiste attraverso le rotte commerciali in molte altre regioni.

La Singelkerk, dove è iniziato l'incontro della settimana scorsa, è un esempio classico. Dall'esterno, nessuno indovinerebbe che dietro tre facciate di case si nasconde un grande santuario con due livelli di balconate e posti a sedere per 350 fedeli. I duecento Battisti e Mennoniti internazionali che hanno partecipato alla Conferenza delle Chiese dei Credenti sono stati facilmente accolti. Nel periodo d'oro di Amsterdam del XVII secolo, la Singelkerk era un centro chiave per diffondere le idee anabattiste attraverso le rotte commerciali in molte altre regioni.

Due dissidenti religiosi inglesi, John Smyth e Thomas Helwys, che fuggirono con i Padri Pellegrini ad Amsterdam nel 1609, furono influenzati dall'insegnamento mennonita sul battesimo dei credenti e iniziarono le prime riunioni battiste. Mentre Smyth rimase ad Amsterdam, Helwys tornò in Inghilterra per iniziare le prime chiese battiste lì. Sarebbe presto morto in prigione per i suoi sforzi.

La più grande

Helwys, e i compagni battisti Richard Overton e Roger Williams, divennero pionieri della libertà religiosa e dei diritti umani su entrambi i lati dell'Atlantico. L'appartenenza volontaria alla chiesa, il battesimo dei credenti, la separazione tra chiesa e stato, la libertà religiosa e la governance congregazionale erano principi considerati radicali e persino eretici nel XVI secolo, ma descrivono le caratteristiche della più grande corrente all'interno del cristianesimo protestante del nostro tempo.

Questa tradizione delle Chiese Libere è oggi cresciuta al secondo posto per dimensioni, dopo solo la comunità cattolica di 1,4 miliardi di fedeli. È la corrente cristiana più dinamica a livello globale, che cresce più vigorosamente in Africa, Asia e America Latina.

La World Christian Encyclopedia descrive una crescita del movimento Pentecostale/Carismatico da 58 milioni nel 1970 a 635 milioni nel 2020; e degli Evangelici da 112 milioni nel 1970 a 386 milioni nel 2020.

Questa corrente ora supera di gran lunga il mondo ortodosso (inclusi gli Ortodossi Orientali e la Chiesa Assira d'Oriente, per un totale di 260 milioni di fedeli) e il protestantesimo ecumenico (fino a 300 milioni) messi insieme!

Da un piccolo gruppo di dissidenti perseguitati a Zollikon, quella delle Chiese Libere è diventata la nuova corrente principale del protestantesimo.

- Fonte: Jeff Fountain, Evangelical Focus, 9 giugno 2025