Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

giovedì 4 dicembre 2014

Il diletto nelle Sacre Scritture


Come il bere è dilettevole agli assetati e il mangiare agli affamati, così è la lettura, l'ascolto e l'investigazione della Sacra Scrittura per coloro che desiderano conoscere Dio e la sua volontà. Come invece chi è colpito dalla febbre disdegna mangiare e bere, a causa dei cattivi umori che sono nella loro bocca, allo stesso modo la dolcezza della Sacra Scrittura risulta amara a coloro le cui menti sono corrotte dal peccato e dall'amore delle cose di questo mondo. Il Libro delle Omelie, 1547, I, Una fruttuosa esortazione alla lettura della Sacra Scrittura.

lunedì 1 dicembre 2014

Le comunità italiane nella chiesa anglicana di Londra e New York tra Otto e Novecento

Segnaliamo qui di seguito una importante ricerca del Prof. Stefano Villani, dell'università del Maryland (già Associato dell'università di Pisa), sulla storia delle comunità italiane nella Church of England e nella Chiesa Episcopale.

Stefano Villani, “Le tre vite di Costantino Stauder (1841-1913), la chiesa episcopale italiana di New York e la comunità italiana di Londra tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento” in Altreitalie, 49 (luglio-dicembre 2014, pp. 48-79)

Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento sia la Chiesa d’Inghilterra a Londra che quella Episcopale a New York si posero il problema di dare un’educazione religiosa al folto contingente di immigrati italiani delle due città e che, spesso, con l’emigrazione abbandonavano qualunque pratica religiosa. Questi tentativi si intrecciarono con le speranze, coltivate in quello stesso torno di tempo da alcuni settori di entrambe le Chiese, di proporre all’Italia il modello episcopale di stampo anglicano per una riforma religiosa del paese. In entrambi gli ambiti, sia quello missionario per gli immigrati, che quello propagandistico rivolto all’Italia, i risultati furono assai modesti. Una figura chiave nella storia di questi tentativi della Comunione anglicana è rappresentata da Costantino Stauder (1841-1913) che fu, con ogni probabilità, il primo ministro episcopale di nazionalità italiana e che, a New York, dette vita alla prima missione italiana episcopale, per essere poi brevemente coinvolto nell’attività anglicana nel quartiere italiano di Londra. Il suo eccentrico e contraddittorio percorso biografico lo vedrà missionario cattolico negli Stati Uniti, ministro episcopale a New York e infine bizzarro intellettuale a Londra. Le tre fasi delle sua vita consentono di ricostruire un aspetto inesplorato della storia dell’emigrazione italiana negli Stati Uniti e in Inghilterra. Acquista articolo

Altri saggi relativi alla storia della traduzione italiana del Book of Common Prayer sono scaricabili gratuitamente a questo link


Stefano Villani, già professore associato di Storia Moderna all’Università di Pisa, insegna attualmente Early Modern European History all’Università del Maryland, College Park. Si è a lungo occupato dei rapporti anglo-italiani nel '600 e attualmente sta ultimando una ricerca sulle traduzioni in italiano del Book of Common Prayer.  Intorno a questo tema e alle figure coinvolte nella traduzione o nella diffusione del testo in Italia ha dedicato alcuni  saggi, tra cui si possono menzionare: George Frederick Nott (1768-1841). Un ecclesiastico anglicano tra teologia, letteratura, arte, archeologia, bibliofilia e collezionismo, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 2012; Un’identità mascherata nell’Inghilterra del Seicento: la vicenda dell’ebraista Alessandro Amidei, in “Quaderni Storici”, vol. XLIII (2008), pp. 455-470;  La prima edizione in italiano del Book of Common Prayer (1685) tra propaganda protestante e memoria sarpiana, in “Rivista di storia e letteratura religiosa”, vol. XLIV (2008) , pp. 24-45; Le tre vite di Costantino Stauder (1841-1913), la chiesa episcopale italiana di New York e la comunità italiana di Londra tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento in “Altreitalie”, 49 (luglio-dicembre 2014), pp. 48-79; Dal Galles alle Valli: Thomas Sims (1785-1864) e la riscoperta britannica dei valdesi, in “Bollettino della Società di Studi Valdesi”, 215, 2014, pp. 103-171.

sabato 29 novembre 2014

L'eucaristia come remissione dei peccati

Il pieno frutto della religione è la remissione dei peccati, che si realizza in modo speciale in questo Sacramento. Come l'Angelo disse al profeta [Isaia] non solo che i peccati gli sarebbero stati rimessi, ma che ciò sarebbe avvenuto sacramentalmente, ponendo un carbone ardente sulle sue labbra, così Cristo ci assicura l'ottenimento della remissione dei peccati ricevendo questo Calice. - Lancelot Andrewes, Sermoni, 1 ottobre 1598, St Giles Church, Londra

La conversione

Tutte le testimonianze delle Sacre Scritture dichiarano abbondantemente che la dottrina della conversione deve essere messa al primo posto nella formazione dell'uomo cristiano, se osserviamo l'ordine che gli è stato assegnato da Giovanni il Battista, Cristo, i suoi apostoli e San Paolo. - Thomas Becon, Il Cathecismo, Sulla conversione

mercoledì 23 luglio 2014

Il cibo spirituale è vero cibo

Uno degli elementi più importanti del Rito Eucaristico anglicano, spesso omesso dai moderni libri di preghiera, è l'esortazione con cui il sacerdote incoraggia il popolo di Dio a ricevere il Sacramento in modo degno. L'esortazione arriva appena prima della chiamata alla confessione e nelle sue varie forme (ci sono tre opzioni) comprende un chiaro ammonimento sui vantaggi e i pericoli in cui si incorre nel ricevere la Comunione.

Teneramente amati dal Signore, voi che vi accostate alla Santa comunione del corpo e sangue del nostro Salvatore Gesù Cristo, considerate come San Paolo esorta tutte le persone a esaminare  diligentemente se stesse, prima di mangiare quel pane e consumare quella bevanda. Per quanto il beneficio che riceviamo sia grande, se con cuore penitente e viva fede riceviamo quel Santissimo Sacramento ci nutriamo in spirito della carne di Cristo e beviamo il suo sangue; noi dimoriamo in Cristo e Cristo in noi; siamo uno con Cristo e Cristo con noi. Riflettiamo sul pericolo di ricevere Cristo indegnamente, perché in tal caso siamo colpevoli del corpo e del sangue di Cristo nostro Salvatore; mangiamo e beviamo la nostra condanna, non considerando il corpo del Signore; e attiriamo l'ira di Dio su di noi.

Il beneficio del Sacramento è che "ci nutriamo spiritualmente della carne di Cristo e beviamo il suo sangue", che ci fa uno con Lui. E' un accenno a ciò che gli ortodossi orientali chiamano la dottrina della Theosis, l'idea che la nostra santificazione è causata dal nostro essere uniti con Cristo e fatti uno con lui, affinché Cristo splenda attraverso di noi e diventiamo sua immagine, come il ferro inserito nel fuoco. Fa eco la preghiera di accesso al Sacramento, in cui preghiamo che Dio ci permetta di "mangiare la carne del tuo caro figlio Gesù Cristo e bere il suo sangue, affinché il nostro corpo peccaminoso sia purificato dal suo corpo, e le nostre anime siano lavate dal suo preziosissimo sangue, affinché noi possiamo dimorare in lui e lui in noi".

Nell'Eucaristia si attua in noi una purificazione, come nel battesimo; ma l'effetto della purificazione eucaristica è amplificato. Attraverso l'Eucaristia, dimoriamo in Dio, non solo alla sua presenza, ma diventiamo parte di lui, così come egli dimora in noi. Quando Dio è venuto a salvarci dal peccato e dalla morte, si è fatto come noi, assumendo la nostra carne. Nell'Eucaristia, questa azione è invertita. Noi siamo innalzati in lui, siamo fatti uno con lui nel nostro spirito.

Le obiezioni dei "critici"

L'esortazione descrive il Sacramento come un "banchetto spirituale" in cui ci nutriamo del corpo di Cristo. Questo linguaggio è ripetuto nella preghiera di post-comunione, che comprende un ringraziamento a Dio per averci dato "il cibo spirituale del preziosissimo corpo e sangue del  tuo figlio, nostro Salvatore Gesù Cristo". Secondo alcuni critici queste parole attesterebbero che l'anglicanesimo ha una comprensione del Sacramento come semplice memoriale. In quest'ottica ciò che è spirituale deve essere chiaramente in contraddizione con la realtà materiale del Sacramento. Questa ipotesi è ulteriormente rafforzata dal fatto che il Rito più e più volte sottolinea la necessità di ricevere il Sacramento nella fede, perché è solo mediante la fede che effettivamente riceviamo i benefici promessi nell'Eucaristia. Pertanto, concludono i critici, non parliamo di un'oggettiva, reale presenza di Cristo nel Sacramento. La presenza di Cristo sarebbe dipendente dalle disposizioni interiori del fedele. Ciò che il comunicante riceve nella sua bocca è pane e vino, poiché gli elementi fisici non subiscono alcun cambiamento. Se il comunicante ha fede, riceverà il corpo e sangue di Cristo come nutrimento nel suo cuore. Ma se il comunicante non ha fede, riceve solo pane e vino e non Cristo. La grazia del Sacramento, secondo questa lettura teologica, dipenderebbe più da noi che da Dio.

Risposta alle obiezioni

Il problema di questa linea critica è che ignora alcune parti piuttosto significative del rito, che indicano chiaramente che la presenza di Cristo non dipende affatto dalle disposizioni del comunicante. In primo luogo, come vediamo sopra nell'esortazione, c'è un riconoscimento che ricevendo il Sacramento senza fede "mangiamo e beviamo la nostra condanna." Come abbiamo discusso in un precedente articolo, questo monito proviene da 1 Corinzi 11. Se non non c'è alcuna oggettiva e reale presenza di Cristo nel Sacramento, è difficile capire come possa danneggiare e addirittura uccidere chi lo accoglie indegnamente.

Ancor più precise sono le parole con le quali il sacerdote amministra il Sacramento. Nel primo Book of common prayer  di Cranmer, edito nel 1549, il pane è somministrato con le parole "il corpo di nostro Signore Gesù Cristo che è dato per te, per preservare il tuo corpo e la tua anima per la vita eterna". Nella revisione del 1552, sotto l'influenza di uno spirito molto più zwingliano, le parole sono state modificate per riflettere una concezione puramente memorialistica del Sacramento. Il sacerdote pone il pane nelle mani del comunicante dicendo: "Ricevi e nutriti di questo memoriale che Cristo è morto per te e rendi grazie". Ma nel 1559 il testo è stato modificato in modo che entrambe le frasi sono pronunciate insieme. Il linguaggio memorialistico della seconda frase resta immutato. al di là di come uno concepisca la presenza di Cristo nel Sacramento. Tuttavia, la lingua della prima frase afferma in via chiara e definitiva la presenza reale e oggettiva di Cristo, non solo nel cuore e nella mente del credente, ma anche nel pane e nel vino. Se il pane non fosse davvero il corpo di Cristo e il vino non fosse davvero il sangue di Cristo, il sacerdote sarebbe un bugiardo e il rito risulterebbe del tutto incoerente.

E allora, "cibo spirituale" e "alimento spirituale" non può essere interpretato a significare che non esiste nessuna presenza locale di Cristo nel Sacramento. La realtà spirituale di quanto riceviamo non è in contraddizione con la realtà materiale con cui Cristo stesso si dà nel Sacramento. Piuttosto, è proprio l'incontro tra lo spirituale e il materiale che si traduce nella nostra capacità, come creature che sono spirituali e fisiche, di nutrirci di Cristo e ricevere i benefici della sua Passione.

Il corpo del Risorto è un corpo spirituale

La difficoltà nel cogliere questo significato è che apparteniamo a una cultura secolare e talvolta anche la cultura ecclesiale abbraccia l'idea gnostica che lo spirito e la carne sono due cose radicalmente diverse, necessariamente opposte l'una all'altra. E poiché la nostra epoca è dominata dal materialismo, il quale asserisce sfacciatamente che solo le cose che possiamo quantificare con i nostri sensi sono reali, arriviamo a credere che lo spirituale è in qualche modo meno reale di ciò che ha a che fare con il mondo fisico. Ma se così fosse, Dio sarebbe meno reale della roccia che è materia pura e, come afferma Giovanni in 4,24: "Dio è puro spirito". Paolo ci ammonisce in 1 Corinzi 15 che la realtà spirituale è oltre il potere del peccato e della morte:

Ma qualcuno dirà: «Come risuscitano i morti? Con quale corpo verranno?». Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore; e quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco, di grano per esempio o di altro genere. E Dio gli dà un corpo come ha stabilito, e a ciascun seme il proprio corpo. Non ogni carne è la medesima carne; altra è la carne di uomini e altra quella di animali; altra quella di uccelli e altra quella di pesci. Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è lo splendore dei corpi celesti, e altro quello dei corpi terrestri. Altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle: ogni stella infatti differisce da un'altra nello splendore. Così anche la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale.
Se c'è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale, poiché sta scritto che il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo. Quale è l'uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti.

Cristo stesso, il Risorto, è ora "spirito vivificante", ma non ha cessato di essere vero uomo. Al contrario, la natura spirituale del suo corpo lo rende più umano. Mentre Adamo è solo polvere, Cristo è molto di più perché il suo corpo è diventato spirituale. Nella Resurrezione, la materia di cui è composto il nostro corpo avrà le qualità trascendenti che ora sono proprie solo del Risorto. Il materiale non sarà più separabile da ciò che è spirituale. Tutti saranno pienamente integri.

Tuttavia, mentre Cristo è già passato attraverso questo cambiamento, coloro che sono stati battezzati in Cristo sono come sospesi tra i due mondi. Siamo stati rigenerati dallo Spirito Santo, il che significa che le nostre anime sono state purificate del peccato e riportate in vita, ma restiamo nel mondo della caduta in cui continuiamo a dover affrontare una realtà di degrado e di morte. Una realtà che fa presa su di noi, ci trascina nel peccato più e più volte, lasciando la sua impronta sulla nostra carne. Solo se le nostre anime sono state lavate dal lavacro battesimale e la fede è stata accesa nei nostri cuori possiamo nutrirci del corpo del Signore risorto, che ora è pienamente glorificato e non è più soggetto all'influsso della morte. Ciò non significa che Cristo non è oggettivamente, completamente, anche materialmente presente quando il pane e il vino sono posti nelle nostre bocche. Ma significa che se vogliamo ricevere degnamente tale dono, dobbiamo avere uno spirito purificato dal peccato. Non è sufficiente ricevere Cristo con la bocca se il cuore rimane impassibile.

Siamo ciò che mangiamo

Un esempio molto semplice potrà aiutarci a comprendere più chiaramente. Immaginiamo di avere una patologia che ci impedisce di digerire alcuni alimenti correttamente, tra cui l'ananas. Ora, questo ci spiace molto perché amiamo l'ananas. Se un pezzo di ananas finisce nelle mie mani, certamente si tratta di un pezzo di ananas. Potrei masticarlo e ingoiarlo e avrei mangiato dell'ananas. Tuttavia, poiché il mio corpo è difettoso, io non riesco a digerirlo correttamente e non sarò in grado di assimilarlo. Infatti, potrei avere una reazione allergica, svegliandomi nel mezzo della notte senza fiato e con forti dolori di pancia. La mia persona "non è attrezzata" per nutrirsi di ananas, anche se dovessi mangiarne.

Il corpo e sangue di Cristo che viene a noi e attraverso il pane consacrato e il vino è un corpo glorificato, un corpo spirituale. Esso richiede uno spirito glorificato per essere ricevuto correttamente. Ma ciò non significa che Cristo non è realmente presente, in modo oggettivo, nel dono gratuito di se stesso. La natura spirituale del corpo non lo rende meno "corpo" di un corpo reale. Né il nostro bisogno di nutrirci spiritualmente, attraverso la fede, fa alcuna differenza nella natura del dono che ci è offerto.

Cibo spirituale è vero cibo. C'è un solo modo di mangiare e solo un cuoco che prepara. Beati noi che siamo chiamati a unirci al banchetto.

[Tratto da conciliaraglican.com]



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mercoledì 16 luglio 2014

L'Eucaristia - Parte II - 'Questo è il mio corpo... No, davvero, lo è...'

Il punto di partenza di ogni sana dottrina è la Sacra scrittura e, come ci dicono i 39 articoli di religione, non si può richiedere di credere alcunché non sia fondato sulla Scrittura. Sembrerebbe quindi che il punto di partenza dell'insegnamento anglicano sull'Eucaristia sia da ravvisare nei passaggi più espliciti sull'argomento, vale a dire le narrazioni dell'istituzione come le troviamo in 1 Corinzi 11,20-34, Matteo 26,26-28, Marco 14,22-24 e Luca 22,19-20.

Tutti i testi neotestamentari sull'istituzione eucaristica riportano parole simili. Ognuno di essi descrive Gesù nell'atto in cui prende il pane e il vino, lo benedice e rende grazie, spezza il pane e dice "Questo è il mio corpo" e "Questo è il mio sangue". Gesù condivide la cena con i suoi apostoli e comanda loro "Fate questo in memoria di me". Tutte le confessioni cristiane riconoscono quest'ultima parte, cioè la necessità di seguire il comando del Signore ripetendo il rito, anche se con diversi gradi di frequenza, e quasi tutti sono anche d'accordo con l'affermazione dell'apostolo Paolo che "ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga" (1 Corinzi 11,26). La radice delle divisioni che emergono nel XVI secolo è proprio in ciò che Gesù avrebbe inteso nell'affermare che il pane è il suo corpo e il vino il suo sangue. Si tratta di una metafora o una di una realtà metafisica?

Più di una metafora

Coloro che sostengono che Gesù intendeva semplicemente parlare per metafore fondano la loro opinione sulle numerose affermazioni metaforiche, allegoriche e paradossali di Gesù nei Vangeli, in particolare in quello di Giovanni. Egli dice di essere la porta dell'ovile (Giovanni 10,1-9) e la vite di cui noi siamo i tralci (Giovanni 15,1-8), ma certamente egli non è  una porta o una vite reali, pertanto dovremmo ritenere che egli stesse parlando metaforicamente anche quando ha affermato che il pane e il vino della cena sono il suo corpo e il suo sangue. Il problema con questa linea di ragionamento è duplice. Prima di tutto, le metafore che Gesù impiega nel Vangelo di Giovanni non possono essere semplicemente liquidate come un gioco di parole e di immagini. Gesù è veramente una vite ed è veramente una porta. Egli non può essere una porta di legno come quella di casa nostra o una vite come quella che potrebbe crescere nel nostro giardino, ma è assolutamente serio quando dice che possiamo entrare nel Regno solo attraverso di lui e che possiamo essere uno con il padre solo se siamo radicati in lui. Più precisamente, però, le parole che Gesù impiega nei capitoli 10 e 15 di Giovanni, in un contesto completamente diverso, non ci aiutano a determinare se sta parlando o non sta parlando metaforicamente durante l'istituzione della Santa Cena.

Nell'ambito delle narrazioni sull'istituzione dell'Eucaristia nulla suggerisce che Gesù stia parlando metaforicamente. L'unico motivo che potrebbe portare chiunque a tale conclusione è l'impossibilità di una cosa simile, lo stesso tipo di convinzione che ha portato i teologi liberali del XIX secolo ad affermare che anche la resurrezione va intesa come metafora, dato che ovviamente sappiamo che le persone non tornano dalla morte. Ma le indicazioni del contesto rafforzano la comprensione che Gesù ha inteso parlare chiaramente e fuor di metafora. Nella prima lettera ai Corinzi, per esempio, dopo che paolo ha citato le parole dell' istituzione, afferma:

Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti. (1 Corinti 11,27-30)

Paolo indica non solo che è irrispettoso accostarsi alla mensa del Signore in questo modo, ma che è addirittura pericoloso, perché non comprendere che il corpo di Cristo è presente e quindi trattare la Cena come un qualsiasi altro pasto può portare letteralmente alla distruzione.

Similarmente, in Giovanni 6, Gesù offre un esteso discorso sull'Eucaristia e il bisogno di mangiare e bere il suo sangue. Alla fine di questo discorso, ci viene detto che molti dei suoi discepoli mormoravano e disse "Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?" (v. 60). Molti di loro se ne andarono quel giorno (v. 66). Se ciò che Gesù sta insegnando è solo una metafora è difficile capire perché chi ascolta dovrebbe trovare le sue parole dure da comprendere e difficili da accettare. Il testo indica che quelle persone abbandonarono il loro discepolato non soltanto perché non capirono ciò che sono stavano ascoltando, ma perché ne rimasero scandalizzate.

L'insegnamento dei Padri

Tuttavia, Gesù non sembra curarsi delle preoccupazioni dei teologi del Cinquecento e così non ha fatto aggiungere alle sue semplici e chiare dichiarazioni "Questo è il mio corpo" e "Questo è mio sangue" le parole, "intendo proprio il mio corpo, non è una metafora!". Potremmo quindi plausibilmente continuare a negare la semplice realtà indicata dalle sue parole, se non fosse per il fatto che i Padri della Chiesa primitiva universalmente le confermano. Gli esempi abbondano. Sant'Ignazio di Antiochia, scrivendo ai credenti di Smirne, alla fine del primo secolo, dice:

Nota bene coloro che hanno opinioni eretiche circa la grazia di Gesù Cristo che è venuto tra noi; nota come esse sono contrarie alla mente di Dio... Essi si astengono dall'Eucarestia e dalla preghiera perché si rifiutano di riconoscere che l'Eucaristia è la carne del nostro Salvatore Gesù Cristo, che ha sofferto per i nostri peccati e che il padre nella sua bontà ha innalzato.

Similarmente, San Giustino Martire, nella sua Prima Apologia, scrive a metà del secondo secolo:

A nessuno è concesso di prendere questo cibo che chiamiamo Eucaristia, ad eccezione di coloro che credono che le cose che insegniamo sono vere, che hanno ricevuto il lavacro per il perdono dei peccati e per la rinascita, e che vivono come Cristo ci ha insegnato. Perché non riceviamo queste cose come pane comune o bevanda comune; ma come Gesù Cristo nostro Salvatore, parola di Dio che si è fatta carne e sangue per la nostra salvezza. Così ci è stato insegnato che il cibo consacrato dalle parole della preghiera che viene da lui, e che nutre la nostra carne e il nostro sangue è il sangue di quel Gesù incarnato.

Parole simili le troviamo negli scritti di Ireneo, Clemente, nella Didaché, in Cipriano, Atanasio e in una miriade di altri Padri dei primi secoli della Chiesa. Solo coloro che negavano la realtà dell'incarnazione arrivarono a negare che il corpo e sangue di Cristo sono realmente presenti nell'Eucaristia. Per quindici secoli, il concetto base della presenza reale era semplicemente assunto dai cristiani ortodossi. Era un insegnamento fondamentale della Chiesa primitiva che quando Gesù disse "Questo è il mio corpo" e "Questo è mio sangue", questo è esattamente ciò che intendeva dire.

Questo è il mio corpo, ma è anche pane

Presenza reale è una cosa, ma la modalità di quella presenza è altra faccenda. Nel brano di Paolo sopra citato, in cui è rafforzato in modo esplicito l'insegnamento della realtà della presenza di Cristo nell'Eucaristia, egli continua a riferirsi agli elementi consacrati come pane e vino. Troviamo un riferimento che segue lo stesso modello in Luca 24,13-35.

I Padri parlano spesso allo stesso modo. Ignazio scrive, per esempio, nella sua Lettera agli Efesini:

Si uniscono in comune, tutti senza eccezione nella carità, in una sola fede e in un Gesù Cristo, che è della stirpe di Davide secondo la carne, il figlio dell'uomo e il figlio di Dio, così che obbedendo al vescovo il sacerdote spezza il pane, che è il farmaco dell'immortalità e l'antidoto contro la morte, che ci permette di vivere per sempre in Cristo Gesù.

Sembrerebbe, quindi, che mentre noi dobbiamo riconoscere che quello che riceviamo nell'Eucaristia è realmente corpo e sangue di Cristo, lo dobbiamo al contepo riconoscere come pane e vino, a meno che naturalmente Ignazio, Luca e Paolo non stessero parlando metaforicamente.

La natura spirituale del corpo

Questo mistero della presenza di Cristo, del suo corpo e del suo sangue, nel pane e nel vino è un mistero profondo, non meno facile da analizzare rispetto i misteri dell'incarnazione e della Trinità. Ancora, questa citazione dal 'Trattato sui misteri' (391) di Sant'Ambrogio ci aiuta a comprendere le parole della Scrittura:

Cristo è quel Sacramento, perché è il corpo di Cristo; esso non è cibo corporale, ma spirituale. Donde anche il suo Apostolo dice:  "Tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo." (1 Corinzi 10,4). Perché il corpo di Dio è un corpo spirituale.

Nel passaggi paolino citato da Ambrogio l'apostolo parla del popolo d'Israele che ha ricevuto una sorta di battesimo e una sorta di Eucaristia al tempo dell'Esodo, anche se non lo ha compreso. Paolo dice che "mangiarono lo stesso cibo spirituale" e "bevvero la stessa bevanda spirituale" che Cristo ci ha donato. E più oltre, in 1 Corinzi 15, quando Paolo descrive la resurrezione dai morti, dice che i nostri corpi si muteranno dal dalla loro natura corruttibile, terrena, posseduta dai desideri impuri, – a una natura "spirituale" e "celeste", proprio come il corpo di Gesù risorto.

Così la domanda di partenza della teologia eucaristica anglicana classica, verte sul che cosa esattamente voglia dire che il corpo di Cristo che riceviamo è un corpo spirituale e che lo riceviamo in spirito. Dobbiamo cercare di comprendere meglio il significato della Resurrezione se vogliamo capire di cosa ci nutriamo realmente nella Cena del Signore. La risposta a questa domanda ha stabilito l'insegnamento che troviamo nei formulari. Si è dato per scontato ciò che i grandi teologi anglicani del periodo definito Caroline Divines hanno scritto sull'Eucaristia. Ancora ai nostri giorni questo insegnamento scandalizza e viene frainteso, perché la cultura cristiana occidentale fonda la sua metafisica in gran parte sulla filosofia greco-romana e dell'Illuminismo, piuttosto che sulla visione del mondo della Bibbia e dei Padri. Come vedremo andando avanti, l'Anglicanesimo classico ci fornisce un modo alternativo di vedere il mondo, uno in cui lo spirituale e il fisico non sono così diametralmente opposti come tendiamo ad assumere.

[Tratto da conciliaranglican.com]



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martedì 15 luglio 2014

L'Eucaristia

"La Santa Comunione, o Cena del Signore, è la più sacra, misteriosa e utile congiunzione delle cose segrete nella religione," scrive Jeremy Taylor nel suo trattato del 1660 'Il degno comunicante'. Taylor fa notare che molti uomini hanno gettato lo sguardo alle semplici parole del Nuovo Testamento sul tema dell'Eucaristia e hanno visto molte cose diverse, così come due uomini, fissando la stessa nube potrebbero vedere diverse forme. "Così è in questo grande mistero della nostra religione," dice Taylor, "in cui alcuni scorgono strane cose che Dio non intendeva, e altri non vedono quello che Dio ha molto chiaramente detto".

Taylor continua a delineare una teologia anglicana dell'Eucaristia che egli ritiene superiore a quella di altre tradizioni per il suo affidamento alla semplici parole della Scrittura e dei Padri. Naturalmente, tutte le tradizioni teologiche emerse dal XVI secolo, inclusa quella della Chiesa Cattolica Romana post-tridentina, pretendono di essere la semplice interpretazione delle parole della Scrittura sull'Eucaristia. Che cosa è notevole dal punto di vista dei nostri giorni è che Taylor sia convinto che la propria tradizione abbia un insegnamento su questa materia. Come con tante altre dottrine incomprese, la molteplicità di punti di vista sulla Santa Eucaristia che può essere trovata nel moderno anglicanesimo ha condotto alla nozione comune che l'anglicanesimo non ha nessun insegnamento reale sul tema, almeno non un insegnamento vincolante per i suoi aderenti. Taylor era invece convinto di difendere un insegnamento prettamente anglicano, espresso dalla scrittura, dai Padri della chiesa e dai formulari anglicani. E questo insegnamento non era luterano, calvinista, Zwinglian, né cattolico, anche se aveva alcuni elementi in comune con la teologia di quelle tradizioni in quanto mutuato dalle stesse fonti originali.

Comprendere la posizione anglicana sull'Eucarestia non è facile. I riformatori anglicani e i teologi utilizzano un vocabolario diverso quando si parla di Sacramento rispetto ai loro contemporanei, che rende difficile la lettura per quelli di noi che hanno imparato a capire l'Eucaristia nelle categorie tipiche che abbiamo ereditato dal secolo XVI. Il desiderio dei teologi e riformatori era meno indirizzato alla precisione filosofica rispetto alla fedeltà alla Bibbia e allo spirito dell'età patristica.

In una serie di post dedicati all'Eucaristia ci riferiremo innanzitutto ad alcuni dei testi scritturistici che informano la nostra comprensione del Sacramento, e all'interpretazione che di essi ci hanno offerto i Padri della chiesa. Successivamente, esamineremo l'insegnamento del Libro della preghiera comune (Book of Common Prayer) alla luce dell'insegnamento delle Scritture e dei Padri. Poi confronteremo l'insegnamento del Libro della preghiera comune con l'insegnamento dei 39 articoli, prestando particolare attenzione a ciò che intendono affermare quando parlano del modo "celeste e spirituale" in cui viene ricevuto il Corpo e Sangue di Cristo. Infine, torneremo a Taylor e pochi altri teologi dell'epoca "classica" dell'anglicanesimo per vedere come questo insegnamento ha dato forma al pensiero anglicano e quali sono state le sue evoluzioni.

[Tratto da conciliaranglican.com]

lunedì 6 gennaio 2014

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San Paolo dentro le Mura

La chiesa di San Paolo dentro le Mura (St. Paul Within the Walls) è la prima chiesa non cattolica costruita a Roma dopo l’Unità d’Italia.
St. Paul a Roma inizia le sue attività nel 1859 con il nome di Grace Church.
Poiché nello Stato pontificio servizi protestanti non erano permessi all'interno delle mura di Roma (se non nelle ambasciate e legazioni) una cappella è affittata al di fuori delle mura cittadine. Solo dopo il 1870 gli anglicani possono erigere una artistica chiesa "dentro le mura", e il passaggio resta consacrato nel nome.

Fu il Reverendo Robert J. Nevin che, dopo aver comprato il terreno ed ottenute dal Governo italiano le necessarie autorizzazioni, fece costruire l’edificio dall’architetto inglese George Edmond Street come luogo di culto della comunità episcopaliana americana che, fino a quel momento, soleva riunirsi nella sede della Legazione americana presso la corte pontificia.

La chiesa fu edificata dal 1873 al 1880 in stile romanico-gotico, caratterizzata esternamente da mattoni rossi che si alternano al travertino. Nella facciata si trova un rosone con simboli degli Evangelisti. L’interno si presenta a tre navate; vi spiccano in modo particolare le vetrate con storie della vita dell'apostolo Paolo, ed i mosaici dell’abside, realizzati su disegni dell'artista preraffaellita Edward Burne-Jones, che raffigurano scene tratte dall’Apocalisse dell’evangelista Giovanni.
Sempre nell’abside sono raffigurati, in mosaico, alcuni Padri della Chiesa; la cosa curiosa è che alcuni personaggi dell’Ottocento hanno prestato il volto per la loro realizzazione: così sant’Andrea ha il volto di Abramo Lincoln, san Giacomo quello di Giuseppe Garibaldi, san Patrizio quello del Generale Grant, protagonista della Guerra di Secessione americana.

Le sculture nel giardino sono state realizzate dall'artista contemporaneo Peter Rockwell.

L'attuale Rettore di San Paolo dentro le Mura è il Rev. Austin K. Rios

Sito ufficiale: http://www.stpaulsrome.it/

Sviluppo

Al di fuori della Gran Bretagna, la più influente Chiesa della Comunione Anglicana è quella degli Stati Uniti che, dopo la Rivoluzione americana, fu costretta a recidere i legami con la Chiesa d'Inghilterra sotto pena di tradimento, poiché al clero veniva richiesto di giurare fedeltà alla monarchia britannica. Negli Stati Unti la chiesa Anglicana si riorganizzò nel 1783 con il nome di "Chiesa episcopale" e divenne la prima Provincia Anglicana al di fuori delle Isole Britanniche".
Oggi è suddivisa in 9 province e governa numerose diocesi al di fuori degli Stati Uniti, tra cui la Convocazione delle Chiese Episcopali in Europa.

I membri della Chiesa episcopale ("episcopaliani") negli Stati Uniti sono circa due milioni e mezzo. La comunità episcopaliana ha un'importante presenza in settori chiave della cultura, dell'economia, della politica degli Stati Uniti e numerosi sono stati i presidenti degli Stati Uniti di fede episcopaliana (tra cui George Washington e Franklin Delano Roosvelt).

Il Vescovo Katharine Jefferts Schori, è la prima donna Presidente della Chiesa Episcopale (Il titolo Presiding Bishop, Vescovo Presidente, è preferito a quello di Primate nella Chiesa episcopale).

L'attuale Vescovo della Convocazione delle Chiese episcopali in Europa è il Rt. Rev. Pierre Whalon.

Oltre alle attività propriamente di culto e di educazione cristiana, le comunità episcopaliane italiane svolgono servizi sociali e di ospitalità, prevedendo giornate in cui volontari preparano pasti e procurano vestiti ai poveri e ai rifugiati.

Significativa è anche l'attività ecumenica.

Origini e sviluppo dell'Anglicanesimo

L'Anglicanesimo è una forma di Cristianesimo che ebbe origine nel XVI secolo con la separazione della Chiesa anglicana (o Chiesa d'Inghilterra) dalla Chiesa cattolica-romana, durante il regno di Enrico VIII.

L'origine risale a una diffusa convinzione, fra alte cariche episcopali inglesi, di una necessaria indipendenza delle sedi episcopali, così come avveniva nella chiesa delle origini. Già nell'alto medioevo la Chiesa d'Inghilterra godeva di un'ampia autonomia da Roma.

La causa scatenante va ricollegata al fatto che Enrico VIII non riuscì ad ottenere dal Vaticano lo scioglimento del suo matrimonio, che era stato richiesto perché non aveva avuto un figlio maschio cui lasciare il trono. Il re, approfittando del malcontento che serpeggiava nelle file del clero e del laicato cattolico inglese contro Roma, si rivolse all'arcivescovo Cranmer di Canterbury e riuscì ad ottenere il divorzio da Caterina d'Aragona. Subito dopo la scomunica fece approvare dal Parlamento (1533) una serie di leggi che rompevano i legami con Roma e sottomettevano interamente il clero inglese alla corona.

Naturalmente il divorzio fu solo un pretesto: la causa profonda va vista nel generale processo di rivendicazione della sovranità regia contro ogni interferenza, soprattutto se proveniente dall'esterno. Il sorgere dei rapporti capitalistici nell'Inghilterra del XVI sec. aveva reso urgente la costituzione di una monarchia assoluta, che accelerasse la disgregazione del regime feudale. Un importante mezzo di centralizzazione dei poteri fu appunto la riforma della chiesa, con la quale il re riuscì a secolarizzare circa un terzo di tutta la proprietà terriera inglese.

Da notare che in genere i papi non opponevano alcun veto ai principi e ai re che volevano separarsi dalle loro consorti. In questo caso però il rifiuto fu determinato dal timore di scontentare il parente più importante di Caterina d'Aragona, l'imperatore Carlo V, che rappresentava in quel momento un valido baluardo contro la diffusione del luteranesimo.

Lo scisma anglicano non incontrò in Inghilterra alcuna forte resistenza da parte ecclesiastica (fanno eccezione alcuni ordini religiosi, nonché il vescovo Fisher). La vittima più illustre fu il Gran cancelliere del re, Thomas More, che pur essendo disposto a firmare l'Atto per la successione della discendenza di Anna Bolena (la seconda moglie), rifiutava il modo in cui Enrico VIII si era proclamato "capo della chiesa" e gli opponeva la convocazione di un concilio nazionale.

Non vi fu resistenza semplicemente perché i torti di una sede pontificia esosa, corrotta e retriva quanto mai, apparivano ai sudditi inglesi sufficienti a legittimare la costituzione di una monarchia assolutistica e scismatica. Peraltro Enrico VIII aveva garantito al clero e a tutti i fedeli che nulla del tradizionale cattolicesimo sarebbe stato modificato, a livello sia dogmatico che sacramentale e rituale. In precedenza, lo stesso re aveva scritto, in collaborazione con Moro, alcuni pamphlet antiluterani.

Le influenze protestanti del continente europeo si fecero sentire immediatamente dopo. Le nuove dottrine, soprattutto calviniste, furono introdotte sotto Edoardo VI (1547-53), che Enrico VIII aveva avuto da un terzo matrimonio. Re Edoardo approvò il Libro della preghiera comune (Book of Common Prayer) che realizzato dall'arcivescovo Cranmer e da altri teologi influenzati dalla Riforma.

A questa situazione cercò di reagire la cattolica Maria Tudor (1553-58), figlia di Caterina d'Aragona, ma senza ottenere validi risultati, anche se gli anglicani condannati sotto il suo regno risultarono più numerosi dei cattolici messi a morte dagli anglicani durante tutto il secolo seguente. Di qui la forte contro-reazione della regina Elisabetta (1558-1603), figlia di Anna Bolena, che volle ristabilire il Libro della preghiera comune e appoggiare i 39 articoli di religione, che attestano un certo influsso del calvinismo.

Fu appunto Elisabetta I che assunse il titolo (tuttora esistente) di "supremo reggente". Con l'Atto di uniformità del 1559 venne ratificatal'indipendenza dal papa romano, venne mantenuta la continuità con la chiesa antica attraverso l'adesione alle confessioni di fede e alle decisioni dei primi quattro concili ecumenici, vennero accettati i principi fondamentali della Riforma (specie gli articoli sulla giustificazione per fede, sulla chiesa, sulle opere buone della Confessione luterana di Augusta del 1530), venne solennemente dichiarata la Bibbia come suprema norma di fede, affermando che non si può pretendere da alcuno di accettare come articolo di fede quello che non può essere approvato con la Bibbia.

I 39 articoli prevedevano una struttura ecclesiastica centrata sia sui vescovi, nominati dal re, che sulla successione apostolica; cerimonie, riti, liturgia e paramenti di tipo cattolico; la teologia di tipo calvinista moderato (ad es. la tradizione non è negata ma subordinata alla Bibbia, la "forza salvifica" della chiesa non è negata ma si considera più importante la fede personale).  

Nei secoli successivi, in diverse parti del mondo, ma prevalentemente nel Commonwealth inglese, sono sorte altre chiese nazionali che hanno aderito all'anglicanesimo. Queste chiese sono denominate "anglicane" o, in alcune nazioni come gli USA e la Scozia, "episcopali".

Diffusione


La Comunione anglicana riunisce oltre 40 chiese in comunione con la sede primaziale arcivescovile di Canterbury.

Gli anglicani sono oggi circa 90 milioni in oltre 165 paesi nel mondo.

Le Chiese anglicane in Italia sono una ventina, fra cui St. Mark's a Firenze (Via Maggio 18), The Holy Ghost a Genova (Piazza Marsala 3), All Saints a Milano (Via Solferino 17), Christ Church a Napoli (Via San Pasquale a Chiaia 15 b), Holy Cross a Palermo (Via Mariano Stabile 118 b), All Saints a Roma (Via del Babuino 153), St. George a Taormina (Via Pirandello 24), St. George a Venezia (Dorsoduro 253).
IL Vescovo Suffraganeo della Diocesi in Europa della Chiesa d'Inghilterra è il Rt. Rev. David Hamid.

Sotto la giurisdizione del vescovo incaricato dalla Convocazione delle Chiese episcopali americane in Europa (dette anche "episcopaliane"), che risiede a Parigi, operano in Italia due Chiese anglicane Episcopali, una a Roma - St. Paul Within the Walls - San Paolo dentro le mura (Via Nazionale 16 a - Via Napoli 58) - e una a Firenze, St. James - San Giacomo (Via Rucellai 9). Sono inoltre presenti la Chiesa della Resurrezione a Orvieto e la Comunità Gesù Buon Pastore a Milano. L'attuale Vescovo della Convocazione delle Chiese episcopali in Europa è il Rt. Rev. Pierre Whalon.